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Premesse

Con una recente ordinanza, il Consiglio di Stato ha rimesso alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea la questione sulla compatibilità comunitaria della normativa nazionale ove intesa nel senso di consentire  la prosecuzione dell’affidamento del servizio pubblico in house quando – a seguito di una operazione societaria di aggregazione – i requisiti del controllo analogo «pluripartecipato» non sussistano più rispetto a taluno degli enti locali che hanno in origine affidato il servizio di cui si tratta.

La questione – su cui non si rinvengono precedenti in giurisprudenza – coinvolge direttamente la previsione normativa, tuttora vigente, che consente il subentro e, quindi, la prosecuzione delle gestioni dirette in essere da parte del nuovo operatore economico succeduto al concessionario iniziale, in via universale o parziale, a seguito di operazioni  societarie effettuate con procedure trasparenti, comprese fusioni o acquisizioni: ciò a condizioni del rispetto di determinate condizioni (art. 3bis D.L. 138/2011), tra cui rientra la necessaria verifica da parte dell’affidante della persistenza dei presupposti iniziali dell’affidamento.  

L’in house «pluripartecipato» o «congiunto»

Il punto di riferimento è la Direttiva 2014/24/UE del 26 febbraio 2014 e in particolare l’art. 12[1], disciplinante i requisiti per disporre il cd. affidamento in house.

L’art. 12 della Direttiva è stato recepito, quasi alla lettera, dall’art. 5 del d.lgs. 18 aprile 2016 n.50 e dall’art. 2 del d.lgs. 19 agosto 2016 n. 175 (cd. Testo unico sulle società partecipate).

Il «controllo analogo» è individuato dalla Direttiva nell’«influenza determinante sia sugli obiettivi strategici che sulle decisioni significative della persona giuridica controllata».

Il controllo analogo «pluripartecipato» è stato disciplinato, in specie per tutelare quegli enti locali in possesso di partecipazioni di minoranza, nell’art. 12 cit.. Ci si riferisce alle ipotesi in cui il soggetto cui si intende conferire in via diretta un appalto o una concessione risulti controllato non già da un solo ente/organismo, bensì da una pluralità di enti, i quali sono in grado di esercitare il controllo solo in forma congiunta, risultando – se singolarmente intesi – privi di un siffatto potere.

A norma dell’art. 12 cit. le amministrazioni aggiudicatrici esercitano su una persona giuridica tale tipo di controllo allorquando sono soddisfatte tutte le seguenti condizioni:

i) gli organi decisionali della persona giuridica controllata sono composti da rappresentanti di tutte le amministrazioni aggiudicatrici partecipanti. Singoli rappresentanti possono rappresentare varie o tutte le amministrazioni aggiudicatrici partecipanti;

ii) tali amministrazioni aggiudicatrici sono in grado di esercitare congiuntamente un’influenza determinante sugli obiettivi strategici e sulle decisioni significative di detta persona giuridica, secondo le regole generali elaborate con riguardo all‘in house providing tradizionale e

iii) la persona giuridica controllata non persegue interessi contrari a quelli delle amministrazioni aggiudicatrici controllanti.

La figura in questione risultava a ben vedere già contemplata, ben prima della citata Direttiva, in via giurisprudenziale, con le famose sentenze della Corte di giustizia Teckal[2] e Coditel Brabant SA, che hanno definito i due requisiti dell’attività prevalente e del controllo analogo, precisando che il controllo analogo è possibile anche in presenza di una pluralità di soci pubblici, i quali singolarmente considerati siano titolari di partecipazioni di entità modesta, ma agiscano congiuntamente, anche nelle forme di una delibera a maggioranza; il Consiglio di Stato ripercorre poi i vari precedenti della Corte, secondo cui il controllo analogo, in linea di principio, sussiste quando gli organi statutari dell’ente affidatario partecipato siano composti da rappresentanti dei soci pubblici e, tramite tali organi, si eserciti un’influenza determinante sia sugli obiettivi strategici che sulle decisioni importanti di detta società.

