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Premessa

Un recente intervento dell’Autorità di Vigilanza[1] offre un interessante spunto per alcune  osservazioni in materia di certificazione di qualità. Preliminarmente occorre precisare come  l’istituto in esame abbia rilevanti aspetti pratici in quanto  dall’inquadramento dello stesso possono  derivare importanti conseguenze, tra l’altro, in materia di avvalimento. Sotto il profilo normativo è utile verificare come la disciplina contenuta nell’art. 43 del d. lgs 163/06[2], rubricato  norme di garanzia della qualità, è pressoché identica a quella di cui all’art. 49 della direttiva   2004/18[3] CE.

La certificazione di qualità attesta il rispetto, da parte dell’operatore economico, di determinate norme in materia di garanzia della qualità. Perché la certificazione abbia validità devono necessariamente ricorrere due condizioni: a) i sistemi di assicurazione della qualità, cui fanno riferimento le stazioni appaltanti, devono basarsi sulle norme europee in materia; b) gli organismi certificanti devono essere conformi alla serie di norme europee in materia di certificazione. Espressione del principio di non discriminazione è la previsione secondo cui: “le stazioni appaltanti riconoscono i certificati equivalenti rilasciati da organismi stabiliti in altri Stati membri”. In base al principio di equivalenza le amministrazioni sono comunque tenute ad ammettere altre prove relative all’impiego di misure equivalenti di garanzia della qualità. In questo caso, a differenza della certificazione che costituisce di per sé la prova del possesso del requisito,  la validità delle misure equivalenti è subordinata alla valutazione discrezionale, in ordine all’idoneità delle stesse, da parte della stazione appaltante.

La certificazione di qualità viene acquisita attraverso un iter prestabilito che consente, da un lato di razionalizzare ed ottimizzare i processi gestionali e  produttivi, dall’altro di dimostrare attraverso la certificazione che l’azienda risponde ai requisiti previsti dalla norma di riferimento ed è pertanto in grado di assicurare  per i propri prodotti e servizi il livello di qualità dichiarato.

La qualità indica quindi il grado in cui un determinato prodotto o servizio soddisfa determinati requisiti prestabiliti e dovrebbe consentire  un miglioramento continuo delle aziende  che recepiscono un sistema di gestione della qualità.

La natura della certificazione di qualità

La premessa in ordine alla certificazione di qualità appare necessaria al fine di comprendere se la stessa possa essere inquadrata nell’ambito dei requisiti tecnico-professionali, ex art. 42 del d.lgs 163/06 o nell’ambito di quelli soggettivi, ex art. 38 del dlgs. 163/06.

Un espresso inquadramento della figura in esame, all’interno di una delle due categorie, non si rinviene né nell’ordinamento nazionale, né in quello comunitario. Alla certificazione di qualità il legislatore nazionale e comunitario dedicano un’apposita disciplina senza tuttavia qualificare espressamente la certificazione come requisito tecnico o soggettivo. Dall’inquadramento nell’una o nell’altra categoria, come ricordato,  discendono importanti conseguenze in materia di avvalimento. L’istituto dell’avvalimento é disciplinato all’art. 49 del d.lgs 163/06,[4] e consente, nell’ottica della più ampia tutela della concorrenza e apertura del mercato, di soddisfare i requisiti tecnico-professionali o economico finanziari avvalendosi delle capacità di un altro soggetto. La condizione necessaria ed essenziale perché si possa fare riferimento alla capacità di altri soggetti è che il concorrente sia in grado di provare di disporre effettivamente dei mezzi necessari per l’esecuzione del contratto.

La disciplina su indicata cerca di contemperare le contrapposte esigenze di tutela della concorrenza  e di tutela dell’interesse della pubblica amministrazione di poter contare su una buona esecuzione degli appalti. Lo stesso legislatore comunitario ha sancito l’irrilevanza della tipologia di rapporto giuridico tra le due imprese, avvalente ed avvalsa richiamando l’attenzione sull’effettiva messa a disposizione dei mezzi per l’esecuzione dell’appalto.

In ordine all’onere della prova tuttavia ed alle modalità di dimostrazione dell’effettiva disponibilità dei mezzi per l’esecuzione dell’appalto il legislatore nazionale e comunitario appare alquanto laconico.

L’onere della prova muta a seconda del requisito che costituisce oggetto del contratto di avvalimento inducendo taluni autori a parlare in taluni casi di affitto di azienda.

Le contrapposte posizioni della giurisprudenza amministrativa e dell’AVCP

In sede di gara spesso accade che il soggetto, non possedendo la certificazione di qualità, dichiari di volersi avvalere della certificazione di un altro soggetto. La fattispecie in esame ha comportato pronunzie contrastanti della giurisprudenza amministrativa ed in particolare una contrapposta posizione tra Consiglio di Stato ed Autorità di Vigilanza. Quest’ultima con un recente parere e con una motivazione particolarmente articolata, rispetto alle pronunzie precedenti, ha confermato la propria posizione[5] in ordine alla riconducibilità della certificazione all’interno dei requisiti c.d. soggettivi, negando conseguentemente la possibilità che la certificazione di qualità possa essere oggetto di avvalimento. L’AVCP riconduce la certificazione di qualità all’interno della categoria dei requisiti soggettivi sulla base delle comuni regole di interpretazione di cui all’art. 12 delle preleggi al codice civile. Il primo criterio cui fa riferimento è infatti quello letterale che attribuisce ad una disposizione “il significato proprio delle parole secondo la connessione di esse”. Alla luce di tale tipologia di interpretazione, detta anche dichiarativa, in quanto attribuisce al documento normativo il senso più immediato ed intuitivo, possono essere oggetto di avvalimento i soli requisiti di carattere economico finanziario e tecnico organizzativo e la certificazione SOA. Con riferimento a tali requisiti l’istituto dell’avvalimento avrebbe portata generale; lo stesso non troverebbe applicazione, per contro, in ordine ai requisiti di carattere generale, in quanto né le direttive comunitarie, né la normativa nazionale consentono l’avvalimento di tali requisiti. La ratio di tale esclusione si rinviene nel fatto che i requisiti c.d. di ordine pubblico o di moralità sono necessariamente connessi alla situazione soggettiva del concorrente e per la loro natura non possono costituire oggetto di avvalimento.

