Questo articolo è valutato
( vote)Premessa.
Con il presente contributo intendiamo soffermare l’attenzione sulle figure di reato che connotano la fase di esecuzione di un pubblico contratto di lavori, servizi o forniture, e dunque sulle responsabilità penali in cui possono incorrere l’esponente della stazione appaltante (o del concedente) e/o i suoi organi qualificati (Responsabile unico di progetto, direttore dei lavori o dell’esecuzione, collaudatori), da un lato, nonché il rappresentante dell’operatore economico affidatario, dall’altro, nella fase in cui, intervenuta la sottoscrizione del contratto o comunque la consegna dei lavori o l’avvio di esecuzione delle prestazioni, esso è chiamato a svolgere le attività per le quali ha in precedenza conseguito l’aggiudicazione.
Le fattispecie di illecito che si evocheranno sono previste e punite (i) dal codice penale – si tratta dei delitti di Inadempimento di contratti di pubbliche forniture e di Frode nelle pubbliche forniture, di cui, rispettivamente, agli articoli 355 e 356 (collocati, nel titolo II del libro secondo, dedicato ai delitti dei privati contro la pubblica amministrazione) – e (ii) dalla legislazione penale speciale (essenzialmente, la l. 13 settembre 1982, n. 646, che contempla le ipotesi di subappalto non autorizzato e di affidamento della guardiania nei cantieri, il d.lgs. 6 settembre 2011, n. 159, a proposito dell’affidamento di contratti e subcontratti a soggetti colpiti da interdizioni antimafia ed il d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, recante il testo unico dell’edilizia, in particolare alla realizzazione di lavori).
L’avvertenza, doverosa, è che l’illustrazione non intende in alcun modo “competere” con la manualistica tradizionale e non ha neppure la pretesa di fornire una ricostruzione didascalica ed il più possibile esaustiva delle ipotesi di reato, ma di offrire spunti operativi all’operatore del settore, nel quadro del sistema normativo della contrattualistica pubblica.
- Il reato di inadempimento nelle pubbliche forniture
L’art. 355 c.p. sanziona penalmente “chiunque” (il riferimento ai nostri giorni è, ovviamente, all’appaltatore, al concessionario o al contraente generale, affidatari – a seconda dei rispettivi ambiti prestazionali – di una pubblica commessa), rendendosi inadempiente al contratto, “fa mancare, in tutto o in parte cose od opere, che siano necessarie a uno stabilimento pubblico o ad un pubblico servizio”.
A rigore, il codice parla di “contratto di fornitura”, ma il riferimento letterale non tragga in inganno: non si tratta del titolare del contratto pubblico di fornitura nella nozione della vigente normazione europea e nazionale. Il codice Rocco del 1930 non presupponeva, ovviamente, l’ormai consolidata tripartizione di comparti (lavori, servizi e forniture) ma soltanto una disciplina di contabilità di Stato – ancora vigente – nella quale compare un richiamo generico e sostanzialmente indistinto a “lavori” e forniture” (art. 4 del r.d. 18 novembre 1923, n. 2440; di “forniture, trasporti, acquisti, alienazioni, affitti o lavori” parla, in senso più ampio, il relativo regolamento di attuazione di cui al r.d. 23 maggio 1924, n. 827). Né, del resto, soccorreva il codice civile, che neppure nella versione attualmente in vigore utilizza il lemma “fornitura” (il contratto tipico che più si attaglia sarebbe quello di somministrazione – artt. 1559 ss. – in cui però si opera un costante ed esclusivo riferimento a “prestazioni”), e nel disciplinare il contratto di appalto si dedica prevalentemente ai lavori, salvo proporre una norma di chiusura (art. 1677) che estende le relative norme (e quelle dell’anzidetto contratto di somministrazione) alle “prestazioni continuative o periodiche di servizi”.
