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Premessa

La recente giurisprudenza intervenuta in tema di accesso civico, sta chiarendo le connotazioni essenziali della fattispecie introdotta con il decreto legislativo 33/2013.  

In particolare, i vari interventi giurisprudenziali, come si vedrà più avanti, mettono in risalto significativi caratteri distintivi rispetto all’istituto generale del diritto di accesso (di cui alla legge 241/90) che consentono di qualificare l’accesso civico come fattispecie addittiva della prima ma non perfettamente sovrapponibile.

Gli aspetti per cui i due istituti non coincidono attengono direttamente al diverso presupposto che determina la  legittimazione  attiva – e passiva della p.a. o di chi si ingerisce nello svolgimento di attività amministrative -, al procedimento istruttorio sattisfattivo che deve avviare la p.a. escussa e le stesse finalità che tendono a conseguire.

Tutte una serie di circostanze che ben delimitano – ed hanno conseguenze precise – l’ambito operativo di ciascuna fattispecie.

1 Le connotazioni essenziali

Già prima facie, semplicemente a prima lettura, emerge dalle disposizioni di riferimento che il diritto di accesso e l’accesso civico si collocano su ambiti differenti tanto da poter sostenere che, in una complessiva considerazione, ciascuno rappresenta il  completamento dell’altro in relazione alle esigenze di trasparenza impone alla pubblica amministrazione.

Laddove trasparenza deve essere intesa non più come pubblicità/visibilità degli atti (come si legge ancora, probabilmente, nella disciplina del diritto di accesso) ma, piuttosto come necessità di rendere il complesso dell’attività amministrativa comprensibile. Comprensibilità, secondo l’intuizione del legislatore del 2013, che può essere favorita solo attraverso la scomposizione del procedimento amministrativo nei sui vari atti e dati (informazioni) che chi esercita pubbliche funzioni ha l’obbligo di rendere  trasparenti attraverso la pubblicazione in una specifica sezione del sito on line.

Come si evidenziava, da una prima lettura emerge chiaramente che si tratta di fattispecie nettamente distinte.

Sotto si riportano le disposizioni a confronto proprio per evidenziare le particolarità:

2 La questione  della legittimazione attiva

Il presupposto che deve legittimare le correlate è profondamente differente. Nel caso del diritto di accesso, la prerogativa della visione o dell’ostensione della documentazione richiesta – detenuta o prodotta – dai “soggetti di diritto pubblico e i soggetti di diritto privato limitatamente alla loro attività di pubblico interesse disciplinata dal diritto nazionale o comunitarioesige una particolare posizione da tutelare rispetto alla quale il diritto in argomento risulta strumentale. Occorre in sostanza un bene della vita ([1]) la cui protezione/tutela e/o ottenimento impone e giustifica la richiesta di accesso a documenti amministrativi.  

La richiesta di una peculiare posizione vale a delimitare l’ambito soggettivo che costituisce ulteriore tratto distintivo  rispetto all’accesso civico.

In questo, come si evince dalla norma sopra riportata non insiste nessun legame tra soggetto istante e una sua posizione qualificata.

La fattispecie, infatti, per poter essere attiva richiede un semplice presupposto ovvero che il soggetto agente sia p.a. o soggetto privato che si ingerisce nella svolgimento di attività amministrative ([2]) abbia violato uno specifico obbligo legislativo di pubblicare un certo dato/atto.

Il legislatore ha rimesso in sostanza, attraverso una forma di controllo sociale generalizzato, la possibilità di rilevare un inadempimento rispetto ad una obbligazione giuridica di un facere specifico, esigendo l’adempimento. Quanto, a prescindere che l’atto o il dato – di cui si esige la pubblicazione – sia o meno funzionale/strumentale  alla tutela di  particolari posizioni giuridiche vantate dall’interessato (cittadino/utente). 

Si tratterebbe poi di verificare, sotto il profilo pratico, se la prerogativa dell’accesso civico possa essere esercitata anche nel caso in cui pur non sussistendo un vincolo legislativo di pubblicare certi documenti amministrativi (o dati estrapolati da documentazione più ampia), la p.a. abbia deciso di vincolarsi con l’adozione di particolari regolamenti o atti di indirizzo imponendosi  un obbligo di trasparenza più ampio di quanto non sia stato previsto dalla normativa vigente.

Evidentemente, la p.a. dovrà ossequiare le proprie regole di comportamento che ha  deciso di darsi in totale autonomia.

