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1. Inquadramento generale

Il nuovo Codice dei contratti pubblici, le cui disposizioni acquisteranno efficacia dal prossimo 1° luglio, presenta già nella sua struttura importanti elementi di rottura rispetto al passato. Diviso in Libri, in Parti e Titoli come si conviene ad un vero codice – inteso come corpus unico di norme regolatrici di una data materia – presenta sin dai primi articoli una importante novità rispetto all’ormai “vecchio” d.lgs. n. 50/2016: le prime dodici disposizioni sono dedicate ai principi generali, cioè a quei principi ispiratori della materia applicabili anche al di là dell’ambito del Codice medesimo ovvero, per analogia, anche a materie affini, considerata la loro portata generale. Si è quindi abbandonata – finalmente – la cattiva abitudine di derivazione comunitaria di iniziare il dettato normativo con un interminabile elenco di definizioni e con altre disposizioni non tutte di portata generale, che rendono il testo privo di sistematicità e di difficile lettura.

Tra i principi generali con cui si apre il D. Lgs. n. 36/2023, ve ne sono alcuni particolarmente innovativi – nel nome e, talvolta, anche nel contenuto: tra questi, il principio del risultato e quello della fiducia. Altri sono già noti e ampiamente disciplinati anche nel vecchio Codice, quali il principio della concorrenza, dell’accesso al mercato, ecc., riproposti ovviamente nel nuovo Decreto, trattandosi di principi sanciti nelle direttive comunitarie, costituenti da anni il fondamento della contrattualistica pubblica. Senza alcuna pretesa di completezza, esamineremo adesso, uno per uno, i principi più rilevanti o di portata maggiormente innovativa.

BOX: Il nuovo Codice dei contratti pubblici – il D. Lgs. n. 36/2023 – entrato in vigore lo scorso 1° aprile ma che acquisterà efficacia dal prossimo 1° luglio, contiene nella sua parte iniziale un insieme di principi generali, alcuni dei quali di portata innovativa, come ad esempio il principio del risultato e il principio della fiducia.

2. Il principio del risultato

Come sopra accennato, il primo articolo del D. Lgs. n. 36/2023 è dedicato ad un principio fondamentale, che permea di sé l’intero impianto normativo e che esprime lo spirito “goals oriented”, cioè “orientato all’obiettivo”, che caratterizza il nuovo Codice: si tratta del principio del risultato. Da un lato, esso richiama i principi fondamentali su cui si deve fondare l’azione amministrativa, ovvero l’efficacia, l’efficienza e l’economicità, ben noti a tutti gli operatori del settore pubblico in quanto espressione del buon andamento della pubblica amministrazione sancito dall’art. 97 della Costituzione, come peraltro espressamente precisato al comma 3 della disposizione in esame. Dall’altro però, tale principio è declinato in modo da porre il raggiungimento del risultato come fine fondamentale al quale gli altri principi diventano funzionali.

L’art. 1 infatti così recita testualmente: <<1.Le stazioni appaltanti e gli enti concedenti perseguono il risultato dell’affidamento del contratto e della sua esecuzione con la massima tempestività e il migliore rapporto possibile tra qualità e prezzo, nel rispetto dei principi di legalità, trasparenza e concorrenza.

2. La concorrenza tra gli operatori economici è funzionale a conseguire il miglior risultato possibile nell’affidare ed eseguire i contratti. La trasparenza è funzionale alla massima semplicità e celerità nella corretta applicazione delle regole del presente decreto, di seguito denominato «codice» e ne assicura la piena verificabilità.

3. Il principio del risultato costituisce attuazione, nel settore dei contratti pubblici, del principio del buon andamento e dei correlati principi di efficienza, efficacia ed economicità. Esso è perseguito nell’interesse della comunità e per il raggiungimento degli obiettivi dell’Unione europea.

4. Il principio del risultato costituisce criterio prioritario per l’esercizio del potere discrezionale e per l’individuazione della regola del caso concreto, nonché per:

a) valutare la responsabilità del personale che svolge funzioni amministrative o tecniche nelle fasi di programmazione, progettazione, affidamento ed esecuzione dei contratti;

b) attribuire gli incentivi secondo le modalità previste dalla contrattazione collettiva>>.

