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1) Premesse: le origini dell’istituto

Il ricorso all’affidamento di contratti pubblici che hanno oggetto sia una componente di lavori che forniture o servizi resta (i cd. contratti misti), tutt’ora, una strada poco battuta dalle stazioni appaltanti, nonostante l’ordinamento codicistico in materia sia teso verso una razionalizzazione del panorama normativo, e nonostante il progresso tecnologico induca le amministrazioni a reperire sul mercato competenze che oggi lambiscono, per determinati settori di mercato, diverse e complementari esperienze capaci di soddisfare bisogni sempre più eterogenei.

La reticenza che in passato si è riscontrata nel ricorso ad affidamenti a struttura mista scontava, da un lato, una circostanza oggettiva, per la quale di rado ci si poteva imbattere in una esigenza di una p.a. dal carattere differenziato, ma che ne richiedesse una gestione unitaria e, dall’altro, un approccio “lavoristico” del governo del relativo affidamento, risalente alla disciplina originariamente dettata dalla L. Merloni, a mente della quale “Nei contratti misti di lavori, forniture e servizi e nei contratti di forniture o di servizi quando comprendono lavori si applicano le norme della presente legge qualora i lavori assumano rilievo superiore al 50 per cento”.

Tuttavia, le esigenze, soprattutto di carattere manutentivo e più in generale di global service di opere già eseguite ed immobili latu sensu utilizzati dalla P.A., nonché la tecnologia che oggi compenetra la struttura funzionale di ogni immobile (si pensi all’impiantistica, non solo IT, ma di ogni genere oggi necessaria per suo utilizzo) hanno determinato la duplice conseguenza di invitare il legislatore ad operare ad un ripensamento sistematico della normativa in materia appalti misti e, conseguentemente, un crescente ricorso a detto istituto da parte delle amministrazioni. Frutto di tale ripensamento è stato l’assetto ordinistico conferito alla fattispecie degli appalti misti ai sensi degli artt. 14 e 15 del d.lgs. 163/06 (Vecchio Codice), impianto che è andato a disciplinare compiutamente l’aspetto dell’individuazione dell’oggetto prevalente, come elemento per determinare, a cascata, il regime giuridico applicabile non solo in relazione alle modalità di qualificazione alla gara dei concorrenti, ma anche in relazione alle norme da adottare sul piano più strettamente esecutivo.

Il comma 3 del suddetto art. 14 infatti ha scardinato il principio per cui la sola rilevanza economica fosse l’unico metro per determinare quale fosse l’oggetto principale dell’appalto, stabilendo che “…l’oggetto principale del contratto è costituito dai lavori se l’importo dei lavori assume rilievo superiore al cinquanta per cento, salvo che, secondo le caratteristiche specifiche dell’appalto, i lavori abbiano carattere meramente accessorio rispetto ai servizi o alle forniture, che costituiscano l’oggetto principale del contratto”, con ciò consentendo alle amministrazioni di individuare con maggiore grado di discrezionalità le regole di gara ove i lavori si potessero qualificare come ancillari rispetto ai servizi o alle forniture.

A chiosa, il Vecchio Codice, l’art. 15 esplicitava un principio oggi positivizzato, ma su cui la giurisprudenza si era interrogata a lungo in tema di contratti misti, per il quale:L’operatore economico che concorre alla procedura di affidamento di un contratto misto, deve possedere i requisiti di qualificazione e capacità prescritti dal presente codice per ciascuna prestazione di lavori, servizi, forniture prevista dal contratto.”

In altri termini, l’operatore economico concorrente ad un affidamento ad oggetto misto doveva essere qualificato per ogni prestazione oggetto di affidamento, senza che l’oggetto prevalente potesse derogare alla disciplina specifica delle singole prestazioni.

Di semplice identificazione è la ratio di tale disposizione, che in combinato disposto con la norma dell’art. 14 c. 3 avrebbe potuto prestare il fianco alla illegittima circostanza  per cui un soggetto non qualificato per eseguire i lavori pubblici ai sensi del sistema legale apprestato dall’ordinamento, potesse, poiché qualificatosi per l’oggetto principale di servizi o forniture ai sensi della lex specialis, ugualmente realizzare le opere in spregio alla normativa legale di settore.

Di qui, l’esigenza di chiarire che per ogni categoria di prestazione costituente l’affidamento, il concorrente debba possedere i relativi requisiti.

