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Premessa 

La recente decisione della Quinta Sezione del Consiglio di Stato, n.1108, del 15 febbraio 2022, in materia di contratti pubblici ed affidamenti diretti, merita in questa sede commento giacché riferita ad una delle previsioni più dibattute tra quelle introdotte, in deroga al Codice di cui al d.lgs. 50/2016, dal filone legislativo così detto “emergenziale”, che dal 2020 ad oggi, causa pandemia, ha interessato ampiamente la disciplina dei contratti pubblici. 

  1. La disciplina emergenziale come scelta necessitata 

Ciò anche per il fatto che da un lato non vi era possibilità di operare altrimenti, nell’ottica di favorire la ripresa dopo il blocco del 2020 senza poter puntare, per ragioni di tempo, su una riscrittura organica delle norme; dall’altro che tale riscrittura, in ragione degli impegni assunti con l’Europa in chiave PNRR, è ormai prossima, visto il disegno di legge delega all’esame del Senato1 che entro il mese di marzo dovrebbe essere approvato almeno da un ramo del Parlamento, la cui attuazione potrebbe anche recare la stabilizzazione la normativa che al momento opera in via temporanea. 

Nella specie trattasi della previsione di cui all’articolo 1, lettera a), del decreto 16 luglio 2020, n.76, definito anche “semplificazioni 1”, convertito con legge 11 settembre 2020, n. 120, a tenore del quale per lavori di importo inferiore a 150.000 euro e per servizi e forniture, ivi compresi i servizi di ingegneria e architettura e l’attività di progettazione, di importo inferiore a 75.000 euro – oggi elevati a 139.000 dall’articolo 51 del successivo decreto “semplificazioni 2” del 31 maggio 2021 ed anch’esso successivamente convertito con legge 29 luglio 2021, n. 108 – le stazioni appaltanti procedono all’affidamento diretto

La disposizione, destinata ad incentivare gli investimenti pubblici nel settore delle infrastrutture e dei servizi pubblici, nonché a … far fronte alle ricadute economiche negative a seguito delle misure di contenimento e dell’emergenza sanitaria globale del COVID-19, introduce, come è noto, una deroga espressa agli articoli 36, comma 2, e 157, comma 2, del Codice … qualora la determina a contrarre o altro atto di avvio del procedimento equivalente sia adottato entro il 30 giugno 2023, termine così aggiornato dall’articolo 51 sopra citato, rispetto all’originaria previsione che si esauriva a fine 2021. 

  1. Il caso 

Il caso esaminato dai giudici di Palazzo Spada offre di per sé spunti di particolare interesse, posto che trattasi dell’affidamento di una concessione di servizi attribuita da un ente locale del valore di 77 mila euro e durata limitata ad un anno e mezzo, avente ad oggetto il servizio di gestione di un compendio immobiliare di pregio ad uso attività turistico-ricettiva, intervenuto con determinazione dell’agosto 2020 sulla base di una normativa modificata in sede di conversione quanto ad ambito di applicazione per valore dell’affidamento, rispetto alla quale, inoltre, era stata presentata specifica manifestazione di interesse all’affidamento da parte di altro operatore economico che ha aperto il contenzioso dal quale è scaturita la decisione che si commenta. 

Nel ritenere legittimo l’affidamento in tal senso disposto, il Consiglio di Stato si è fatto carico della risoluzione di numerose questioni di cui è opportuno dar conto. 

  1. Ambito della disciplina in deroga 

La prima questione riguarda l’ambito della deroga rispetto alla disciplina ordinaria degli affidamenti di minor importo, fissata in via generale dall’articolo 36 del codice; in specie se sia necessaria, o meno, una preventiva verifica di mercato. 

Sul punto il Consiglio di Stato ritiene che non sussista alcun obbligo in tal senso. 

  1. Affidamento diretto senza indagine di mercato 

Come emerge dalla comparazione tra la lettera a) e la lettera b) dell’articolo 1, comma 2 del decreto legge 76, sottolinea infatti la decisione in nota, nell’ipotesi di affidamento diretto è riservata alla stazione appaltante la scelta discrezionale del contraente, senza che sia necessaria la previa consultazione di un certo numero di operatori economici, da individuarsi tramite indagini di mercato o elenchi. 