Il risultato cui le stazioni appaltanti devono mirare è l’affidamento e la realizzazione di commesse pubbliche di qualità, al miglior prezzo possibile – stante la qualità attesa – e nel minor tempo possibile. Tale risultato – che riguarda espressamente sia la fase della gara che quella della successiva esecuzione – è prioritario rispetto a tutti gli altri principi, fatto salvo ovviamente il necessario rispetto del principio (rectius obbligo) di legalità e dei principi di trasparenza e concorrenza che, tuttavia, sono funzionali a quello del risultato.

Ciò significa anche che ciò che conta non è (soltanto) l’espletamento di una gara ineccepibile e rispettosa delle tempistiche imposte ma anche – e soprattutto – l’individuazione di un contraente in grado di eseguire la commessa a regola d’arte e nei tempi stabiliti.

Come detto, poi, i principi di concorrenza e di trasparenza non sono più da intendersi come fini a loro stessi ma strumentali rispetto al raggiungimento del risultato. La trasparenza infatti è funzionale alla massima semplicità e celerità nella corretta applicazione delle regole del Codice e ne assicura la piena verificabilità, intesa come responsabilità dinanzi alla collettività per i risultati conseguiti (la c.d. accountability).

La concorrenza invece è funzionale al conseguimento del miglior risultato possibile nell’affidare ed eseguire i contratti, cioè nello scegliere il contraente migliore, che garantisca l’esecuzione delle prestazioni richieste con il miglior rapporto qualità/prezzo possibile e nel minor tempo, in una parola, nel conseguire un risultato “virtuoso”, che soddisfi gli interessi della collettività e contribuisca al raggiungimento degli obiettivi dell’Unione europea.

A differenza di quanto accadeva nel vecchio Codice, nel quale la concorrenza tra gli operatori economici e la correlata massima apertura al mercato appariva come un principio fondamentale in sé e per sé, quasi slegato rispetto agli obiettivi di realizzazione di opere o servizi pubblici che le stazioni appaltanti si proponevano, nella nuova visione esso, essendo strumentale al conseguimento del risultato, si pone in una posizione per così dire subalterna o, quantomeno, non di primazia assoluta.

Di notevole portata è il comma 4, nel quale è sancito che il principio del risultato sia il criterio prioritario per l’esercizio del potere discrezionale e per l’individuazione della regola del caso concreto. Ciò significa che i funzionari devono applicare le norme avendo come punto di riferimento, sopra ogni altra cosa, l’esigenza di raggiungere il risultato prefissato. La regola del caso concreto è, di fatto, il provvedimento amministrativo che viene adottato. Le scelte discrezionali o le valutazioni tecniche che gli operatori delle stazioni appaltanti si troveranno a compiere dovranno essere guidate da tale principio e lette a posteriori alla luce di questo criterio. In altri termini, se i parametri di valutazione inseriti in un disciplinare di gara, ad esempio, o le valutazioni tecniche fatte per la verifica dell’anomalia di un’offerta hanno consentito il raggiungimento di un buon risultato, in assenza di palesi irragionevolezze o abnormità, esse non potranno essere sindacate da un giudice perché saranno state correttamente improntate al criterio prioritario del “goals oriented”.

Il nuovo Codice ha in realtà conferito un’aura di ufficialità ad un principio consolidato in giurisprudenza[1] per cui le scelte operate discrezionalmente dalla pubblica amministrazione sono insindacabili dal giudice salvo che siano viziate da irragionevolezza o abnormità.  

I funzionari che agiscono conseguendo il risultato prefissato (in termini di commesse eseguite con la qualità, nei tempi e con i costi migliori possibili) devono essere, da un lato, adeguatamente incentivati e dall’altro, essere valutati, in caso di eventuali rilievi in termini di responsabilità amministrativa, alla luce dell’avvenuto conseguimento del risultato che dovrebbe, salvo il caso di illiceità o palesi atti di negligenza o imperizia, per ciò stesso mandarli esenti da responsabilità.  

