Sending
Questo articolo è valutato
0 (0 votes)

Il 24 gennaio 2011, il Consiglio dell`Unione Europea, che riunisce i Capi di Governo, ha approvato in via definitiva -con 24 voti a favore e 3 astensioni (Italia, Germania e Austria)- il testo di nuova direttiva europea sui ritardati pagamenti. Con questo atto è  stata completata la procedura di approvazione formale del nuovo testo di Direttiva che verrà pubblicato nei prossimi giorni sulla Gazzetta Ufficiale dell`Unione Europea. Dopo la pubblicazione, l`Italia avrà due anni per recepire il contenuto del nuovo testo nella normativa nazionale. L`approvazione del testo europeo sottolinea la necessità di intervenire rapidamente per garantire pagamenti tempestivi da parte della P.A. ed e` auspicabile che il Governo proceda ad un rapido recepimento della nuova normativa che migliora sostanzialmente l`attuale normativa italiana in materia di pagamento nei lavori pubblici, prevedendo pesanti sanzioni in caso di ritardo. Da questo punto di vista, desta forte preoccupazione l`astensione dell`Italia in occasione del voto del Consiglio.

Principali contenuti della nuova Direttiva.

La nuova Direttiva europea sui ritardati pagamenti si applicherà a partire dal 16 marzo 2013,  a tutti i settori, quindi anche ai lavori pubblici. Questa volta infatti, contrariamente a quanto avvenuto con la precedente direttiva europea n°2000/35/CE del 29 giugno 2000 (il decreto legislativo n°231/2002 di attuazione ne aveva escluso l`applicazione in particolare ai lavori pubblici), il testo fa esplicito riferimento ai lavori pubblici e agli interventi in edilizia. Restano fuori altre tipologie di pagamento dovute evidentemente a titolo diverso, come ad esempio indennità e risarcimento danni. I pagamenti interessati sono quelli dovuti da qualsivoglia soggetto indifferentemente pubblico o privato (il 14°considerando è proprio dedicato alle “amministrazioni aggiudicatrici di cui alla dir. 17 e 18 del 2004). Per quanto riguarda i contratti pubblici si  prevede un termine standard di pagamento di 30 giorni per i contratti con la Pubblica Amministrazione ed aumenta notevolmente gli indennizzi per le imprese in caso di ritardato pagamento della P.A., introducendo in particolare un tasso di interesse base (tasso BCE) maggiorato dell`8% sin dal 1° giorno di ritardo. Per il calcolo degli interessi che scatteranno in via automatica decorso il termine fissato, verranno calcolati come interessi semplici su base giornaliera. Per quanto riguarda invece i contratti privati,  la direttiva garantisce la libertà contrattuale, limitandosi a chiedere che tempi di pagamento superiori ai 60 giorni siano adeguatamente giustificati, e prevede sanzioni in caso di ritardo rispetto ai tempi fissati nel contratto. La finalità, come dichiarato, è disincentivare i ritardati pagamenti  intesa come violazione contrattuale resa “ attraente” per il debitore  dal pagamento con tassi d’interessi di mora. Quindi, si  mira al contempo ad accelerare i pagamenti ed a escludere il pagamento degli interessi di mora, clausola o prassi contrattuale gravemente iniqua. A tal fine, la direttiva prevede l’introduzione di disposizioni specifiche sui periodi di pagamento e sul risarcimento dei creditori  per le spese sostenute e prevede, tra l’altro, che l’esclusione del diretto risarcimento dei costi di recupero, sia presunta esser iniqua. Di conseguenza  si auspica, “di regola” il  termine di pagamento massimo di 60 giorni di calendario, salvo deroga voluta dalle parti, concordemente espressa tra le parti a condizione che, tale proroga, non sia gravemente iniqua per il creditore. Un risarcimento equo per il legislatore comunitario è relativo ai costi di recupero sostenuti a causa del ritardato pagamento; questo risarcimento dovrà includere i costi amministrativi ed i costi interni, a causa del ritardo, definito in un importo minimo forfettario (40 euro), che si cumula agli interessi di mora.  Ciò, però, mantiene fermo il diritto del creditore di adire il giudice per l’accertamento del maggior danno patito (ad esempio, per il ricorso al mercato del credito, la parcella dell’avvocato o agenzia di recupero crediti).

La disciplina per le Pubbliche Amministrazioni.

La direttiva dedica un ampio spazio ai ritardati pagamenti nelle pubbliche amministrazioni e assume posizioni che sorprendono, se solo si riflette ciò che avviene generalmente nel nostro paese. Il legislatore comunitario esordisce affermando che: “Di regola, le pubbliche amministrazioni godono di flussi di entrate più certi, prevedibili e continui rispetto alle imprese. Molte pubbliche amministrazioni possono inoltre ottenere finanziamenti a condizioni più interessanti rispetto alle imprese. Allo stesso tempo, per raggiungere i loro obiettivi, le pubbliche amministrazioni dipendono meno delle imprese dall’instaurazione di relazioni commerciali stabili. Lunghi periodi di pagamento e ritardi di pagamento da parte delle pubbliche amministrazioni per merci e servizi determinano costi ingiustificati per le imprese.  Di conseguenza per le transazioni commerciali relative alla fornitura di merci o servizi da parte di imprese alle pubbliche amministrazioni è opportuno introdurre norme specifiche che prevedano, in particolare, periodi di pagamento di norma non superiori a trenta giorni di calendario, se non diversamente concordato espressamente nel contratto e purché ciò sia obiettivamente giustificato alla luce della particolare natura o delle caratteristiche del contratto, e in ogni caso non superiori a sessanta giorni di calendario. Termini che restano tali anche con rifermento alle procedure di verifica che a loro volta vedono l’imposizione per la prima volta di un termine comunitario: si legge testualmente che  “Al fine di non compromettere il conseguimento dell’obiettivo della presente direttiva, gli Stati membri dovrebbero garantire che nelle transazioni commerciali la durata massima di una procedura di accettazione o di verifica non superi, di norma, trenta giorni di calendario. Tuttavia, dovrebbe essere previsto che una procedura di verifica possa superare trenta giorni di calendario, ad esempio nel caso di contratti particolarmente complessi, se espressamente previsto nel contratto e nella documentazione di gara e se ciò non risulti gravemente iniquo per il creditore”.