Che si tratti, in senso ampio, di un qualsiasi contratto pubblico, come attualmente inteso, è confermato dal costante richiamo testuale, nella configurazione base e nelle circostanze aggravanti, a “cose od opere”. Dunque, non solo forniture ma anche lavori.
A ben vedere, sono inclusi, oltre ai lavori, anche i servizi: ciò sia perché – come appena detto – il “contratto di fornitura” va inteso come contratto, di volta in volta, di vendita o somministrazione o appalto (e l’appalto in linea generale – come anzidetto – non è solo di lavori ma è anche di servizi) sia soprattutto perché al legislatore non interessa tanto il “tipo” contrattuale, la veste formale, quanto garantire che l’amministrazione pubblica non resti, anche soltanto parzialmente, priva delle prestazioni ad essa necessarie e promesse (per l’espletamento del servizio pubblico o per la funzionalità dello “stabilimento pubblico”, es. carceri, ospedale etc.).
A tal fine, tra l’altro, la punizione penale scatta (ultimo comma dell’art. 355) anche – tra gli altri – per i “subfornitori”, dunque per i soggetti della filiera contrattuale diversi dall’esecutore principale, che abbiano comunque il compito di far assicurare, sia pure in via mediata ed indiretta, beni ed opere alla committenza pubblica.
Insomma, non basta l’inadempimento in sé e per sé considerato, costituente solo il presupposto della condotta punibile: si richiede, anche ai fini del dolo (o della colpa, nell’ipotesi del secondo comma), che tale non conforme esecuzione del contratto si riverberi, per rapporto di causa ed effetto (“far mancare”), sulla effettiva disponibilità del risultato atteso dal contratto stesso. Allo stesso modo, non è necessario un (presupposto) inadempimento totale in senso civilistico, potendo bastare un inadempimento parziale o un inesatto adempimento in termini di tempo, rispetto alla scadenza contrattuale prevista.
Il reato è – come per tutte le fattispecie di reati contro la p.a. – procedibile d’ufficio, e non consente le cd. misure pre-custodiali (arresto in flagranza e fermo), pur essendo compatibile con misure cautelari, ad eccezione di quella custodiale.
- Il reato di frode nelle pubbliche forniture
Il delitto di Frode nelle pubbliche forniture presenta tratti di maggior gravità rispetto al precedente; una più marcata afflittività derivante dal raddoppio della pena detentiva minima (un anno, in luogo dei sei mesi previsti per il delitto di inadempimento, di pena detentiva minima), dalla previsione di cinque anni della pena massima (anziché tre) e dalla decuplicazione della pena pecuniaria, che qui è non inferiore a euro 1.032 (rispetto a euro 103, nell’ipotesi dolosa, dell’art. 355 cit.).
Esso prescinde, inoltre, da un previo inadempimento, punendo chi “commette frode nell’esecuzione dei contratti di fornitura o nell’adempimento degli altri obblighi contrattuali indicati nell’articolo precedente”. Dunque, anche una esecuzione, in senso privatistico, conforme al programma contrattuale convenuto determina l’incriminazione, se il fatto materiale è connotato da una condotta fraudolenta dell’operatore economico.
Due gli orientamenti emersi, specie in giurisprudenza di legittimità, sul concetto centrale di “frode”: se in passato risultava maggioritario quello che lo identifica nella violazione della buona fede nell’esecuzione del contratto ex art. 1375 c.c. (prospettazione che dunque àncora il reato all’inadempimento civilistico tour court), si fa sempre più largo la tesi (tra le varie, Cass. pen., ud. 6 giugno 2024, n. 31918) che impone il ricorso a qualsiasi espediente malizioso o ingannevole tale da dissimulare eventuali vizi della prestazione, idoneo, cioè, a far apparire artatamente l’esecuzione del contratto come conforme in astratto agli obblighi assunti. Si adempie, in sostanza: ma con il sotterfugio.
Non è, tuttavia, necessario che l’espediente giunga a configurare veri e propri artifizi o raggiri, costituenti elementi tipici del reato di truffa, né un danno per l’amministrazione.
