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Esisteva un tariffario. Era già tutto stabilito. Tutti si attenevano a quei prezzi. Non era ammesso applicarne di differenti. Nessun rincaro e nessuno sconto. A ogni specifica prestazione corrispondeva un determinata remunerazione. Ed esisteva la certezza che qualsiasi professionista sarebbe stato scelto, la sua prestazione sarebbe stata qualitativamente identica a quella offerta da un altro specialista dello stesso settore.

Il sistema era di una perfezione talmente innaturale che non esisteva.

L’umanità non è un posto perfetto. Non lo sarà mai. Del resto, è proprio l’imperfezione che ci rende umani. Alla costante ricerca di un equilibrio che fattori indipendenti dalla nostra volontà non permettono di palesarsi.

Nello scenario descritto tutto è semplificato. Una stazione appaltante deve commissionare un lavoro o un servizio? Basta scorrere l’elenco dei professionisti disponibili e sceglierne uno. Fatto. Nessun margine di errore. Nessun dubbio sul prezzo. Nessun sospetto di corruzione.

Tale perfezione, oltre ad essere innaturale, contrasterebbe con i principi di un sistema che si basa sulla libera concorrenza. Che cosa accadrebbe se tutto fosse predeterminato? Se fosse abolito qualsiasi incentivo a fare meglio degli altri e assicurarsi un compenso più remunerativo, assisteremmo a un appiattimento delle prestazioni.  Nessuno avrebbe interesse a offrire un servizio che possa distinguere il proprio operato rispetto a quello di un potenziale concorrente.

Il compenso non può essere fissato univocamente. Predeterminato. Universale. Semmai deve essere equo, proporzionato alla natura del servizio offerto, in linea con le energie e i tempi necessari per eseguirlo. È quanto stabilisce la Legge 49 del 2023 che all’articolo 1 afferma che l’equo compenso deve essere “proporzionato alla quantità e alla qualità del lavoro svolto, al contenuto e alle caratteristiche della prestazione professionale”. Cosa tutela questa legge? Difende i professionisti da un deprezzamento delle proprie prestazioni, li mette al riparo da speculazioni e indebite richieste. Si pone quale baluardo a garanzia del rispetto del lavoro. E, chiarisce l’articolo 2 al comma 3 in tema di ambito di applicazione che “le disposizioni della presente legge si applicano altresì alle prestazioni rese dai professionisti in favore della pubblica amministrazione”.

Chiaro. Tutti d’accordo? No. Nella nota che il 19 aprile scorso, l’ANAC ha indirizzato al Ministero dell’Economia e al Ministero delle Infrastrutture, si assume una postura contraria all’applicazione dell’equo compenso definito dalla L. 49/23 nel ramo degli appalti pubblici. “La previsione di tariffe minime non soggette a ribasso rischia di porsi in contrasto con il Diritto Euro-Unitario, che impone di tutelare la concorrenza”.

È probabilmente l’idea dominante di concorrenza che andrebbe riformulata. Non può essere ricondotta e ridotta al solo aspetto economico. Generalisticamentesi ritiene giusto fare concorrenza operando sui prezzi. Idealmente sarebbe meglio auspicare a una concorrenza che tenga conto della qualità. Che non si limiti ai prezzi ma che esalti il valore. 

Dove ci ha portato la valutazione quasi esclusiva delle spese? Dove ci ha condotto il sistema del ribasso? Alla concorrenza tra operatori che hanno offerto prestazioni economicamente convenienti che poi si sono rilevate qualitativamente scadenti. Un’esperienza di cui, probabilmente, non si riesce a fare del tutto tesoro. Che ancora non ci porta a considerare che ci possono essere altri parametri che possono orientare le scelte che quotidianamente compiamo.

L’ipotetico scenario descritto in apertura e quello realistico della libera concorrenza, hanno questo in comune: sono fossilizzati sul prezzo. Questo esclusivo riferimento al prezzo non ci permette di soffermarci sul valore. Il valore dell’opera. Il valore del lavoro necessario per eseguirla. “Oggi la gente conosce il prezzo di tutto e il valore di nulla” affermava Oscar Wilde.

Confrontare differenti proposte di prezzo è un esercizio che sappiamo fare tutti. È immediato. Necessita di poche conoscenze tecniche. Indagare sul valore di quanto ci viene proposto è più complicato, ammettiamolo. Ma vogliamo escludere questa strada solo perché meno comoda? Il valore di un progetto lo si comincia a comprendere, ad esempio, indagando sulla fattibilità di un progetto e sulla congruità degli investimenti preventivati. Lo si evince, come recita l’art. 1 della Legge 49/23, facendo riferimento “alla quantità e alla qualità del lavoro svolto, al contenuto e alle caratteristiche della prestazione professionale”.

Tra le argomentazioni assunte dall’ANAC per giustificare una posizione avversa all’equo compenso, il sostenere che “l’eventuale limitazione alle sole spese generali o all’elemento qualitativo rischierebbe di introdurre di fatto una barriera all’ingresso per gli operatori, più giovani, meno strutturati e di minore esperienza”. Un’asserzione che ammette l’esistenza di discriminazioni basate sull’anagrafica dei professionisti. Un rischio che, però, non dovrebbe sussistere se è vero che la stessa ANAC, con delibera N. 358 del 20 luglio 2023 ha dichiarato che “nell’ambito del concorso di progettazione, la regola dell’anonimato sancita dall’art. 155, comma 4 del d.lgs. 50/2016, deve essere garantita nel momento valutativo degli elaborati progettuali, i quali non devono essere in alcun modo riconducibili all’autore degli stessi”. Quindi, su questo piano, non esisterebbero pericoli di penalizzazione dei giovani. Se fosse veramente questa la causa del divergere, l’equo compenso come previsto dalla L. 49/23 sarebbe salvo. Il valore potrebbe cominciare a emanciparsi dal prezzo. Ma la strada non è così liscia e si invoca da parte della stessa Anticorruzione un “urgente intervento interpretativo”. Quanto tempo si dovrà attendere prima di avere una risposta? Dipende dal valore che si intenderà dare alla questione.

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Dott. Enzo de Gennaro
Direttore Responsabile
mediagraphic assistenza tecnico legale e soluzioni per l'innovazione p.a.