L’affermazione si fonda sull’argomento secondo cui tale modalità, ossia la preventiva consultazione, è espressamente prevista solo per la diversa procedura negoziata senza bando di cui alla lettera b), con il ché, diversamente argomentando, non vi sarebbe differenza tra le due ipotesi. 

Il Consiglio di Stato rileva, inoltre, come il regime in deroga di cui si discute sia lo stesso previsto, a regime, per gli affidamenti di importo inferiore a euro 40.000 ai sensi dell’articolo 36 del Codice, secondo cui le amministrazioni appaltanti possono procedere mediante affidamento diretto, anche senza previa consultazione di due o più operatori economici, evidenziando sul punto come la formulazione originaria parlasse di “affidamento diretto adeguatamente motivato” e, rispetto ad essa, il d.lgs. 19 aprile 2017, n. 56 (correttivo), abbia poi eliminato il riferimento all’adeguata motivazione, prevedendo inoltre un affidamento non necessariamente preceduto da un confronto competitivo tra aspiranti e rimesso a una diretta individuazione dell’affidatario da parte della stazione appaltante

A supporto di tale lettura viene citato il parere del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti n. 764 del 20 ottobre 2020, secondo cui l’eventuale confronto dei preventivi di spesa forniti da due o più operatori economici rappresenta comunque una best practice, salvo che ciò comporti una eccessiva dilazione dei tempi di affidamento che, invece, sarebbe in contrasto con la ratio che informa l’intero decreto semplificazione, con la precisazione che negli affidamenti diretti, non essendovi confronto competitivo, anche l’eventuale raffronto tra preventivi non presuppone l’utilizzo di un criterio di aggiudicazione2. 

Quanto all’eventuale richiesta di preventivi ed alle relative modalità, evidenziano le affermazioni ministeriali riportate in sentenza, rientra nella discrezionalità della Stazione appaltante, competente in materia, determinare le modalità attraverso cui addivenire all’individuazione del proprio contraente diretto. 

Citando, infine, un proprio precedente dello scorso anno3, il Consiglio di Stato evidenzia come sia già stato affermato che l’“affidamento diretto” ai sensi della lettera a), comma 2, dell’articolo 1 del decreto legge 76/2020, non contempla espressamente la consultazione degli operatori economici, precisando che lo stesso articolo 36 del Codice dei Contratti pubblici, ne prevede la consultazione di cinque solo nell’ipotesi di cui alla lettera b), ovvero per gli appalti di servizi e forniture nel caso di affidamenti pari o superiori a 40.000 euro ed inferiori alle soglie comunitarie. 

  1. Gli affidamenti diretti disciplinati dal decreto 76/2020 non costituiscono deroga ma estensione dell’articolo 36, comma 2, lett. a), del Codice 

Completa il quadro delle affermazioni che tendono a leggere le disposizioni emergenziali del decreto 76 non tanto in deroga quanto come estensione della regola prevista dal codice dei contratti nella fascia d’importo inferiore ai 40.000 euro il fatto che il comma 3 del medesimo articolo 1 preveda anche esso che gli affidamenti diretti possono essere realizzati tramite determina a contrarre, o atto equivalente, che contenga gli elementi descritti nell’articolo 32, comma 2, del Codice secondo il quale la stazione appaltante può procedere ad affidamento diretto tramite determina a contrarre, o atto equivalente, che contenga, in modo semplificato, l’oggetto dell’affidamento, l’importo, il fornitore, le ragioni della scelta del fornitore, il possesso da parte sua dei requisiti di carattere generale, nonché il possesso dei requisiti tecnico-professionali, ove richiesti. 

E’ questo il contesto in cui vengono in evidenza le ragioni della scelta del fornitore, ed in tal senso il Consiglio di Stato conferma che il Comune ha adeguatamente chiarito le ragioni a fondamento della scelta operata evidenziando di aver deciso di esternalizzare la gestione del servizio non essendo in grado di gestire direttamente la struttura, altresì volendo, tramite ricorso all’affidamento diretto, evitare il prolungamento della chiusura e la sua mancata operatività, anche in ragione dei tempi presumibilmente necessari per l’espletamento di una procedura di gara aperta per l’affidamento pluriennale della concessione, così garantendo la ripresa in tempi rapidi dell’attività di gestione a fini turistico-ricettivi, anche al fine di evitare tanto l’avvio di una nuova procedura di revoca del contributo da parte della Regione quanto il deterioramento della struttura, nonché dei suoi arredi e beni strutturali dovuto al loro inutilizzo. 