2) La qualificazione dei concorrenti

In linea con quanto era disciplinato nell’art. 15 del Vecchio Codice, anche l’art. 28 del Codice oggi vigente prevede che “L’operatore economico che concorre alla procedura di affidamento di un contratto misto deve possedere i requisiti di qualificazione e capacità prescritti dal presente codice per ciascuna prestazione di lavori, servizi, forniture prevista dal contratto.”.

Quindi, analogo approccio è stato mantenuto nei confronti dell’art. 28 co. 1 del d.lgs. n. 50/2016, accomunato all’art. 15 del d.lgs. n. 163/2006 quanto a rigore della scelta legislativa che – ai fini della partecipazione alla gara, e non solo dell’esecuzione dell’appalto – impone ai concorrenti il possesso dei requisiti di qualificazione e capacità relativamente a ogni singola prestazione costituente l’appalto misto (cfr. Cons. Stato, sez. III, 7 agosto 2017, n. 3918).

“L’operatore economico che concorre alla procedura di affidamento di un contratto misto deve possedere i requisiti di qualificazione e capacità prescritti dal presente codice per ciascuna prestazione di lavori, servizi, forniture prevista dal contratto”

Pertanto, nessuna possibilità oggi sussiste che un operatore economico possa risultare affidatario di un contratto pubblico ad oggetto misto che non sia in possesso, da solo ovvero raggruppato, di tutti i requisiti necessari per l’esecuzione di ogni prestazione contemplata nel contratto.

Conseguenza di quanto sopra, come ricordato in premessa, onde evitare l’elusione della disciplina legale in tema di qualificazione per l’esecuzione dei lavori pubblici, la giurisprudenza ha rammentato che A fronte della lacuna presente nella legge di gara e, dunque, dell’omessa indicazione di elementi obbligatoriamente prescritti dall’ordinamento giuridico, soccorre il meccanismo della “inserzione automatica di clausole”, sulla base della normativa vigente in materia, analogamente a quanto previsto in ambito contrattual-civilistico dagli artt. 1339, 1374 cod. civ. (cfr. in tal senso, tra le altre, Cons. Stato, V, n. 2448/2014, n. 3811/2013)”[1].

Più in particolare è stato chiarito che “pur in mancanza di alcun cenno esplicito al possesso della qualificazione ex art. 40 del D.Lgs. n. 163 del 2006 o, se del caso, a quella di cui all’ art. 90 del D.P.R. n. 207 del 2010, la lex specialis, come riconosciuto dalla giurisprudenza, doveva comunque interpretarsi nel senso di imporre ai partecipanti di qualificarsi per l’esecuzione di lavori pubblici, attraverso l’eterointegrazione con le previsioni di legge, secondo un meccanismo analogo a quello degli artt. 1339 e 1374 del codice civile” (CONSIGLIO DI STATO, SEZ. III , SENTENZA 18 luglio 2017, n.3541).

Nei contratti misti di servizi e lavori occorre prevedere, a titolo di requisiti di partecipazione, sia la dimostrazione della capacità economico-finanziaria e tecnico-professionale per l’erogazione dei servizi, in base agli articoli 41 e 42 del d.lgs. 163/2006, sia il possesso della qualificazione SOA nella categoria e classifica corrispondenti alla natura e all’importo dei lavori da eseguire; ciò in quanto, ai sensi dell’articolo 15 del d.lgs. n. 163/2006, l’operatore economico che concorre all’affidamento di un contratto misto deve possedere i requisiti di qualificazione e capacità prescritti dallo stesso codice per ogni singola prestazione contrattuale, secondo il c.d. principio della combinazione delle differenti discipline, in base al quale, in materia di qualificazione, l’operatore economico deve essere qualificato per tutte le prestazioni di lavori, servizi e forniture secondo le norme previste per ciascuna di tali prestazioni

Tesi abbracciata anche dall’Autorità con DELIBERA N. 332 DEL 23 marzo 2016 secondo la quale “nei contratti misti di servizi e lavori occorre prevedere, a titolo di requisiti di partecipazione, sia la dimostrazione della capacità economico-finanziaria e tecnico-professionale per l’erogazione dei servizi, in base agli articoli 41 e 42 del d.lgs. 163/2006, sia il possesso della qualificazione SOA nella categoria e classifica corrispondenti alla natura e all’importo dei lavori da eseguire; ciò in quanto, ai sensi dell’articolo 15 del d.lgs. n. 163/2006, l’operatore economico che concorre all’affidamento di un contratto misto deve possedere i requisiti di qualificazione e capacità prescritti dallo stesso codice per ogni singola prestazione contrattuale, secondo il c.d. principio della combinazione delle differenti discipline, in base al quale, in materia di qualificazione, l’operatore economico deve essere qualificato per tutte le prestazioni di lavori, servizi e forniture secondo le norme previste per ciascuna di tali prestazioni (cfr., in tal senso Deliberazione n. 21 del 21 maggio 2014  e parere n. 62 del 28 febbraio 2008)”.