Coerentemente con la primazia del principio del risultato, il Codice rende obbligatorie – e non più facoltative – le procedure più snelle e rapide, laddove ne sussistano le condizioni. Infatti, nel sottosoglia il Codice prevede quale procedura obbligata le procedure semplificate (affidamenti diretti e procedure negoziate) e non consente, salvo alcune eccezioni, che la stazione appaltante possa, se vuole, ricorrere a procedure ordinarie.

BOX: Il principio del risultato è prioritario rispetto a tutti gli altri principi e stabilisce che le stazioni appaltanti devono avere quale obiettivo l’affidamento e la realizzazione di commesse pubbliche di qualità, al miglior prezzo possibile e nel minor tempo possibile. La trasparenza e la concorrenza “degradano” a principi strumentali rispetto al principio del risultato.

3. Il principio della fiducia

Strettamente connesso al principio del risultato, da leggere e interpretare unitamente a questo, è il principio della fiducia, disciplinato dall’art. 2, questo sì davvero innovativo in quanto espressione di un cambio di mentalità rispetto al passato.

Il vecchio Codice conteneva numerose norme anticorruzione e tale peculiarità ha fatto sì che nella collettività si sviluppasse nel tempo un diffuso sospetto che poneva in dubbio la rettitudine e l’onestà degli operatori delle stazioni appaltanti. D’altro canto, tra questi ultimi si è specularmente creato un clima di terrore, di paura ad agire a causa dei rischi di responsabilità amministrativa o erariale in cui si poteva facilmente incorrere.  

Il nuovo Codice mira a dare un colpo di spugna alla passata impostazione e a superare la “paura della firma” e la “burocrazia difensiva”, fonti di inefficienza e immobilismo, come le cronache degli ultimi anni hanno purtroppo dimostrato. Lo scopo è quello di dar vita, al contrario, ad una pubblica amministrazione dinamica ed efficiente che sia un volano e non più un ostacolo al rilancio economico del Paese.

Il principio della fiducia deve intendersi sia nel senso che l’ordinamento ha fiducia nei confronti degli organi cui è attribuito il potere discrezionale di amministrare sia nel senso che ci debba essere reciproca fiducia tra pubblica amministrazione e operatori economici.

L’art. 2, ai commi 1 e 2, infatti così recita: <<1. L’attribuzione e l’esercizio del potere nel settore dei contratti pubblici si fonda sul principio della reciproca fiducia nell’azione legittima, trasparente e corretta dell’amministrazione, dei suoi funzionari e degli operatori economici.

2. Il principio della fiducia favorisce e valorizza l’iniziativa e l’autonomia decisionale dei funzionari pubblici, con particolare riferimento alle valutazioni e alle scelte per l’acquisizione e l’esecuzione delle prestazioni secondo il principio del risultato (…)>>.

Il comma 2 in particolare mira proprio a incentivare l’agire dei funzionari e la loro autonomia decisionale, quasi a volerli rassicurare nel compimento delle scelte discrezionali o valutazioni tecniche. E’ come dire che il loro agire non sarà più interpretato con sospetto o con l’intento di trovare un colpevole ma sarà letto alla luce del risultato conseguito.

Fondamentale per questo “cambio di passo” è il comma 3 dell’art. 2 che prevede: <<3. Nell’ambito delle attività svolte nelle fasi di programmazione, progettazione, affidamento ed esecuzione dei contratti, ai fini della responsabilità amministrativa costituisce colpa grave la violazione di norme di diritto e degli auto-vincoli amministrativi, nonché la palese violazione di regole di prudenza, perizia e diligenza e l’omissione delle cautele, verifiche ed informazioni preventive normalmente richieste nell’attività amministrativa, in quanto esigibili nei confronti dell’agente pubblico in base alle specifiche competenze e in relazione al caso concreto. Non costituisce colpa grave la violazione o l’omissione determinata dal riferimento a indirizzi giurisprudenziali prevalenti o a pareri delle autorità competenti>>.

