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Sentenza del Consiglio di Stato della Sez. III 15/11/2017 n. 5294

1. Premesse

Era il 18 novembre del 1998 quando, con la legge n. 415 recante “Modifiche alla legge 11 febbraio 1994, n. 109, e ulteriori disposizioni in materia di lavori pubblici”, venne introdotto nel tessuto ordinamentale italiano il c.d. project financing all’interno della Legge Quadro sui lavori pubblici c.d. Merloni (L. 109/94).

Da allora si sono susseguiti importanti e cospicui interventi normativi tesi ad armonizzare e conformare al meglio uno strumento giuridico di origine anglosassone il cui scopo è quello di agevolare l’afflusso di capitali privati nel mercato delle infrastrutture di interesse pubblico.

La sentenza del Consiglio di Stato n. 5294/2017oggi in commento ha iconicamente sottolineato come “in linea generale, il tema della finanza di progetto implica la soluzione di questioni molto complesse sul piano giuridico, funzionale, amministrativo, economico e processuale, anche perché solo adesso stanno venendo al pettine molte problematiche finanziarie, gestionali ed operative di precedenti esperimenti di project financing”.

In altri termini, a distanza di quasi un ventennio, sono ancora molteplici la zone d’ombra, le difficoltà d’interpretazione sistematica di un plesso normativo che, come asserito dallo stesso Consiglio di Stato “non appare di grande chiarezza sistematica, e si presta ad interessate interpretazioni ondivaghe”.

Ingeneroso sarebbe, d’altro canto, tacciare di superficialità il legislatore, così scaricando ogni responsabilità sul primo potere dello Stato, dal momento che la disciplina codicistisca di tale fenomenologia giuridica, come oggi quasi del tutto inalterata presente anche nel D.Lgs. 50/16, è figlia della necessità di individuare un bilanciamento di interessi e valori tra una duplicità di principi di medesimo rango. 

Il contratto di concessione stabilisce le modalità per l’eventuale cessione delle quote della società di progetto, fermo restando che i soci che hanno concorso a formare i requisiti per la qualificazione sono tenuti a partecipare alla società e a garantire, nei limiti di cui sopra, il buon adempimento degli obblighi del concessionario sino alla data di emissione del certificato di collaudo dell’opera. L’ingresso nel capitale sociale della società di progetto e lo smobilizzo delle partecipazioni da parte di banche e altri investitori istituzionali che non abbiano concorso a formare i requisiti per la qualificazione possono tuttavia avvenire in qualsiasi momento.”

In relazione, poi, alla circolazione delle quote di partecipazione alla società veicolo concessionaria di lavori pubblici, a  fronte del generale principio di libera circolazione dei diritti rappresentativi della partecipazione al capitale di società, il legislatore si è trovato ad affrontare il tema dei limiti alla cedibilità delle quote della società di progetto e concessionario pubblico, in un quadro di contemperamento di principi generali conformanti la fattispecie: la libertà imprenditoriale di cui la libera circolazione dei titoli ne è espressione derivativa ed il divieto di cessione del contratto pubblico, quale specchio del principio di immodificabilità soggettiva dell’aggiudicatario di un contratto pubblico.

Tale è la lente attraverso la quale andrebbe letta la norma di cui al penultimo ed ultimo periodo del terzo comma dell’art. 184 D.Lgs. 50/2016 (di seguito “Codice”), identica nel suo tenore letterale a quanto stabiliva dapprima l’articolo 37 quinquies della L. 109/94 e dell’art. 156 del vecchio Codice dei Contatti: secondo cui “Il contratto di concessione stabilisce le modalità per l’eventuale cessione delle quote della società di progetto, fermo restando che i soci che hanno concorso a formare i requisiti per la qualificazione sono tenuti a partecipare alla società e a garantire, nei limiti di cui sopra, il buon adempimento degli obblighi del concessionario sino alla data di emissione del certificato di collaudo dell’opera. L’ingresso nel capitale sociale della società di progetto e lo smobilizzo delle partecipazioni da parte di banche e altri investitori istituzionali che non abbiano concorso a formare i requisiti per la qualificazione possono tuttavia avvenire in qualsiasi momento.”