Da quanto sopra emerge quindi chiaramente come, sul piano della qualificazione alle gare pubbliche che intendano affidare contratti ad oggetto misto, i concorrenti debbano possedere per ogni prestazioni dedotta in contratto i relativi requisiti di qualificazione, in applicazione del c.d. principio della combinazione delle differenti discipline ed in deroga al principio di prevalenza che invece condurrebbe ad un appiattimento delle modalità di qualificazione alle gare sull’oggetto ritenuto principale.

Brillantemente, sul punto, è stato evidenziato come “La norma si avvale del criterio della combinazione dei regimi giuridici, in deroga a quello della prevalenza utilizzato al primo periodo del medesimo art. 28 co. 1 per individuare la disciplina generale del contratto misto. Essa riproduce la previsione a suo tempo dettata dall’art. 15 dell’abrogato d.lgs. 12 aprile 2006, n. 163, già interpretata da dottrina e giurisprudenza nel senso di attribuire alla qualificazione obbligatoria per ciascuna delle prestazioni oggetto dell’appalto il ruolo di vero e proprio requisito di partecipazione alla procedura di affidamento, a differenza di quanto previsto dal previgente art. 8 co. 11-septies della legge 11 febbraio 1994, n. 109, che assegnava invece alla qualificazione obbligatoria il diverso ruolo di requisito necessario ai fini dell’esecuzione dei lavori (e che, più in generale, limitava l’applicazione delle disposizioni in materia di qualificazione all’ipotesi in cui i lavori rappresentassero la prestazione economicamente prevalente e non avessero carattere meramente accessorio rispetto all’oggetto principale del contratto misto: cfr. Cons. Stato, sez. V, 30 maggio 2007, n. 2765).

3) L’oggetto prevalente. La disciplina applicabile al contratto misto

L’art. 28 stabilisce, poi, al comma 9 che “Se le diverse parti di un determinato contratto sono oggettivamente non separabili, il regime giuridico applicabile è determinato in base all’oggetto principale del contratto in questione”.

Questo è, dunque, il principio generale.

Eccezion fatta per la disciplina applicabile in relazione alla determinazione dei requisiti di partecipazione, che si atteggia a deroga rispetto al principio generale, ai sensi del succitato comma, l’oggetto principale del contratto attrae il regime giuridico applicabile all’intero affidamento.

Sul piano più generale la giurisprudenza, in coerenza con quanto sopra, ha chiarito che: “nei contratti misti la fusione delle cause fa sì che gli elementi distintivi di ciascun negozio vengono assunti quali elementi di un negozio unico, a mezzo del quale le parti perseguono un risultato economico unitario e complesso, il che comporta che l’entità, le modalità e le conseguenze del collegamento negoziale debbano essere considerate in relazione all’interesse perseguito dal soggetto appaltante” (TAR Lombardia, Milano, sez. I, 12 settembre 2011, n. 2204).

La Corte di giustizia delle Comunità europee si è pronunciata spesso sul punto affermando che “nel caso di contratto misto l’operazione di cui trattasi deve essere esaminata nel suo insieme, in modo unitario, ai fini della sua qualifica giuridica, e dev’essere valutata sulla base delle regole che disciplinano la parte che costituisce l’oggetto principale, o l’elemento preponderante del contratto” (CG, sez. IV, 6 maggio 2010, n. 149. Nello stesso senso, CG 5 dicembre 1989, causa C-3/88, Commissione c. Italia; 19 aprile 1994, causa C- 331/92, Gestion Hotelera Internacional, 18 gennaio 2007, causa C-220/05, Auroux e a.; 21 febbraio 2008, causa C-412/2004 Commissione c. Italia).