Dalla giurisprudenza della Corte risulta, ancora, che il controllo analogo è escluso quando, accanto ai soci pubblici, esista un socio privato, anche di minoranza, poiché questi, da un lato, perseguirebbe logiche di profitto incompatibili con quella del controllo pubblico, dall’altro si ritroverebbe indebitamente favorito rispetto alle imprese concorrenti non socie (sentenza Stadt Halle).  

Va rammentato, inoltre, il principio secondo cui, ai fini del controllo analogo, la struttura del capitale sociale dell’affidataria deve rimanere la medesima nel periodo di riferimento (sentenza SEA), mentre tale requisito viene meno nel caso in cui, quando l’affidamento è disposto, il capitale sia interamente in mano pubblica, ma in base allo statuto si possa comunque successivamente cedere lo stesso, anche in parte, a privati. Oggi l’art. 12, della Direttiva cit. ammette l’in house a «controllo analogo congiunto» anche quando il capitale dell’organismo sia aperto alla partecipazione di capitali privati (purché non comporti loro controllo o potere di veto).

Sempre nella giurisprudenza della Corte si ritrovava poi il principio – ora espresso nell’art. 192, comma 2, del Codice dei contratti pubblici – in base al quale il ricorso all’in house rappresenta per l’amministrazione un’opzione residuale, percorribile soltanto a fronte di dimostrate ipotesi di fallimento di mercato[3].

Il caso di specie

Il giudizio origina dal ricorso presentato dinanzi al TAR Liguria dal Comune di Lerici avverso la Provincia di La Spezia, con cui il Comune chiedeva l’annullamento della deliberazione provinciale di La Spezia nella parte in cui veniva indicata la società Acam Ambiente s.p.a. quale gestore in house del servizio di gestione rifiuti per il Comune di Lerici stesso sino al 31/12/2028.

Ben prima della delibera provinciale, il Comune di Lerici aveva disposto l’affidamento in house della gestione del ciclo integrato dei rifiuti nel territorio comunale, per il periodo 2005 – 2028, in favore della società ACAM s.p.a. – a totale partecipazione pubblica e capitale ripartito fra i Comuni interessati, nella quale lo stesso Comune di Lerici deteneva una partecipazione. L’affidamento era stato disposto secondo il modulo dell’in house a controllo analogo congiunto, ai sensi della normativa europea e nazionale di riferimento che, nel testo allora vigente, dava in generale competenza ai Comuni in materia di servizi pubblici di rilevanza economica di proprio interesse (art. 113, comma 5, lett. c del D. Lgs. 18.8.2000, n. 267).

Medio tempore è intervenuta l’operazione di fusione per incorporazione tra la ACAM spa e la IREN s.p.a., multiservizi pubblica individuata tramite procedura di gara pubblica, che ha dato luogo alla nuova società Acam Ambiente s.p.a.. L’operazione è avvenuta nel quadro dell’art. 1 commi 611 e 612 della L. n. 190/2014, secondo cui gli enti locali sono tenuti ad «… un processo di razionalizzazione delle società e delle partecipazioni societarie direttamente o indirettamente possedute, in modo da conseguire la riduzione delle stesse»entro un dato termine, tenendo conto di una serie di criteri indicati in modo espresso, uno dei quali è la «aggregazione di società di servizi pubblici locali di rilevanza economica».

All’operazione ha trovato applicazione l’art. 3-bis comma 2-bis del D.L. n. 138/2011[4], secondo cui «L’operatore economico succeduto al concessionario iniziale, in via universale o parziale, a seguito di operazioni societarie effettuate con procedure trasparenti, comprese fusioni o acquisizioni, fermo restando il rispetto dei criteri qualitativi stabiliti inizialmente, prosegue nella gestione dei servizi fino alle scadenze previste».

