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Premessa

Negli ultimi mesi del 2019, i soggetti coinvolti in contratti di appalto di opere e servizi pubblici o privati – committenti, appaltatori o subappaltatori – hanno vissuto momenti di grande preoccupazione nel veder approvata una norma, l’art. 4 del decreto legge 26 ottobre 2019, n. 124, recante “Disposizioni urgenti in materia fiscale e per esigenze indifferibili”, che introduceva gravosissimi obblighi in capo ad entrambe le parti del rapporto contrattuale, finalizzati ad evitare omessi o insufficienti versamenti delle ritenute fiscali trattenute ai lavoratori dipendenti direttamente impiegati nell’esecuzione dell’opera o del servizio oggetto dell’appalto.

In un primo momento, infatti, la disposizione in esame – poi, fortunatamente, modificata in sede di conversione in legge – prevedeva che i committenti di qualunque appalto di opera o servizio si dovessero sostanzialmente sostituire agli appaltatori nel ruolo di sostituto di imposta e dovessero versare le ritenute fiscali trattenute dalle retribuzioni dei lavoratori impiegati nell’appalto al posto dell’appaltatore, il quale aveva l’obbligo di versare tali somme al committente con almeno cinque giorni di anticipo rispetto alla scadenza prevista per il versamento delle ritenute fiscali.

Oltre a ciò, l’appaltatore aveva l’obbligo di inviare al committente un elenco nominativo dei dipendenti impiegati nell’appalto, contenente una serie di dati e informazioni che avrebbero dovuto consentire al committente medesimo di effettuare il riscontro tra l’ammontare complessivo degli importi ricevuti con le trattenute effettuate dall’impresa appaltatrice.

La prima versione della norma non prevedeva alcun limite minimo di importo dell’appalto, al di sotto del quale non scattasse l’obbligo in capo al committente di sostituirsi all’appaltatore nel ruolo di sostituto di imposta, e faceva ricadere pesantemente sui committenti il compito di effettuare verifiche più propriamente spettanti all’Agenzia delle Entrate.

La ratio della disposizione introdotta con il Decreto fiscale di fine anno era quella – come si evince dalla relazione illustrativa – di contrastare il fenomeno dell’omesso o insufficiente versamento, anche mediante indebite compensazioni, delle ritenute fiscali trattenute sulle retribuzioni dei lavoratori dipendenti delle imprese appaltatrici, subappaltatrici o affidatarie in genere di contratti di appalto di opere o servizi.

Tuttavia, come purtroppo il Legislatore spesso fa, l’onere di contrastare tali fenomeni illeciti – spettante in linea teorica agli enti istituzionalmente preposti alla vigilanza sui corretti comportamenti fiscali, contributivi e assistenziali – è stato fatto ricadere sui soggetti – pubblici e privati – coinvolti nei rapporti contrattuali di appalto, aumentando a dismisura gli adempimenti di comunicazione e di verifica documentale – già abbastanza numerosi – gravanti sugli stessi.  

A seguito delle accorate proteste da parte di tutti gli stakeholders coinvolti – imprese da una parte e stazioni appaltanti dall’altro – la gravosità della norma in esame è stata attenuata in sede di conversione in legge del decreto.

Infatti, con Legge 19 dicembre 2019 n. 157, l’art. 4 in esame è stato modificato nel senso che ora i committenti non devono più versare le ritenute fiscali al posto delle imprese appaltatrici o subappaltatrici, che restano quindi gli unici sostituti di imposta nei confronti dei propri dipendenti impiegati nell’appalto. I committenti, tuttavia, devono richiedere le deleghe di versamento delle ritenute ed una serie di dati concernenti i lavoratori direttamente impiegati nell’appalto, al fine di verificare l’avvenuto corretto versamento delle ritenute fiscali.

Rispetto alla prima lettura data alla norma convertita, secondo cui la norma si applicava – con decorrenza immediata (dal 1° gennaio 2020) – a tutti i committenti, pubblici e privati senza distinzione, l’attuale interpretazione, autorevole perché data dall’Agenzia delle Entrate, che ha finalmente adottato l’attesissima Circolare, la n. 1/E del 12 febbraio scorso, va nel senso di escludere dall’ambito di applicazione soggettivo della norma tutti i soggetti non IRES, limitatamente all’attività non commerciale resa. Tale interpretazione fa tirare un sospiro di sollievo ad una buona fetta di stazioni appaltanti, quali gli enti pubblici che svolgano esclusivamente attività istituzionale di natura non commerciale, che, in tal modo, potranno chiamarsi fuori dai suddetti nuovi obblighi di controllo.

