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L’aggressione dell’Ucraina da parte di Putin ci ha gettati in una realtà che pensavamo non dovessimo mai
vivere: la guerra alle porte di casa nostra con un rischio potenziale di esserne coinvolti direttamente. Il mattino
del 24 febbraio abbiamo fatto colazione con caffè è incredulità. Da qualche giorno seguivamo l’ammassamento
delle truppe in Bielorussa ma volevamo sperare che la minaccia restasse tale. Avevamo riposto fiducia nelle
rassicuranti parole di Putin che dichiarava si trattasse solo di un’esercitazione. Le scene che continuano ad
arrivare dai territori martoriati dalla guerra stanno diventando pian piano familiari. Non per questo non ne
restiamo colpiti, sbigottiti, addolorati. È impossibile assuefarsene. E poi, raggeliamo: se dovesse capitare anche
a noi? Ci eravamo illusi che le contese del ventunesimo secolo si sarebbero realizzate con manovre economiche
e commerciali. Avevamo pensato che le sanzioni avrebbero sostituito le armi. Le guerre avrebbero fatto vittime
economiche e non più umane.
Non è questa la realtà odierna e non lo sarà nemmeno in futuro. I vertici della NATO ne sono consapevoli. Ai
paesi che ne fanno parte è stato chiesto l’impegno di aumentare gli investimenti in risorse militari. Un impegno
che non nasce in questi giorni, che origina nel 2014 all’indomani dell’annessione della Crimea da parte dei russi.
Primo capitolo della guerra all’Ucraina che non si è saputo leggere con lungimiranza. C’era la possibilità di
intuire che quella manovra fosse la premessa “indolore” al doloroso capitolo di questi giorni?
La storia oggi ribadisce che l’umanità non trae insegnamento dagli errori e gli orrori del passato; ci insegna che
sul piano geopolitico, nei rapporti tra paesi, non si può essere certi che gli equilibri non si deteriorino. Sono
instabili. Sopravvivono spesso all’ombra di accordi fragili e ambizioni malcelate. Basta la follia di un uomo e di
pochi seguaci a portarci dritti verso il baratro.
Con questo scenario sullo sfondo, ci si chiede se sia giusto o no onorare gli impegni presi con la NATO nel 2014:
aumentare la spesa militare fino al 2% del PIL entro il 2024 (posticipato poi al 2028). “L’Italia ripudia la guerra”
afferma chi si professa pacifista, omettendo di citare il resto del testo. “L’Italia ripudia la guerra come
strumento di offesa della libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali”
recita il primo capoverso dell’articolo 11 della Costituzione. L’Italia si impegna a non intraprendere azione
offensive, ma deve potersi difendere da eventuali aggressioni ed è impegnata, con le organizzazioni
internazionali alle quali aderisce, a promuovere la pace intervenendo nei territori che sono coinvolti in eventi
bellici. L’aumento della spesa militare permetterebbe all’Italia di presentarsi con maggiore influenza all’interno
dell’Alleanza. Permetterebbe, come afferma Emma Bonino Senatrice del Partito Radicale ai microfoni di
RadioUno, “di passare da uno stato da adolescente, protetto dai genitori, a uno stato capace di autonomia, più
forte nella capacità negoziale”.
Secondo l’osservatorio MILEX la spesa militare dovrebbe passare dagli attuali 25miliardi l’anno a 38miliardi. Gli
investimenti riguarderanno l’incremento degli arsenali e dei mezzi militari. Le ricadute positive di queste spese
si riverbereranno su un indotto fatto di lavori e servizi necessari al funzionamento stesso dell’apparato militare.
L’esercito è fatto di armi ma soprattutto di persone. Persone che vivono e lavorano in strutture che necessitano
di essere realizzate, sottoposte a manutenzione, gestite nella quotidianità.
L’esercito non è un’entità a se stante, al di fuori del sistema. È totalmente immerso nel contesto sociale nel
quale è presente e non ne potrebbe fare a meno. Dipende dalla società civile, dall’economia,
dall’imprenditorialità: le imprese che si aggiudicano gli appalti edili o di manutenzione o di gestione dei servizi,
fanno parte della rete del mondo civile. L’aumento degli investimenti negli apparati militari si traduce in un
aumento di opportunità di lavoro esteso all’esterno delle caserme.
La postura che l’Italia assumerà nello scenario internazionale dipende dalla capacità di onorare agli impegni
assunti con la NATO. Nel passaggio dall’adolescenza all’età adulta c’è qualcosa che muta e ci rende diversi,
capaci di diventare autonomi e credibili: la responsabilità. “Se vogliamo essere paese serio, che conta nel
contesto internazionale, dobbiamo essere in grado di sostenere certe responsabilità. La responsabilità
appartiene ai grandi paesi”, afferma Giampaolo Di Paola, Ammiraglio e ricercatore dell’Istituto per gli Studi di
Politica Internazionale, nel corso del programma Tagadà di La7.
Se come affermano Bonino e Di Paola vogliamo essere adulti e responsabili dobbiamo dotarci di un apparato
militare adeguato e funzionante; dobbiamo investire, bandire nuove gare di appalto. L’attualità dovrebbe
renderci consapevoli che investire in armamenti, strutture, addestramenti è fondamentale per il paese. È un
deterrente contro chi cova ambizioni distorte. In casi estremi, che nessuno si augura, è necessario per saperci e
poterci difendere.
A chi contesta che la spesa militare rischia di disattendere all’obiettivo della ripresa economica, potremmo
rispondere ancora una volta che militari e civili fanno parte di un unico sistema. Le aziende che costruiscono
munizioni, aerei, blindati sono aziende private, fatte di persone alle quali viene corrisposto uno stipendio che
contribuisce a sostenere l’economia reale.
Nessuno vuole la guerra. O meglio, non la vogliono le popolazioni: i civili e molto probabilmente i militari che la
combattono. Ma nel mondo, oggi, 2022, si stanno combattendo 59 conflitti. Parlare di guerra ai nostri tempi,
della volontà di qualcuno di imprimere dolore e morte, ci appare insensato, anacronistico, scollegato da un
mondo ad economia planetaria. Ma dobbiamo farcene una ragione: l’umanità è conflittuale. Con questa certezza
non dovremmo smettere di sperare che “la vera risposta non sono altre armi, altre sanzioni, altre alleanze
politico-militari, ma un’altra impostazione, un modo diverso di governare il mondo, ormai globalizzato, e di
impostare le relazioni internazionali, non facendo vedere i denti”, come afferma in questi giorni Papa Francesco.

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Questo articolo è stato scritto da...

Dott. Enzo de Gennaro
Direttore Responsabile
mediagraphic assistenza tecnico legale e soluzioni per l'innovazione p.a.