«Ai sensi dell’art. 3bis D.L. 138/2011«L’operatore economico succeduto al concessionario iniziale, in via universale o parziale, a seguito di operazioni societarie effettuate con procedure trasparenti, comprese fusioni o acquisizioni, fermo restando il rispetto dei criteri qualitativi stabiliti inizialmente, prosegue nella gestione dei servizi fino alle scadenze previste» 

Poiché l’aggregazione comportava un forte ridimensionamento della quota societaria dei comuni soci di ACAM – tra cui il comune ricorrente -, quest’ultimo deliberava la sottoscrizione dell’accordo di investimento tra IREN ed ACAM soltanto in qualità di socio venditore, senza la successiva sottoscrizione di azioni IREN; successivamente, ritenuto non più strategico il mantenimento di una quota societaria assolutamente minoritaria del capitale sociale della nuova società, ha ceduto la partecipazione in ACAM alla società incorporante IREN, al prezzo di valutazione della società[5].

La Provincia di La Spezia aggiornava quindi il piano d’area provinciale di gestione del ciclo integrato dei rifiuti, indicando la nuova società, Acam Ambiente s.p.a., quale gestore del servizio nel territorio comunale, in forza di affidamento in house fino al 31/12/2028.

Il Comune di Lerici allora revocava l’affidamento in house del servizio di raccolta e trasporto rifiuti ad ACAM.

Ciò premesso, il Comune lamenta dinanzi al TAR che l’atto di affidamento in house deliberato dalla Provincia sia illegittimo e lesivo dei propri interessi, chiedendone l’annullamento o la riforma.

A supporto della propria tesi il Comune adduceva che:

1) la Provincia avrebbe dato atto della prosecuzione dell’affidamento in house ad ACAM del servizio di gestione di rifiuti anche con riferimento al Comune di Lerici, senza la preventiva ricognizione – mediante rituale comunicazione di avvio del procedimento – delle statuizioni del comune interessato, che aveva nel frattempo dismesso la partecipazione in ACAM e avviato il procedimento di ritiro della delibera di affidamento in house ad ACAM;

2) La delibera provinciale di affidamento presenterebbe profili di illegittimità in ordine

(a) al mancato esercizio delle competenze della Provincia e

(b) alla illegittima intromissione nelle competenze esercitate dal Comune ricorrente;

la Provincia, non avendo ancora individuato il gestore unico d’area, non potrebbe legittimamente statuire sull’esercizio temporaneo della gestione rifiuti, che spetterebbe ai comuni ai sensi dell’art. 198 del D.lgs. 152/2006;

3) a seguito della cessione delle quote di ACAM, il Comune di Lerici non possiede più alcuna partecipazione nella nuova società risultante dalla fusione tra ACAM ed IREN, sicchè la delibera provinciale sarebbe viziata nella parte in cui, con riferimento al Comune di Lerici, avrebbe omesso di considerare l’insussistenza dei presupposti di fatto e di diritto (segnatamente il controllo analogo) rilevanti per la prosecuzione della gestione in house del servizio[6];

4) prorogando l’affidamento alla nuova società fino al 2028, la Provincia violerebbe le direttive regionali, secondo cui non sono praticabili le soluzioni che consentirebbero la prosecuzione dei regimi in economia anche oltre il 2020;

5) l’affidamento provinciale non sarebbe conforme all’art. 3-bis del D.L. 138/2011, in quanto tale norma non deroga in alcun modo alla disciplina normativa sull’in house providing, disciplina che presuppone in ogni caso la permanenza del Comune all’interno della compagine sociale del soggetto in house, anche in misura minima.

«A seguito di operazioni di riorganizzazione societarie può venir meno il requisito del controllo analogo ponendo il problema della prosecuzione dell’affidamento in essere in capo ad una delle società parte dell’operazione stessa e precludendo il subentro della nuova società» 

La decisione del TAR

Con la sentenza n. 847/2019, il TAR ligure, respingeva il ricorso del Comune, evidenziando come la normativa vigente consentisse il subentro del nuovo soggetto societario nell’affidamento in house esistente e pienamente efficace anche dopo il venir meno della partecipazione dell’ente comunale nella società divenuta affidataria:

1) la delibera provinciale su piano dei rifiuti, in quanto atto di pianificazione, ai sensi dell’art. 13 legge n. 241/1990, non è soggetta alle norme generali sulla partecipazione al procedimento amministrativo; inoltre la scelta di mantenere la gestione in house da parte della Provincia era dettata dalla legge regionale, che salvaguardava, fino alla scadenza, le gestioni in house esistenti affidate dai comuni;