  1. Frazionare l’affidamento per accelerare i tempi di intervento? 

Emerge da tali affermazioni anche una sorta di giustificazione, che peraltro non sembrerebbe richiesta dall’atto di appello, circa la possibilità di frazionare un affidamento di più ampia portata, laddove ciò sia utile per accelerare i tempi di intervento utilizzando una procedura semplificata rispetto ad una gara ordinaria. 

In questo senso è significativa l’affermazione secondo la quale l’interesse generale perseguito dal Comune nell’attuale congiuntura non è stato dunque quello di ottenere una maggiore offerta economica, ma di consentire al più presto la ripresa dell’attività della struttura, sì da garantire il presidio del complesso immobiliare e il rispetto della finalità dell’intervento volto alla valorizzazione turistica del territorio. 

A prescindere da tale, pur rilevante profilo, resta peraltro chiarito come l’obbligo di motivazione attenga alle ragioni dell’affidamento diretto non già al mancato preventivo confronto con altri operatori. 

  1. Affidamento diretto anche in presenza di manifestazione di interesse 

Un secondo e più impegnativo ordine di argomenti riguarda, poi, il fatto che non solo non vi era un obbligo di procedere a preventive consultazioni di mercato in base alle considerazioni dette, ma che, nel caso di specie, sussisteva una specifica manifestazione di interesse all’affidamento, concorrente rispetto a quella affidataria, attivata direttamente dalla parte interessata. 

Il tema si pone in relazione ai contenuti del comma 1 dell’articolo 36 del codice secondo il quale l’affidamento e l’esecuzione di lavori, servizi e forniture di importo inferiore alle soglie di cui all’articolo 35 avvengono nel rispetto dei principi di cui agli articoli 30, comma 1, 34 e 42 nonché del rispetto del principio di rotazione degli inviti e degli affidamenti e in modo da assicurare l’effettiva possibilità di partecipazione delle microimprese, piccole e medie imprese, previsione questa non derogata dall’articolo 1 del decreto 76, che in tal senso richiama solo il comma 2. 

Sul punto si rammenta che l’articolo 30 riguarda l’osservanza dei principi di economicità, efficacia, tempestività, correttezza, non discriminazione, trasparenza, proporzionalità e pubblicità, il 34 i criteri ambientali minimi ed il 42 i conflitti d’interesse. 

Argomenta sul punto la decisione in nota nel senso che il comma 2 costituisce deroga rispetto al comma 1; al riguardo si legge infatti che, invero, l’articolo 36 prevede al primo comma i principi che devono essere rispettati anche per gli affidamenti sotto soglia. Il successivo comma due, tuttavia, introduce, per gli affidamenti di valore minimale, in deroga alla previsione di cui al comma primo, la possibilità di procedere ad affidamento diretto, come specificato, anche in assenza di consultazione di due o più operatori economici

In effetti, afferma la decisione in nota, non sono stati in concreto violati nel caso in esame i principi sanciti dall’articolo 36 comma 1 del Codice dei Contratti pubblici, come invece sostiene l’appellante, in quanto la procedura applicabile e difatti applicata alla fattispecie prescinde dalla previa consultazione di più operatori, non incidendo perciò la mera dichiarazione di interesse presentata dalla società … sulle scelte discrezionali dell’Amministrazione che non era per questo obbligata all’avvio di un procedimento selettivo tra più operatori economici, previsto per i contratti di importo superiore

  1. Applicabilità alle concessioni 

Ulteriore questione riguarda l’applicabilità della disciplina degli affidamenti diretti alle concessioni. 

In tal senso, il tema muove dall’analisi dell’articolo 164, comma 2, del codice secondo il quale “Alle procedure di aggiudicazione di contratti di concessione di lavori pubblici o di servizi si applicano, per quanto compatibili, le disposizioni contenute nella parte I e nella parte II, del presente codice, relativamente ai principi generali, alle esclusioni, alle modalità e alle procedure di affidamento, alle modalità di pubblicazione e redazione dei bandi e degli avvisi, ai requisiti generali e speciali e ai motivi di esclusione, ai criteri di aggiudicazione, alle modalità di comunicazione ai candidati e agli offerenti, ai requisiti di qualificazione degli operatori economici, ai termini di ricezione delle domande di partecipazione alla concessione e delle offerte, alle modalità di esecuzione”. 

