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Il presente contributo costituisce una sintetica rassegna dei più recenti arresti giurisprudenziali maturati su uno dei temi più delicati che gli operatori del settore si trovano ad affrontare nella pratica operativa: la valutazione della moralità professionale degli operatori economici che partecipano alle gare ai sensi dell’art. 38, comma 1, lettera c) del Codice degli appalti di cui al D.lgs. n. 163/2006.

1. Rilevano solo le condanne definitive

Per quanto concerne i provvedimenti penali rilevanti ai fini della valutazione della moralità professionale del concorrente, la Giurisprudenza amministrativa ha ribadito la rilevanza dei soli provvedimenti di condanna aventi il carattere della definitività: nel caso di pendenza di ricorsi in Cassazione avverso le sentenze di condanna riportate dall’amministratore del concorrente, infatti, la causa ostativa di cui alla lett. c) dell’art. 38 non può dirsi integrata poiché in tal caso le condanne non risultano ancora irrevocabili[1].

Nel contempo, è stata considerata legittima la revoca dell’aggiudicazione di una gara d’appalto disposta in quanto l’impresa aggiudicataria aveva omesso di dichiarare due decreti penali di condanna, di lieve entità, riportati dal legale rappresentante, a nulla rilevando il fatto che i predetti decreti penali non erano stati notificati al condannato il quale, pertanto, non era venuto a conoscenza della loro esistenza: la conoscenza dei predetti decreti, infatti, risultava garantita dalla possibilità di visionare in ogni momento il certificato del casellario giudiziale, con la conseguente irrilevanza – ai fini della partecipazione alla gara – dell’effettiva notifica del decreto penale[2].

2. Alcuni reati comportano obbligatoriamente l’esclusione dalla gara

La giurisprudenza ha ricordato che l’art. 38 del Codice appalti prevede una distinzione tra le diverse tipologie di reato, riconducendo, alle varie fattispecie, effetti differenti ai fini della partecipazione alla gara.

Deve distinguersi, infatti, tra le ipotesi di esclusione dalla gara c.d. dovute, in quanto connesse alla commissione dei reati “di partecipazione a un’organizzazione criminale, corruzione, frode, riciclaggio, quali definiti dagli atti comunitari citati dall’art. 45, paragrafo 1, direttiva CE 2004/18” e le ipotesi di esclusione derivanti dalle altre fattispecie delittuose che presuppongono sempre e necessariamente una specifica valutazione della stazione appaltante circa la gravità della condotta ed i relativi riflessi sulla moralità professionale del concorrente[3].

3. I reati soggetti a valutazione discrezionale

Nelle ipotesi di esclusione che presuppongono una specifica valutazione circa i riflessi del reato sulla moralità professionale del concorrente, la stazione appaltante è chiamata ad esercitare un potere discrezionale, strettamente connesso alla valutazione concreta delle caratteristiche dell’appalto, del tipo di condanna e delle effettive modalità di commissione del reato; tale valutazione deve essere compiuta nel rispetto del principio di proporzionalità, con un giudizio sindacabile entro i ristretti limiti dell’illogicità, dell’irragionevolezza e del travisamento dei fatti[4]. In applicazione di tali principi, pertanto, è stata dichiarata illegittima l’esclusione di una ditta disposta in quanto il relativo rappresentante legale aveva riportato una condanna definitiva per il reato di gestione di rifiuti non autorizzata di cui all’art. 256, comma 1 del D.Lgs. n. 152/2006, tenuto conto:

  • delle peculiarità dell’ipotesi delittuosa;
  • della comminazione della condanna al pagamento di una mera sanzione pecuniaria con il beneficio della sospensione condizionale della pena;
  • del lungo lasso di tempo trascorso dalla commissione del fatto[5].

La P.A. è chiamata a valutare le caratteristiche dell’appalto, del tipo di condanna e delle effettive modalità di commissione del reato

Per converso, è stato dichiarato legittimo, poiché adeguatamente motivato, il provvedimento con il quale una stazione appaltante aveva escluso una ditta per il difetto del requisito della moralità professionale in quanto il legale rappresentante era stato condannato a 4 mesi di reclusione ed euro 300,00 di multa per il reato di furto aggravato di energia elettrica: nella specie il giudice amministrativo ha confermato la valutazione della stazione appaltante che aveva ritenuto il reato come incidente sulla moralità professionale del concorrente e tale da minare gravemente e negativamente quel rapporto fiduciario con l’impresa che deve connotare il rapporto negoziale fin dalla sua genesi. Più in particolare, la valutazione di gravità del reato commesso e d’incidenza dello stesso sulla moralità professionale del rappresentante legale effettuata dalla stazione appaltante è stata considerata congruamente motivata in relazione agli elementi consistenti:

  • nell’epoca recente a cui risalivano i fatti per i quali vi era stata la condanna;
  • nelle peculiarità del caso concreto, per la quale il Giudice penale aveva ritenuto ricorrente una delle circostanze aggravanti specifiche applicabili al reato di furto ai sensi dell’art. 625 c.p.;
  • nel particolare bene leso dal comportamento delittuoso;
  • nell’incidenza del reato sulla moralità professionale, in quanto si trattava di una manifestazione di radicale contraddizione rispetto ai principi deontologici della professione.