Definito l’ambito soggettivo, oggettivo e le prescrizioni  necessarie per la definizione della materia, il legislatore comunitario si concentra su di una finalità ambiziosa, quella di proibire l’abuso di libertà contrattuale a danno del creditore , senza toccare il diritto civile del singolo Stato membro:“quando una clausola contrattuale o una prassi relativa alla data o al periodo di pagamento, al tasso di interesse di mora o al risarcimento dei costi di recupero non sia giustificata sulla base delle condizioni concesse al debitore, o abbia principalmente l’obiettivo di procurare al debitore liquidità aggiuntiva a spese del creditore, si può ritenere che si configuri un siffatto abuso. A tale riguardo e conformemente al progetto accademico di quadro comune di riferimento, qualsiasi clausola contrattuale o prassi che si discosti gravemente dalla corretta prassi commerciale e sia in contrasto con il principio della buona fede e della correttezza dovrebbe essere considerata iniqua per il creditore. In particolare, l’esclusione esplicita del diritto di applicare interessi di mora dovrebbe essere sempre considerata come gravemente iniqua, mentre l’esclusione del diritto al risarcimento dei costi di recupero dovrebbe essere presunta tale.La presente direttiva non dovrebbe incidere sulle disposizioni nazionali relative alle modalità di conclusione dei contratti o che disciplinano la validità delle clausole contrattuali inique nei confronti del debitore. Nel contesto di maggiori sforzi per evitare l’abuso della libertà contrattuale a danno del creditore, le organizzazioni ufficialmente riconosciute come rappresentanti delle imprese e le organizzazioni che hanno un legittimo interesse a rappresentare le imprese dovrebbero poter agire dinanzi all’autorità giurisdizionale o agli organismi amministrativi nazionali al fine di evitare l’uso continuato di clausole contrattuali o prassi gravemente inique per il creditore. Al fine di contribuire al conseguimento dell’obiettivo della presente direttiva, gli Stati membri dovrebbero favorire la diffusione di buone prassi, anche incoraggiando la pubblicazione di un elenco dei buoni pagatori”.

Purtroppo, per quanto si illustrerà diffusamente nel proseguo, le procedure esecutive, a valle del mancato pagamento, cioè a dire la norma processuale resta disciplinata dal diritto nazionale, anche se si incoraggia il ricorso alla mediazione e forme bonarie di composizione soprattutto, quando si auspica che  la procedura di recupero dei crediti non contestati connessi al ritardato pagamento, si concluda in tempi brevi, anche attraverso procedura accelerata e indipendentemente dall’importo del contratto.

Il rispetto dei termini e le problematiche italiane per le P.A. 

I termini di cui sopra, pongono non pochi problemi in ordine sia alle fasi di accertamento e relativi termini, sia alla fase di liquidazione della spesa.

Per le fasi dell’accertamento,  i trenta giorni sono piuttosto esegui se solo si considera che il recente Regolamento esecutivo ed attuativo del codice dei contratti, prevede che sia il collaudo e  la verifica di conformità, che la regolare esecuzione, hanno tempi più lunghi: sei mesi la prima, 45 giorni nel caso di regolare esecuzione. Per la fase di liquidazione, il pagamento ha una fase istruttoria in cui intervengono diverse istituzioni tra cui gli organismi previdenziali con il rilascio del DURC, e l’agenzia delle entrate ed Equitalia per la regolarità fiscale e tributaria. Ciò avviene, ovviamente, per qualsiasi contratto di qualsiasi importo per quanto concerne il DURC, mentre per Equitalia, l’accertamento è imposto per importi superiori a 10 mila euro. La richiesta di questa documentazione, deve esser fatta ed ottenuta dalla stazione appaltante in proprio e, mentre per Equitalia si fissa un meccanismo di silenzio assenso laddove entro 7 giorni non si riceva risposta, per il DURC, il termine di rilascio dell’originale richiesto in via telematica, non è mai inferiore ai 30 giorni prescritti dalla Legge, per Agenzia delle Entrate, non esiste termine. L’art. 307 del citato Regolamento, per i contratti di forniture e servizi richiama in modo espresso il D. lgs. 231/01 e quindi in virtù di un rinvio mobile l’emanando nuovo dlgs di recepimento della nuova direttiva; per il lavori, invece, non dimentichiamo che finora si è applicato il D.M. 145/00, oggi trasfuso all’art. 133 del codice dei contratti, che riproduce un sistema completamente diverso, ancorato a D.M. ministeriali. Orbene, è evidente che il legislatore italiano, in sede di recepimento, dovrà intervenire in modo completo e sostanziale per attuare la direttiva in modo corretto e non incorrere in un inadempimento e soprattutto coordinare le disposizioni codicistiche con quelle di recepimento.