2. Il quadro normativo

In via preliminare appare opportuno fornire una visione complessiva del contesto giuridico-legale in cui si inserisce la disciplina della circolazione delle azioni o quote del concessionario di lavori pubblici badando ai caratteri essenziali della disciplina legale della società di progetto.

Ai sensi dell’art. 184 del Codice la società di progetto è una società all’uopo costituita dall’aggiudicatario, sotto forma di una società per azioni o a responsabilità limitata anche consortile, che subentra a titolo originario nel contratto pubblico di concessione in virtù di una specifica disposizione di legge, con il precipuo compito di realizzare e/o gestire l’infrastruttura o il servizio di pubblica utilità oggetto dell’affidamento assentito.

Il bando può anche prevedere che la costituzione di tale società sia obbligatoria per l’aggiudicatario. In questo modo la nuova società di progetto così costituita diventa la concessionaria dei lavori pubblici oggetto della gara subentrando, quindi, all’aggiudicatario in tutti i suoi rapporti con l’amministrazione concedente senza che ci sia bisogno di un’ulteriore autorizzazione o approvazione da parte della stessa.

La principale peculiarità di tale società risiede nella funzione cui essa è asservita, caratterizzata da uno specifico scopo: quello di poter sviluppare esclusivamente rapporti giuridici ed economici che siano destinati e funzionalmente collegati alla realizzazione del progetto, espressamente indicato nell’oggetto sociale.

La società di progetto diviene quindi “camera di compensazione” delle molteplici attività ed istanze necessarie per la realizzazione del progetto, strumento operativo verso cui si indirizza una canalizzazione dei flussi finanziari (attivi e passivi) dipendenti dal progetto, vincolandoli nella loro destinazione.

La società di progetto diviene quindi “camera di compensazione” delle molteplici attività ed istanze necessarie per la realizzazione del progetto, strumento operativo verso cui si indirizza una canalizzazione dei flussi finanziari (attivi e passivi) dipendenti dal progetto, vincolandoli nella loro destinazione.

In virtù della costituzione di tale società, si attua una separazione societaria del patrimonio degli operatori economici che hanno concorso a fornire i requisiti per l’aggiudicazione della concessione e che in concreto realizzeranno i lavori e gestiranno l’opera, da quello della stessa società di progetto, “scatola vuota” a volte priva di dipendenti. In tal modo si concretizza quel c.d. ring fencing, il cui scopo è quello di mantenere distinta l’operazione economico-finanziaria finalizzata alla realizzazione del progetto dalla responsabilità patrimoniale personale dei singoli soci del veicolo societario. Sotto altra ottica, ciò permette, inoltre, di fornire la garanzia principe prestata in favore dei finanziatori del veicolo societario, attraverso la sottoscrizione di specifici impegni assunti dal concessionario con la stipula di appositi documenti finanziari, cioè quella che i ricavi ottenuti dalla gestione del progetto saranno devoluti prioritariamente al rimborso dei finanziamenti erogati dai finanziatori dell’opera.

Pertanto, se da un lato il veicolo societario si atteggia a strumento giuridico utile per la realizzazione di una operazione economico finanziaria secondo le logiche del project financing, dall’altro, la società di progetto è pur sempre un concessionario di lavori pubblici, soggetto titolare di un contratto pubblico, selezionato tramite procedura ad evidenza pubblica, dotato di specifici requisiti di idoneità per eseguire i lavori necessari per la realizzazione dell’opera (e la sua successiva gestione).

E’ proprio tale veste “pubblicistica” di cui si ammanta a cagione della natura dell’opera da costruire e gestire che giustifica i limiti alla libera alienabilità delle quote societarie del veicolo previsti dalla legge; è dunque l’affidamento pubblico di cui è portatore che permette la deroga ai principi generali di rango civilistico posti dal terzo comma dell’art. 184 del Codice, in coerenza col principio di specialità che governa il Codice dei Contratti Pubblici, rispetto al Codice Civile.   

3. L’istituto come delineato nella prassi

Come evidenziato in premessa, il penultimo periodo del terzo comma disciplina la cessione delle quote della società, ai sensi del quale il contratto di concessione ne stabilisce le modalità. Sono posti però alcuni limiti al riguardo dalla norma in esame. Infatti i soci che hanno concorso a formare i requisiti per la qualificazione devono in ogni caso continuare a partecipare nella società e “garantire, nei limiti di cui sopra, il buon adempimento degli obblighi del concessionario fino alla data di emissione del certificato di collaudo dell’opera.” Infine, l’ultimo comma dell’art. 184 del Codice stabilisce che le banche e altri investitori istituzionali che non hanno concorso a formare i requisiti per la qualificazione possono entrare nel capitale sociale della società o smobilitare le partecipazioni in qualunque momento.