In tale complessivo contesto, pertanto, i predetti elementi sono stati ritenuti idonei – dalla stazione appaltante e poi dal Giudice amministrativo – ad incidere negativamente sull’elemento fiduciario che deve connotare il rapporto negoziale fin dalla sua genesi[6].

Ed ancora, è stata dichiarata legittima l’esclusione – nell’ambito di una gara per l’affidamento del servizio di recupero, custodia e acquisto di veicoli oggetto di sequestro amministrativo, fermo o confisca – motivata con riferimento al difetto del requisito della moralità professionale poiché il legale rappresentante dell’impresa esclusa era stato già destinatario (quale custode giudiziario di un veicolo) di un decreto penale di condanna irrogatoper aver rifiutato indebitamente di consegnare il veicolo stesso al legittimo proprietario, chiedendogli il pagamento di spese non previste dal decreto di restituzione della Procura. È stato infatti affermato che si trattava, nella specie, di reato “grave in danno dello Stato e la condotta posta in essere nell’esercizio delle funzioni attinenti il servizio oggetto della gara”, tale da incidere sulla moralità professionale dell’impresa interessata: posto che, nell’apprezzamento della gravità del reato, la stazione appaltante dispone di ampia discrezionalità (non sindacabile dal Giudice amministrativo se non per i noti profili di irrazionalità, illogicità, incongruità o travisamento dei fatti) nella specie è stato ritenuto che si trattasse di delitto effettivamente rientrante tra quelli contro la pubblica amministrazione, commesso dall’incaricato di un pubblico servizio e pertanto idoneo ad influenzare gravemente la prognosi di un rapporto non sereno tra la stazione appaltante e il soggetto condannato[7].

4. La valutazione della gravità del reato

Per quanto riguarda la valutazione della gravità dei reati che non comportano obbligatoriamente l’esclusione dalla gara, è stato recentemente ribadito che:

  • la valutazione della gravità delle condanne riportate dai concorrenti e della loro incidenza sulla moralità professionale è rimessa alla più ampia discrezionalità tecnico-amministrativa della stazione appaltante;
  • la giustificazione della scelta può desumersi per relationem dagli elementi documentali acquisiti agli atti, non richiedendosi l’assolvimento di un particolare onere motivazionale; la motivazione si evince ob relationem col richiamo implicito al titolo penale acquisito al procedimento amministrativo, il ché consente al Giudice di esercitare il controllo nei limiti del sindacato di legittimità, operabile ab externo su valutazioni fiduciarie comunque riservate alla pubblica amministrazione;
  • ciò che conta davvero è che l’amministrazione abbia acquisito tutti i dati utili a compiere tale valutazione, seguendo lo schema tracciato dalla legge per la verifica del requisito dell’idoneità morale[8].

La valutazione della gravità delle condanne riportate dai concorrenti e della loro incidenza sulla moralità professionale è rimessa alla discrezionalità tecnico-amministrativa della P.A.

L’art. 38, pertanto, deve essere letto nel senso che costituiscono condizioni, ai fini dell’esclusione dalla gara, la valutazione circa la gravità del reato e circa il riflesso dello stesso sulla moralità professionale dell’operatore economico, tenuto conto della natura del reato e del contenuto del contratto oggetto della gara. Tutto ciò, senza eccedere rispetto a quanto è necessario a garantire l’interesse dell’amministrazione a non contrarre obbligazioni con soggetti che non garantiscano un’adeguata moralità professionale: se, infatti, l’esclusione dalla gara si facesse dipendere dalla mera sussistenza di una condanna penale, prescindendo da ogni valutazione circa la gravità del comportamento colpevole del soggetto, la norma si porrebbe in contrasto con l’articolo 45, par. 2 della direttiva 31/3/2004 n. 2004/18/CE, secondo il quale l’operatore economico può essere escluso dalla partecipazione alla gara soltanto quando il reato “incida” sulla sua moralità professionale[9].