La tutela in giudizio.

La tutela giurisdizionale ordinaria.

Come anticipato, l’ulteriore nota dolente nel nostro Paese è il recupero del credito vantao nei confronti di una p.a.. La procedura per esecuzione forzata consiste in una forma di tutela diretta alla soddisfazione coattiva dei crediti. Può legittimamente procedere alla esecuzione forzata il creditore che sia in possesso di un titolo esecutivo per un diritto certo liquido ed esigibile. Ai fini dell’esecuzione forzata costituiscono titoli esecutivi:

  • le sentenze e i provvedimenti ai quali la legge attribuisce espressamente efficacia esecutiva;
  • le cambiali e gli altri titoli di credito e/o atti ai quali la legge attribuisce espressamente efficacia esecutiva;
  • gli atti ricevuti da notaio o da altro pubblico ufficiale a ciò autorizzato limitatamente alle somme in esso contenute.

L’inizio dell’esecuzione forzata deve essere preceduto dalla notificazione prima del titolo esecutivo e poi dell’atto di precetto. Come è noto, il precetto non è atto di esecuzione, bensì, un’intimazione ad adempiere l’obbligo risultante dal titolo esecutivo e quindi un atto preliminare al processo esecutivo con il quale il creditore manifesta al debitore la sua concreta pretesa lasciandogli, di norma, un ultimo lasso di tempo – generalmente non inferiore a 10 giorni- per l’adempimento spontaneo. Peraltro, è prevista una disposizione dilatoria in favore della p.a. che non permette al creditore di procedere a esecuzione forzata né alla notifica di atto di precetto nei confronti della p.a. se non siano trascorsi centoventi giorni dalla data di notifica del titolo esecutivo (dl n. 669/96 art. 14). Ciò vale anche in caso di decreto ingiuntivo, in deroga all’art. 654 co 2 c.p.c.. Sul punto è stato ritenuto che la norma non si pone in contrasto con le normativa comunitaria (direttiva 2000/35/Ce): la direttiva di settore, infatti, si limita ad armonizzare il termine (novanta giorni) entro il quale il creditore può ottenere il titolo esecutivo, senza entrare nella regolamentazione delle esecuzioni forzate che restano nella competenza del diritto interno dello stato membro (Corte giustizia CE, sez. I, 11 settembre 2008, n. 265). La Corte Costituzionale, nella sentenza 23 aprile 1998 n. 142 ha chiarito che la disposizione ricordata, accordando alle amministrazioni statali e agli enti pubblici non economici, attraverso il differimento dell’esecuzione, uno spatium adimplendi per l’approntamento dei mezzi finanziari occorrenti al pagamento dei crediti azionati, persegue lo scopo di evitare il blocco dell’attività amministrativa derivante dai ripetuti pignoramenti di fondi, contemperando in tal modo lo’interesse del singolo alla realizzazione del suo diritto con quello, generale, alla ordinata gestione delle risorse finanziarie pubbliche. Da quanto sopra discende che la parte a favore della quale sia stata pronunciata condanna al pagamento di una somma di denaro non può dare inizio all’esecuzione forzata, né può preannunciarla con la notifica del precetto, se prima non abbia notificato il titolo esecutivo e dalla notifica di questo non sia decorso il termine di 120 giorni (Tribunale Palermo, sez. II, 14 marzo 2007). Il congelamento del credito vale anche per la proposizione del giudizio di ottemperanza (richiesta al giudice amministrativo di provvedimenti esecutivi di sentenze): si applica il termine sospensivo di 120 giorni dalla notificazione del titolo esecutivo, e ciò perché anche il giudizio di ottemperanza rientra nel procedimento di esecuzione forzata nei confronti dell’amministrazione (Tar Lazio Latina, sez. I, 10 gennaio 2008, n. 25).  Se la pubblica amministrazione riceve un precetto prima del decorso del termine dilatorio, previsto dal citato art. 14 può proporre opposizione all’esecuzione (Tribunale Palermo, sez. II, 14 marzo 2007).  Il giudice dell’esecuzione deve rilevare d’ufficio il mancato rispetto del termine, dichiarando l’improcedibilità dell’azione esecutiva promossa dal creditore, anche se non c’è stata opposizione da parte dell’ente debitore (Tribunale Nocera Inferiore, sez. I, 24 novembre 2005). Vi sono, poi, orientamenti diversi sulla applicabilità del termine di 120 giorni a favore degli enti locali (comuni e province).  In favore della tesi contraria si schiera la giurisprudenza per cui deve essere operata una interpretazione letterale della norma di riferimento, che si riferisce esplicitamente alle amministrazioni dello Stato e degli enti pubblici non economici (Tar Lazio Latina, 22 novembre 2005, n. 1466). Una diversa opinione (preferibile) ritiene che il termine di 120 giorni si applica anche agli enti locali, che possono essere ricondotti tra gli enti pubblici non economici, ai quali si riferisce la norma.Non è stato ritenuto rilevante che le disposizioni non siano state inserite nel testo unico sull’ordinamento degli enti locali, mentre rileva, a favore dell’interpretazione ricomprensiva degli enti locali, la funzione della norma di realizzare un ragionevole contemperamento tra interesse del singolo e interesse generale ad un’ordinata gestione delle risorse finanziarie pubbliche (Cassazione civile, sez. III, 16 novembre 2005, n. 23084).