Vediamo ora in dettaglio che cosa prevede la disposizione in esame nel suo testo definitivo, anche alla luce della Circolare dell’Agenzia delle Entrate.

Al fine di contrastare il fenomeno dell’omesso o insufficiente versamento, anche mediante indebite compensazioni, delle ritenute fiscali trattenute sulle retribuzioni dei lavoratori dipendenti delle imprese appaltatrici, subappaltatrici o affidatarie in genere di contratti di appalto di opere o servizi, il Decreto fiscale 2019 ha introdotto gravosi oneri di controllo sull’effettivo versamento delle ritenute fiscali in capo ai committenti di appalti di opere o servizi ad alto tasso di manodopera.

1. Ritenute fiscali e appalti: ambito soggettivo di applicazione della norma

L’art. 4 del Decreto fiscale 2019 ha in realtà introdotto un articolo, il 17-bis, al D. Lgs. n. 241 del 1997, rubricato “Ritenute e compensazioni in appalti e subappalti ed estensione del regime del reverse charge per il contrasto dell’illecita somministrazione di manodopera”.

I soggetti cui tale disposizione si applica sono i soggetti di cui all’art. 23, comma 1, del D.P.R. n. 600/1973, residenti ai fini delle imposte dirette nello Stato, che affidano il compimento di una o più opere o di uno o più servizi. Si tratta quindi di tutti i soggetti che svolgono la funzione di sostituti di imposta. Dal combinato disposto tra il citato art. 23 e lo stesso art. 17-bis, se ne deduce – secondo l’interpretazione dell’Agenzia delle Entrate – che i committenti assoggettati agli obblighi dell’art. 17-bis siano:

  1. enti e società indicati nell’articolo 73, comma 1, del TUIR residenti nel territorio dello Stato che esercitano imprese commerciali o imprese agricole;
  2. società e associazioni indicate nell’articolo 5 del TUIR residenti nel territorio dello Stato che esercitano imprese commerciali o imprese agricole;
  3. persone fisiche residenti nel territorio dello Stato che esercitano imprese commerciali ai sensi dell’articolo 55 del TUIR o imprese agricole;
  4. persone fisiche residenti nel territorio dello Stato che esercitano arti e professioni;
  5. curatore fallimentare e commissario liquidatore residenti nel territorio dello Stato.

Restano esclusi dall’ambito soggettivo di applicazione della norma tutti i soggetti non residenti nello Stato e senza stabile organizzazione in Italia.

Restano altresì esclusi i committenti soggetti privati, cioè le persone fisiche o le società semplici che non esercitano attività di impresa o agricola o arti o professioni, in quanto non rivestono la qualifica di sostituti di imposta.

Secondo l’interpretazione data dall’Agenzia delle Entrate, restano fuori dal campo di applicazione della norma anche i condomìni, perché pur rientrando nel novero dei soggetti di cui all’art. 23 del D.P.R. n. 600/1973, non possono esercitare alcuna attività d’impresa, né agricola o professionale e non possono detenere beni strumentali.

Infine, restano esclusi dall’ambito soggettivo di applicazione dell’art. 17-bis, secondo quanto si legge nella Circolare n. 1/E – <<gli enti non commerciali (enti pubblici, associazioni, trust, ecc.) limitatamente all’attività istituzionale di natura non commerciale svolta>>.

Detta esclusione sembrerebbe derivare dalla qualificazione soggettiva di tali enti quali soggetti privi della soggettività passiva ai fini IRES. In linea con quanto disposto dall’art. 74 del TUIR, gli organi e le amministrazioni dello Stato, compresi quelli ad ordinamento autonomo, anche se dotati di personalità giuridica, i comuni, le unioni di comuni, i consorzi tra enti locali, le associazioni e gli enti gestori di demanio collettivo, le comunità montane, le province e le regioni, non essendo soggetti all’IRES, dovrebbero considerarsi esclusi qualunque sia l’attività oggetto del contratto d’appalto, considerata la loro natura istituzionale non commerciale, anche nell’ipotesi in cui si tratti di appalti di servizi necessari per l’erogazione di prestazioni rilevanti ai fini IVA (si pensi ad esempio a mense, case di riposo, servizi di trasporto studenti ecc.). In realtà, la Circolare non si spinge fino a tale punto, limitandosi a porre quale spartiacque l’attività istituzionale di natura non commerciale svolta.