La disposizione in esame infatti attenua notevolmente l’ambito di applicazione della responsabilità amministrativa dei funzionari. Nel vecchio Codice la responsabilità del RUP era una responsabilità di posizione, quasi oggettiva. Adesso invece egli, così come tutti gli altri funzionari che si occuperanno delle varie fasi della realizzazione delle commesse pubbliche (programmazione, progettazione, affidamento ed esecuzione), risponderà solo per colpa grave (oltre che, ovviamente, per dolo) laddove, tuttavia, la nozione di colpa grave subisce un ridimensionamento. Per colpa grave, infatti, ora si intende la frontale violazione di norme di diritto o di norme scaturenti dall’auto–vincolo che la stazione appaltante si è posta mediante la lex specialis di gara o regolamenti interni, nonché i casi di palese sciatteria o evidente negligenza o imperizia. E la diligenza richiesta è misurata in modo più circoscritto rispetto a prima perché si fa riferimento alla competenza e conoscenza normalmente richieste nell’attività amministrativa, in quanto esigibili in base alle specifiche competenze e in relazione al caso concreto.

Il concetto di esigibilità, di derivazione comunitaria, comporta che un agente pubblico risponda solo di ciò che, date le circostanze concrete, si poteva pretendere da lui. Eventuali carenze di organico o una cattiva organizzazione dell’ufficio, ad esempio, possono senza dubbio mandarlo esente da responsabilità.

In quest’ottica di maggior tutela per i funzionari pubblici, il comma in esame conclude precisando che non costituisce colpa grave la violazione o l’omissione fondata su indirizzi giurisprudenziali prevalenti o su pareri conformi delle autorità competenti (ad esempio i pareri dell’ANAC o del MIT).

Ciò significa che, con il nuovo Codice, nei casi in cui la stazione appaltante sarà chiamata a risarcire i danni, non si attiverà in modo pressoché automatico, come è successo fino ad ora, l’azione di responsabilità amministrativa a carico del RUP. Se l’errore commesso dipende da una “colpa di apparato”, ovvero dal fatto che l’organizzazione della stazione appaltante non fosse adeguata o vi fossero gravi carenze di organico, il RUP non sarà più chiamato a risponderne.

L’esplicitazione normativa del principio in esame mira quindi a scongiurare l’inerzia, valorizza le capacità e orienta verso il rispetto della legalità sostanziale, tutelando la discrezionalità amministrativa delle stazioni appaltanti, coerentemente con la nuova versione dell’abuso di ufficio che, a seguito della riformulazione avutasi con il D.L. n. 76/2020, non si configura più in presenza dell’esercizio di un potere discrezionale.

Ancora, sempre per incentivare l’agire sereno e produttivo degli operatori delle stazioni appaltanti, il comma 4 prevede che <<per promuovere la fiducia nell’azione legittima, trasparente e corretta dell’amministrazione, le stazioni appaltanti e gli enti concedenti adottano azioni per la copertura assicurativa dei rischi per il personale, nonché per riqualificare le stazioni appaltanti e per rafforzare e dare valore alle capacità professionali dei dipendenti>> anche mediante adeguati piani di formazione.

Il principio della fiducia ispira e orienta le modifiche apportate ad alcuni istituti importanti del Codice, quali ad esempio il conflitto di interessi, per cui si richiede che chi invoca il conflitto di interessi ne dia prova, allegando i presupposti specifici ed eventualmente adeguata documentazione, in coerenza, appunto, con il principio di fiducia.

BOX: Un principio particolarmente innovativo è il principio della fiducia, con il quale il legislatore mira a superare la “paura della firma” e la “burocrazia difensiva”, fonti di inefficienza e immobilismo, e a dar vita ad una pubblica amministrazione dinamica ed efficiente che faccia da volano e non più da ostacolo al rilancio economico del Paese.

4. Il principio dell’accesso al mercato e il criterio interpretativo e applicativo

L’art. 3 del D.Lgs. n. 36/2023 sancisce invece un principio ben noto e consolidato già nel vecchio Codice, ossia l’accesso al mercato, secondo cui <<le stazioni appaltanti e gli enti concedenti favoriscono, secondo le modalità indicate dal codice, l’accesso al mercato degli operatori economici nel rispetto dei principi di concorrenza, di imparzialità, di non discriminazione, di pubblicità e trasparenza, di proporzionalità>>.