La tutela giurisdizionale amministrativa.

Il danno da ritardo dell’art. 2 della 241/90 L’azione di condanna dell’art. 30 del D.lgs. 104/10 Codice del processo amministrativo.

Sulla possibilità di tutela giurisdizionale amministrativa nei casi di ritardati pagamenti ci si deve chiedere se tale tutela è ammessa e se sia inquadrabile nella disciplina del danno da ritardo e/o in quella dell’ azione di condanna ex art. 30 del codice del processo amministrativo (Dlgs 104/2010). Per quanto concerne il danno da ritardo si osserva che tale istituto di creazione giurisprudenziale è stato recepito dal legislatore della riforma della legge sul procedimento amministrativo (art.2 e 2 bis della l. 241/90 come modificata dalla L. 69/2009). La nuova formulazione dell’art. 2, fissa un termine unico di 30 giorni per l’adozione di tutti i provvedimenti amministrativi (salva l’adozione di regolamenti interni degli enti che possono stabilire termini non superiori a novanta o centoottanta  giorni entro i quali devono concludersi i procedimenti di propria competenza).  In ipotesi di mancato rispetto del termine – indipendentemente dal fatto che l’atto sia stato o meno emanato successivamente alla scadenza, che sia positivo o negativo, che si sia stato o meno attivato il giudizio ex art. 21 bis legge TAR e senza che sia necessario svolgere la diffida all’amministrazione ed attendere il decorso del termine dilatorio di 90 giorni prima dell’introduzione del giudizio -, sarà possibile agire contro la pubblica amministrazione onde ottenere il risarcimento del danno. Inoltre, la mancata emanazione del provvedimento nei termini costituisce elemento di valutazione della responsabilità dirigenziale. Il successivo art. 2 bis l. 241/1990  disciplina la nuova azione di risarcimento danni per i ritardi del procedimento. In caso di mancato rispetto del termine (al momento 30 giorni) per l’adozione del provvedimento amministrativo il cittadino può agire per ottenere il risarcimento del danno. L’art. 2 bis della legge n. 241/1990, introdotto dall’ art. 7 lett. c) legge n. 69/2009, prevede l’obbligo di risarcimento a carico delle pubbliche amministrazioni e dei soggetti privati preposti all’esercizio di attività amministrative, del danno ingiusto cagionato in conseguenza dell’“inosservanza dolosa o colposa del termine di conclusione del procedimento”. La norma espressamente recita: Le pubbliche amministrazioni e i soggetti di cui all’articolo 1, comma 1-ter, sono tenuti al risarcimento del danno ingiusto cagionato in conseguenza dell’inosservanza dolosa o colposa del termine di conclusione del procedimento. 2. Le controversie relative all’applicazione del presente articolo sono attribuite alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo. Il diritto al risarcimento del danno si prescrive in cinque anni.”.

Il legislatore ha configurato l’azione di risarcimento in esame come illecito aquiliano, derivante quindi da responsabilità extracontrattuale, e come tale sottoposta alla disciplina dell’art. 2043 cod.civ.  Perché possa configurarsi il diritto al risarcimento del danno sarà quindi necessario che ricorrano le seguenti condizioni:

  • elemento soggettivo: dolo o colpa
  • elemento oggettivo: ritardo
  • sussistenza di un danno derivato all’istante dal mancato rispetto del termine amministrativo.