5. Il reato commesso “in danno dello stato o della comunità”

Per quanto concerne l’espressione “in danno dello Stato o della Comunità”, la Giurisprudenza amministrativa ha fornito, nel corso del tempo, differenti interpretazioni.

È stato notato, infatti, che tale espressione non si riferisce a tipologie di reato qualificate, ma si riferisce, in generale, ai reati idonei a creare allarme sociale rispetto ad interessi di natura pubblicistica[10].

In altre occasioni è stato affermato che, con tale espressione, la legge ha inteso allargare l’area territoriale dei reati rilevanti ai fini dei pubblici appalti, intendendo fare riferimento sia a quelli compiuti sul territorio dello Stato italiano, sia a quelli compiuti nel territorio della Unione europea; l’espressione Stato va perciò intesa come Stato-comunità, nel cui ordinamento la tutela del lavoro assume particolare rilevanza (artt. 1 e 35 della Costituzione)[11].

Ed ancora, è stato affermato che la predetta espressione è ampliativa dell’area dei reati di cui all’art. 38 nei riguardi dei reati commessi nella Comunità europea in vista dell’unificazione delle economie, conformemente alla logica di allargamento dei mercati[12].

6. La motivazione dell’ammissione del concorrente con precedenti penali

Come già accennato, la Giurisprudenza amministrativa ha rilevato che, in via generale, non sussiste alcun obbligo per la stazione appaltante di esplicitare le ragioni per le quali abbia considerato un precedente penale non incidente sulla “moralità professionale” del concorrente, poiché la motivazione di non gravità del reato è già implicitamente desumibile proprio dalla mancata esclusione dalla gara[13].

È stato tuttavia recentemente affermato che, nel caso in cui sia stata riscontrata l’esistenza di un precedente penale a carico del legale rappresentante di un concorrente, la stazione appaltante, prima di ammetterlo in gara, deve effettuare un’apposita valutazione, della quale deve dare contezza con puntuale motivazione: è vero, infatti, che quando la stazione appaltante non ritenga un precedente penale incisivo sulla moralità professionale la stessa non sarà nemmeno tenuta a esplicitare in maniera analitica le ragioni del proprio convincimento, potendo la sua motivazione risultare anche per implicito o per facta concludentia[14].

Il precedente penale può non portare all’esclusione ma deve essere sempre valutato attentamente

Nondimeno, il predetto orientamento giurisprudenziale va coordinato con la regola generale della necessità di motivazione degli atti amministrativi e con il principio di trasparenza dell’azione pubblica di cui agli artt. 1 e 3 della legge n. 241/1990: ne consegue che tale orientamento non sarà applicabile quando la fattispecie concreta non offra alcun indice idoneo a far ritenere che la stazione appaltante abbia effettivamente compiuto una propria specifica valutazione sull’eventuale ostatività del precedente emerso[15].

7. L’estinzione del reato

In conformità alla consolidata Giurisprudenza amministrativa, è stata recentemente dichiarata legittima l’esclusione di una società il cui legale rappresentante aveva omesso di dichiarare una sentenza penale ex art. 444 c.p.p. riportata nel casellario giudiziale: tale condanna, infatti, doveva essere dichiarata, considerata l’assenza di un’espressa declaratoria di estinzione del reato resa da parte del Giudice dell’esecuzione[16].

La dichiarazione di estinzione del reato è indispensabile per partecipare alle gare d’appalto

Il Giudice amministrativo – pur condividendo l’impostazione seguita dalla Corte di Cassazione in ordine all’effetto non costitutivo ma dichiarativo dell’estinzione della pronuncia del giudice dell’esecuzione – ha infatti ritenuto che, in materia di affidamento di appalti, la dichiarazione di estinzione sia sempre e comunque indispensabile per le preminenti esigenze di certezza giuridica e di buon andamento della P.A.[17].

Il mero decorso del tempo previsto dall’art. 445 Codice di procedura penale per le sentenze di applicazione della pena ex art. 444 c.p.p. costituisce, pertanto, il presupposto affinché il reo possa richiedere al giudice dell’esecuzione penale la dichiarazione di estinzione del reato: solo dopo aver ottenuto tale dichiarazione di estinzione, tuttavia, il concorrente potrà essere esonerato dal relativo obbligo dichiarativo ai sensi dell’art. 38 del Codice appalti[18].