Niente di nuovo sotto il sole, trattandosi di principi di derivazione comunitaria assolutamente interiorizzati ormai dalla pubblica amministrazione e dagli operatori del settore. Può affermarsi che il legislatore abbia voluto funzionalizzare i tradizionali principi di concorrenza, di imparzialità, di non discriminazione, di pubblicità e trasparenza, di proporzionalità all’accesso al mercato degli operatori e alla loro effettiva partecipazione.

Più interessante, forse, è l’art. 4, rubricato <<Criterio interpretativo e applicativo>>, il quale prevede che <<le disposizioni del codice si interpretano e si applicano in base ai principi di cui agli articoli 1, 2 e 3>> ovvero in base ai principi del risultato, della fiducia e dell’accesso al mercato, i quali evidentemente, agli occhi del legislatore assurgono a principi fondamentali, criteri guida dell’intero articolato codicistico, sia in fase applicativa da parte dei funzionari che in fase interpretativa da parte dei giudici.

Come ha avuto modo di schematizzare l’ANAC nel suo interessante lavoro di sintesi delle principali novità del nuovo Codice mediante Schede pubblicate sul sito istituzionale dell’Autorità, <<nel dubbio, la soluzione ermeneutica da privilegiare è quella che sia funzionale a realizzare il risultato amministrativo, che sia coerente con la fiducia nell’amministrazione, nei suoi funzionari e negli operatori economici e che permetta di favorire il più ampio accesso al mercato degli operatori economici>>. In altre parole, la spinta del legislatore è ad esercitare l’azione discrezionale con serenità e dinamismo, senza formalismi ed inutili inerzie.

BOX: L’art. 4 del nuovo Codice prevede che <<le disposizioni del codice si interpretano e si applicano in base ai principi di cui agli articoli 1, 2 e 3>> ovvero in base ai principi del risultato, della fiducia e dell’accesso al mercato. Ciò comporta che tali principi innovativi assurgono al ruolo di principi fondamentali, di criteri guida dell’intero articolato codicistico.

5. I principi di buona fede e di tutela dell’affidamento

Per quanto ben noti all’ordinamento civilistico, i principi di buona fede e di tutela dell’affidamento sanciti dall’art. 5 del nuovo Codice acquistano un sapore di novità una volta inseriti in modo esplicito nella disciplina della contrattualistica pubblica[2].

L’art. 5 infatti prevede che <<1. Nella procedura di gara le stazioni appaltanti, gli enti concedenti e gli operatori economici si comportano reciprocamente nel rispetto dei principi di buona fede e di tutela dell’affidamento.

2. Nell’ambito del procedimento di gara, anche prima dell’aggiudicazione, sussiste un affidamento dell’operatore economico sul legittimo esercizio del potere e sulla conformità del comportamento amministrativo al principio di buona fede.

3. In caso di aggiudicazione annullata su ricorso di terzi o in autotutela, l’affidamento non si considera incolpevole se l’illegittimità è agevolmente rilevabile in base alla diligenza professionale richiesta ai concorrenti. Nei casi in cui non spetta l’aggiudicazione, il danno da lesione dell’affidamento è limitato ai pregiudizi economici effettivamente subiti e provati, derivanti dall’interferenza del comportamento scorretto sulle scelte contrattuali dell’operatore economico.

4. Ai fini dell’azione di rivalsa della stazione appaltante o dell’ente concedente condannati al risarcimento del danno a favore del terzo pretermesso, resta ferma la concorrente responsabilità dell’operatore economico che ha conseguito l’aggiudicazione illegittima con un comportamento illecito>>.

Il concetto di buona fede rileva nel corso del procedimento di gara, durante il quale i concorrenti sono tutti sullo stesso piano, fino all’aggiudicazione. Da tale momento, invece, in capo all’aggiudicatario sorge un legittimo affidamento sul fatto che egli eseguirà la commessa.