Al riguardo, già la circolare del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti 18/12/2003 n. 2316 (Disciplina dei contratti misti negli appalti pubblici di lavori, forniture e servizi – G.U. 3/4/2004 n. 79) su impulso di una procedura d’infrazione 2001/2182 ex art. 226 del Trattato, con cui la Commissione europea ha formulato, fra gli altri, alcuni rilievi circa la compatibilità della normativa italiana in materia di contratti misti, con il diritto comunitario, aveva avuto modo di affrontare il tema. Con la suddetta procedura era stato posto l’accento sul criterio da utilizzare per individuare la normativa da applicarsi negli appalti che comprendono tanto una esecuzione di lavori, quanto una prestazione diversa (forniture e/o servizi).

Infatti, come ricordato in premessa del presente contributo, il legislatore nazionale aveva operato una scelta precisa ed univoca nell’individuare il regime giuridico da osservare. Infatti, con l’art. 2, comma 1, della legge 11 febbraio 1994, n. 109 – legge quadro sui lavori pubblici – e successive modificazioni ed integrazioni, e l’art. 3, comma 3, del decreto legislativo 17 marzo 1995, n. 157, recante attuazione della direttiva 92/50/CEE in materia di appalti pubblici di servizi, disponevano l’applicazione delle norme della legge quadro sui lavori pubblici (sia nel caso di contratti misti di lavori, forniture e servizi, sia nel caso di contratti di forniture e/o di servizi anche quando comprendano lavori accessori rispetto alle altre prestazioni), qualora i lavori assumano rilievo superiore al 50 per cento.

La Commissione europea ha contestato l’utilizzo esclusivo del predetto criterio, ricordando che il diritto comunitario ha sempre considerato “l’oggetto principale del contratto” quale parametro di riferimento per la determinazione delle regole applicabili agli appalti misti. Pertanto, secondo la Commissione, la prevalenza economica della componente dei lavori rispetto alle altre prestazioni (servizi e/o forniture) non implica necessariamente che un appalto possa essere qualificato come appalto pubblico di lavori, qualora questi ultimi siano accessori e non costituiscano l’oggetto principale dell’appalto.

Il diritto comunitario ha sempre considerato “l’oggetto principale del contratto” quale parametro di riferimento per la determinazione delle regole applicabili agli appalti misti. Pertanto, secondo la Commissione, la prevalenza economica della componente dei lavori rispetto alle altre prestazioni (servizi e/o forniture) non implica necessariamente che un appalto possa essere qualificato come appalto pubblico di lavori, qualora questi ultimi siano accessori e non costituiscano l’oggetto principale dell’appalto.

Sulla scorta di tale interpretazione comunitariamente orientata, si è provveduto alla stesura dell’art. 14 comma 3 del Vecchio Codice che recava i prodromi delle prime scalfitture al principio di prevalenza meramente economico, sino ad approdare all’odierna formulazione contenuta nell’art. 28 del Codice oggi vigente che prescrive chiaramente che i contratti che hanno ad oggetto due o più tipi di prestazioni, sono aggiudicati secondo le disposizioni applicabili al tipo di appalto che caratterizza l’oggetto principale del contratto in questione.

Emerge inoltre dalla giurisprudenza della Corte che, qualora un contratto contenga sia elementi riguardanti un appalto pubblico di lavori sia elementi riguardanti un altro tipo di appalto pubblico, è l’oggetto principale del contratto che determina quale direttiva comunitaria degli appalti pubblici debba, in linea di principio, essere applicata (v., in tal senso, sentenza Auroux e a., cit. supra, punto 37). Tale determinazione deve avvenire tenendo conto degli obblighi essenziali che prevalgono e che, in quanto tali, caratterizzano tale appalto in opposizione a quelli che rivestono solo carattere accessorio o complementare e sono imposti dall’oggetto stesso del contratto (sentenza 21 febbraio 2008, causa C-412/04, Commissione/Italia, Racc. pag. I 619, punto 49).

In applicazione di tale principio, la giurisprudenza nazionale ha quindi sostenuto, in relazione alla individuazione della disciplina applicabile, che: “Nel caso in cui l’appalto per cui è causa ha natura mista, avendo a oggetto servizi di manutenzione quale prestazione prevalente e lavori quale prestazione accessoria ed eventuale, in siffatta ipotesi, a mente dell’art. 14, comma 2, lettera c), del d.lgs. nr. 163 del 2006, la disciplina legale cui fare riferimento in toto è quella della prestazione prevalente, ossia quella dei servizi; pertanto, e’ esclusivamente in relazione ai servizi che andava verificata l’osservanza dell’obbligo di specificazione delle “parti” di prestazione ex art. 37, comma 4”.