2) per effetto della L.R. Liguria n. 1/2014 ed in applicazione dei principi costituzionali di sussidiarietà e adeguatezza, le funzioni connesse all’affidamento dei servizi in materia di gestione integrata dei rifiuti sono state attribuite alle province, sia a regime (art. 16, comma 2, lett. e) che – in via transitoria – fino all’approvazione dei piani d’area (art. 24 comma 2 secondo alinea della L.R. n. 1/2014); la delibera provinciale risulta conforme anche alla normativa statale di cui all’art. 3-bis comma 1-bis D.L. n. 138/2011, che ha finanche cura di precisare che le deliberazioni degli enti di governo degli ambiti territoriali ottimali in materia di organizzazione dei servizi pubblici locali a rete di rilevanza economica, compresi quelli appartenenti al settore dei rifiuti urbani, e di scelta della forma di gestione, «sono validamente assunte nei competenti organi degli stessi senza necessità di ulteriori deliberazioni, preventive o successive, da parte degli organi degli enti locali»;

3) in merito ai presupposti di fatto a base dell’affidamento provinciale, applicandosi il principio tempus regit actum, la gestione in house del servizio rifiuti nel comune di Lerici conservava validità ed efficacia sia all’atto dell’entrata in vigore delle leggi regionali che hanno inteso salvaguardare «le scelte di gestione omogenea tra più comuni già operative» (art. 14 comma 6 L.R. n. 1/2014) e – specificamente – quelle in house esistenti, sia all’atto della adozione della delibera provinciale impugnata;

4)  la prescrizione regionale sulla non praticabilità degli affidamenti in economia anche oltre il 2020 concerne le sole gestioni «in economia», mentre il comune di Lerici non aveva in atto una gestione in economia, bensì in house;

5) all’atto dell’adozione del provvedimento impugnato, ACAM era affidataria in house del servizio rifiuti per il comune di Lerici con scadenza al 31.12.2018; il successivo venir meno della partecipazione del comune di Lerici in ACAM non renderebbe dunque illegittimo il relativo affidamento in house che è stato salvaguardato dalla L.R. n. 1/2014 sul solo presupposto che tale modalità di gestione fosse stata – a suo tempo – effettuata nel rispetto della previgente normativa (nel caso di specie, l’art. 113 comma 5 lettera c del D. Lgs. n. 267/2000).

L’appello al Consiglio di Stato

Contro la decisione del TAR il Comune di Lerici ricorre al Consiglio di Stato, che, con l’ordinanza del 18/11/2020 n. 7161, chiede l’intervento della Corte di Giustizia dell’Unione Europea, su istanza dello stesso Comune, al fine di accertare la compatibilità con le norme europee in tema di in house delle norme nazionali nella parte in cui consentono di continuare una gestione originariamente affidata in house quando i relativi presupposti, in particolare quello del controllo analogo, non sussistano più.

La posizione del Comune si basa sulla violazione dell’art. 12 della direttiva 2014/24/UE e dell’art. 4 del d.lgs. 19 agosto 2016 n. 175[7] (cd. Testo unico sulle società partecipate) per cui l’originario affidamento in house del servizio non avrebbe potuto essere mantenuto dalla Provincia in quanto dello stesso non esistevano più i presupposti:

– il servizio di gestione dei rifiuti urbani nel Comune ricorrente, a suo tempo affidato legittimamente in house alla ACAM S.p.a. (con controllo analogo congiunto), viene ora affidato alla IREN, e per essa alla sua controllata, senza che rispetto a nessuna di queste due società il controllo analogo più sussista;

– le azioni ACAM, già di proprietà del Comune ricorrente, sono diventate azioni IREN, e i presupposti del controllo analogo congiunto sono scomparsi già in questo momento. Infatti, la partecipazione nella IREN ha peso irrilevante, comunque non tale da potere influenzare le scelte della società in questione, la quale oltretutto, opera in tutta Italia, e quindi anche in aree del tutto estranee alla Provincia di La Spezia. Va inoltre considerato che la IREN è una società quotata sicchè la presenza di privati nel suo capitale è normale e fisiologica. Nel momento poi in cui il Comune ha ceduto la propria partecipazione nella IREN così acquisita è venuto a mancare qualsiasi collegamento – e quindi, ogni possibile controllo- del Comune sulla società stessa.