In ogni caso, vale anche per questa seconda fattispecie quanto rilevato per la prima in termini di interpretazione evolutiva – non contrastante con i principi fondamentali della tassatività e determinatezza della fattispecie penale, corollari del canone di legalità (art. 25, capoverso Cost.) – del “contratto di fornitura”. Locuzione – vale ancora ribadirlo – non da circoscrivere alla nozione attuale, ma tale da ricomprendere qualsiasi “tipo” negoziale avente come esito il conseguimento, da parte della p.a., delle utilità commesse (siano essi lavori, o beni o prestazioni immateriali, anche solo intellettuali).
Nello stesso senso, non vincola la parte di previsione (Stato, altro ente pubblico, impresa esercente servizi pubblici o di pubblica necessità) che identifica il possibile fruitore delle attività affidate a terzi: se, difatti, la ratio ispiratrice è quella di tutelare l’amministrazione pubblica, anzi preoccupandosi con ciò che il presidio non sia limitato a quello statale, o al più ampio novero degli enti pubblici, ma raggiunga altresì figure imprenditoriali chiamate a prestare servizi pubblici o di pubblica necessità, va da sé che il novero della possibile committenza ricomprenda tutte le figure, a prescindere dalla veste giuridica, che, avendo istituzionalmente la cura e la gestione di un pubblico interesse, ricadono nella nozione ampia di stazione appaltante o concedente, nei settori ordinari o speciali, di cui al codice dei contratti pubblici (art. 1, co. 1 dell’all. I.1 del d.lgs. 31 marzo 2023, n. 36).
FOCUS: “frode” è qualsiasi espediente malizioso/ingannevole, anche non integrante artifizi o raggiri tipici della truffa, idoneo a dissimulare eventuali vizi della prestazione.
- Il reato di subappalto non autorizzato
Il reato di subappalto non autorizzato è disciplinato dall’art. 21 della l. n. 646/82 cit. (cd. legge Rognoni-La Torre), che, nella sua versione attuale – ad esito, cioè, delle modifiche apportate dall’art. 25, co. 1, lett. a) e b), d.l. 4 ottobre 2018, n. 113, convertito, con modificazioni, dalla legge 1° dicembre 2018, n. 132 – viene punito: “Chiunque, avendo in appalto opere riguardanti la pubblica amministrazione, concede anche di fatto, in subappalto o a cottimo, in tutto o in parte, le opere stesse, senza l’autorizzazione dell’autorità competente”.
Il reato è ora, dunque, un delitto e non più una contravvenzione, punito tra l’altro con un massimo edittale (cinque anni) (i) astrattamente compatibile (art. 280 c.p.p.) con l’arresto facoltativo in flagranza di reato e con misure cautelari custodiali (carcere o arresti domiciliari), (ii) preclusivo dell’istituto della sospensione del processo per messa alla prova (art. 168 bis c.p.) e tale da prevedere – ferma comunque la competenza del Tribunale in composizione monocratica – la celebrazione dell’udienza preliminare (non essendo prevista la citazione diretta a giudizio da parte del pubblico ministero ex art. 550 c.p.p.). Alla sanzione detentiva si aggiunge una pena pecuniaria, differenziata – diversamente dalla prima – tra appaltatore e subappaltatore o cottimista, e (previsione inusuale nel diritto penale) ragguagliata, in valore percentuale, agli importi del contratto principale e di quello derivato.
Quanto all’ambito applicativo, la previsione dell’eventualità di un subappalto (o di un cottimo) affidati in concreto (“di fatto”) a terzi evidenzia la volontà del legislatore di prescindere dall’esistenza formale o dal nome del sub contratto, e di voler colpire, comunque, l’appaltatore che decida autonomamente di traslare a terzi una parte dell’opera commessagli, così consentendo il reale ingresso in cantiere di soggetti non autorizzati e potenzialmente idonei a determinare infiltrazioni nella commessa pubblica della criminalità organizzata.