Se ne deduce che gli altri enti o società pubblici, che svolgano prevalentemente o totalmente attività di natura commerciale, siano assoggettati agli obblighi di cui all’art. 17-bis, nel caso in cui rivestano il ruolo di committenti/stazioni appaltanti.    

Alla luce della Circolare n. 1/E dell’Agenzia delle Entrate sono assoggettati agli obblighi di cui all’art. 17-bis tutti i soggetti che rivestano la qualità di sostituto di imposta, ad eccezione dei condomìni e dei soggetti esclusi dalla soggettività passiva IRES. Restano pertanto esclusi dall’ambito di applicazione della norma gli enti pubblici non commerciali.

Considerato che i committenti in capo ai quali sorgono gli obblighi di controllo sul versamento delle ritenute fiscali sono tutti coloro che affidano il compimento di una o più opere o di uno o più servizi ad un’impresa, tramite contratti di appalto, subappalto, affidamento a soggetti consorziati o rapporti negoziali comunque denominati, se ne deduce che committente non sarà solo il primo soggetto che affida l’opera o il servizio, ma anche l’appaltatore nei confronti del proprio subappaltatore o subaffidatario, determinandosi così una “catena” di obbligati al controllo. Va da sé che, nell’ambito dei rapporti a catena – committente, appaltatore, subappaltatore – ciascun soggetto della catena che dovesse rivestire il ruolo di “committente” (tipicamente il committente nei confronti dell’appaltatore e del subappaltatore e l’appaltatore nei confronti del subappaltatore) rientrerà nell’ambito di applicazione dell’art. 17-bis laddove sussistano i presupposti di applicabilità della norma (importo contrattuale annuo, prevalenza di manodopera, utilizzo delle sedi e dei beni strumentali del committente) che vedremo meglio nel prosieguo. Per cui, se nel primo rapporto “originario committente – appaltatore” questi presupposti sono tutti presenti, l’obbligo di controllo in capo al primo committente sorgerà nei confronti dell’appaltatore e dell’eventuale subappaltatore; se tali presupposti sussistono solo nel rapporto “derivato” appaltatore – subappaltatore, gli obblighi di controllo ricadranno unicamente sull’appaltatore/committente nei confronti del subappaltatore, restando esonerato l’originario committente.    

2. I presupposti oggettivi di applicazione dell’art. 17-bis. Il limite minimo di importo contrattuale annuo e le tipologie di rapporti negoziali rilevanti

Il comma 1 dell’articolo 17-bis prevede una serie di presupposti oggettivi, in presenza dei quali si applica l’intera disciplina ivi prevista, fatto salvo il ricorrere di alcune cause di esonero previste dal comma 5 del medesimo articolo, che esamineremo più avanti.

I presupposti oggettivi sono tre:

a) l’affidamento a un’impresa del compimento di un’opera o più opere o di uno o più servizi di importo complessivo annuo superiore a duecentomila euro;

b) l’affidamento di cui al punto sub a) deve avvenire tramite contratti di appalto, subappalto, affidamento a soggetti consorziati o rapporti negoziali comunque denominati;

c) i contratti di cui al punto sub b) devono essere caratterizzati da:

c1) prevalente utilizzo di manodopera;

c2) prestazione svolta presso le sedi di attività del committente;

c3) utilizzo di beni strumentali di proprietà del committente o ad esso riconducibili in qualunque forma.

Esaminiamoli uno per uno.

Per quanto riguarda il limite minimo di importo contrattuale annuo di duecentomila euro, questo è stato saggiamente introdotto – come accennato in premessa – dalla legge di conversione, in quanto nella prima versione della norma rientravano nell’ambito di applicazione della stessa tutti i contratti d’appalto, purché labour intensive, di qualunque importo, determinando in tal modo una mole di adempimenti pressoché ingestibile per i committenti. Con tale limite si è voluto circoscrivere l’applicazione della norma in esame alle ipotesi di contrasto dei comportamenti illeciti più rilevanti in termini di impatto sul gettito dell’Erario.

L’affidamento del contratto di appalto deve essere rivolto ad un’impresa. Se ne deduce che siano pertanto esclusi i contratti di affidamento di appalto o anche d’opera a esercenti arti e professioni.

Il ruolo di appaltatore può ovviamente essere rivestito anche da più imprese in associazione temporanea. In tal caso, l’Agenzia delle Entrate precisa che l’ATI dovrà essere unitariamente considerata. Ciò rileverà ad esempio nella verifica del raggiungimento della soglia dei duecentomila euro per la sussistenza di altri contratti in essere con il medesimo committente.