Nella situazione descritta, la Provincia di La Spezia, con l’atto impugnato, ha disposto l’affidamento del servizio per il Comune ricorrente in via diretta, senza procedere ad alcuna gara: secondo la tesi sostenuta dal Comune, ciò realizzerebbe un affidamento diretto illegittimo, per mancanza – sopravvenuta, in questo caso – dei requisiti dell’affidamento in house. In questo quadro – ritiene il Consiglio di Stato – il Comune avrebbe interesse ad impugnare l’affidamento diretto perché è suo interesse che il servizio nel proprio territorio sia gestito in modo legittimo.

Per contro, le resistenti deducevano che la selezione di IREN come società incorporante, in quanto effettuata tramite gara, soddisferebbe i requisiti necessari per proseguire il servizio, sicchè non vi sarebbe alcun affidamento diretto senza i presupposti dell’in house.

Secondo questa prospettazione, la procedura pubblica con cui si è scelto il partner per l’aggregazione (ossia la IREN) avrebbe dato luogo anche all’affidamento del servizio, disposto quindi a monte dalla gara esperita e non dalla delibera provinciale successiva. Se è vero che la gara non aveva, all’evidenza, per oggetto l’affidamento del servizio in questione, tuttavia, secondo le resistenti, si può ragionevolmente sostenere che lo comprendesse indirettamente, in base al principio logico e pratico per cui nel più sta il meno. Accogliendo la tesi della Provincia, non si configurerebbe alcun affidamento diretto illegittimo.

La questione è sicuramente rilevante ai fini della decisione: se fosse corretta la tesi sostenuta dal Comune appellante, andrebbe accolto il ricorso di primo grado, con annullamento dell’atto di affidamento impugnato. Di conseguenza la Provincia, competente in base alla legge regionale citata, dovrebbe disporre un nuovo affidamento in modo legittimo, quindi o mediante pubblica gara oppure mediante affidamento in house a soggetto che ne abbia i requisiti.

Seguendo invece la tesi opposta, il motivo di appello andrebbe respinto, perché l’affidamento sarebbe stato disposto in modo legittimo.

A prescindere da ogni considerazione nel merito, il Supremo giudice amministrativo si vede costretto a disporre il rinvio alla Corte europea e la conseguente sospensione del giudizio in quanto, ai sensi dell’art. 267 comma 3 TFUE, il Consiglio di Stato è giurisdizione nazionale di ultima istanza.

Il rinvio è preceduto da una rapida disamina della normativa e della giurisprudenza rilevanti. Il punto di partenza della analisi del giudice amministrativo è la Direttiva 2014/24/UE del 26 febbraio 2014, e il Testo Unico sulle società partecipate, che, all’art. 2 comma 1 lettere c) e d), definisce il controllo analogo e il controllo analogo congiunto; norme, queste, che – ricorda il Consiglio di Stato – sono soltanto ricognitive di un istituto già esistente in via giurisprudenziale.

Sul piano nazionale, invece, il Consiglio di Stato rammenta, innanzitutto, che l’art. 113 del TUEL consentiva l’affidamento in house e che tale norma era vigente all’epoca dell’affidamento in house disposto dal Comune di cui si tratta (2005): di qui la possibilità per gli enti locali di affidare il servizio costituendo a tale scopo una società di capitali a partecipazione pubblica. Successivamente è intervenuta la norma nazionale sulla gestione integrata dei rifiuti urbani ossia l’art. 200 d.lgs. 3 aprile 2006 n. 152, ai sensi del quale il servizio è gestito dalle Regioni, che vi procedono individuando ambiti territoriali ottimali ed hanno potestà legislativa integrativa al riguardo. Si richiama quindi il quadro regionale, evidenziando che la Regione Liguria (con la L.R. n. 1/2014) ha previsto che gli ambiti territoriali coincidano con le Province, le quali gestiscono il servizio per i Comuni che ne fanno parte. Tali enti devono provvedere necessariamente all’affidamento o per pubblica gara o in house nei casi in cui esso è consentito.