8. Gli effetti delle condanne risalenti nel tempo

In tale cornice, sempre in relazione ai reati non dichiarati in corso di gara, è stata tuttavia ritenuta illegittima l’esclusione disposta dalla stazione appaltante in quanto era risultato, tramite il certificato del casellario giudiziale, che il legale rappresentante dell’aggiudicatario non aveva dichiarato una sentenza di condanna – per la quale non risultava annotata l’estinzione – che risaliva a ben 41 anni prima e che riguardava un reato del codice penale militare di pace (si trattava, nella specie, di un reato commesso dall’amministratore durante il servizio militare per essere giunto in ritardo all’appello, con conseguente contestazione del reato di allontanamento senza autorizzazione previsto dall’articolo 147 del Codice penale militare di pace): ed infatti, l’art. 578 del Codice di procedura penale vigente al tempo della commissione del reato (c.d. Codice Rocco approvato con il R.D. 19 ottobre 1930, n. 1399 e rimasto in vigore fino al 1989) non imponeva al reo di richiedere la dichiarazione di estinzione ma obbligava il Tribunale ad attivarsi per la pronuncia di estinzione una volta decorsi cinque anni dalla sentenza di condanna; nel caso di specie, pertanto, l’Autorità giurisdizionale (e non l’amministratore condannato) aveva il dovere di procedere all’attivazione del procedimento per la dichiarazione di estinzione di quel reato la cui condanna risaliva a quarant’anni prima[19].

Per le condanne comminate prima del 1989 l’Autorità giurisdizionale doveva procedere ex officio alla dichiarazione di estinzione

In tale prospettiva, è stato pertanto ritenuto che la circostanza che la condanna comminata ricadesse sotto la vigenza del Codice processuale del 1930, escludeva l’applicabilità dei principi giurisprudenziali relativi alla necessità della richiesta della estinzione da parte della parte interessata, principi formatisi con riferimento all’istituto della riabilitazione ed estinzione dei reati contenuta nel nuovo Codice in vigore dal 1989: peraltro, è stato sottolineato che, anche in vigenza dell’articolo 676 del nuovo Codice di procedura penale, la giurisprudenza più attenta ha comunque evidenziato che l’effetto estintivo opera ex lege per effetto del decorso inattivo del tempo e non necessita di alcun provvedimento, non rilevando a contrariis l’attribuzione, al Giudice dell’esecuzione, della competenza a decidere in merito all’estinzione del reato dopo la condanna[20].

In via più generale, è stato affermato che non è legittimo disporre l’esclusione dalla gara per omessa dichiarazione di una lieve condanna risalente nel tempo e non menzionata nel casellario giudiziale in possesso dell’interessato, nel caso in cui il modulo predisposto dalla stazione appaltante menzioni le sole condanne per “reati gravi … che incidono sulla moralità professionale …”, poiché quando la dichiarazione viene resa sulla scorta di modelli predisposti dalla stazione appaltante ed il concorrente incorra in errore indotto dalla formulazione ambigua o equivoca del modello, non è ammesso comminare l’esclusione dalla gara a causa dell’incompletezza della dichiarazione[21]: nella specie, il reato non dichiarato riguardava fatti risalenti al 1997, quando l’interessato aveva 21 anni ed aveva utilizzato una carta di credito smarrita da un terzo; d’altra parte, dai certificati del casellario giudiziale in possesso dell’interessato non risultava la condanna, risalente a 15 anni prima e che avrebbe quindi potuto essere oggetto di una pronuncia di estinzione, così come avvenuto subito dopo la contestazione da parte della stazione appaltante[22].

9. Gli obblighi dichiarativi del concorrente

La dichiarazione sostitutiva relativa all’assenza delle condizioni preclusive previste dall’art. 38 del Codice appalti può essere legittimamente riferita in via generale ai requisiti previsti dalla norma e non deve necessariamente indicare in modo puntuale le singole situazioni ostative previste dal legislatore; la dichiarazione sostitutiva relativa all’insussistenza delle condizioni ostative previste dall’art. 38, inoltre, non deve necessariamente contenere la menzione nominativa di tutti i soggetti muniti di poteri rappresentativi dell’impresa, quando questi possano essere agevolmente identificati mediante l’accesso a banche dati ufficiali o a registri pubblici[23].

Oltre a ciò, in consonanza con il disposto dell’art. 38, spetta alla stazione appaltante valutare la gravità o meno del reato accertato in sede penale e tale profilo valutativo non può reputarsi spettante al concorrente, il quale, pertanto, non può operare alcun proprio filtro in sede di domanda di partecipazione alla gara di appalto[24].

La dichiarazione deve contenere la menzione di tutte le condanne riportate dagli amministratori

In via più generale, in base al principio secondo cui “nel più sta il meno”, la dichiarazione resa in sede di gara attestante l’assenza di qualsiasi reato grave che incida sulla moralità e sulla capacità professionale, include, seppur implicitamente, anche l’affermazione dell’assenza dei più gravi fatti di reato, tassativamente menzionati dall’art. 38 del Codice (partecipazione ad una organizzazione criminale, corruzione, frode e riciclaggio) per i quali è prevista l’esclusione automatica dalla gara[25].