L’elemento oggettivo dell’illecito è costituito da una condotta omissiva individuata nella inosservanza, colposa o dolosa, dei termini del procedimento che abbia causato al privato un “danno ingiusto”. La fattispecie risarcitoria prevista dal nuovo articolo 2 bis della legge n. 241/90, con il superamento della prevalente giurisprudenza, aggancia il diritto al risarcimento del danno direttamente al ritardo o al silenzio della pubblica amministrazione indipendentemente dal contenuto dell’atto. Da quanto detto emerge che il danno da ritardo, tipologia di danno inizialmente elaborata dalla giurisprudenza e successivamente recepita dal legislatore, non può essere applicato ai ritardati pagamenti a carico delle pubbliche amministrazioni in quanto fattispecie riferita solo ai provvedimenti e non anche ai pagamenti. Esclusa la possibilità di ricorrere alla disciplina del danno da ritardo in caso di ritardati pagamenti, ci si deve chiedere se l’azione di condanna prevista dall’art. 30 del codice del processo amministrativo (Dlgs 104/2010) sia utilizzabile per i ritardati pagamenti. Dall’esame della norma emerge che (comma 2) può essere chiesta la condanna al risarcimento del danno ingiusto derivante dall’illegittimo esercizio dell’attività amministrativa o dal mancato esercizio di quella obbligatoria. Nei casi di giurisdizione esclusiva può altresì essere chiesto il risarcimento del danno da lesione di diritti soggettivi. Sussistendo i presupposti previsti dall’articolo 2058 del codice civile, può essere chiesto il risarcimento del danno in forma specifica. Anche tale tutela, quindi, è legata all’attività provvedimentale della p.a. In materia di ritardati pagamenti, pertanto, la tutela più immediata offerta dal codice del processo amministrativo, sembra essere il ricorso per decreto ingiuntivo disciplinato dall’art. 118 del codice stesso. In tale norma si dispone che: nelle controversie devolute alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo aventi ad oggetto diritti soggettivi di natura patrimoniale si applica il  capo I del Titolo I del libro IV del codice di procedura civile. Per l’ingiunzione è competente il presidente o un magistrato da lui delegato. L’opposizione si propone con ricorso. Al di là delle ipotesi di giurisdizione esclusiva, pertanto, ci si dovrà rivolgere al giudice ordinario per ottenere tutela contro il ritardato pagamento delle fatture o degli altri titoli dai quali deriva il credito nei confronti della p.a. che abbia violato i termini di cui al Dlgs 231/2002. Così, ad esempio, un professionista che abbia svolto un incarico professionale nei confronti della p.a. e non abbia ottenuto il pagamento entro i trenta giorni dalla presentazione della fattura potrà agire innanzi al giudice ordinario chiedendo l’emissione di un decreto ingiuntivo avente ad oggetto il pagamento degli interessi moratori dovuti per il ritardato pagamento della prestazione professionale. Ed ancora in corso di esecuzione di lavori o di prestazione di servizi o forniture, in caso di ritardato pagamento dei certificati di pagamento si può adire il giudice ordinario chiedendo: l’accertamento del diritto e la condanna al pagamento del corrispettivo non pagato,  la condanna al pagamento degli interessi da ritardato pagamento.

I profili di responsabilità contabile.