E’ necessario premettere che sul tema non si è ancora affermata una interpretazione di rango giurisprudenziale – di cui la sentenza oggi in commento ne è uno primo filone -, tuttavia si rintracciano invece alcuni pareri emanati da parte dell’allora Autorità per la Vigilanza sui Contratti Pubblici di Lavori, Servizi e Forniture.

Nella deliberazione del 19 novembre 2009 (AG – 32/09), con riferimento alla cessione delle quote della società di progetto, l’Autorità ha spiegato che uno degli aspetti primari su cui occorre indagare è l’identificazione, a contrario, della categoria dei soci cui è consentita alienare liberamente le proprie azioni anche prima dell’emissione del certificato di collaudo dell’opera, dal momento che l’allora vigente art. 156 del vecchio Codice,vieta espressamente ai soci che hanno concorso a formare i requisiti per la qualificazione (i c.d. soci qualificanti) a cedere le proprie partecipazioni prima di tale data, mentre le banche e gli altri investitori istituzionali possono fare ingresso nel capitale della società in qualunque momento.

La ragione dell’accostamento tra soci minori e istituti finanziari trova fondamento nella circostanza, invero del tutto indimostrata, che i soci minori facciano parte della compagine della società di progetto al solo fine, al pari delle banche, di fornire le fonti di finanziamento essenziali per poter realizzare il progetto.

Ad avviso della dottrina maggioritaria, condivisa dalla stessa Autorità, non essendoci un divieto espresso da parte del legislatore, i soci non qualificanti dovrebbero poter cedere in tutto o in parte le proprie partecipazioni in qualsiasi momento, a meno che non ci sia una diversa previsione contrattuale nella convenzione di concessione.

Di converso, è l’obbligo imposto ai soci qualificanti di restare nella compagine societaria per tutta la durata dell’esecuzione dei lavori sino all’emissione del certificato di collaudo che funge da garanzia di buono e tempestivo adempimento delle obbligazioni nascenti dalla concessione.

Un secondo punto su cui l’Autorità si è interrogata è quello relativo alla eventuale possibilità per i soci qualificanti di alienare una parte delle loro quote di partecipazione, anche prima dell’emissione del certificato di collaudo.

La formulazione letterale della norma, in effetti, lascia ampi spazi ermeneutici sul punto. 

Assume poi rilevanza anche la deliberazione dell’Avcp del 24 ottobre 2012 (AG 20/12) in cui l’Autorità si esprime in ordine alla possibilità di derogare al divieto di cessione delle quote di una società di progetto prima dell’emissione del certificato del collaudo, nel caso in cui tale alienazione sia connessa alla cessione di un ramo d’azienda. Prima di entrare nel merito della questione sottoposta alla sua attenzione, l’Autorità fa notare che in base a due sue precedenti deliberazioni, quella del 17 gennaio 2007 n. 4 e la sopra analizzata AG 32/09, si ritiene violato il divieto di cessione delle quote di partecipazione da parte dei soci qualificanti solo in caso di alienazione integrale, mentre una mera riduzione della quota sarebbe astrattamente percorribile.

In base alle medesime deliberazioni si ribadisce che la ratio del divieto in esame è quella di conservare l’interesse dell’amministrazione alla permanenza dei requisiti di qualificazione, che sono la principale assicurazione della buona e tempestiva esecuzione dell’opera pubblica, e ciò spiega anche l’aspetto temporale del divieto che è valido solo fino al collaudo.

Al riguardo si può osservare che il legislatore abbia trovato un cd. punto di caduta nel bilanciamento tra il principio della libera circolazione dei beni e l’interesse dell’amministrazione concedente alla corretta esecuzione, prescrivendo a tal scopo un divieto, che è però limitato sia sotto il profilo soggettivo, perché valido solo per alcune categorie di soci, sia sotto il profilo temporale, dal momento che esso opera solo fino all’emissione del certificato di collaudo, che, dimostrando il corretto adempimento del contratto, toglie rilevanza all’immodificabilità del socio qualificante.