Sempre per quanto concerne gli obblighi dichiarativi del concorrente, è utile ricordare che il legale rappresentante non può rendere la dichiarazione di cui all’art. 38 anche per conto di un altro amministratore se questo non risulta ancora cessato dalla carica. Le dichiarazioni “per quanto a propria conoscenza” valgono, infatti, solo per gli esponenti sociali non più in carica[26].

10. I reati dei direttori tecnici e dei responsabili tecnici

I direttori tecnici tenuti a rilasciare la dichiarazione sostitutiva prevista dall’art. 38 del Codice appalti sono soltanto quelli che rivestono tale posizione rispetto al settore operativo nel quale la commessa si iscrive e non anche tutti i preposti tecnici a settori di attività implicate, in qualsiasi modo, nell’attività esecutiva dell’appalto. Tale principio opera non solo nel caso di appalti di lavori pubblici ma anche nel caso di appalti di servizi: il riferimento alla figura del direttore tecnico riguarda, quindi, solo coloro che rivestano tale specifica posizione rispetto al settore operativo al quale la commessa attiene e non riguarda anche i preposti tecnici coinvolti nell’attività esecutiva dell’appalto[27].

In coerenza con i predetti assunti, la Giurisprudenza amministrativa ha sottolineato che, se le dichiarazioni sul possesso dei requisiti di moralità fossero richieste a tutti i responsabili tecnici presenti nell’impresa, si estenderebbe l’obbligo dichiarativo a soggetti non previsti dall’art. 38 e si determinerebbe un’inammissibile applicazione analogica di cause di esclusione dalla gara, in violazione del principio di tassatività di cui all’art. 46, comma 1-bis del Codice appalti[28].

Il responsabile tecnico non deve rendere le dichiarazioni ex art. 38 del Codice appalti

Il requisito della moralità professionale, pertanto, deve essere valutato soltanto nei confronti di coloro che abbiano ottenuto il conferimento di poteri consistenti nella rappresentanza dell’impresa e nel compimento di atti dispositivi, anche sul piano della direzione tecnica, nonché nei confronti di coloro che, al di là della qualifica formale, esercitino analoghe funzioni sostanziali, con la conseguenza di doversi escludere dall’obbligo di dichiarazione il responsabile tecnico, che certamente non esercita tali funzioni[29].

È quindi illegittimo il provvedimento di esclusione disposto per il fatto che non era stata resa la dichiarazione da parte di soggetto che rivestiva semplicemente la veste di responsabile tecnico, ai sensi della legge n. 82/1994, per l’attività di pulizia e non era figura assimilabile o equipollente al direttore tecnico, con le relative funzioni di rappresentanza istituzionale dell’impresa, non avendo il potere di manifestare la volontà dell’ente all’esterno ma avendo un’esclusiva responsabilità tecnica interna all’impresa[30].

11. Il soccorso istruttorio

L’omissione, in sede di dichiarazione circa il possesso del requisito della moralità professionale, di una condanna penale ormai irrevocabile non costituisce un’irregolarità sanabile ai sensi del nuovo comma 2-bis dell’art. 38 del Codice appalti. La dichiarazione di assenza di condanne rilevanti ai sensi della lettera c) dell’art. 38 e la conseguente omessa indicazione della sentenza di condanna riportata, integrano, infatti, gli estremi del falso in gara, con tutte le implicazioni che ne derivano anche in termini di non sanabilità della dichiarazione e di necessità di estromissione della ditta concorrente[31].

La dichiarazione falsa resa dal concorrente non è sanabile con il soccorso istruttorio

In presenza dell’obbligo – espressamente previsto, a pena di esclusione, dal bando di gara – di dichiarare “tutte le condanne eventualmente riportate, nonché gli eventuali carichi pendenti, in modo da consentire alla stazione appaltante di effettuare la dovuta disamina delle stesse e valutarne l’incidenza sull’affidabilità professionale dell’impresa anche in seduta di gara”, risulta legittima l’esclusione disposta in quanto il concorrente aveva omesso la dichiarazione di una sentenza di condanna penale pronunciata nei confronti del legale rappresentante per inadempimenti contributivi: in tal caso, infatti, l’esclusione deve ritenersi congruamente motivata poiché la ditta interessata ha posto in essere, sostanzialmente, una dichiarazione mendace e non trova applicazione il nuovo soccorso istruttorio previsto dal comma 2-bis dell’art. 38 del Codice[32].