Afferma sul punto la decisione in nota che il richiamo contenuto nel comma trascritto determina l’applicazione dell’articolo 36 d.lgs. 50/16 non solo nella suo primo comma ma anche nel secondo essendo quest’ultimo articolo ricompreso nelle “modalità e procedure di affidamento” cui l’articolo 164, comma 2, fa rinvio: ne consegue che tutte le modifiche apportate al secondo comma trovano applicazione anche all’affidamento delle concessioni. 

  1. Sull’applicazione di disposizioni poi modificate in sede di conversione dei decreti legge 

Ultima questione utile da puntualizzare specie in un contesto, qual’è quello attuale, in cui molta parte della disciplina in essere è disposta tramite ricorso a decreti legge, come è noto oggetto di successiva verifica parlamentare, riguarda l’operatività di disposizioni poi modificate in sede di conversione. 

Nella specie, l’affidamento del valore di 77 mila euro era stato disposto in base ad una previsione che, per limiti di importo, ben lo permetteva al momento di adozione della determina, salvo risultare poi modificata al ribasso ad opera del passaggio parlamentare, con riduzione a valori che, seppur di poco (75.000 euro), non lo avrebbero più consentito. 

Evidenzia sul punto il Consiglio di Stato che, per un verso, nel caso esaminato non può trovare applicazione l’articolo 77 della Costituzione, non ricorrendo un’ipotesi di mancata conversione del decreto, ciò che elimina la questione di perdita della di efficacia ex tunc delle previsioni ivi recate; per altro verso, che l’articolo 1 della legge di conversione dispone espressamente la propria entrata in vigore successivamente alla data di pubblicazione, senza prevedere effetti retroattivi, né dettare alcuna norma transitoria o disporre alcunché per gli atti posti in essere in vigenza del decreto legge convertito, sicché le previsioni della legge di conversione non possono che avere effetto per il futuro. 

Tale conclusione è conforme ai principi generali sulla formazione delle leggi, in primis quelli di vigenza delle leggi dal momento della pubblicazione, salvo espressa previsione contraria, e del tempus regit actum, in virtù del quale l’atto è regolato dalla legge vigente nel momento in cui è posto in essere, non essendo possibile – salvo che la legge disponga altrimenti – che la norma si applichi a fatti o rapporti sorti prima della sua entrata in vigore; è inoltre aderente a quanto in specie previsto per i decreti legge dall’articolo 15, comma 5, della legge 23 agosto 1988, n. 400, a mente del quale le modifiche eventualmente apportate al decreto-legge in sede di conversione hanno efficacia dal giorno successivo a quello della pubblicazione della legge di conversione, salvo che quest’ultima non disponga diversamente

Non può pertanto riconoscersi efficacia ex tunc agli emendamenti ai decreti legge adottati in sede di conversione in presenza delle circostanze evidenziate. 

  1. Emendamenti soppressivi/sostitutivi e semplicemente modificativi 

Ciò posto in principio, non sfugge al Consiglio di Stato la distinzione operata anche in dottrina tra emendamenti soppressivi/sostitutivi, che travolgerebbero con effetto ex tunc  la norma emendata per la parte non convertita, ed emendamenti modificativi che incidono su una disposizione del decreto convertito senza alterarne in modo totale l’oggetto o il senso, che quindi, essi soli, avrebbero effetto ex nunc

Al riguardo la decisione in nota evidenzia come la giurisprudenza abbia affermato che deve dirsi legittimo un atto verificatosi durante la vigenza di una norma di un decreto legge e regolato conformemente a quest’ultima, benché modificata dalla legge di conversione con un emendamento modificativo, in quanto la modifica è valida ex nunc, cioè dal momento in cui è entrata in vigore la legge di conversione. In tal senso, sussiste un’ipotesi di mera modifica nel caso di una legge di conversione che incide soltanto su alcuni elementi costitutivi della fattispecie astratta regolamentata dal decreto legge (aggiungendo o sottraendo ipotesi); in caso di sostituzione, invece, la legge di conversione disciplina in modo completamente diverso la fattispecie regolamentata dal decreto legge. 