Sebbene, poi, la fattispecie operi un esplicito richiamo ad “opere”, essa riguarda anche gli appalti di servizi: è rimasta, difatti, isolata la pronuncia della Corte suprema (sez. IV, sent., 14 luglio 2000, n. 8243) che, in rigorosa applicazione dei surricordati principi generali di legalità e tassatività, ed al connesso divieto di analogia sfavorevole al reo (art. 14 delle preleggi al codice civile), aveva circoscritto il perimetro ai soli affidamenti di lavori pubblici. Anche nella più autorevole prassi amministrativa, tale orientamento per così dire restrittivo, sostenuto inizialmente dal Ministero dei lavori pubblici con la circolare 9 marzo 1983, n. 477/UL, era stato subito superato dapprima dal Ministero della Giustizia (circolare 8 giugno 1983 n. 1/2439 U.L.) e poi dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri-Dipartimento della funzione pubblica (circolare del 17 marzo 1984, richiamante due pareri resi dal Consiglio di Stato, sez. III, 29 novembre 1983 n. 870 e 20 gennaio 1984 n. 29, e dall’Avvocatura generale dello Stato).
Si è, difatti, più volte nel tempo affermato – Cass. pen., sez. V, sent. 9 settembre 2009, n. 35057 – che l’esclusione degli affidamenti di servizi tradirebbe la già ricordata finalità della previsione, ossia quella di impedire la penetrazione nelle pubbliche commesse di soggetti legati alle organizzazioni criminali mafiose e assimilate, a prescindere dalla formale tipologia di contratto (ciò proprio al fine di evitare che essa sia sostanzialmente aggirata facendo semplicemente leva sul nomen iuris affidato, di volta in volta, al rapporto negoziale).
Più articolato, invece, il tema dei cd. contratti similari. Tali sono, come noto, quelle ipotesi negoziali – tra le altre, il nolo a caldo e la fornitura con posa in opera – non esplicitamente qualificabili subappalto, ma ad esso assimilabili in forza della presenza di una componente “personalistica”: l’ausilio assicurato da lavoratori, dipendenti o autonomi, che si aggiungono alla “neutra” fornitura di un bene o di un materiale.
Nella giurisprudenza della Corte di cassazione sono emersi nel tempo tre distinti orientamenti:
- un primo, sostenuto da sez. I, 10 febbraio 1995, n. 1383 e 14 marzo 1996, n. 3458, che li esclude dal cono applicativo della norma, nel presupposto che non sussisterebbe un collegamento tra norma penale e normativa antimafia diversa da quella penale (allora costituita dall’art. 18 l. n. 55/90);
- Un secondo – sintetizzato da Cass. pen., sez. III, sent. 12 gennaio 2006, n. 792 – che, invece, li include senz’altro, ricordando che “ai fini della qualificazione del contratto non si deve avere riguardo al nomen iuris attribuito dalle parti, ma alla funzione economico-sociale che l’atto è destinato a realizzare, posto che lo scopo della norma è quello di vietare l’infiltrazione di associazioni mafiose o comunque criminose nell’esecuzione delle opere pubbliche”;
- Un terzo (come il precedente, e a differenza del primo, imperniato sul principio per cui la norma penale è nei contenuti integrata dalla legge speciale che definisce il subappalto) – rappresentato da sez. VI, sent. 3 novembre 2005, n. 39913 – a tenore del quale la fattispecie penale riguarderebbe solo i contratti similari di importo superiore a quello normativamente previsto per la definizione di subappalto (ossia, secondo la definizione giunta fino ai nostri giorni, “il cui valore sia superiore al 2% dei lavori affidati e d’importo superiore ai 100.00 ECU e sempreché il valore del costo della mano d’opera sia pari o superiore al 50% dell’importo del contratto da affidare”), con esclusione pertanto di quelli sottosoglia, in quanto “il legislatore ha voluto escludere dall’ambito della sua operatività quelle attività che, pur astrattamente rientrando nel novero del subappalto o del cottimo, siano così marginali e trascurabili rispetto all’ intero appalto da escludere qualsiasi rischio di interessamento da parte di consorterie criminali”.