Da epoca inenarrabile, la problematica dei ritardati pagamenti è stata oggetto della giurisprudenza contabile che ha qualificato il pagamento degli interessi come danni erariali. Il comportamento dell’amministrazione nel ritardare i pagamenti non sempre corrisponde ai canoni di buon andamento e correttezza cui è improntata l’attività amministrativa. Di recente la Corte dei Conti – II sezione giurisdizionale centrale d’appello – con la sentenza n. 268/2010 ha condannato, confermando la sentenza di primo grado, il sindaco ed il segretario di un comune per il maggior esborso sostenuto dall’ente locale in conseguenza del ritardo nel pagamento delle competenze professionali di un ingegnere cui è stato affidato un incarico di progettazione.  Nel caso di specie il danno erariale contestato consiste nei maggiori oneri derivanti dalla procedura esecutiva in relazione al decreto ingiuntivo non opposto e costituente titolo esecutivo, con il quale il professionista ha ottenuto il pagamento delle sue spettanze nella misura inizialmente pattuita. La mancata opposizione al decreto ingiuntivo da parte del Comune è stata dagli appellanti giustificata con la volontà di ricercare “tutti i mezzi per una soluzione della lite che fosse idonea a produrre minor esborso per l’ente”. I Giudici contabili hanno invece ritenuto che proprio la consapevolezza da parte degli appellanti circa l’insussistenza di un qualsiasi motivo giuridico per proporre validamente opposizione al decreto ingiuntivo, alla quale sarebbe seguita la sicura soccombenza, connota ancora di più in termini di colpa grave il loro comportamento omissivo e contrario alle regole di buona amministrazione. Analogamente la II sezione giurisdizionale centrale d’appello con la sentenza n. 563/2010, ha condannato l’Amministrazione per l’esborso sostenuto e relativo sempre al mancato pagamento delle competenze professionali e oneri accessori maturati per la progettazione di opere mai realizzate per la mancanza di finanziamenti. Invero la Corte dei Conti – III sezione giurisdizionale centrale d’appello – con la sentenza n. 255/2005, ha ritenuto la responsabilità amministrativa per danno erariale in capo al direttore dei lavori per il ritardo nell’emissione del certificato di ultimazione dei lavori emesso dopo oltre quindici mesi dall’ultimazione degli stessi. Nel caso di specie il danno ha avuto ad oggetto la richiesta dell’ impresa di conseguire il rimborso degli oneri sostenuti in dipendenza del ritardo con il quale si è provveduto alla certificazione del collaudo ed al conseguente trasferimento delle opere all’ amministrazione. Secondo quanto sostenuto dai Giudici contabili il ritardo del direttore dei lavori è stato, nel suo insieme, significativo e determinante per la produzione del danno. La Corte dei Conti ha poi ravvisato un comportamento omissivo e negligente, sussistendo la colpa grave e profili di responsabilità amministrativa per il sindaco di un comune ed un direttore dei lavori. Il Giudice contabile ha condannato con la sentenza 1221/2000 il comportamento del Comune che ha rimandato il pagamento degli acconti subordinandolo a ulteriori valutazioni sulla rispondenza dei lavori alle pattuizioni negoziali ed alle regole dell’arte, valutazioni che si sono  sovrapposte a quelle del direttore dei lavori.  L’aver omesso di portare tempestivamente all’esame della Giunta comunale i necessari provvedimenti per l’approvazione dello stato di avanzamento dei lavori riguardante un appalto pubblico, nonché la conseguente liquidazione del certificato di pagamento è indice di colpa di particolare gravità, in ragione della grave noncuranza e superficialità resa palese in particolare dalle finalità della condotta in concreto tenuta dal Sindaco. Il Sindaco infatti, in ossequio ai principi di buon andamento, imparzialità e legittimità dell’azione amministrativa, deve far sì che l’Amministrazione adempia esattamente e tempestivamente alle obbligazioni assunte, specialmente se queste sono poste ex lege, e, quindi, deve far provvedere al sollecito pagamento di quanto dovuto ai creditori dell’Ente. Costituisce conseguentemente danno erariale addebitabile al direttore dei lavori la maturazione degli interessi conseguenti al ritardo con cui è stato rilasciato il certificato di collaudo, quando tale evento dannoso è la diretta conseguenza delle inerzie del medesimo direttore dei lavori nel predisporre gli atti contabili di sua esclusiva competenza. Nel caso di specie solo il pagamento dei primi due stati di avanzamento è avvenuto nel rispetto dei tempi previsti mentre i successivi stati di avanzamento ed il saldo finale sono stati pagati con notevole ritardo comportando non solo la maturazione degli interessi ma un pregiudizio per l’impresa per i maggiori costi sostenuti per il mantenimento delle polizze fidujussorie prestate. Soprattutto a seguito dell’entrata in vigore della direttiva sui ritardi di pagamento nelle transazioni commerciali (recepita con d.lgs. 231/02), le Pubbliche amministrazioni devono provvedere tempestivamente all’adempimento delle obbligazioni pecuniarie programmando le spese preparandosi tempestivamente all’atto solutorio come un normale debitore. Il danno erariale è causalmente riconducibile alla condotta gravemente colposa consistente nell’omissione di provvedere al pagamento nonostante i reiterati solleciti della ditta. Forse non è un caso che, l’Art.1, comma 59 – 60 della legge di stabilità 2011 ha previsto Istituzione di un Fondo per velocizzare i pagamenti da parte dei comuni verso le imprese fornitrici. Il fondo, dotato di 60 milioni di euro per il 2011, è finalizzato al pagamento degli interessi passivi maturati dai comuni per il ritardato pagamento dei fornitori. Un decreto Interno individuerà modalità e criteri di riparto e i comuni che avranno accesso al fondo: saranno quelli virtuosi, che hanno rispettato il patto di stabilità nell’ultimo triennio ed evidenziano un rapporto tra spese del personale ed entrate correnti interiore alla media nazionale. Ai fini  dell’applicazione degli interessi moratori, il ritardo ex articolo 1218 del codice civile deve essere imputabile alla  stazione appaltante. Da ciò consegue che sono improduttivi di interessi i  ritardi imputabili ad eventi non dipendenti dalla stazione appaltante quali, a titolo esemplificativo, l’ipotesi di causa di forza maggiore ovvero cause  riconducibili a fatto dello stesso appaltatore. Corollario indefettibile della  necessaria imputabilità del ritardo alla stazione appaltante è, inoltre, che  l’onere di fornire la prova della non imputabilità della causa del ritardo  grava sulla stessa pubblica amministrazione. Occorre rilevare, altresì, che  l’articolo 6 del decreto 231 ribadisce il diritto al  risarcimento dell’eventuale maggior danno ex articolo 1224, comma 2, del codice  civile. La  problematica in esame è stata oggetto di ripetuti interventi legislativi  nazionali (l. 28 gennaio 2009 n. 2 di conversione del d.l. 29 novembre 2008 n.  185 e l. 3 agosto 2009 n. 102 di conversione del d.l. 1 luglio 2009 n. 78),  volti a conseguire una maggiore efficienza nella programmazione degli impegni  di spesa da parte delle pubbliche amministrazioni. In  particolare, l’art. 9, d.l. n. 78/2009 ha introdotto una disciplina tesa a  garantire il sollecito pagamento di quanto dovuto dalle pubbliche  amministrazioni al fine di prevenire la formazione di nuove situazioni  debitorie, nonché di rilevare i residui passivi ed i debiti già in essere alla  data di entrata in vigore del decreto citato. Era prevista, da parte delle  pubbliche amministrazioni indicate nell’elenco adottato annualmente dall’ISTAT,  l’adozione, entro il 31 dicembre 2009, delle opportune misure organizzative per  garantire il tempestivo pagamento delle somme dovute per somministrazioni,  forniture ed appalti.  A tali misure avrebbe  dovuto essere data pubblicità sul sito internet delle amministrazioni  interessate. Viene, altresì, sancita la responsabilità di carattere disciplinare  e amministrativo del funzionario delle medesime amministrazioni, chiamato ad  adottare provvedimenti che comportano impegni di spesa, in caso di violazione  dell’obbligo di preventivo accertamento della compatibilità del programma dei  pagamenti sia con i relativi stanziamenti di bilancio sia con le regole di  finanza pubblica. La norma dispone poi, che, se per ragioni sopravvenute lo  stanziamento di bilancio non consenta di far fronte all’obbligo contrattuale,  l’amministrazione è chiamata ad adottare le opportune iniziative, anche di tipo  contabile, amministrativo o contrattuale, per evitare la formazione di debiti  pregressi. Peraltro, risultano esplicitamente escluse dalla applicazione delle  disposizioni illustrate le aziende sanitarie, ospedaliere, ospedaliere  universitarie, ivi compresi i policlinici universitari e gli istituti di  ricovero e cura a carattere scientifico pubblici, anche se trasformati in  fondazioni. Ulteriori  importanti disposizioni sono finalizzate a consentire lo smobilizzo più celere  dei crediti vantati nei confronti della pubblica amministrazione. L’art. 9,  comma 3-bis, d.l. n. 185/2008 (comma  aggiunto dalla legge di conversione 28 gennaio 2009, n. 2 e, successivamente,  modificato dall’articolo 1, comma 16, d.l. 30 dicembre 2009, n. 194,  convertito, con modificazioni, dalla l. 26 febbraio 2010, n. 25), per gli  anni  2009 e 2010, consente, su istanza  del creditore di somme dovute per somministrazioni, forniture e appalti, alle  regioni ed agli enti locali, nel rispetto dei limiti derivanti dal patto di  stabilità interno, di certificare, entro il termine di venti giorni dalla data  di ricezione dell’istanza “se il relativo  credito sia certo, liquido ed esigibile, anche al fine di consentire al  creditore la cessione pro soluto a favore di banche o intermediari finanziari  riconosciuti dalla legislazione vigente”. Tale cessione ha effetto nei  confronti del debitore ceduto, a far data dalla predetta certificazione, che  può essere a tal fine rilasciata anche nel caso in cui il contratto di fornitura  o di servizio in essere alla data di entrata in vigore della legge di  conversione del decreto legge escluda la cedibilità del credito medesimo. Il decreto del  Ministro dell’economia e delle finanze del 19 maggio 2009 ha dettato le modalità  di attuazione del menzionato articolo 9, comma 3-bis, stabilendo che, prima di rilasciare la certificazione, per i  crediti di importo superiore a diecimila euro, il responsabile dell’Ufficio di  Ragioneria dell’amministrazione debitrice debba verificare, ai sensi dell’articolo  48-bis del decreto del Presidente  della Repubblica 29 settembre 1973, n. 602, se il beneficiario è inadempiente  all’obbligo di versamento derivante dalla notifica di una o più cartelle di  pagamento per un ammontare complessivo pari almeno a tale importo.  Nel caso di accertata inadempienza  all’obbligo di versamento, la certificazione potrà essere resa al netto delle  somme ancora dovute.