D’altro canto è il primo comma dell’art. 28 che impone che i contatti misti siano aggiudicati secondo le disposizioni applicabili al tipo di appalto che caratterizza l’oggetto principale del contratto in questione.

4) Il rapporto col subappalto

Interessante è lo spunto di riflessione che proviene da una recente sentenza del Tar Toscana in merito alla disciplina del subappalto applicabile ai contratti misti.

Anche con riferimento al tema dei subaffidamenti, sembra configurarsi una deroga al principio generale della prevalenza dell’oggetto contrattuale.

In deroga alla costante giurisprudenza a mente della quale il subappalto debba considerarsi una disciplina accostabile alla vicenda esecutiva del contratto, il citato precedente mostra di aderire ad un diverso orientamento ermeneutico.

Il Consiglio di Stato ha infatti ha più volte sottolineato come vada “condiviso l’orientamento giurisprudenziale, a cui va data continuità, che ascrive l’identificazione del subappaltatore e la verifica del possesso dei requisiti richiesti dalla legge e dal bando alla fase dell’esecuzione dell’appalto” (in termini, da ultimo, Cons. Stato, ad. plen., 2 novembre 2015 n. 9)[2], illuminando la relativa disciplina come una costola della fase paritetica e non già della fase della formazione di volontà della p.a. nella scelta del contraente.

Il Tar Toscana, partendo dalla disamina della disciplina applicabile al possesso requisiti nei contratti misti, ha mostrato di accostare il tema della verifica dei requisiti del subappaltatore quale elemento distintivo della fase di qualifica, attraendola alla fase procedimentale dell’affidamento.

Il combinato disposto delle due norme porta evidentemente a concludere che, a fronte di un contratto misto, il limite del 30% debba essere riferito (anche) al complessivo importo di ciascuna prestazione di lavori, servizi o forniture che concorrono a comporre l’oggetto del contratto: l’art. 28 non vieta il subappalto, ma, esigendo il possesso della qualifica per ogni tipologia di prestazioni, implica che per partecipare alla gara il concorrente sia in grado di svolgere in proprio almeno la quota non subappaltabile (di ciascuna) delle prestazioni medesime

Il Tar toscano SEZ. I 30/1/2018 con la sentenza n. 146 ha infatti sottolineato come “al possesso dei requisiti di qualificazione stabiliti per ciascuna delle prestazioni dedotte in contratto, oggi prescritto dall’art. 28 co. 1 d.lgs. n. 50/2016, corrisponde infatti lo stringente limite imposto dall’art. 105 co. 2 dello stesso d.lgs. n. 50/2016 (e già presente nell’art. 118 co. 2 del d.lgs. n. 163/2006), secondo cui l’eventuale subappalto non può eccedere la quota del 30% dell’importo complessivo del contratto di lavori, servizi o forniture. E il combinato disposto delle due norme porta evidentemente a concludere che, a fronte di un contratto misto, il limite del 30% debba essere riferito (anche) al complessivo importo di ciascuna prestazione di lavori, servizi o forniture che concorrono a comporre l’oggetto del contratto: l’art. 28 non vieta il subappalto, ma, esigendo il possesso della qualifica per ogni tipologia di prestazioni, implica che per partecipare alla gara il concorrente sia in grado di svolgere in proprio almeno la quota non subappaltabile (di ciascuna) delle prestazioni medesime (cfr. Cons. Stato, sez. III, n. 3541/2017, cit.).

Precipitato logico di tale ermeneutica è l’affacciarsi di una ulteriore deroga al principio generale della prevalenza come discriminante della disciplina applicabile.

Se è vero che il linea generale, per i contratti misti, il regime giuridico applicabile dovrebbe essere quella dell’oggetto prevalente del contratto, anche la disciplina del subappalto, seguendo tale approccio, dovrebbe seguire il la disciplina applicabile all’oggetto prevalente.

Qualora, ad esempio, in un affidamento di un contratto misto, dovesse essere considerata prevalente la componente lavori, il limite del 30% dell’importo contrattuale stabilito ex art. 105 c. 2 del Codice dei Contratti, risulterebbe derogabile in presenza di una categoria superspecialistica che, come noto, può essere autonomamente subappaltabile nel limite del 30%, qualora il suo ammontare sia superiore al 10% dei lavori oggetto di affidamento, consentendo indirettamente l’innalzamento della soglia della quota in subaffidamento.