In proposito, infatti, occorre dire che il limite dei duecentomila euro annui può essere raggiunto cumulando più contratti stipulati tra le stesse parti, posto che la norma fa riferimento a “un’opera o più opere o di uno o più servizi”. Da ciò discende che se sussistono più rapporti contrattuali tra uno stesso appaltatore ed uno stesso committente, occorre sommare gli importi di tutti i contratti per verificare l’avvenuto superamento della soglia. La Risoluzione dell’Agenzia delle Entrate n. 108 del 23 dicembre 2019 ha addirittura incluso nel novero dei contratti da prendere in considerazione per il calcolo della soglia anche quelli stipulati antecedentemente al 1° gennaio 2020, purché ancora in essere a tale data.

Se però l’appaltatore è un’associazione temporanea di imprese, non possono prendersi in considerazione eventuali contratti stipulati tra il committente ed una sola delle imprese facenti parte dell’ATI, in quanto soggetto formalmente e sostanzialmente differente dall’ATI medesima.

I presupposti oggettivi di applicazione della norma sono la sussistenza di un contratto d’appalto o similari, comunque denominato, di importo annuo superiore ai duecentomila euro, di natura labour intensive e caratterizzato da prestazioni svolte presso la sede del committente e con utilizzo di beni strumentali di quest’ultimo.

Altro importante aspetto da esaminare riguardo alla soglia dei duecentomila euro è il modo in cui calcolare il superamento di tale soglia in caso di contratti pluriennali.

In primo luogo, la Circolare n. 1 precisa che <<per esigenze di semplificazione e per conferire elementi di certezza, l’arco temporale va riferito all’anno solare (1° gennaio-31 dicembre)>> e che <<in presenza di contratti di durata annuale o pluriennale che presentino un prezzo predeterminato, il calcolo della soglia su base annua di 200.000 euro avverrà secondo un meccanismo di pro-rata temporis>>.

Dagli esempi riportati nella Circolare, parrebbe che gli obblighi scaturenti dall’art. 17-bis decorrano dal momento a partire dal quale si supera la soglia dei duecentomila euro annui, fino alla fine del contratto, non rilevando, in caso di contratti avviati in corso d’anno, la porzione di anno in cui non si sia superato l’importo di duecentomila euro pro rata, ma viceversa, una volta sorto l’obbligo, questo perduri fino alla fine del contratto anche se il residuo finale sia, in ipotesi, inferiore alla soglia annua stabilita dalla norma.

Posto che la Circolare non affronta espressamente la questione ma si limita a formulare esempi non del tutto esaustivi, non è chiaro se la su descritta interpretazione sia quella corretta. Sarebbe forse, a parere di chi scrive, più plausibile applicare un’interpretazione omogenea: se il contratto – o i contratti, in caso di più rapporti in essere -, in base al pro-rata temporis ha un valore annuale annuo di oltre duecentomila euro, gli obblighi dell’art. 17-bis scattano sin dall’inizio e per tutta la vigenza contrattuale (o, in caso di più contratti, dal momento in cui, con la stipula del contratto aggiuntivo, si superi la soglia dei duecentomila euro annui), oppure, viceversa, scattano solo per l’anno o gli anni in cui si supera tale importo calcolato pro-rata, ma senza considerare le porzioni d’anno iniziali e finali per cui dovessero residuare importi contrattuali parziali inferiori alla soglia. 

Per quanto riguarda il secondo presupposto di applicabilità della norma, vale a dire il fatto che debbano intercorrere tra i soggetti «rapporti negoziali comunque denominati», tale ampia formulazione è giustificata dalla ratio legis volta a scongiurare comportamenti consistenti nella violazione delle disposizioni tributarie in materia di IVA e di ritenute fiscali nei confronti dei lavoratori dipendenti. Pertanto, come precisa la Circolare n. 1, <<ciò che assume esclusiva rilevanza ai fini dell’applicabilità del comma 1 dell’articolo 17-bis non è il nomen iuris attribuito dalle parti ai contratti stipulati, ma l’effettivo ricorrere nei contratti comunque denominati del prevalente utilizzo di manodopera presso le sedi di attività del committente, con l’utilizzo di beni strumentali di proprietà del committente o ad esso riconducibili in qualunque forma>>.