Tale lettura viene confermata anche alla luce dei criterio logico e sistematico. L’interpretazione logica, è volta ad attribuire alla disposizione il significato più coerente ad una supposta ratio legis, mentre l’interpretazione sistematica attribuisce ad una disposizione un determinato significato collocandola nel quadro generale dell’ordinamento in cui la stessa è inserita.

Facendo riferimento al criterio letterale l’autorità ricostruisce la natura della certificazione di qualità, quale requisito soggettivo, in quanto atterrebbe ad uno specifico status dell’imprenditore: l’aver ottemperato a determinate disposizioni normative, preordinate a garantire alla stazione appaltante che l’esecuzione delle prestazioni contrattuali dovute avverrà nel rispetto della normativa in materia di processi di qualità.

Sulla base dell’interpretazione sistematica l’AVCP afferma che la disciplina relativa alla certificazione di qualità è contenuta in una disposizione distinta rispetto a quelle relative all’avvalimento.

Tale ricostruzione appare non in linea con quanto affermato di recente dal Consiglio di Stato [6] e da alcuni Tribunali Amministrativi secondo i quali il requisito della certificazione di qualità costituirebbe un requisito speciale di carattere tecnico-organizzativo. La stessa giurisprudenza rinvia al criterio ermeneutico sostanziale per affermare che la certificazione di qualità è comunque intesa a garantire la obiettiva qualità dell’adempimento e non solo la mera e soggettiva idoneità professionale del concorrente. Sulla base di tali affermazioni la giurisprudenza afferma la possibilità che possa costituire oggetto di avvalimento anche la certificazione di qualità a patto che l’ausiliario non si limiti a prestare semplicemente il documento contenente la certificazione di qualità, ma si obblighi a mettere a disposizione dell’impresa concorrente, nella fase di esecuzione del contratto, il complesso della propria organizzazione ovvero il complesso di beni organizzati dall’imprenditore per l’esercizio dell’impresa.

La problematica illustrata alla luce delle contrapposte posizioni é complessa e di difficile soluzione. Appare tuttavia intuitivo che l’ottemperanza alle norme in materia di qualità sia difficilmente riconducibile all’interno dei requisiti di cui all’art. 38 del d.lgs 163/06. La lettura dello stesso articolo ci dimostra come si tratti di requisiti intrinseci e legati strettamente all’imprenditore partecipante. Basti pensare all’ottemperanza alla normativa sui disabili, alle dichiarazioni relative al casellario e ai carichi pendenti per cogliere la diversa essenza della certificazione di qualità.


[1] Parere n. 97 del 19/05/2011, in www.avcp.it

[2] Art 43 del d.lgs. 163/06 : “Qualora richiedano la presentazione di certificati rilasciati da organismi indipendenti per attestare l’ottemperanza dell’operatore economico a determinate norme in materia di garanzia della qualità, le stazioni appaltanti fanno riferimento ai sistemi di assicurazione della qualità basati sulle serie di norme europee in materia e certificati da organismi conformi alle serie delle norme europee relative alla certificazione. Le stazioni appaltanti riconoscono i certificati equivalenti rilasciati da organismi stabiliti in altri Stati membri. Esse ammettono parimenti altre prove relative all’impiego di misure equivalenti di garanzia della qualità prodotte dagli operatori economici.”

[3] Art.49 direttiva 2004/18 CE

Norme di garanzia della qualità

Qualora richiedano la presentazione di certificati rilasciati da organismi indipendenti per attestare l’ottemperanza dell’operatore economico a determinate norme in materia di garanzia della qualità, le amministrazioni aggiudicatrici fanno riferimento ai sistemi di assicurazione della qualità basati sulle serie di norme europee in materia e certificati da organismi conformi alle serie delle norme europee relative alla certificazione. Le amministrazioni aggiudicatrici riconoscono i certificati equivalenti rilasciati da organismi stabiliti in altri Stati membri. Esse ammettono parimenti altre prove relative all’impiego di misure equivalenti di garanzia della qualità prodotte dagli operatori economici.

[4] A seguito del recepimento degli artt. 47 e 48 della direttiva CE 2004/18 e dell’art. 54 della direttiva 2004/17.

[5] Vedasi i precedenti pareri n.64/2009 e n. 254/2008 in  www.avcp.it

[6] Consiglio di Stato, sez III, sentenza 18 aprile 2011 n. 2344, Tar Campania-Salerno, Sez I sentenza 19 aprile 2011 n. 813; Tar Roma Lazio, sez III, 2 marzo 2009, n.2113

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Questo articolo è stato scritto da...

Dott.ssa Michela Deiana
Esperta in appalti pubblici
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