Nel caso dell’accesso civico, pertanto, cambia la stessa qualificazione giuridica del soggetto che diventa parte della pubblica amministrazione. In questo, il soggetto istante è il cittadino/utente mentre nel secondo caso si deve trattare di un soggetto portatore di una specifica situazione e,quindi, autenticamente, controparte di un (sia consentito) rapporto giuridico instaurato attraverso la richiesta di ostensione/visione dei documenti.

Nel primo caso, pertanto, l’accesso civico soddisfa una esigenza di tipo generale, di  tipo sociale,  a prescindere, come annotato, da interessi singolari, privati/specifici a cui l’ordinamento ha attribuito dignità facendoli assurgere ad autentici  beni della vita.

Per quanto concerne la legittimazione attiva, condizionata dal diverso presupposto per attivare una delle prerogative, in giurisprudenza si è rilevato – in  relazione al diritto di accesso – con la sentenza n. 6352/2014 della III sezione del Consiglio di Stato che “ai sensi dell’art. 22, comma 1, lett. b), della legge n. 241 del 1990 e successive modificazioni, il diritto di accesso si indirizza nei confronti dei documenti amministrativi “detenuti dall’ Amministrazione e concernenti attività di pubblico interesse, indipendentemente dalla natura pubblicistica o privatistica della loro disciplina sostanziale”.

In sintesi, come annotato sopra, “il diritto di accesso è, quindi, strutturato al fine di consentire la conoscenza – in presenza di una situazione di interesse rilevante collegata al documento, come definita dall’art. 22, comma 1, lett. b) della legge n. 241 del 1990 – di atti rappresentativi dell’attività della p.a. finalizzata alla cura e perseguimento di scopi di interesse pubblico o che si configurino essenziali all’esercizio dell’attività stessa, indipendentemente dal fatto che essa sia espressione di poteri autoritativi o di autonomia negoziale dell’ ente”.

Ancora, tra le tante, il Tar Calabria, sez. I, sentenza n. 278/2014 che ha puntualizzato che il diritto di accesso “ai documenti amministrativi, azionabile da chiunque possieda un qualificato interesse per la tutela di situazioni giuridicamente rilevanti, ha infatti in primo luogo una finalità strumentale alla difesa in giudizio della situazione sottostante in quanto, consentendo la conoscenza degli atti sulla cui base l’Amministrazione ha formato la propria volontà ed ha assunto la conseguente determinazione, favorisce sia una più approfondita valutazione sull’opportunità di agire in giudizio a tutela della propria posizione sia la possibilità di censurare l’attività amministrativa per profili non direttamente percepibili dai provvedimento già acquisiti (cfr. T.A.R. Lazio, Sezione II ter, 26 giugno 2013 n. 6379)”.

Per quanto concerne, invece, l’accesso civico, con chiara esemplificazione il Tar Lazio, Latina, sez. I sentenza n. 1046/2014 ha rilevato che “pur essendo il rito ex art. 116 c.p.a. esperibile sia a tutela dell’accesso ai documenti amministrativi ex art. 22 della l. n. 241 cit., sia “per la tutela del diritto di accesso civico connessa all’inadempimento degli obblighi di trasparenza”, i due istituti sono tra loro diversi (come rammenta la stessa documentazione depositata dalla ricorrente: cfr. il comunicato dell’A.N.A.C. del 15 ottobre 2014), vista, in particolare, la differenza dei relativi presupposti. Essi, perciò, non devono essere confusi”. Pertanto, sempre lo stesso giudice, ha annotato che, acclarata la “distinzione e non sovrapponibilità tra i due istituti è stata delineata anche dalla più recente giurisprudenza (C.d.S., Sez. VI, 20 novembre 2013, n. 5515), la quale ha rimarcato come le nuove disposizioni dettate con il d.lgs. 14 marzo 2013, n. 33, in materia di pubblicità, trasparenza e diffusione di informazioni da parte della P.A. regolino situazioni non ampliative, né sovrapponibili a quelle che consentono l’accesso ai documenti amministrativi ai sensi degli artt. 22 e ss. della l. n. 241/1990. Con il d.lgs. n. 33/2013, infatti, si intende procedere al riordino della disciplina volta ad assicurare a tutti i cittadini la più ampia accessibilità alle informazioni concernenti l’organizzazione e l’attività delle P.A., allo scopo di attuare il principio democratico, nonché i principi costituzionali di uguaglianza, imparzialità, buon andamento, responsabilità, efficacia ed efficienza nell’utilizzo di risorse pubbliche, quale integrazione del diritto ad una buona amministrazione e per la realizzazione di un’Amministrazione aperta, al servizio del cittadino. Il tutto, con la pubblicazione obbligatoria di una serie di documenti (elencati nei capi II, III, IV e V del succitato decreto legislativo ed aventi ad oggetto l’organizzazione, nonché diversi campi di attività delle P.A.) nei siti istituzionali di queste, con diritto di chiunque di accedere a tali siti direttamente ed immediatamente, senza autenticazione, né identificazione; solo in caso di omessa pubblicazione può essere esercitato, ai sensi dell’art. 5 del d.lgs. n. 33 cit., il cd. acceso civico  consistente in una richiesta (che non va motivata) di effettuare tale adempimento, con possibilità, nel caso di conclusiva inadempienza dell’obbligo in questione, di ricorrere al G.A. secondo le disposizioni contenute nel d.lgs. n. 104/2010”. Mentre, sempre nella stesa sentenza “l’accesso ai documenti amministrativi, disciplinato dagli artt. 22 e ss. della l. n. 241/1990, è relativo al diritto degli interessati di prendere visione e di estrarre copia di “documenti amministrativi”, intendendosi per “interessati” i soggetti che abbiano un interesse diretto, concreto ed attuale, corrispondente ad una situazione giuridicamente tutelata e collegata al documento a cui si rivolge l’accesso, cosicché in funzione di tale interesse l’istanza di accesso deve essere motivata opportunamente”.