La ricognizione normativa del Supremo Giudice amministrativo si conclude con il richiamo alle norme in tema di partecipazioni societarie pubbliche: il Consiglio di Stato ricorda, nella specie, l’art. 1, commi 611 e 612, della L. n. 190/2014, nonché il già citato art. 3 bis comma 2 bis D.L. n. 138/2011, che ha previsto la continuità di gestione fra l’originario affidatario e il soggetto a lui subentrato.

Il rinvio alla Corte di giustizia

Delineato il quadro normativo, il Supremo Giudice mostra chiaramente di aderire alla posizione della Provincia e delle altre resistenti, pur riconoscendo, tuttavia, a giustificazione forse di una maggior cautela da utilizzare, che nella giurisprudenza amministrativa non esistono precedenti sul punto: l’attenzione deve porsi sul momento concorrenziale, che si raggiunge, in termini sostanziali, quando più operatori competono, o possono competere, per assicurarsi il relativo mercato nel periodo di riferimento, «indipendentemente dalla qualificazione giuridica dello strumento con il quale ciò avviene».

In questo senso, argomenta il Consiglio di Stato, «è irrilevante che l’affidamento di un dato servizio, nella specie quello relativo al Comune ricorrente appellante, avvenga per mezzo di una gara il cui oggetto è quel singolo servizio – isolatamente considerato ovvero assieme ai servizi per gli altri comuni dell’ambito – ovvero avvenga mediante una gara il cui oggetto è l’attribuzione del pacchetto azionario della società che tali servizi svolge, perché in entrambi i casi la concorrenza è garantita. Si sarebbe nella sostanza di fronte ad un fenomeno simile a quello del negozio indiretto, a titolo di esempio come nel caso in cui, invece di cedere un immobile con un contratto di compravendita, si preferisca cedere il pacchetto azionario della società che ne è proprietaria: il risultato economico finale è il medesimo, e quindi è corretto, in linea di principio, che le operazioni siano soggette alla stessa disciplina».

In altri termini, l’aggregazione societaria non deve eludere il meccanismo della gara per l’affidamento dei servizi. Ma se una gara «a monte» per la scelta del partner in funzione dell’aggregazione stessa sia stata esperita, allora sarebbe legittimo il mantenimento degli affidamenti in capo al nuovo soggetto. Il Consiglio di Stato sembrerebbe qui riferirsi alla giurisprudenza europea sulla cd. gara a doppio oggetto, basata su una sostanziale equiparazione/assimilazione tra la gara per la scelta del socio e la gara per l’affidamento del servizio, sebbene non se ne faccia alcuna menzione nell’ordinanza. In questo caso, viene in considerazione una società mista, l’affidamento alla quale è ritenuto ammissibile a condizione che si sia svolta una unica gara per la scelta del socio e l’individuazione del determinato servizio da svolgere, delimitato in sede di gara sia temporalmente che con riferimento all’oggetto[8].

Tuttavia la fattispecie resterebbe problematica laddove, all’esito dell’aggregazione, venissero meno i requisiti che legittimano l’affidamento del servizio.

Ad ogni modo, il Consiglio di Stato, stante l’espressa istanza del ricorrente, ritiene necessario, in conclusione, sollevare questione di pregiudizialità chiedendo alla Corte di Giustizia dell’Unione europea, ai sensi dell’art. 267 TFUE, di pronunciarsi sul quesito:

– se l’art. 12 della direttiva 2014/24/UE del 26 febbraio 2014 osti ad una normativa nazionale la quale imponga un’aggregazione di società di servizi pubblici locali di rilevanza economica, a seguito della quale l’operatore economico succeduto al concessionario iniziale a seguito di operazioni societarie effettuate con procedure trasparenti, comprese fusioni o acquisizioni, prosegua nella gestione dei servizi sino alle scadenze previste, nel caso in cui:

(a) il concessionario iniziale sia una società affidataria in house sulla base di un controllo analogo pluripartecipato;

(b) l’operatore economico successore sia stato selezionato attraverso una pubblica gara;

(c) a seguito dell’operazione societaria di aggregazione i requisiti del controllo analogo pluripartecipato più non sussistano rispetto a taluno degli enti locali che hanno in origine affidato il servizio di cui si tratta.