Viceversa, per un medesimo affidamento misto, qualora l’oggetto prevalente fosse considerata la componente servizi ovvero forniture, il limite del 30% dell’importo contrattuale dovrebbe costituire il tetto anche per la componente lavori, anche in presenza, per la stessa componente, di una categoria superspecialistica.

La decisione del Tar toscana anzi ricordata, sembra invece stabilire che, con riferimento al subappalto, afferendo tale istituto alla qualificazione del concorrente, e non alla fase esecutiva, come invece previsto dalla costante giurisprudenza sopra citata, debba seguire la deroga al principio generale della prevalenza, in coerenza con quanto stabilito dal primo comma dell’art. 28, con ciò determinandosi l’applicazione della rispettiva disciplina specifica del subappalto per ogni tipologia di prestazione dedotta in oggetto.

5) Conclusioni

La disamina anzi ripercorsa, lungi dal voler recare una compiuta analisi di tutto l’assetto normativo in materia di appalti misti, invita, molto più modestamente, ad una considerazione in ordine alla reale portata innovativa del vigente art. 28 in tema di regime giuridico applicabile, quale conseguenza dell’individuata prevalenza di prestazione su un’altra.

Dalla breve rassegna sopra ripercorsa, la prevalenza di una disciplina di settore quale conseguenza di un giudizio di prevalenza ex ante stabilito dalla stazione appaltante allorquando determini l’oggetto dell’affidamento, sembra rappresentarsi più una petizione di principio che una norma dotata di effettività e reale cogenza.

L’ottica di semplificazione che ha mosso il legislatore ad affermare il principio per cu gli appalti misti “sono aggiudicati secondo le disposizioni applicabili al tipo di appalto che caratterizza l’oggetto principale del contratto in questione”, ogni qual volta appaia necessaria una riflessione circa l’identificazione della disciplina applicabile su un determinato tema, sembra spesso atteggiarsi come recessivo rispetto all’esigenza primaria di dover garantire che i concorrenti siano qualificati per ogni tipologia di prestazione oggetto di affidamento.

Ad una attenta analisi, le norme del Codice dei Contratti, eccezion fatta per quelle più strettamente procedimentali, sono per intima vocazione dirette, ovvero indirettamente riconducibili, alla esigenza di garantire che i soggetti partecipanti su piede paritario ad una gara pubblica siano effettivamente dotati dei requisiti per eseguire correttamente e tempestivamente, con il più alto grado di affidabilità ex ante arguibile, le prestazioni oggetto di procedura concorsuale.

Appare astrattamente possibile, che ci si possa ritrovare nella paradossale ipotesi in cui ogni specifica disposizione che possa essere latamente accostabile al vaglio dei requisiti del concorrente, possa beneficiare, per così dire, della deroga sancita dal primo comma dell’art. 28 per la quale la determinazione dei requisiti di partecipazione debba seguire le norme proprie di ogni singola tipologia di prestazione, con ciò svuotando di fatto il dettato del principio generale per cui i contratti misti sono aggiudicati secondo le norme dettate per l’oggetto prevalente.

Si pensi alle norme di in tema di qualificazione dei raggruppamenti temporanei di impresa.

Qualora ci si trovasse dinanzi ad un contratto misto lavori e servizi con prevalenza servizi, quid iuris per la qualificazione dei soggetti raggruppati con riferimento alla componente lavori?

Sarà sufficiente che la mandataria possegga in misura maggioritaria i requisiti, così applicando il regime dell’oggetto prevalente (i.e. servizi) oppure, afferendo la norma, per ratio, alla determinazione dei requisiti di partecipazione, debba trovare applicazione la deroga di cui al primo comma dell’art. 28 e pertanto, la mandataria deve essere in possesso ed eseguire prestazioni per almeno il 40%  come prescrivono le norme del regolamento ancora vigenti?

Sarà, come spesso succede, nel silenzio dell’ANAC sul tema, compito della giurisprudenza prendere una posizione e dipanare l’aporia.  


[1]Consiglio di Stato, sez. III, 18.07.2017 n. 3541

[2]Cons. Stato, sez. V 21/6/2016 n. 2720

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Questo articolo è stato scritto da...

Avv. Giuseppe Totino
Esperto in contratti pubblici
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