In modo netto, ancora lo stesso tribunale amministrativo capitolino ma della sezione III-bis di Roma con la sentenza n. 6068/2014 ha precisato nettamente che “l’accesso agli atti di cui alla legge n. 241/90 – a differenza dell’accesso civico, ai sensi dell’art.5 D.lgs.33/2013 – è quindi pur sempre ancorato alla necessità di un interesse concreto, per l’accertamento del quale non può prescindersi dalla strumentalità – in senso ampio- tra documentazione e difesa dell’interesse giuridicamente rilevante, mentre non è ammissibile ai sensi della legge n.241/90 un controllo generalizzato dell’attività amministrativa, per cui l’azione amministrativa deve essere salvaguardata da richieste pretestuose e defatiganti, ovvero introduttive di forme atipiche di controllo (Cons. Stato Sez. IV, 09-05-2014, n. 2379)”.

3 L’ambito oggettivo         

Il contingentamento soggettivo determinato dal presupposto legittimante, origina necessariamente un diverso approccio anche in relazione all’oggetto della richiesta.

Nel caso del diritto di accesso è la stessa legge 241/90 (art. 22, comma 1, lett. d) che  definisce il documento amministrativo in modo generico ammettendo la possibilità di una richiesta non limitata ai provvedimenti amministrativi ma anche ad atti “interni o non relativi ad uno specifico procedimento, detenuti da una pubblica amministrazione e concernenti attività di pubblico interesse, indipendentemente dalla natura pubblicistica o privatistica della loro disciplina sostanziale”.

In questo senso, deve ritenersi ammissibile l’accessibilità – sempre che ciò risulti funzionale e necessario rispetto alla tutela della posizione giuridica  vantata – anche ad atti interni di lavoro e, più in generale, a tutti gli atti istruttori che il responsabile del procedimento o il dirigente/responsabile del servizio ha collazionato per giungere ad una data decisione.

Si pensi, sotto il profilo pratico operativo, al caso in cui la proposta di provvedimento finale predisposta dal responsabile del procedimento non venga, ai sensi dell’articolo 6, comma 1, lett. e) ([3]) non ritenuto (motivatamente) congruo dal dirigente/responsabile del servizio e si sia giunti all’adozione di provvedimento di differente contenuto.

A sommesso avviso, difficilmente si potrà respingere la richiesta del soggetto istante diretta ad ottenere l’ostensione (o anche solo la visione) degli atti interni elaborati dal responsabile del procedimento e non presi in considerazione dal soggetto abilitato alla decisione finale.

Nel caso dell’accesso civico, salvo provvedimenti interni in auto-vincolo   gli atti/dati/informazioni da pubblicare sono già individuati dalla legge – si pensi in particolare al decreto legislativo 33/2013.

Inteso in questo senso, paradossalmente, pur vero che l’accesso  civico, come si vedrà più avanti in relazione alle affermazioni giurisprudenziali, è finalizzato a consentire un controllo generalizzato dell’attività amministrativa della p.a. è altresì vero che l’ambito oggettivo risulta più limitato rispetto  alla latitudine del diritto di accesso.