12. La decadenza dall’aggiudicazione

Sempre ai fini dell’esclusione dalla gara per la mancata dichiarazione di sentenze penali di condanna, va tenuto presente che l’art. 75 del D.P.R. n. 445/2000 commina la decadenza dai “benefici eventualmente conseguenti al provvedimento emanato sulla base della dichiarazione non veritiera” [33].

La mancata dichiarazione di sentenze di condanna comporta la decadenza dall’aggiudicazione

La Giurisprudenza amministrativa sottolinea, peraltro, che il predetto principio trova applicazione per le dichiarazioni, false o mendaci, che erano indispensabili ai fini della partecipazione alla gara: al contrario, qualora la dichiarazione non sia necessaria ai fini della partecipazione alla gara, viene meno quella stretta correlazione tra il beneficio (l’aggiudicazione) e la dichiarazione falsa o mendace e non può, conseguentemente, disporsi l’esclusione dalla gara[34].

13. Il falso innocuo (a volte ritornano?)

Secondo il prevalente insegnamento giurisprudenziale, appare irrilevante che le condanne penali non dichiarate non siano idonee ad incidere sul requisito della moralità professionale del concorrente poiché le valutazioni in ordine alla gravità delle condanne stesse ed alla loro incidenza sulla moralità professionale spettano esclusivamente alla stazione appaltante in un momento successivo, e non già al concorrente nel momento della presentazione della domanda di partecipazione alla gara, non essendo consentito, a quest’ultimo, di operare autonomamente una personale selezione sulla base di meri criteri soggettivi[35].

Più di recente, tuttavia, è stato sottolineato che le disposizioni in materia di moralità professionale presuppongono che la dichiarazione non veritiera sia finalizzata a conseguire una qualche utilità: tale norma, infatti, è volta a sanzionare l’accertamento della non veridicità di dichiarazioni rese al fine di beneficiare di un determinato provvedimento e non certo a sanzionare la falsità di una dichiarazione del tutto irrilevante rispetto al conseguimento di quel beneficio[36].

La falsità di una dichiarazione del tutto irrilevante potrebbe non determinare l’esclusione dalla gara

In applicazione di tale principio, è stato ritenuto difficile individuare l’utilità della dichiarazione di un reato previsto dal Codice penale militare di pace commesso quarant’anni prima e che, non incidendo sulla moralità professionale del dichiarante, non avrebbe potuto portare alla esclusione dalla gara, quand’anche fosse stato dichiarato: tale reato, infatti, avrebbe dovuto essere dichiarato estinto alla stregua dell’articolo 578 del Codice di procedura penale a suo tempo vigente e non era configurabile, pertanto, l’obbligo della relativa dichiarazione in gara né era configurabile, conseguentemente, l’esistenza di una dichiarazione falsa o non veritiera ai sensi dell’articolo 75 del D.P.R. n. 445/2000[37].

14. I reati dei procuratori ad negotia

Tra i soggetti per i quali è doveroso l’accertamento del requisito di moralità professionale vanno ricompresi, pur nel silenzio dell’art. 38 del D.Lgs. n. 163/2006, anche i procuratori ad negotia muniti di poteri decisionali di particolare ampiezza, assimilabili a quelli che lo statuto assegna agli amministratori: nondimeno, qualora l’onere di rendere tale dichiarazione anche da parte di tali procuratori non sia stato espressamente previsto, a pena di esclusione, nella lex specialis, l’esclusione stessa potrà essere disposta soltanto laddove sia effettivamente riscontrabile l’assenza del requisito[38].

Alla luce dei predetti principi, per i procuratori speciali muniti di poteri decisionali di particolare ampiezza e riferiti a una pluralità di oggetti – poteri che possano quindi configurarsi omologhi, se non di spessore superiore, rispetto a quelli che lo statuto assegna agli amministratori – trovano applicazione le previsioni sull’obbligo di dichiarazione dell’assenza di cause ostative ex art. 38 del Codice; va tuttavia precisato che in tal caso, qualora il bando non contenga specifiche comminatorie, l’esclusione dell’impresa potrà essere disposta non per la mera omissione della dichiarazione ma soltanto per l’effettiva assenza del requisito in capo a tali procuratori[39].

Quando il bando non contiene specifiche disposizioni, l’esclusione dell’impresa non può essere disposta per la mera omissione della dichiarazione da parte dei procuratori ad negotia ma solo per l’effettiva assenza del requisito

Tale interpretazione dell’art. 38 è improntata ad un’ottica sostanzialistica di matrice europea e mira a tutelare l’interesse pubblico affinché l’amministrazione non contratti con persone giuridiche governate, in sostanza, da persone fisiche sprovviste dei necessari requisiti di onorabilità ed affidabilità morale e professionale, che si giovino dello schermo di chi riveste la qualifica formale di amministratore con potere di rappresentanza[40].