«Alla Corte di Giustizia UE si chiede se sia legittima la prosecuzione nell’affidamento in house da parte dell’operatore economico risultante da una aggregazione con la società originaria affidataria, il quale sia stato selezionato con procedure trasparenti, laddove vengano meno i requisiti del controllo analogo pluripartecipato che caratterizzavano l’affidamento originario».


[1] V. art 12: «Un appalto pubblico aggiudicato da un’amministrazione aggiudicatrice a una persona giuridica di diritto pubblico o di diritto privato non rientra nell’ambito di applicazione della presente direttiva quando siano soddisfatte tutte le seguenti condizioni:

a) l’amministrazione aggiudicatrice esercita sulla persona giuridica di cui trattasi un controllo analogo a quello da essa esercitato sui propri servizi;  b) oltre l’80 % delle attività della persona giuridica controllata sono effettuate nello svolgimento dei compiti ad essa affidati dall’amministrazione aggiudicatrice controllante o da altre persone giuridiche controllate dall’amministrazione aggiudicatrice di cui trattasi; e  c) nella persona giuridica controllata non vi è alcuna partecipazione diretta di capitali privati, ad eccezione di forme di partecipazione di capitali privati che non comportano controllo o potere di veto, prescritte dalle disposizioni legislative nazionali, in conformità dei trattati, che non esercitano un’influenza determinante sulla persona giuridica controllata. (…).

Un’amministrazione aggiudicatrice che non eserciti su una persona giuridica di diritto privato o pubblico un controllo ai sensi del paragrafo 1 può nondimeno aggiudicare un appalto pubblico a tale persona giuridica senza applicare la presente direttiva quando sono soddisfatte tutte le seguenti condizioni: a) l’amministrazione aggiudicatrice esercita congiuntamente con altre amministrazioni aggiudicatrici un controllo sulla persona giuridica di cui trattasi analogo a quello da esse esercitato sui propri servizi; b) oltre l’80 % delle attività di tale persona giuridica sono effettuate nello svolgimento dei compiti ad essa affidati dalle amministrazioni aggiudicatrici controllanti o da altre persone giuridiche controllate dalle amministrazioni aggiudicatrici di cui trattasi; e c) nella persona giuridica controllata non vi è alcuna partecipazione diretta di capitali privati, ad eccezione di forme di partecipazione di capitali privati che non comportano controllo o potere di veto prescritte dalle disposizioni legislative nazionali, in conformità dei trattati, che non esercitano un’influenza determinante sulla persona giuridica controllata.».

[2] Ed infatti, con la sentenza Teckal la CGUE ammise la legittimità dell’affidamento diretto «… nel caso in cui, nel contempo, l’ente locale eserciti sulla persona di cui trattasi un controllo analogo a quello esercitato sui propri servizi e questa persona realizzi la parte più importante della propria attività con l’ente o con gli enti locali che la controllano».

[3] Si veda però l’ordinanza del Consiglio di Stato del 7 gennaio 2019, n. 138 che rimette alla Corte di giustizia UE la questione interpretativa circa la compatibilità fra le disposizioni nazionali limitative del ricorso all’in house providing e le norme europee, che sembrano riconoscere a tale tipologia di affidamenti una valenza del tutto equiordinata rispetto alle altre forme conosciute dall’ordinamento (in primis all’affidamento con gara). L’ordinanza del 6/2/20 con cui la Corte riconosce la legittimità delle norme nazionali che subordinano la conclusione di un’operazione interna, denominata anche «contratto in house», all’impossibilità di procedere all’aggiudicazione di un appalto e, in ogni caso, alla dimostrazione, da parte dell’amministrazione aggiudicatrice, dei vantaggi per la collettività specificamente connessi al ricorso all’operazione interna.