Il decreto legislativo 33/2013, a mero titolo esemplificativo, non impone la pubblicazione di atti interni del procedimento amministrativo, ma di atti/dati che oggettivamente hanno una valenza (esterna) sociale nel senso che risultano determinanti per la finalità di assicurare la comprensibilità del funzionamento sul  complesso dell’attività amministrativa posta in essere.

4 Le finalità  

I diversi presupposti, e quindi la diversa legittimazione attiva incide sulle stesse finalità delle due distinte fattispecie.

Il diritto di accesso è prerogativa utilizzata per fare valere una precisa posizione, l’accesso civico invece è espressione di una precisa volontà legislativa di consentire un accesso generalizzato e complessivo sull’attività amministrativa. Aspetti estranei al diritto di accesso disciplinato nella legge 241/90.

Anzi, la prerogativa in parola, nel caso in cui l’obiettivo sia quello di ottenere un controllo generalizzato non viene concessa dallo stesso giudice.  

In questo senso, nell’ambito di un orientamento giurisprudenziale costante, il Tar, Campania, Napoli sez. VI, con sentenza n. 1619/2014 in cui – in relazione al diritto di accesso – si puntualizza che “l’ordinamento prevede, infatti, che l’esibizione dei documenti sia strumentale alla tutela di un interesse concreto e meritevole di tutela e la necessità di un collegamento specifico e concreto con un interesse rilevante impedisce che l’accesso possa essere utilizzato per conseguire improprie finalità di controllo generalizzato sulla legittimità degli atti della P.A”.

Tutt’altra connotazione presenta la finalità dell’accesso civico.

Sul punto, il Consiglio di Stato, sez. V, con sentenza n. 3079/2014 in cui si rileva che “il recente decreto legislativo 14 marzo 2013, n. 33 avrebbe inteso la trasparenza come accessibilità totale delle informazioni concernenti l’organizzazione e l’attività delle pubbliche amministrazioni allo scopo di favorire forme diffuse di controllo sul perseguimento delle finalità istituzionali e sull’utilizzo delle risorse pubbliche e con l’introduzione dell’istituto dell’accesso civico sarebbe stato sancito l’obbligo per le pubbliche amministrazioni di rendere noti i documenti, le informazioni o i dati, attribuendo il diritto a chiunque di richiederli, nei casi in cui sia stata omessa la pubblicazione”.

Le finalità in parola, evidentemente, richiedevano strumenti/fattispecie differenti. La richiesta di ostensione/visione del documento amministrativo, ai sensi della legge 241/90, è funzionale ad un aspetto specifico e circoscritto che il richiedente deve specificare/dimostrare. La tutela della posizione giuridica in parola non può mai realizzarsi attraverso una richiesta indeterminata o generale.

Nel caso dell’accesso civico, si è sicuramente in presenza di una sorta di prerogativa fisiologica che – già esercitabile ante norma contenuta nell’articolo 5 del decreto legislativo 33/2013 – risultava sostanzialmente indefinita con la conseguenza di richiedere, addirittura, la necessità di adire il giudice per vedersi soddisfatta una richiesta – sia consentito – naturale.

Infatti, è del tutto evidente che se la p.a. amministrazione – o il soggetto che esercita attività amministrative – è tenuto a pubblicare i propri atti non appare assolutamente fondato un rifiuto di ostensione degli stessi  dati/atti.

Il legislatore ha ritenuto – a causa della scarsa propensione a rendere i propri atti visibili da parte della p.a. –  opportuno tracciare in contorni di una specifica fattispecie definendo una sorta di mappatura degli obblighi di trasparenza (indicazione specifica contenuta nel decreto legislativo 33/2013).

Come ben annotato in giurisprudenza – Tar Campania, Napoli, sez. VI, sentenza n. 5671/2014 – “in linea generale, va detto che, con il D.lgs. 33/2013, il legislatore italiano ha modificato la prospettiva del diritto di accesso; all’accesso procedimentale classico di cui gli artt. 22 e ss L. 241/1990, necessariamente collegato alle specifiche esigenze del richiedente (need to know), si è aggiunto il cd. Accesso civico – mutuato anche dall’esempio degli ordinamenti anglosassoni (si veda il Freedom of Information Act, cd. FOIA statunitense) e da specifici settori dell’ordinamento (per la materia ambientale, v. la Convenzione di Aarhus, recepita con L. 195/2005) – che garantisce all’intera collettività il diritto di conoscere gli atti adottati dalla pubblica amministrazione in funzione di controllo generalizzato da parte dell’opinione pubblica e di piena realizzazione del principio trasparenza (right to know).