Una diversa interpretazione della norma di cui all’odierno art. 184 del Codice, che contempli un divieto assoluto della cessione delle quote dei soci qualificanti di una società di progetto, rischierebbe di essere in contrasto non solo con il principio generale del nostro ordinamento della libera circolazione dei beni ma anche con la ratio stessa sottesa alla previsione in parola.

4. La sentenza del Consiglio di Stato della Sez. III n. 5294 del 2017. Un approccio restrittivo

In un contesto ermeneutico possibilista che sembrerebbe ammettere una relativa libertà di cessione delle quote, anche prima dell’emissione del certificato di collaudo attraverso l’escamotage del ricorso alla fattispecie della cessione del ramo d’azienda contestuale alla cessione delle quote, il Consiglio di Stato mostra, dal canto suo, di aderire ad una interpretazione maggiormente restrittiva.

Partendo dall’analisi dell’apparato normativo del vigente Codice in tema di modifiche soggettive del concessionario e delle relative norme comunitarie sottolinea come una modifica fin dall’art. 43 Dir. 2014/23/UE, il venir meno dei soci qualificanti e designati a titolo proprio come esecutori delle prestazioni, integra una fattispecie di “modifica soggettiva della concessione” che, tuttavia, non comporta automaticamente l’indizione di una nuova gara per il ri-affidamento della stessa.

Pertanto, secondo il dettato normativo europeo, non è preclusa a priori una modifica soggettiva del concessionario.

L’art. 175, comma 1, del d.lgs. n. 50/2016, tra le differenti ipotesi di modifica successiva delle concessione, prevede, tra le altre fattispecie, il caso di cui alla lett. d, n. 2) per cui, al concessionario iniziale possa succedere, anche in via particolare, un nuovo soggetto a seguito di ristrutturazioni societarie, acquisizioni o insolvenza, “purché ciò non implichi altre modifiche sostanziali al contratto e non sia finalizzato ad eludere l’applicazione del presente codice, fatta salva l’autorizzazione del concedente”.

Continua il Consiglio di Stato come a chiusura del sistema si prevede al comma 7, lett. d) che, in tutti gli altri casi “se un nuovo concessionario sostituisce quello cui la stazione appaltante aveva inizialmente aggiudicato la concessione in casi diversi da quelli previsti al comma 1, lettera d)” la modifica della concessione durante il periodo della sua efficacia è considerata “sostanziale”, il che implica la sua decadenza e l’espletamento di una nuova procedura.

Pertanto – a detta del Consiglio di Stato – è evidente che, in tale ipotesi, l’autonomia gestionale del concessionario incontra il limite procedimentale del potere-dovere dell’amministrazione concedente di verificare la sussistenza o meno dei predetti presupposti previsti dalla legge sulla base di valutazioni che non sono solo ancorate alla discrezionale considerazione dei profili soggettivi connessi con la situazione, dell’interesse pubblico alla salvaguardia dello standard dei servizi ed al rispetto dei presupposti previsti dalla predetta disciplina comunitaria.

Con la cessione, e l’acquisto delle quote della società di progetto da parte di terzi, non possono infatti aggirarsi i presidi posti dall’Unione europea a tutela della concorrenza e della qualità dei servizi pubblici.

In tale direzione, quindi, l’art. 184, comma 3, d.lgs. n. 50/2016 (che riprende identicamente le precedenti disposizioni di cui al successivo comma 1-ter dell’art. 37–quinquies della L. n. 109/1994 ed all’art. 156 del d.lgs. n. 163/2006), non ha affatto introdotto una norma speciale per cui, dopo il collaudo, sarebbe arbitrariamente consentita la modificabilità dei soci selezionati con gara, e quindi autorizzata l’indiscriminata sostituzione degli operatori individuati inizialmente all’esito della procedura di gara per la gestione dei servizi con nuovi soggetti.   

L’art. 184, comma 3, d.lgs. n. 50/2016 (che riprende identicamente le precedenti disposizioni di cui al successivo comma 1-ter dell’art. 37–quinquies della L. n. 109/1994 ed all’art. 156 del d.lgs. n. 163/2006), non ha affatto introdotto una norma speciale per cui, dopo il collaudo, sarebbe arbitrariamente consentita la modificabilità dei soci selezionati con gara, e quindi autorizzata l’indiscriminata sostituzione degli operatori individuati inizialmente all’esito della procedura di gara per la gestione dei servizi con nuovi soggetti.   