E’ quest’ultima soluzione mediana a prevalere: la stessa Corte l’ha richiamata espressamente negli anni successivi – sez. III, sent. (ud. 1° dicembre 2010) 19 gennaio 2011, n. 1551 – “aggiornandosi” ai mutamenti normativi frattanto intervenuti (in quest’ultima, difatti, si richiama l’art. 118, co. 11 del d.lgs. 163/06 cit., cd. codice De Lise, il quale aveva confermato il testo dell’art. 18 della l. n. 55/90 cit., nelle modifiche che erano state progressivamente introdotte dalle versioni ter e quater della legge quadro del 1994).
L’orientamento è dunque sostanzialmente allineato alle indicazioni costantemente fornite dall’ANAC (ed ancor prima dall’Autorità di vigilanza sui contratti pubblici) – per maggiori approfondimenti rinviamo a precedente contributo su questa rivista, “Il reato di subappalto non autorizzato e ‘il problema’ dei contratti similari, il 14 ottobre 2024– in materia di subappalto:
a) è subappalto di lavori qualsiasi sub contratto che preveda l’affidamento di una parte, anche minimale, delle lavorazioni appaltate;
b) è contratto similare al subappalto di lavori (ad esso assimilato) qualsiasi contratto di fornitura o nolo accompagnato da attività lavorativa, e dunque provvisto di una componente lavoristica prevalente (al 50% rispetto all’importo del subcontratto), se di importo superiore alle più volte ricordate soglie (2%; 100.000 euro);
c) è sub contratto, dunque non subappalto (o assimilato) – e come tale non richiedente l’autorizzazione (ma soltanto la comunicazione preventiva, oggi stabilita all’art. 119, co. 2, terzultimo periodo d.lgs. n. 36/23) – la fornitura con posa in opera o il nolo a caldo con componente lavoristica inferiore al 50%, oppure quella che, sebbene superiore, non sfori però gli anzidetti limiti economici, restando cioè al di sotto del 2% dell’importo dell’appalto principale o 100.000 euro.
Seguendo dunque la surricordata tesi prevalente per la quale l’art. 21 l. n. 646/82 attinge direttamente dalla nozione di subappalto dalla normativa pubblicistica, va ritenuto penalmente rilevante, in ambito lavori, il ricorso – non debitamente autorizzato – oltre che al subappalto (nell’ampia accezione civilistica pura ribadita dagli ultimi due codici del 2016 e del 2023), anche ai contratti similari sopra soglia, risultando invece esclusi dalla punizione sia di quelli di entità inferiore sia – a maggior rilievo – i subcontratti di mero servizio o mera fornitura.
Se, infine, l’appaltatore affida un sub contratto nei confronti di un soggetto colpito da interdizioni antimafia (le misure di prevenzione di cui all’art. 57 del codice antimafia), opera il delitto di affidamento non autorizzato a carico del pubblico amministratore, funzionario o dipendente dello Stato o di altro ente pubblico, ovvero del concessionario o del contraente generale che abbia “consentito alla conclusione” dello stesso (e più in generale di “contratti”), previsto e punito dall’art. 74, co. 3 dello stesso codice con la reclusione da due a quattro anni (da tre mesi ad un anno nell’ipotesi colposa del co. 4). Si tratta, difatti, della fattispecie illecita sostanzialmente speculare a quella dell’art. 21, e relativa – stavolta – agli organi della committenza pubblica.
FOCUS: il delitto di subappalto riguarda anche gli affidamenti di servizi nonché i contratti similari cd. sopra soglia.