La determinazione dell’Autorità per la Vigilanza 7 luglio 2010 e la giurisprudenza.

Anche l’Autorità è intervenuta sul tema ed ha precisato che: “La direttiva  2000/35/CE citata e, pertanto, il decreto 231 di attuazione, contengono norme  imperative dirette a riequilibrare la posizione di disuguaglianza tra le parti,  prevenendo un’alterazione del sinallagma contrattuale (cfr. sul punto, Consiglio  di Stato, sez. V, sentenza 1 aprile 2010 n. 1885; Consiglio Stato, sez. IV, 2  febbraio 2010, n. 469): la partecipazione ad una procedura di gara non può  quindi valere come accettazione tacita di condizioni di pagamento difformi da  quelle predeterminate ex lege.  Di  conseguenza, devono considerarsi inique le clausole di un bando di gara con cui  la stazione appaltante stabilisca unilateralmente un termine di pagamento ed  una decorrenza degli interessi moratori difformi da quelli stabiliti  dall’articolo 4 del suddetto decreto 231, nonché un saggio di interesse diverso  da quello previsto dall’articolo 5”.

Più in  dettaglio, l’imposizione della dilazione dei termini per il pagamento introdurrebbe  un indebito vantaggio per l’amministrazione, considerata, in ragione dei poteri  autoritativi di cui dispone nella fase pubblicistica dell’attività negoziale,  alla stregua di parte contrattuale forte (cfr. Consiglio di Stato, sez. V, 12  aprile 2005, n. 1638 e 28 settembre 2007, n. 4996). La  contrarietà a norme imperative determina, quindi, la nullità di tali clausole  con integrazione legale del contratto mediante applicazione automatica di  clausole di contenuto conforme a quelle illegittimamente derogate (cfr. artt.  1339 e 1419 c.c.). Tale nullità può essere fatta valere dalla parte o essere  rilevata d’ufficio in ogni stato e grado di un eventuale giudizio, nonché, ai  sensi dell’articolo 8 del decreto 231, eccepita dalle associazioni di categoria  in sede di azione inibitoria a tutela di interessi collettivi. Da ciò  consegue l’illegittimità di un’eventuale esclusione dalla procedura di gara disposta  in ragione della mancata accettazione (espressa o meno) della clausola  contrattuale iniqua.