Al contrario si tratta di un’ipotesi totalmente differente come è evidente, all’ultimo periodo  con cui si dispone che: “L’ingresso nel capitale sociale della società di progetto e lo smobilizzo delle partecipazioni da parte di banche e altri investitori istituzionali che non abbiano concorso a formare i requisiti per la qualificazione possono tuttavia avvenire in qualsiasi momento”.

Nel contesto complessivo del comma (che concerne la responsabilità solidale, le garanzie bancarie e assicurative, la garanzia finanziaria per il buon adempimento, ecc.) emerge chiaramente che  il precetto ha un mero rilievo ai fini esclusivamente finanziari, in quanto autorizza la circolazione dei capitali impiegati dai soci finanziatori, escludendo invece espressamente che – con l’uscita di coloro che avevano concorso a formare i requisiti per la qualificazione tecnica dell’aggiudicatario originario – possano per tale via modificarsi gli assetti societari e l’esecuzione delle prestazioni.

5. Conclusioni

Seppur non esplicitamente, il Consiglio di Stato sottolinea quale sia l’elemento dirimente circa la corretta interpretazione della norma che consente la cessione delle quote dopo l’emissione del certificato di collaudo: la natura dei requisiti che il socio ha conferito per la qualificazione.

Il Consiglio di Stato nell’affermare che la norma in commento “non ha affatto introdotto una norma speciale per cui, dopo il collaudo, sarebbe arbitrariamente consentita la modificabilità dei soci selezionati con gara, e quindi autorizzata l’indiscriminata sostituzione degli operatori individuati inizialmente all’esito della procedura di gara per la gestione dei servizi con nuovi soggetti”, sottolinea come la norma sia riferibile ai soli soci che hanno concorso a formare i requisiti di esecuzione delle opere.   

Si asserisce chiaramente che i soggetti che hanno concorso a formare i requisiti con riguardo alla qualificazione per l’erogazione dei servizi oggetto di concessione, non soggiacciono al limite temporale di incedibilità delle proprie quote fino all’emissione del certificato di collaudo, dovendo invece trovare applicazione il principio generale espresso dall’art. 175.

Pertanto, evidenziando la specialità della portata della norma recata al terzo comma dell’art. 184, se per quanto concerne i soci della società di progetto che hanno concorso a formare i requisiti per eseguire i lavori oggetto di concessione vige il limite dell’emissione del certificato di collaudo, approvato il quale, i soggetti costruttori possono, in totale libertà imprenditoriale, svincolarsi dal contratto pubblico a mezzo di una mera cessione delle quote, atteso che l’interesse pubblico alla corretta esecuzione delle prestazioni di costruzione risulti soddisfatto con il collaudo dell’opera, così ammettendo una deroga al principio di immodificablità soggettiva dell’offerente e di cessione del contratto, medesimo ragionamento non appare spendibile per quanto concerne i soggetti che saranno poi deputati all’erogazione dei servizi oggetto di concessione.

Tali soggetti saranno tenuti, al contrario di soci costruttori, a garantire la propria presenza all’interno della compagine della società di progetto per tutta la durata del contratto al fine di garantire la buona e tempestiva esecuzione dei servizi, ritrovando, quindi, espansione il principio generale di immodificabilità soggettiva dell’affidatario e del connesso divieto di cessione del contratto, principio derogabile esclusivamente facendo ricorso alla cessione delle quote, anche prima dell’emissione del certificato di collaudo, all’interno di una operazione societaria straordinaria che presuppone la previa verifica della sussistenza dei requisiti previsti in gara da parte della stazione appaltante. 

Non sarà di certo l’ultima sentenza sul punto questa oggi in commento dal momento che la stessa, avendo stabilito contestualmente in punto di giurisdizione che spetta al Tribunale Amministrativo la definizione esclusiva della legittimità, o meno, dell’affidamento dell’esecuzione e delle quote a terzi con l’evidenza pubblica, perché non è una questione meramente contrattuale di carattere patrimoniale.

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Avv. Giuseppe Totino
Esperto in contratti pubblici
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