Per converso, non è tenuto a rendere la dichiarazione di cui all’art. 38 un procuratore speciale i cui limitati poteri non siano assimilabili a quelli di un amministratore: in particolare, i poteri consistenti nella possibilità di effettuare pagamenti ed operazioni bancarie e finanziarie (a firma singola fino a 2.000 euro ed a firma congiunta con altri fino a 10.000 euro) nonché i poteri di stipula di alcuni tipi di contratti (fino a 250.000 euro purché a firma congiunta con uno dei consiglieri di amministrazione) non sono apparsi, nella specie, particolarmente significativi – anche tenuto conto delle dimensioni della società rappresentata – e non sono stati equiparati a quelli attribuiti agli amministratori[41].

15. La sospensione condizionale e il beneficio della non menzione

È illegittima l’esclusione dalla gara disposta in quanto l’amministratore del concorrente aveva omesso di dichiarare una sentenza di condanna penale per tentato furto di olive, trattandosi, per giunta, di reato assai remoto e sanzionato con la contestuale concessione dei benefici della sospensione condizionale della pena e della non menzione: in tal caso, infatti, considerato che lo stesso Giudice penale che irrogò la condanna aveva concesso il beneficio della sospensione condizionale della pena – facendo così ricorso ad un istituto che postula un favorevole convincimento in ordine alla prognosi che il reo non commetterà nuovi reati – non erano emersi elementi per ritenersi in presenza di una condotta fraudolenta volta a nascondere circostanze rilevanti ai fini della gara[42].

Il beneficio della sospensione condizionale della pena presuppone che il reo non commetterà nuovi reati

Nel caso di specie, pertanto, sussistevano idonei elementi utili a ritenere che si trattasse di una mera dimenticanza commessa in assoluta buona fede, non equiparabile al falso bensì ad un’irregolarità o ad un’incompletezza documentale. In un’ottica sostanzialistica e non meramente formale di “caccia all’errore”, pertanto, la stazione appaltante avrebbe dovuto valutare e motivare come ed in che termini l’omessa dichiarazione della predetta condanna – risalente a più di un quarantennio prima per fatti di reato assai modesti, che il Giudice penale aveva già ritenuto accompagnarsi ad una prognosi favorevole – imponesse o comunque legittimasse l’esclusione dalla gara[43].

16. Fattispecie particolari

Da ultimo, può essere utile una sintetica rassegna delle recenti sentenze che hanno esaminato l’incidenza dei reati sulla moralità professionale in fattispecie peculiari ma comunque ricorrenti nella pratica operativa.

È stata ritenuta illegittima, in particolare, l’ammissione in gara di una ditta che aveva fatto ricorso all’istituto dell’avvalimento ma aveva omesso la presentazione delle dichiarazioni sul possesso, da parte dell’ausiliaria, dei requisiti di moralità professionale: tutti i soggetti che, a qualunque titolo, concorrono all’esecuzione di pubblici appalti – in veste di affidatari, in veste di subaffidatari oppure in veste di prestatori di requisiti nell’ambito dell’avvalimento – devono essere, infatti, sempre in possesso dei requisiti morali di cui all’art. 38 del Codice appalti[44].

Anche l’ausiliario deve essere in possesso dei requisiti di moralità professionale

È stato inoltre ribadito che quando il concorrente ha la veste giuridica di consorzio stabile occorre che venga dimostrato il possesso dei requisiti morali anche da parte delle imprese consorziate individuate come esecutrici del singolo contratto[45].

Per gli appalti disciplinati dall’art. 53 del Codice appalti (ex appalti integrati) è stato escluso, invece, l’obbligo di presentazione delle dichiarazioni di cui all’art. 38 da parte dei progettisti dei quali l’impresa partecipante alla gara intenda avvalersi, poiché tali soggetti non assumono il ruolo di concorrenti[46].

È stato infine ribadito che i requisiti generali devono essere sempre dichiarati anche dagli amministratori dell’impresa cedente e che il concorrente che, nell’anno anteriore alla pubblicazione del bando di gara, abbia acquisito in affitto un ramo d’azienda dovrà allegare all’offerta di gara anche le dichiarazioni relative alla moralità professionale da parte degli amministratori dell’impresa cedente[47].


[1] Consiglio di Stato, 23 ottobre 2015, n. 4871.