Il suo stesso contingentamento, ai soli atti/dati per cui insiste un obbligo di trasparenza attraverso la pubblicazione, rende la fattispecie in commento sostanzialmente inapplicabile in relazione ad atti relativi a specifici procedimenti (come si vedrà più avanti in tema di appalti).  

5 Il procedimenti istruttorio

L’accesso civico, stante la sua natura e la sua finalità, si caratterizza per l’assoluta informalità della richiesta (e di conseguenza sono informali anche le stesse modalità di soddisfazione dell’istanza).

In questo senso, il secondo comma dell’articolo 5 del decreto legislativo 33/2013 puntualizza che “la richiesta di accesso civico non è sottoposta ad alcuna limitazione quanto alla legittimazione soggettiva del richiedente non deve essere motivata, è gratuita e va presentata al responsabile della trasparenza dell’amministrazione obbligata alla pubblicazione (…), che si pronuncia sulla stessa. Non si può non apprezzare – al di là della informalità della procedura – la circostanza che il legislatore non si sia rivolto in modo indeterminato alla pubblica amministrazione ma abbia preventivamente individuato il soggetto responsabile del correlato procedimento ovvero il responsabile della trasparenza. Ponendo fine al tradizionale atteggiamento di  deresponsabilizzazione della p.a.

Molto più frammentato, articolato ed indeterminato il procedimento relativo all’accesso disciplinato nella 241/90  (articolo 25).

La richiesta deve essere inviata all’amministrazione e, già prima facie, sorge la problematica del soggetto responsabile. Questi dovrebbe coincidere con il soggetto che ha formato e/o detenga l’atto richiesto. Da qui l’attivazione del procedimento amministrativo.

Si tratterebbe di chiarire poi se al procedimento de quo debba o meno applicarsi il c.d. preavviso di diniego in caso di risposte negativa all’ostensione/visione del documento richiesto (art. 10-bis della legge 241/90).       

In giurisprudenza non sono mancate annotazioni dirette ad ammettere la fattispecie del preavviso di rigetto anche in relazione all’accesso. In ogni caso, la più recente giurisprudenza tende ad escludere che alla richiesta di accedere e/o prendere visione degli atti che interessano proprie prerogative non si applica il preavviso di diniego.

Sostanzialmente, le ragioni in parola sono fondate sulla circostanza che l’accesso soddisfa un interesse partecipativo strumentale/secondario rispetto all’interesse/obiettivo principale e che pertanto non è in grado di tollerare un ulteriore fase procedurale. In questo senso, il Tar Lazio, Roma, sez. III con sentenza del 3  gennaio 2012 n. 30 ha evidenziato che “deve ritenersi inapplicabile l’art. 10 bis della L. n. 241 del 1990 ai procedimenti diretti ad ottenere l’accesso ad atti, sia in base all’elemento testuale, in quanto l’elenco dei procedimenti cui non è applicabile contenuto in tale disposizione non si ritiene che abbia carattere di tassatività, sia in base al dato sistematico, poiché il procedimento di accesso realizza un interesse meramente partecipativo, strumentale alla soddisfazione di un interesse primario, che non si concilia con la previsione di una ulteriore fase subprocedimentale (T.A.R. Lazio Roma, sez. I, n. 13562/2005; sez.II, n.71/2008)”. La questione è stata riaffrontata, con analoghe riflessioni, anche dal Tar Puglia, Lecce, sez. II, con la sentenza del 16 aprile 2012 n. 686, secondo cui, preso atto che “secondo una parte della giurisprudenza amministrativa, l’art. 10-bis della l. n. 241/1990 deve ritenersi inapplicabile ai procedimenti diretti ad ottenere l’accesso ad atti, sia in base all’elemento testuale, in quanto l’elenco dei procedimenti cui non è applicabile il preavviso di rigetto (contenuto in tale disposizione) non ha carattere di tassatività, sia in base al dato sistematico, poiché il procedimento di accesso realizza un interesse meramente partecipativo, strumentale alla soddisfazione di un interesse primario, che non si concilia con la previsione di un’ulteriore fase sub procedimentale (TAR Lombardia, Milano Sez. I 28 maggio 2010n. 1707;TAR Lazio, sez. II, 7 gennaio 2008, n. 71; TAR Lazio Roma, sez. I, 13 dicembre 2005, n. 13562)” risulta altresì acclarato, rileva il giudice pugliese che “anche ove si volesse accedere alla tesi del ricorrente, ritenendo astrattamente applicabile anche al procedimento di accesso documentale il disposto dell’art. 10-bis della legge n. 241/1990, il ricorrente non indica in maniera puntuale il contributo che avrebbe potuto apportare in sede procedimentale; conseguentemente se ne deve dedurre che possa trovare applicazione il disposto dell’art. 21-octies della l. n. 241/1990 e s.m.i. in merito ai vizi procedimentali, in quanto, verosimilmente, la partecipazione del ricorrente alla fase istruttoria non avrebbe potuto portare ad un diverso esito procedimentale”. La seconda delle considerazioni, da ultimo riportata, sembra effettivamente aprire una possibilità che anche all’accesso si applichi l’istituto in argomento attraverso un onere della prova piuttosto complicato che grava, evidentemente, sulla parte istante che dovrebbe dimostrare l’utilità del momento partecipativo sui motivi ostativi all’accoglimento della domanda. 