In generale, i principi sopra menzionati devono essere intesi nel senso che tutte le parti in gioco – concorrenti e stazione appaltante – sono sullo stesso piano e sono tenute a rispettare le regole e ad agire secondo reciproca buona fede e correttezza. Ciò significa, ad esempio, che in caso di procedura illegittima, se l’illegittimità era facilmente rilevabile dai concorrenti con la diligenza normalmente esigibile da essi, questi non sono incolpevoli e il loro affidamento sul legittimo esercizio del potere da parte della stazione appaltante non può essere considerato legittimo. Da ciò deriva anche un ridimensionamento, a tutela dell’amministrazione, della portata del danno da lesione, come circoscritto dal comma 3, limitato, per i concorrenti cui non spetta l’aggiudicazione, ai costi inutilmente sostenuti per partecipare alla gara e alla c.d. perdita di chance contrattuale alternativa.

Da una decina di anni si è formato in Italia un orientamento giurisprudenziale secondo cui, in caso di aggiudicazione illegittima cui segue la risoluzione del contratto, non solo la seconda classificata ricorrente ha diritto al risarcimento del danno in via specifica o per equivalente, ma anche la contraente in forza dell’aggiudicazione illegittima può chiedere i danni per non aver potuto proseguire nell’esecuzione della commessa.

L’art. 5 in esame e, in particolare il suo comma 4, chiariscono che l’aggiudicatario non potrà certamente chiedere i danni laddove egli stesso avrebbe dovuto rendersi conto dell’illegittimità e, anzi, sussiste una sua precisa responsabilità, per cui potrà essere chiamato a risarcire i danni in concorso con la stazione appaltante, laddove l’illegittimità della procedura derivi da un suo comportamento illecito (si pensi ad esempio ad una omissione dichiarativa).

BOX: Il nuovo Codice ha espressamente previsto l’applicazione, nella procedura di gara e nella fase successiva all’aggiudicazione, dei principi di buona fede e di tutela dell’affidamento, ponendo le parti in gioco tutte sullo stesso piano e circoscrivendo la portata del “danno da lesione dell’affidamento” risarcibile.

6. Il principio di autonomia contrattuale e il divieto di prestazioni d’opera intellettuale a titolo gratuito

Degno di nota è poi l’art. 8 sull’autonomia contrattuale, inserito nel Codice per risolvere una volta per tutte la querelle sull’ammissibilità o meno della gratuità degli appalti.

La disposizione in esame prevede infatti al comma 1 che <<nel perseguire le proprie finalità istituzionali le pubbliche amministrazioni sono dotate di autonomia contrattuale e possono concludere qualsiasi contratto, anche gratuito, salvi i divieti espressamente previsti dal codice e da altre disposizioni di legge>>. Tuttavia, al comma 2 si precisa che <<le prestazioni d’opera intellettuale non possono essere rese dai professionisti gratuitamente, salvo che in casi eccezionali e previa adeguata motivazione. Salvo i predetti casi eccezionali, la pubblica amministrazione garantisce comunque l’applicazione del principio dell’equo compenso>>.

Le prestazioni d’opera intellettuale, concluse ai sensi dell’art. 2229 Cod. civ. e seguenti, non possono essere gratuite, salvo casi eccezionali. Laddove si tratti di appalti di servizi (ad esempio servizi di ingegneria o architettura) è anche possibile che non sia previsto un corrispettivo ma ciò non toglie che si tratti comunque di contratti a titolo oneroso, quando, ad esempio, l’aggiudicarsi la commessa comporti comunque un vantaggio patrimonialmente rilevante quali la pubblicità o il miglioramento del curriculum. In questi casi è comunque necessario espletare una gara, cioè garantire il confronto competitivo tra gli aspiranti affidatari.

Il comma 3 dell’art. 8 concerne invece le donazioni e stabilisce che <<le pubbliche amministrazioni possono ricevere per donazione beni o prestazioni rispondenti all’interesse pubblico senza obbligo di gara. Restano ferme le disposizioni del codice civile in materia di forma, revocazione e azione di riduzione delle donazioni>>. Ciò significa che una pubblica amministrazione può accettare una donazione senza espletare una gara soltanto se il donante sia animato da spirito di liberalità e non persegua in alcun modo un qualche interesse economico, anche indiretto. Inoltre – ed è l’aspetto fondamentale – la donazione può essere accettata solo se risponde ad un interesse pubblico, altrimenti l’amministrazione donataria può e deve rifiutarla.