Ne deriva che la norma introdotta dalla legge di conversione, in mancanza di qualsiasi diversa previsione, si applica dal momento della sua entrata in vigore, mentre la disciplina contenuta nel decreto-legge costituisce un regolamento implicito di quanto verificatosi sotto la vigenza del decreto legge stesso e prima dell’entrata in vigore della legge di conversione4. 

Nella fattispecie in esame, afferma la decisione in nota, l’emendamento introdotto dalla legge di conversione n. 120 del 2020 è considerato con certezza di tipo modificativo, non soppressivo o sostitutivo: infatti, premesso che tanto le previsioni recate dal decreto legge quanto quelle modificate della legge di conversione costituiscono una disciplina derogatoria e temporanea al Codice dei Contratti pubblici, legata alla peculiare situazione congiunturale a causa dell’emergenza sanitaria, deve evidenziarsi che è rimasta ferma la regolamentazione e la ratio contenuta nella norma modificata (id est: l’ ampliamento e innalzamento della soglia di applicazione degli affidamenti diretti al fine di semplificare le procedure), non ricorrendo perciò un radicale mutamento della regolamentazione (quale sarebbe stato, ad esempio, il divieto assoluto di affidamento diretto o la sua indiscriminata estensione a prescindere da soglie di valore); si è apportata soltanto una modifica al ribasso della soglia di applicazione, peraltro solo per i servizi e per le forniture e non per gli appalti di lavori, per i quali detta soglia è rimasta inalterata. In sostanza all’ipotesi più ampia di affidamento diretto (fino a euro 150.000 per lavori, servizi e forniture contenuta nel decreto legge) è stata sottratta l’ipotesi dei servizi e forniture, per i quali vale una soglia più bassa. 

Correttamente l’emendamento i questione è di tipo meramente modificativo, in quanto, aggiungendo al contenuto della norma una differenza di soglia tra appalto di lavori e di servizi o, per altro verso, sottraendo i servizi e le forniture alla soglia dei lavori, contiene “una fattispecie astratta alla quale la legge di conversione aggiunge o sottrae soltanto alcuni elementi costitutivi”, avendo perciò efficacia ex nunc, ovvero dal momento in cui la legge di conversione è entrata in vigore. 

  1. Conclusioni 

La decisione in nota appare importante oltre che per le specifiche affermazioni fin qui riportate, per il fatto di ascriversi culturalmente in quel filone interpretativo che valorizza le ragioni alla base degli interventi della legislazione cosiddetta emergenziale volta a favorire la ripresa produttiva, per risolvere il problema della difficoltà di attivazione della spesa pubblica, quale insostituibile leva per l’economia del Paese, esistente già prima della pandemia. 

In questo senso, la decisione riconosce espressamente l’efficacia della spesa pubblica, specie in caso di maggiore rapidità della sua erogazione, quale insostituibile forma di volano dell’economia. 

Nello stesso ambito si colloca la recente decisione della Corte Costituzionale n. 8 del 2022, in materia di ridefinizione dei limiti del reato di abuso d’ufficio che, nel ribadire la legittimità dell’articolo 21 del dl 76/20, afferma espressamente che tale modifica, così come quella parallelamente disposta dall’articolo 21 in tema di danno erariale, è correttamente finalizzata a far sì che la ripresa del Paese possa essere facilitata da una più puntuale delimitazione delle responsabilità. “Paura della firma” e “burocrazia difensiva”, indotte dal timore di un’imputazione per abuso d’ufficio, si tradurrebbero, in quanto fonte di inefficienza e immobilismo, in un ostacolo al rilancio economico, che richiede, al contrario, una pubblica amministrazione dinamica ed efficiente. 

In questo senso, una verifica sul fondamento di tale opzione culturale, se occasionalmente legata solo alla particolare fase storica di riavvio produttivo che interessa il nostro Paese (oltreché la stessa Europa di cui l’Italia è parte inscindibile, anche in termini di apporto economico al suo sviluppo come entità globale), oppure ad un vero e proprio cambio di passo, anche culturale favorito da un nuovo senso di appartenenza al contesto europeo, potrà essere facilmente compiuta già in occasione del prossimo varo della legge delega di cui si è detto in apertura, volta alla riscrittura del Codice dei contratti.    

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Questo articolo è stato scritto da...

Stefano De Marinis
Avvocato, già vicepresidente FIEC
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