Sotto il profilo pratico/operativo, prescindendo da riflessioni sulla c.d. economia degli atti da compiere, nulla osta che il responsabile del procedimento (dell’accesso) possa suggerire al proprio dirigente/responsabile del servizio l’adozione del preavviso anche per creare un momento asettico di confronto con il soggetto interessato ed in funzione deflattiva del contenzioso.

Alla dinamica istruttoria, anche potenziale, in tema di accesso agli atti, come annotato, si contrappone l’assoluto svincolo da ogni formalismo nel caso di accesso civico. 

Una volta individuato il dominus della procedura (il responsabile della trasparenza), il procedimento, necessariamente, si svilupperà in modo più celere. In questo senso, (comma 3 articolo 5 del decreto legislativo 33/2013) il responsabile della trasparenza “entro trenta giorni, procede alla pubblicazione nel sito del documento, dell’informazione o del dato richiesto e lo trasmette contestualmente al richiedente, ovvero comunica al medesimo l’avvenuta pubblicazione, indicando il collegamento ipertestuale a quanto richiesto”, inoltre, “se il documento, l’informazione o il dato richiesti risultano già pubblicati nel rispetto della normativa vigente, l’amministrazione indica al richiedente il relativo collegamento ipertestuale”.

A differenza del classico bilanciamento tra interessi (e posizioni) contrapposti/e che si sviluppa necessariamente in caso di richiesta di accesso ex lege 241/90, che implica comunque un lavoro istruttorio attento e meticoloso, nel caso dell’accesso civico si tratta semplicemente di verificare se il dato/atto richiesto debba o meno essere pubblicato (circostanza che dovrebbe essere già conosciuta al responsabile della trasparenza), verificato l’obbligo si tratta di chiarire se lo stesso sia stato o meno adempiuto (anche questo particolare, per il ruolo del responsabile della trasparenza, dovrebbe già essere noto). Sulla base di quanto, procedere di conseguenza.       

6 La tutela

In relazione alla tutela, per la fattispecie dell’accesso civico il legislatore ha creato un meccanismo che più difficilmente, a sommesso avviso, rischia di essere eluso.

In primo luogo, ha previsto una fase di stragiudiziale risolvibile all’interno della p.a. attraverso il c.d. funzionario sostituto che ciascuna amministrazione ha l’obbligo di individuare prevedendo – inoltre -, una clausola di chiusura nel caso in cui l’ente non provveda.

In questo senso, il comma 9-bis dell’articolo 2 della legge 241/90 a mente del quale “l’organo di governo individua, nell’ambito delle figure apicali dell’amministrazione, il soggetto cui attribuire il potere sostitutivo in caso di inerzia. Nell’ipotesi di omessa individuazione il potere sostitutivo si considera attribuito al dirigente generale o, in mancanza, al dirigente preposto all’ufficio o in mancanza al funzionario di più elevato livello presente nell’amministrazione”.

Il funzionario sostituito può essere escusso dal cittadino/utente nel caso “di ritardo o mancata risposta”  (comma 4 dell’articolo 5 del decreto legislativo 33/2013).

In caso estremo, così come per il diritto di accesso, opera il comma 5 dell’articolo in commento a memoria del quale “la tutela del diritto di accesso civico è disciplinata dalle disposizioni di cui al decreto legislativo 2 luglio 2010, n. 104, così come modificato dal presente decreto”.