7. Il principio di conservazione dell’equilibrio contrattuale

Un altro principio particolarmente innovativo è quello introdotto dall’art. 9. Il principio della conservazione dell’equilibrio contrattuale va infatti in controtendenza rispetto alla tradizionale impostazione del vecchio Codice fondata sull’immodificabilità del contraente e del contratto. Complici la diversa tendenza di altri Paesi europei in questo ambito, l’eccessiva durata delle procedure di gara che hanno reso sempre più difficile mantenere ferme le offerte per lunghi lassi di tempo, la pandemia, la guerra e la conseguente gravissima crisi economica in cui l’Europa e in particolare l’Italia versano da qualche anno, ci si è resi evidentemente conto che tale rigida impostazione andava in qualche modo temperata. Da ciò è divenuto generale il principio contrario, ossia il fatto che, fatta salva la normale alea che il contraente di una commessa pubblica deve assumersi, come d’altronde accade anche nei contratti tra privati, non si può pretendere che il sinallagma contrattuale sia totalmente sbilanciato a favore di una parte. Soprattutto è inaccettabile che tale parte sia la pubblica amministrazione che non può – come è ovvio – che comportarsi secondo buona fede e correttezza e non può trarre un indebito arricchimento dagli appalti pubblici.

Per tali ragioni, l’art. 9 intanto stabilisce che è ammessa in linea generale la possibilità di rinegoziare le condizioni economiche di un contratto pubblico laddove sia venuto meno l’originario equilibrio contrattuale.

Le modalità ordinarie per ripristinare tale equilibrio è l’applicazione degli artt. 60 e 120, che disciplinano, rispettivamente, le clausole di revisione dei prezzi – che nel nuovo Codice diventa obbligatorio inserire negli atti di gara – e le modifiche al contratto, sulla falsariga di quanto previsto dall’art. 106 del D. Lgs. n. 50/2016. 

Per quanto attiene alla revisione prezzi, essa si attiva al verificarsi di condizioni oggettive, che comportino una fluttuazione dei prezzi superiore al 5 per cento. La revisione tuttavia opererà nella misura massima dell’80 per cento della variazione, cosicché a carico del contraente resterà un’alea del 20 per cento, quale rischio di impresa.

Per quanto riguarda le modifiche contrattuali disciplinate dall’art. 120, esse rispecchiano grosso modo le categorie già note nel vecchio Codice, con una importante novità. Il comma 8 dell’art. 120 stabilisce che <<il contratto è sempre modificabile ai sensi dell’articolo 9 e nel rispetto delle clausole di rinegoziazione contenute nel contratto. Nel caso in cui queste non siano previste, la richiesta di rinegoziazione va avanzata senza ritardo e non giustifica, di per sé, la sospensione dell’esecuzione del contratto. Il RUP provvede a formulare la proposta di un nuovo accordo entro un termine non superiore a tre mesi. Nel caso in cui non si pervenga al nuovo accordo entro un termine ragionevole, la parte svantaggiata può agire in giudizio per ottenere l’adeguamento del contratto all’equilibrio originario, salva la responsabilità per la violazione dell’obbligo di rinegoziazione>>. Si tratta pertanto di un diritto alla rinegoziazione azionabile dinanzi al giudice.

Al di là delle ipotesi “fisiologiche” di revisione prezzi o di modifiche al contratto, l’art. 9 introduce un’importante clausola di salvaguardia riservata alle ipotesi assolutamente eccezionali e straordinarie (la guerra, la pandemia e altre catastrofi ne sono un chiaro esempio), in presenza delle quali è sempre ammessa la rinegoziazione a favore della parte svantaggiata. Il comma 1 dell’art. 9 infatti prevede che <<se sopravvengono circostanze straordinarie e imprevedibili, estranee alla normale alea, all’ordinaria fluttuazione economica e al rischio di mercato e tali da alterare in maniera rilevante l’equilibrio originario del contratto, la parte svantaggiata, che non abbia volontariamente assunto il relativo rischio, ha diritto alla rinegoziazione secondo buona fede delle condizioni contrattuali. Gli oneri per la rinegoziazione sono riconosciuti all’esecutore a valere sulle somme a disposizione indicate nel quadro economico dell’intervento, alle voci imprevisti e accantonamenti e, se necessario, anche utilizzando le economie da ribasso d’asta>>.

