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( votes)Giulio non è una persona che patisce i crampi della gelosia. Ha sempre avuto poco dalla vita e le ha sempre e comunque detto “grazie”. Giulio non vive nelle eleganti villette fuori città, ci passa ogni giorno davanti, le guarda con meraviglia e ammira chi se le è potute permettere. Il suo datore di lavoro arriva in cantiere al volante di un SUV fuorimisura. Giulio lo segue con lo sguardo e pensa che è fantastico. Fantasticare, del resto, è una delle cose che gli riesce meglio. Immagina che un giorno abiterà in un bell’appartamento all’ultimo piano, luminoso e con ampie verande. Immagina che ogni estate porterà i bambini in vacanza in lussuosi resort in riva al mare. Immagina la moglie felice di indossare quei vestiti esposti nelle vetrine al civico 189 del corso. Immaginare tiene in allenamento la mente. È un esercizio che rilassa. “Attraverso l’immaginazione abbiamo il potere di essere qualsiasi cosa desideriamo essere”, affermava lo scrittore Neville Goddard. E, soprattutto, non costa niente.
Se costasse qualcosa immaginare, Giulio ne dovrebbe fare a meno. Così come fa a meno di tantissime altre cose: un nuovo smartphone, le vacanze, il concerto della sua band preferita, la pizza ogni fine settimana. Come dici? Giulio, certo, lavora. L’ho detto prima. Perché non può avere una vita normale? Perché il suo è quello che viene definito “lavoro povero”.
Si tratta di una patologia diffusa, spesso invisibile. Consuma chi ne è affetto nella dignitosa solitudine di austere abitazioni. Lavorare e vivere ai margini della soglia della povertà.
È da un po’ di tempo che sentiamo parlare, in maniera davvero poco convinta a dir la verità, di salario minimo. Un salario che possa garantire uno standard di vita dignitoso, con il quale si possa far fronte alle spese essenziali che una famiglia deve sostenere giorno per giorno. Nelle more delle decisioni della più alta carica legiferante, le iniziative sporadiche e in ordine sparso delle amministrazioni locali. Lo fanno a loro modo, entro quel ristretto margine di operatività di cui dispongono. Non possono autonomamente istituire un minimo salariale. Non possono imporre nulla alle imprese private, sostituendosi al Parlamento. Possono solo incentivarle a promuoverne uno stipendio che sia congruo al lavoro svolto e allineato al costo della vita. Su cosa possono agire le amministrazioni locali? Sugli appalti.
Il sistema che diversi enti stanno adottando è quello della premialità. Nel bando di gara vengono inseriti punti a vantaggio delle imprese che adottano un salario pari o al di sopra del minimo identificato nei nove euro lordi all’ora. Recentemente il Consiglio Regionale della Toscana ha approvato una proposta di legge in tal senso. “Sappiamo benissimo – afferma il Presidente della Regione Eugenio Giani – che la definizione dei livelli retributivi attiene alla competenza statale e alla contrattazione collettiva, ma crediamo che la Toscana, terra di diritti e di cultura del lavoro, possa dare un segnale concreto a favore della dignità dei lavoratori e delle lavoratrici, a partire da salari che non siano inferiori a 9 euro lordi l’ora”. Prima della Toscana c’è stata l’iniziativa del Comune di Napoli. “Basta paghe da fame, soprattutto da parte di chi esegue lavori per conto delle amministrazioni pubbliche”, aveva dichiarato il Consigliere Comunale Sergio D’Angelo. Sulla scia di queste azioni concrete, l’emulazione si sta propagando. In provincia di Savona è la CGIL a sollevare la questione. Il segretario Andrea Pasa sprona i sindaci sostenendo che “anche in provincia di Savona, come già avviene in tanti altri comuni italiani, possono fare la differenza e mettere in campo azioni concrete per stare al fianco di lavoratrici e lavoratori”.
Il 25 marzo l’Organizzazione Internazionale del Lavoro ha pubblicato il “Rapporto mondiale sui salari”. Nel documento si dimostra che dopo anni di segno negativo, i salari in Italia sono tornati a crescere nel 2024. Una crescita che, però, non è sufficiente a recuperare la perdita del potere d’acquisto registrata negli anni precedenti. La conseguenza è che nel nostro paese i salari reali sono oggi inferiori a quelli del 2008. I nove euro lordi ad ora sono la soluzione? Tale cifra, significa per un lavoro da quaranta ore settimanali un salario di 1.440 euro lordi al mese. Uno stipendio che può andare bene per un single. Ma se si prende in considerazione una famiglia media di due adulti e due bambini, e con un solo genitore occupato, la situazione cambia notevolmente. Con queste caratteristiche abbiamo interrogato il calcolatore ISTAT della soglia di povertà che considera la spesa mensile. I dati, basati sulle statistiche del 2023, sono emblematici: in nessuna regione italiana i nove euro lordi l’ora, che tradotti in mensilità nette diventano circa 1.200 euro, garantirebbero un reddito che superi le stime proposte dall’ISTAT. La soglia di povertà più bassa è rappresentata dai 1.330 euro dei piccoli comuni calabri, la più alta dai 2.120 dell’area metropolitana lombarda.
“Affrontare le disuguaglianze di reddito nel mercato del lavoro, compresi i divari retributivi di genere e i divari retributivi subiti dai lavoratori in situazioni di vulnerabilità, è un percorso necessario per ridurre le disuguaglianze e la povertà lavorativa”, si legge sul rapporto dell’ILO. La sfera delle Pubbliche Amministrazioni agendo sugli appalti pubblici, in questo momento, sembra essere l’unica entità ad aver mosso i primi passi in questo senso. Nei livelli più alti la questione è ostaggio di un dibattito politico e ideologico al quale sfugge che la soluzione oggetto della discussione potrebbe già essere anacronistica. L’articolo 36 della nostra Costituzione recita “la retribuzione deve essere sufficiente a garantire al lavoratore e alla sua famiglia una vita libera e dignitosa”. È evidente che, come minimo salariale congruo, non possano bastare quei 9 euro lordi all’ora.
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