Circostanza, pertanto, che avvicina sensibilmente le due prerogative come emerge dall’articolo 116 del decreto legislativo 104/2010 secondo cui “contro le determinazioni e contro il silenzio sulle istanze di accesso ai documenti amministrativi, nonché per la tutela del diritto di accesso civico connessa all’inadempimento degli obblighi di trasparenza il ricorso è proposto entro trenta giorni dalla conoscenza della determinazione impugnata o dalla formazione del silenzio, mediante notificazione all’amministrazione e ad almeno un contro interessato”.

A rimarcare la rilevanza dell’accesso civico, in relazione alle finalità di controllo sociale, il comma di chiusura dell’articolo 5 prevede l’obbligo del responsabile della trasparenza di procedere con una specifica segnalazione in caso di richiesta “in relazione alla loro gravità, dei “casi di inadempimento o di adempimento parziale degli obblighi in materia di pubblicazione previsti dalla normativa vigente, all’ufficio di disciplina, ai fini dell’eventuale attivazione del procedimento disciplinare. Il responsabile segnala altresì gli inadempimenti al vertice politico dell’amministrazione, all’OIV ai fini dell’attivazione delle altre forme di responsabilità” (comma 5, articolo 43 del decreto legislativo 33/2013).

La precisa definizione dei soggetti tenuti e la definizione dell’ambito dei vincoli entro cui il soggetto responsabile si deve muovere determina, a sommesso avviso, un più facile presidio da parte del cittadino/utente. Pur evidente che, per effetto dell’esigenza di una più oculata e responsabile gestione delle procedure, ogni p.a. dovrebbe essere indotta ad individuare specificatamente i vari presidi – oltre che per i tradizionali procedimenti – anche e soprattutto per la fattispecie dell’accesso disciplinata dalla legge 241/90.

Fermo restando che anche in relazione a tale fattispecie potrà sicuramente operare, in caso di interzia, l’istituto del funzionario sostituto.     

7 L’accesso civico e i procedimenti concorsuali (appalti)

Le caratteristiche particolari dell’accesso civico ovvero il collegamento con obbligo rimasto inadempiuto della p.a di pubblicare dati/atti secondo specifiche previsioni normative, rendono per ciò stesso la fattispecie in argomento assolutamente inadeguata (ed inutilizzabile) rispetto agli atti e/o dati che non sono prodotti dalla pubblica amministrazione e/o comunque, su cui non vige alcun obbligo di pubblicazione.

La questione – con specifico riferimento agli appalti pubblici – è stata oggetto di recente considerazione da parte del  Tar Lombardia, Milano, sez. IV, con la sentenza del 30 ottobre 2014 n. 2587.

Nel caso di specie, il ricorrente – che richiedeva atti prodotti dall’aggiudicataria – non è stato ammesso a nessuna delle prerogative in commento.

In particolare, non è stato ammesso alla prerogativa di cui all’accesso ex lege 241/90 per l’assoluta carenza di interesse concreto ed attuale (si trattava del sesto in graduatoria di merito, pertanto, anche l’eventuale accoglimento dell’istanza non avrebbe prodotto alcun beneficio concreto circa la possibilità di aggiudicarsi la competizione); né è stata ritenuta congrua la propria istanza di ostensione alla luce dei contingentamenti stabiliti dall’articolo 13 del decreto legislativo 163/2006 che, per poter accedere agli atti comunque esclusi  dall’accesso (comma 5 dell’articolo 13) richiede il diretto collegamento alla necessità di adire il giudice amministrativo, sempre ferma l’esigenza di un interesse e concreto da tutelare (nel senso che la sola manifestata prospettiva di adire il giudice di per sé non è sufficiente).

Infine, il ricorrente non è stato ammesso neppure alla prerogativa dell’accesso civico stante l’esigenza della dimostrazione di un collegamento con l’obbligo inadempiuto di pubblicazione di atti da parte della pubblica amministrazione.

Un autentico obbligo di pubblicazione, nel procedimento amministrativo contrattuale, si può ravvisare solamente per quegli atti per cui insiste l’obbligo della pubblicità a pena di illegittimità degli atti adottati. Atti che normalmente, la stazione appaltante pubblica (si pensi agli atti di gara, avviso di preinformazione, bando o omologo, disciplinare etc).

Di certo la stazione appaltante non può ritenersi obbligata a pubblicare  atti che sono stati presentati in fase di gara dai concorrenti, si pensi alle giustificazioni delle condizioni proposte con l’offerta economica in fase di valutazione della potenziale anomalia).