- Il reato di guardiania non qualificata nei cantieri
L’art. 22 della più volte ricordata l. n. 646/82 stabilisce, al primo comma, che l’eventuale custodia dei cantieri installati per la realizzazione di opere pubbliche deve essere affidata a persone provviste della qualifica di guardia particolare giurata.
La norma non obbliga il committente pubblico a garantire la custodia delle aree di sedime, ma ove intenda farlo dovrà ricorrere alle figure qualificate regolamentate dal Titolo IV del r.d. 18 giugno 1931, n. 773 (Testo unico delle leggi di pubblica sicurezza).
Correlativamente, l’art. 133 di quest’ultimo – che inaugura la serie di previsioni del t.u. dedicate, per l’appunto, alle guardie particolari ed agli istituti di vigilanza e di investigazioni privata – stabilisce, in particolare e per quanto qui interessa, che gli enti pubblici possono destinare guardie particolari alla vigilanza o custodia delle loro proprietà mobiliari od immobiliari.
L’inosservanza della previsione comporta (secondo comma), per l’appaltatore e il direttore dei lavori (trattandosi di reato proprio, ossia con soggetto agente determinato), l’arresto fino a tre mesi o l’ammenda (nella versione originaria, ovviamente) da lire centomila ad un milione.
Viene così configurato un reato contravvenzionale, con quanto ne consegue in termini – tra l’altro e senza alcuna pretesa di esaustività – di indifferenza, per quanto riguarda l’elemento soggettivo, del dolo e della colpa (art. 42, ult. comma c.p.), dell’esclusione del tentativo (art. 56 c.p.) e della recidiva (art. 99 c.p.), nonché dell’operatività dell’oblazione – qui facoltativa, stante la presenza della pena detentiva (ma vedremo, nel seguito, ipotesi di illecito punite con la sola ammenda e dunque oggetto di oblazione ordinaria, ex art. 162 c.p. – quale causa di estinzione del reato (art. 162 bis c.p.).
Tutte le previsioni che seguiranno nel successivo paragrafo, come la presente, sono parimenti contravvenzioni.
- Altre previsioni penali in materia di appalti di lavori
Si rassegnano qui le previsioni di natura penale che, come la precedente fattispecie, attengono in via esclusiva al comparto lavori, tutte contenute nel d.P.R. n. 380/01 (Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia edilizia).
In particolare, sono riportate le condotte punite nella realizzazione di opere, o parti di esse, di conglomerato cementizio armato, normale e precompresso o a struttura metallica, con indicazione per ciascuna delle relative sanzioni edittali:
art. 71, co. 1: affidare, dirigere ed eseguire gli interventi, in difetto di affidamento della progettazione e della direzione degli stessi a tecnici abilitati, iscritti nel relativo albo e nei limiti delle competenze fissate dalle leggi sugli ordini e collegi professionali (arresto fino a tre mesi o ammenda da 103 a 1032 euro);
art. 71, co. 2: produrre in serie manufatti in violazione delle disposizioni dell’art. 58, che stabiliscono doveri di informazione al Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti, nonché di fornitura di dati e prescrizioni necessari per il trasporto e montaggio (arresto fino ad un anno o ammenda da 1032 a 10329 euro);
art. 72, co. 1: omettere o ritardare, da parte del costruttore, la denuncia dei lavori di realizzazione allo Sportello unico dell’edilizia prevista dall’articolo 65 (arresto fino a tre mesi o ammenda da 103 a 1032 euro);
art. 73, co. 1: mancata conservazione o non regolare tenuta, da parte del direttore dei lavori, per tutta la durata di esecuzione delle opere, della denuncia dei lavori anzidetta e della relativa attestazione di deposito (ammenda da 41 a 206 euro);
art. 73, co. 2: mancata conservazione o non regolare tenuta, da parte del direttore dei lavori, del giornale dei lavori, anche da vistare periodicamente ed in particolare nelle fasi più importanti dell’esecuzione (ammenda da 41 a 206 euro);
art. 74, co. 1: inosservanza, da parte del collaudatore, dell’obbligo di effettuare il collaudo statico entro 60 giorni dalla comunicazione di avvenuta copertura dell’edificio di cui all’art. 67, co. 5 (ammenda da 51 a 516 euro);
art. 75, co. 1: consentire, da parte di “chiunque”, l’utilizzazione delle costruzioni prima del rilascio del certificato di collaudo (arresto fino ad un mese o ammenda da 103 a 1032 euro).