Parimenti  illegittima è l’attribuzione di un punteggio, nell’ambito dell’offerta  economicamente più vantaggiosa, a termini di pagamento dilatati rispetto alla  disciplina legale. Per espressa previsione di legge, infatti, la deroga alle  condizioni legali è ammissibile soltanto per accordo tra le parti ed a patto  che le condizioni così pattuite non siano gravemente inique. L’interpretazione  esposta – che ricollega la grave iniquità alla predeterminazione unilaterale  delle clausole ed esclude la possibilità di accordo sulle clausole contenute  nei bandi di gara – rende, di fatto, inderogabili i termini e le condizioni di  cui al decreto 231 per la pubblica amministrazione, attesi gli obblighi di  individuazione della controparte contrattuale all’esito di una procedura ad  evidenza pubblica, in cui siano predeterminati e conosciuti tutti gli elementi  costituivi del contratto, compresi quelli che incidono sui termini di pagamento (Tar Piemonte, 2004, n. 250; Cass., sez. I, 29.7.2004, n. 14465). Non può dunque ritenersi sufficiente che la SA, per derogare alla suddetta  normativa puntuale, faccia in sede di bando di gara un generico richiamo alla necessità di rispetto del  patto di stabilità interno. Eventualmente, in via del tutto eccezionale, il  bando potrà indicare quelle condizioni oggettive specificamente individuate che  impediscono alla SA di rispettare le condizioni di pagamento imposte dalle  norme, purché le stesse non siano imputabili alla violazione del dovere  generale che grava sulle amministrazioni pubbliche di verificare la  compatibilità del programma dei pagamenti con  i relativi stanziamenti di bilancio e con le regole di finanza pubblica. In ogni  caso, al fine di evitare che un comportamento non corretto in sede di pagamento  possa produrre effetti esponenziali sul sistema delle imprese che operano a  valle con incarichi di subappalto, è opportuno che i contratti impongano  all’aggiudicatario che ha ottenuto un pagamento   da una pubblica amministrazione (sia esso tempestivo o ritardato) di  provvedere ai propri obblighi di pagamento verso i subappaltatori o fornitori con  lo stesso giorno di valuta, al fine di evitare che l’aggiudicatario trasferisca  il costo dell’inefficienza della stazione appaltante  su imprese di più piccole dimensioni e,  dunque, più fragili dal punto di vista finanziario  (Consiglio di Stato, sez. IV, 2 febbraio 2010, n. 469). Ed ancora, la giurisprudenza più recente ha riconosciuto la iniquità della clausola sui tempi di pagamento nella parte in cui preveda un pagamento del corrispettivo a 60 giorni dal ricevimento della fattura, anziché a 30 giorni, previsti dall’art. 4 del D. Lgs. 231 del 2002; la decorrenza degli interessi moratori dal 180° giorno anziché dal 30° giorno successivo alla scadenza del termine di pagamento, previsto dall’articolo 4; il saggio di interesse dell’1% anziché dell’8% (1% tasso BCE, più 7 punti di maggiorazione) previsto dall’art. 5 si pongono in diretta violazione degli articoli 4 e 5 del D. Lgs. 231 del 2002, la cui deroga non è ammessa dalla legge né nella presentazione della offerta può rinvenirsi il diverso accordo contrattato dalle parti solo a seguito di apposita contrattazione e trattativa sul punto, che evoca un concetto di contatto di tipo pararapportuale (o precontrattuale) che non può rinvenirsi certo nel binomio “bando- presentazione dell’offerta”, che già integra (quantomeno in parte) la conclusione del contratto.  Inoltre, tali clausole si pongono in modo indubbio nel senso di introdurre un ingiustificato vantaggio per la amministrazione predisponente, concretandosi nella aperta violazione della disciplina di riequilibrio delle diverse posizioni di forza, la cui tutela la direttiva comunitaria è proprio diretta a rafforzare (Consiglio di Stato sez IV 2/2/2010 n. 469). Ed infine, sulla medesima scia si è ritenuto che ritenuta l’iniquità della clausola sui tempi di pagamento, nella parte in cui non esplicita che, in mancanza di accordo derogatorio, si applicano comunque i termini di legge e nella parte in cui prevede quali parametri di possibile deroga concordata i “flussi finanziari di cassa in entrata a disposizione di questa azienda” e “i tempi tecnici strettamente necessari alle verifiche dell’esistenza del debito” (Tribunale Amministrativo Regionale Piemonte sez. I 5/5/2010 n. 2346).

Conclusione.  Si ritiene che il Governo debba considerare gli input europei in materia di contrasto al fenomeno dei ritardati pagamenti alla pari di quelli in materia di stabilità e risanamento dei conti pubblici e recepire al più presto la Direttiva. Oggi, infatti, il problema dei ritardati pagamenti sta mettendo a rischio la sopravvivenza di molte imprese di costruzioni, soprattutto quelle piccole e medie, che a fronte di lavori regolarmente eseguiti, non ricevono i pagamenti dovuti dalla P.A. I dati dell`Ance mostrano un costante e progressivo peggioramento del fenomeno dei ritardi che ha assunto dimensioni particolarmente gravi nel settore delle costruzioni: quasi la metà delle imprese edili – il 44% – subisce ritardi superiori ai 4 mesi oltre i termini contrattuali (quindi vengono pagate dopo più di sei mesi e mezzo dai lavori), con punte che arrivano anche a 24 mesi. I tassi di interesse applicati oggi in Italia in caso di ritardo non garantiscono alle imprese che realizzano lavori pubblici livelli di risarcimento in grado di compensare i maggiori costi sostenuti dalle imprese per fare credito alle Pubbliche Amministrazioni. Di fatto, le imprese di costruzioni pagano una tassa aggiuntiva per fare credito alla P.A. L`inasprimento delle sanzioni in caso di ritardo, oltre a garantire un migliore indennizzo alle imprese, potrebbe dare una spinta per migliorare l`efficienza della Pubblica Amministrazionee rendere più tempestivi i pagamenti.

Sending
Questo articolo è valutato
0 (0 votes)

Questo articolo è stato scritto da...

Avv. Francesca Petullà
Avvocato amministrativista, esperto in contrattualistica pubblica.
mediagraphic assistenza tecnico legale e soluzioni per l'innovazione p.a.