Sono espressamente esclusi dall’ambito di applicazione della norma i contratti di somministrazione di lavoro e le altre tipologie di contratti aventi ad oggetto la fornitura di manodopera posta in essere da soggetti espressamente autorizzati in base a leggi speciali.

3. (Segue) I presupposti oggettivi di applicazione dell’art. 17-bis. Il prevalente utilizzo di manodopera presso le sedi del committente e l’utilizzo di beni strumentali dello stesso

I contratti di appalto interessati dalla disposizione sono quelli c.d. labour intensive, in cui vi è una prevalenza di manodopera rispetto al valore dell’opera da realizzare, o in cui vi è solo manodopera (è il caso di contratti di soli servizi).

La Circolare dell’Agenzia precisa che, per determinare tale prevalenza, <<occorrerà fare riferimento al numeratore alla retribuzione lorda riferita ai soli percettori di reddito di lavoro dipendente e assimilato (…) e al denominatore al prezzo complessivo dell’opera (o dell’opera e del servizio nel caso di contratti misti). La prevalenza si intenderà superata quando il rapporto tra numeratore e denominatore è superiore al 50%>>.

Per “manodopera” si intende tutta la manodopera per cui vige l’obbligo di applicazione e versamento delle ritenute fiscali di cui al comma 1 dell’art. 17-bis, obbligo che ricorrerà non solo quando il lavoratore è inquadrato come lavoratore dipendente o assimilato ad esso, ma anche nel caso in cui il lavoratore abbia un formale inquadramento lavorativo differente (ad esempio, di lavoro autonomo), e, tuttavia, presti in concreto un’attività di lavoro dipendente presso il committente.

L’Agenzia, inoltre, riconduce al concetto di manodopera tutte le tipologie di lavoro, sia quello manuale che quello intellettuale, in questo discostandosi da una prima interpretazione che pareva riferire la norma agli appalti labour intensive di regola affidati a cooperative di lavoro, quali servizi di logistica, di mensa, di servizi alle imprese, nei settori alimentare e meccanica, in cui, in generale, sono stati riscontrati più frequentemente quei comportamenti elusivi che la norma intendeva contrastare. Includere anche la manodopera intellettuale significa valutare di dover comprendere nel novero dei contratti da assoggettare alla disposizione tutti quegli appalti di servizi intellettuali, ad esempio nel settore informatico, che inizialmente parevano esclusi.  

L’attività contrattuale deve svolgersi presso le sedi del committente, latamente intese, ossia la sede legale, le sedi operative, gli uffici di rappresentanza, i terreni in cui il committente svolge l’attività agricola, i cantieri, le piattaforme e ogni altro luogo, comunque riconducibile al committente, destinati allo svolgimento dell’attività d’impresa, agricola o professionale, quali anche luoghi pubblici se l’attività del committente – si pensi ad una società che eroghi servizi pubblici – si svolga in un luogo pubblico.

Altro presupposto essenziale è l’utilizzo prevalente di beni strumentali di proprietà, o comunque a qualunque titolo riconducibili, al committente e non all’appaltatore.

Ciò significa che se i lavoratori utilizzano in tutto o in misura prevalente – e quindi non in modo occasionale – i beni strumentali di proprietà dell’impresa appaltatrice, o comunque a qualunque titolo riconducibili ad essa, il contratto in questione è escluso dall’ambito di applicazione dell’art. 17-bis.

Secondo la Circolare dell’Agenzia delle Entrate per manodopera deve intendersi tutta la manodopera per cui vige l’obbligo di applicazione e versamento delle ritenute fiscali, obbligo che ricorre anche nei casi in cui il lavoratore non abbia un formale inquadramento come dipendente, ma comunque presti in concreto un’attività qualificabile come tale presso il committente.

La Circolare nulla dice per il caso di assenza di beni strumentali. Si ritiene che, trattandosi di contratto esclusivamente di manodopera, questo comunque rientri nell’ambito di applicazione della norma.

Difficile è poi applicare tale previsione ai casi pratici, in cui non è sempre così agevole distinguere la prevalenza dei beni strumentali impiegati. Si pensi ad esempio ad un appalto di vigilanza, in cui è possibile che vi sia solo l’utilizzo di beni dell’impresa (ad esempio la pistola, se si tratta di vigilanza armata che fa le ronde) ovvero vi sia l’impiego di un impianto di videosorveglianza di proprietà del committente. A seconda della valorizzazione data a tali diversi beni strumentali, potrebbe accadere che nella prima ipotesi il contratto potrebbe essere escluso dal campo di applicazione della norma mentre nella seconda vi rientrerebbe, con tutte le incertezze del caso.