Infine, rileva l’art. 93, il cui comma 1 punisce chiunque violi le prescrizioni contenute nel capo IV (recante Provvedimenti per le costruzioni con particolari prescrizioni per le zone sismiche), artt. 83-106, nonché nei decreti interministeriali di cui agli artt. 52 (norme tecniche generali) e 83 (norme tecniche specifiche), con l’ammenda da euro 206 a euro 10.329.
FOCUS: I reati previsti dal t.u. edilizia sono tutte fattispecie contravvenzionali.
- Conseguenze sulla partecipazione alle procedure selettive
Come già analizzato in un precedente contributo in questa rivista (“Le turbative di gara nel codice penale”, marzo 2025 relativo ai delitti di turbativa, anche per i reati della fase esecutiva previsti dal codice penale (inadempimento e frode), compresi quelli tentati, una condanna in via definitiva, oppure un decreto penale di condanna irrevocabile, costituiscono causa di esclusione automatica dalle procedure di affidamento ai sensi dell’art. 94, co. 1, lett. b) del d.lgs. n. 36/23.
Pure per i due illeciti anzidetti – egualmente alla fattispecie di cui all’’’art. 353 c.p. (Turbata libertà degli incanti), unica tra le tre che riguardano la fase dell’affidamento di un contratto pubblico – opera la pena accessoria della incapacità di contrattare con la pubblica amministrazione prevista dall’art. 32 quater c.p., se il delitto sia stato commesso a danno o a vantaggio di un’attività imprenditoriale, o comunque in relazione ad essa. E La pena accessoria in argomento costituisce causa espulsiva automatica ai sensi dell’art. 94, co.1, lett. h) del codice.
Invece, diversamente dai reati di turbativa di gara e del procedimento di selezione del contraente (rispettivamente, artt. 353 e 353 bis c.p.), i delitti di inadempimento o frode non costituiscono “situazioni” da cui desumere un “tentativo di infiltrazione mafiosa” ai sensi dell’art. 84, co. 4 del codice antimafia.
Come ulteriore momento di differenza rispetto ai primi due reati (e a quello di astensione dagli incanti), l’art. art. 323 ter c.p. non li annovera tra quelli per i quali può operare la non punibilità in presenza delle ipotesi di ravvedimento ivi previste (auto denuncia; resa di indicazioni utili per la prova del fatto e l’individuazione di correi).
La solo contestata commissione di inadempimento o frode nelle pubbliche forniture costituisce causa di esclusione non automatica dalla procedura di gara, in quanto già la formulazione dell’imputazione, ovvero l’applicazione di una misura cautelare, configura (art. 98, co. 3, lett. g) del codice) elementi al cui verificarsi è possibile desumere l’illecito professionale rilevante ai fini dell’esclusione.
Infine, alcun rilievo escludente diretto, automatico o no, da ultimo, presenta tutte le altre fattispecie illustrate in precedenza, neppure sotto il profilo della legislazione antimafia. Per la sola ipotesi di subappalto non autorizzato, prevedendo l’art. 21 cit. la facoltà per la stazione appaltante di chiedere la risoluzione del contratto, tale esito potrebbe, in linea di principio – profilo civilistico che esula dalla presente illustrazione – costituire fonte di illecito professionale ai sensi dell’art. 98, co. 3, lett. c) del codice dei contratti pubblici, e dunque causa di esclusione non automatica.
Questo articolo è valutato
( vote)Questo articolo è stato scritto da...