[2] Tar Lazio, Roma, 1 dicembre 2014, n. 12066.

[3] Tar Lazio, Roma, 19 giugno 2015, n. 8511.

[4] Tar Lazio, n. 8511/2015 cit.

[5] Tar Lazio, n. 8511/2015 cit.

[6] Tar Sicilia, Catania, 8 ottobre 2015, n. 2395.

[7] Consiglio di Stato, 18 novembre 2014, n. 5679.

[8] Tar Sicilia, n. 2395/2015 cit. che richiama, ex plurimis, Consiglio di Stato, 11 luglio 2014, n. 3562 e 6 marzo 2013, n. 1378.

[9] Consiglio di Stato, 13 ottobre 2015, n. 4711.

[10] Tar Sicilia, n. 2395/2015 cit.

[11] Consiglio di Stato, 12 giugno 2009, n. 3773.

[12] Consiglio di Stato, sentenza 23 marzo 2009, n. 1736.

[13] Tar Lazio, n. 8511/2015 cit. che richiama Consiglio di Stato, 24 marzo 2014, n. 1428.

[14] Consiglio di Stato, 6 novembre 2015, n. 5070 che richiama Consiglio di Stato, 21 maggio 2014, n. 2622.

[15] Consiglio di Stato, n. 5070/2015 cit.

[16] Tar Lombardia, Milano, ordinanza 30 luglio 2015, n. 1031.

[17] Tar Lombardia, n. 1031/2015 cit., che richiama Cassazione penale, 14 maggio 2015, n. 20068.

[18] Consiglio di Stato, 23 marzo 2015, n. 1557 che richiama Consiglio di Stato, 3 dicembre 2014, n. 5972, 5 settembre 2014, n. 4528, 8 agosto 2014, n. 4253, 17 giugno 2014, n. 3092, 13 dicembre 2012, n. 6393 e 24 marzo 2011, n. 1800.

[19] Consiglio di Stato, 13 novembre 2015, n. 5192.

[20] Consiglio di Stato, n. 5192/2015 cit. richiama Cassazione, n. 20068/2015 e Cassazione, Sezioni Unite, 30 ottobre 2014, n. 2.

[21] Consiglio di Stato, 17 novembre 2015, n. 5240.

[22] Consiglio di Stato, n. 5240/2015 cit.

[23] Consiglio di Stato, 15 ottobre 2015 n. 4765, che richiama Consiglio di Stato, Adunanza Plenaria, 30 luglio 2014, n. 16.

[24] Tar Lazio, n. 12066/2014 cit., in aperto contrasto con quanto invece rilevato, per le condanne risalenti nel tempo, da Consiglio di Stato, n. 5240/2015 cit.

[25] Consiglio di Stato, 2 ottobre 2015 n. 4617.

[26] Tar Lazio, Roma, 28 luglio 2015, n. 10310.

[27] Consiglio di Stato, 12 gennaio 2015, n. 35.

[28] Consiglio di Stato, n. 35/2015 cit.

[29] Consiglio di Stato, 6 febbraio 2015, n. 619.

[30] Consiglio di Stato, n. 619/2015 cit.

[31] Tar Lombardia, Brescia, 6 febbraio 2015, n. 201.

[32] Tar Lombardia, n. 201/2015 cit.

[33] Consiglio di Stato, n. 5240/2015 cit.

[34] Consiglio di Stato, n. 5240/2015 cit.

[35] Ex multis Consiglio di Stato, 2 luglio 2013, n. 3550.

[36] Consiglio di Stato, n. 5192/2015 cit.

[37] Consiglio di Stato, n. 5192/2015 cit.

[38] Consiglio di Stato, n. 4711/2015 cit.

[39] Consiglio di Stato, 17 novembre 2015, n. 5240 che richiama Consiglio di Stato, Adunanza Plenaria, 16 ottobre 2013, n. 23.

[40] Consiglio di Stato, n. 5240/2015 cit.

[41] Consiglio di Stato, n. 5240/2015 cit.

[42] Tar Marche, 8 maggio 2015, n. 362.

[43] Tar Marche, n. 362/2015 cit.

[44] Tar Campania, Napoli, 27 aprile 2015, n. 2415.

[45] Consiglio di Stato, 9 aprile 2015, n. 1824.

[46] Consiglio di Stato, 29 gennaio 2015, n. 419.

[47] Consiglio di Stato, 1 settembre 2015, n. 4100.

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Ilenia Filippetti
Avv. Ilenia Filippetti
Avvocato, Responsabile della Sezione Monitoraggio appalti di servizi e forniture della Regione Umbria, Presidente dell’Associazione Forum Appalti
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