Si tratta tuttavia di una norma di carattere eccezionale, da applicarsi perciò in maniera restrittiva. Le condizioni perché essa si applichi sono: che si siano verificati eventi straordinari e imprevedibili; che la parte pregiudicata da tali eventi non abbia volontariamente assunto il rischio che essi si verificassero e infine che tali eventi determinino una alterazione rilevante dell’originario equilibrio del contratto non riconducibile alla normale alea, all’ ordinaria fluttuazione economica e al rischio di mercato.

Inoltre la stessa disposizione prosegue precisando che <<la rinegoziazione si limita al ripristino dell’originario equilibrio del contratto oggetto dell’affidamento, quale risultante dal bando e dal provvedimento di aggiudicazione, senza alterarne la sostanza economica>> e che <<se le circostanze sopravvenute di cui al comma 1 rendono la prestazione, in parte o temporaneamente, inutile o inutilizzabile per uno dei contraenti, questi ha diritto a una riduzione proporzionale del corrispettivo, secondo le regole dell’impossibilità parziale>>.

BOX: Il principio della conservazione dell’equilibrio contrattuale va in controtendenza rispetto alla tradizionale impostazione del vecchio Codice fondata sull’immodificabilità del contraente e del contratto. Ora è ammessa in linea generale la possibilità di rinegoziare le condizioni economiche di un contratto pubblico laddove sia venuto meno l’originario equilibrio.

8. Il principio di tassatività delle cause di esclusione

Tra i principi generali sanciti dal Titolo I della Parte I del Libro I, non tutti esaminati nel presente contributo per ragioni di sintesi, merita infine un accenno il principio di tassatività delle cause di esclusione. Si tratta in realtà di un principio ormai consolidato a livello giurisprudenziale, che il legislatore ha opportunamente ritenuto di cristallizzare in questa sede. Il comma 2 dell’art. 10 stabilisce infatti che <<le cause di esclusione di cui agli articoli 94 e 95 sono tassative e integrano di diritto i bandi e le lettere di invito; le clausole che prevedono cause ulteriori di esclusione sono nulle e si considerano non apposte>>.

Viene quindi finalmente codificato il principio della tassatività delle cause di esclusione previste dal Codice (la cui casistica è tuttavia sempre modificabile da parte del legislatore) e dell’eterointegrazione della lex specialis, per cui, se il bando non le prevede espressamente, non è necessaria una sua modifica perché esse operano di diritto.

D’altro canto, i principi di tassatività e di eterointegrazione trovano un contrappeso nel principio dell’affidamento e della buona fede, per cui se è la stazione appaltante, per un suo errore o imprecisione, a indurre in errore un concorrente, questi deve essere messo nelle condizioni di sanare la propria offerta. Resta fermo il fatto che qualunque integrazione documentale effettuata azionando il soccorso istruttorio non deve essere tale da integrare il possesso dei requisiti di partecipazione in data successiva a quella di scadenza delle offerte.

In ultimo, è interessante notare come il legislatore non abbia incluso il principio di rotazione tra i principi generali ma lo abbia “relegato” all’art. 49, nella parte dedicata alle procedure sottosoglia. La ragione è semplice: esso è espressione della modalità attraverso cui si attua la concorrenza nelle procedure sottosoglia e riguarda tale ambito settoriale e non l’intero impianto codicistico. Ciò non ne riduce tuttavia l’importanza, considerato anche l’elevatissimo numero di procedure sottosoglia che le stazioni appaltanti italiane espletano annualmente e nelle quali esso troverà continua applicazione, ragion per cui lo stesso merita una disamina separata.

Dott.ssa Alessandra Verde

                        (Referendaria consiliare presso il Consiglio regionale della Sardegna)


[1] Cons. Stato, sez. IV, sentenza n. 601/1999.

[2] In realtà, in tale disposizione sono stati codificati alcuni principi di derivazione giurisprudenziale, formulati dall’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato con la sentenza n. 2 del 2017.

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Dott.ssa Alessandra Verde
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