In questo senso, sono piuttosto chiare le considerazioni espresse dal giudice lombardo secondo cui “fermo, poi, che con l’entrata in vigore del d.l.vo 14 marzo 2013, n. 33, gli obblighi di trasparenza a carico delle pubbliche amministrazioni sono stati generalizzati e rafforzati con l’affermazione del principio di trasparenza, intesa quale accessibilità totale delle informazioni concernenti l’organizzazione e l’attività delle pubbliche amministrazioni, nella prospettiva di assicurare forme pubbliche” (art. 1) appare del tutto evidente che  “le nuove disposizioni disciplinano fattispecie non immediatamente sovrapponibili a quelle che consentono l’accesso ai documenti amministrativi, ai sensi degli articoli 22 e seguenti della legge 1990, n. 241 e dell’art. 13 del d.l.vo 2006, n.163”.

In particolare, prosegue il giudice, “il d.l.vo n. 33/2013 è diretto ad assicurare a tutti i cittadini la più ampia conoscibilità delle informazioni, concernenti l’organizzazione e l’attività delle pubbliche amministrazioni, al fine di attuare il principio democratico e i principi costituzionali di eguaglianza, imparzialità, buon andamento, responsabilità, efficacia ed efficienza nell’utilizzo di risorse pubbliche, quale integrazione del diritto ad una buona amministrazione nonché per la realizzazione di un’amministrazione aperta, al servizio del cittadino. Tale normativa, avente pure dichiarate finalità di contrasto della corruzione e della cattiva amministrazione, impone la pubblicazione di una serie di documenti nei siti istituzionali delle medesime, con diritto di chiunque di accedere a tali siti “direttamente ed immediatamente, senza autenticazione ed identificazione e solo in caso di omessa pubblicazione può essere esercitato, ai sensi dell’art. 5 del citato d.l.vo, il cosiddetto “accesso civico”, consistente in una richiesta – che non deve essere motivata – di effettuare tale attività conoscitiva, con possibilità, in caso di omesso adempimento all’obbligo in questione, di ricorrere al giudice amministrativo, secondo le disposizioni contenute nel codice del processo amministrativo (cfr. in argomento, Consiglio di Stato, sez. VI, 20 novembre 2013, n. 5515)”.

Nel caso dei procedimenti d’appalto, pertanto, “non ha rilevanza il riferimento al c.d. accesso civico, in quanto la pretesa non è correlata alla generale conoscibilità di un documento formato dall’amministrazione di cui si lamenta l’omessa pubblicazione, ma alla conoscenza di atti prodotti dall’aggiudicataria nel corso di una procedura ad evidenza pubblica, sicché devono essere applicati i parametri stabiliti dall’art. 13 del D.L.vo 2006, n. 163”.


[1] In questo senso – per tutti –  F. Caringella  Manuale di diritto amministrativo, II, Il procedimento amministrativo, Roma 2012.

[2] In questo senso, il Consiglio di Stato, sez. I, con sentenza n. 166/2015 in cui si puntualizza che “la delimitazione della legittimazione passiva al diritto di accesso, fissata gli artt. 22 e 23 l. 241/90, comprende anche i soggetti di diritto pubblico e i soggetti di diritto privati limitatamente alla loro attività di pubblico interesse disciplinata dal diritto nazionale o comunitario, nonché i gestori di servizi pubblici” pertanto “la forma privatistica dell’ente pubblico non è di ostacolo al riconoscimento della legittimazione passiva in capo a quest’ultimo (cfr. Cons. St., Ad. Plen.. n. 5/2005)”. Con la logica conseguenza – nel caso di specie – che “una società per azioni interamente partecipata dall’amministrazione comunale, che gestisce il servizio pubblico di trasporto locale nelle forme del fenomeno dell’in house provinding, a maggior ragione ricade nell’ambito soggettivo della nozione di pubblica amministrazione tracciata dal citato art. 22 e, al contempo, in quella di soggetti gestori di servizi pubblici di cui all’art. 23, l. 241/90.

[3] Secondo cui il responsabile del procedimento “adotta, ove ne abbia la competenza, il provvedimento finale, ovvero trasmette gli atti all’organo competente per l’adozione” e “l’organo competente per l’adozione del provvedimento finale, ove diverso dal responsabile del procedimento, non può discostarsi dalle risultanze dell’istruttoria condotta dal responsabile del procedimento se non indicandone la motivazione nel provvedimento finale”.

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Dott. Stefano Usai
Vice segretario del Comune di Terralba (Or)
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