http://curia.europa.eu/juris/document/document.jsf?text=&docid=223401&pageIndex=0&doclang=it&mode=lst&dir=&occ=first&part=1&cid=5818664

[4]V. D.L. 13 agosto 2011, n. 138, art. 3bis, comma 2bis, secondo cui: «2-bis. L’operatore economico succeduto al concessionario iniziale, in via universale o parziale, a seguito di operazioni societarie effettuate con procedure trasparenti, comprese fusioni o acquisizioni, fermo restando il rispetto dei criteri qualitativi stabiliti inizialmente, prosegue nella gestione dei servizi fino alle scadenze previste. In tale ipotesi, anche su istanza motivata del gestore, il soggetto competente accerta la  persistenza  dei  criteri qualitativi e la permanenza delle condizioni di equilibrio economico-finanziario al fine di procedere, ove necessario, alla loro rideterminazione, anche tramite l’aggiornamento del termine di scadenza di tutte o di alcune delle  concessioni in essere, previa verifica ai sensi dell’articolo 143, comma 8, del codice di cui al decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163, e successive modificazioni, effettuata dall’Autorità di regolazione competente, ove istituita, da effettuare anche con riferimento al programma degli interventi definito a livello di ambito territoriale ottimale sulla base della normativa e della regolazione di settore.».

[5] Gli altri Comuni, soci aderenti, invece, hanno ceduto le azioni ACAM da loro possedute ed hanno acquistato, sottoscrivendo un aumento di capitale riservato, una quota corrispondente di azioni IREN: come effetto finale, le azioni ACAM sono diventate azioni IREN e quest’ultima, tramite le controllate dell’ACAM, divenute controllate proprie, ha continuato a gestire i servizi ad esse in origine affidati.

[6] Tale omissione comporterebbe infatti la violazione e falsa applicazione dell’art. 3 Costituzione, dell’art. 113 d.lgs. 267/2000, dell’art. 5 d.lgs. 50/2016 e del d.lgs. 175/2016 nonché la violazione dei principi della concorrenza e della parità di trattamento, di imparzialità e buon andamento dell’azione amministrativa, eccesso di potere per inesistenza dei presupposti di fatto e/o di diritto.

[7] L’articolo 4, comma 1, del Testo unico sulle società partecipate stabilisce che «le amministrazioni pubbliche non possono, direttamente o indirettamente, costituire società aventi per oggetto attività di produzione di beni e servizi non direttamente necessarie per il perseguimento delle proprie finalità istituzionali, né acquisire o mantenere partecipazioni, anche di minoranza, in tali società». La Corte di Giustizia – interpellata con ordinanza del Consiglio di Stato, V, ord. 7 gennaio 2019, n. 138 – ha chiarito, con ordinanza del 6/2/2020, cause riunite C-89/19 e C-91/19, che  è legittima la normativa nazionale che impedisce ad un’amministrazione aggiudicatrice di acquisire partecipazioni al capitale di un ente partecipato da altre amministrazioni aggiudicatrici, qualora tali partecipazioni siano inidonee a garantire il controllo o un potere di veto e qualora detta amministrazione aggiudicatrice intenda acquisire successivamente una posizione di controllo congiunto e, di conseguenza, la possibilità di procedere ad affidamenti diretti di appalti a favore di tale ente, il cui capitale è detenuto da più amministrazioni aggiudicatrici.

[8] Cfr. Consiglio di Stato, Sez. V, 30 settembre 2010, n. Sez. VI, 16 marzo 2009, n. 1555 e Corte Giustizia, sez. III, 15 ottobre 2009, C-196/08, Acoset.

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Questo articolo è stato scritto da...

Francesca Scura
Avv. Francesca Scura
Avvocato amministrativista, esperto in contrattualistica pubblica
mediagraphic assistenza tecnico legale e soluzioni per l'innovazione p.a.