4. Gli obblighi imposti dall’art. 17-bis sugli appaltatori e sui committenti

In primo luogo, l’art. 17-bis impone alle imprese appaltatrici o affidatarie e alle imprese subappaltatrici di versare le ritenute fiscali, da essi trattenute ai lavoratori direttamente impiegati nell’esecuzione dell’opera o del servizio, con distinte deleghe per ciascun committente e senza possibilità di compensazione.

Occorrerà quindi che le imprese appaltatrici calcolino la quota-parte di ritenute fiscali riferibili ai lavoratori direttamente impiegati nell’appalto presso ciascun committente, a partire dal numero di ore lavorate da ogni singolo lavoratore in ciascun appalto rispetto all’ammontare delle ore complessivamente lavorate. Tale proporzione deve essere applicata alla retribuzione complessiva del lavoratore per calcolare la quota parte di retribuzione riferibile allo specifico appalto e, conseguentemente, la quota-parte di ritenute fiscali da indicare nelle distinte deleghe di versamento riferibili ai vari committenti.

Il termine ultimo entro il quale le imprese appaltatrici o affidatarie e le imprese subappaltatrici sono obbligate a rilasciare al committente copia delle deleghe di pagamento relative al versamento delle ritenute è fissato in cinque giorni lavorativi successivi alla scadenza del versamento di cui all’art. 18, comma 1, del D. Lgs. n. 241 del 1997.

Aspetto essenziale del suddetto obbligo, strettamente connesso alla ratio antievasione della norma in esame, è il divieto di compensazione.

Così come è scritto nella norma sembrerebbe di essere dinanzi ad un divieto assoluto; in realtà non è così. La Circolare dell’Agenzia, accogliendo l’interpretazione fondata sul buon senso, data sin dall’inizio alla norma dagli operatori del settore, in particolare dai commercialisti, specifica che il divieto di compensazione non vale per tutti quei crediti che i sostituti d’imposta maturano per aver anticipato somme di denaro ai dipendenti per conto dello Stato, quali i rimborsi corrisposti a seguito di assistenza fiscale, conguaglio di fine anno o per cessazione del rapporto di lavoro, oppure i crediti derivanti da eccedenze di versamento delle ritenute. Questi crediti infatti, per espressa previsione di legge sono utilizzabili dai sostituti d’imposta esclusivamente in compensazione tramite modello F24, nei limiti delle ritenute da versare. Se fosse esclusa la compensazione anche per essi, si impedirebbe ai sostituti di imposta di recuperarli a valere sulle ritenute, che rappresentano, però, l’unico debito con il quale i sostituti d’imposta possono compensare i crediti medesimi, il che sarebbe del tutto irragionevole. La Circolare, utilmente, riporta una tabella con tutti i codici tributo dei crediti che è possibile portare in compensazione con le ritenute fiscali in deroga al divieto di cui all’art. 17-bis.

Non sono, invece, ammesse eccezioni al suddetto divieto di compensazione per gli altri crediti maturati dalle imprese utilizzabili in compensazione tramite modello F24, quali, a titolo esemplificativo, i crediti tributari (IVA, imposte dirette), i crediti derivanti da agevolazioni e i crediti maturati per contributi e premi assicurativi obbligatori. Tali crediti dovranno necessariamente essere compensati con altri debiti tributari e contributivi dell’impresa. Non rientrano tuttavia nel novero dei contributi non compensabili con le ritenute quelli di fonte contrattuale e non legale, quali, ad esempio, i contributi a casse sanitarie o a forme di previdenza complementare.

La disposizione in esame impone agli appaltatori di versare le ritenute fiscali, da essi trattenute ai lavoratori direttamente impiegati nell’esecuzione dell’opera o del servizio, con distinte deleghe per ciascun committente e senza possibilità di compensazione e di inviare al committente una serie di informazioni che gli permettano di effettuare appositi riscontri.

Un secondo adempimento posto dall’art. 17-bis in capo agli appaltatori, affidatari o subappaltatori è l’obbligo di inviare al proprio committente:

a) un elenco nominativo di tutti i lavoratori, identificati mediante codice fiscale, impiegati nel mese precedente direttamente nell’esecuzione di opere o servizi affidati dal committente;

b) il dettaglio delle ore di lavoro prestate da ciascun percipiente in esecuzione dell’opera o del servizio affidato;

c) l’ammontare della retribuzione corrisposta al dipendente collegata a tale prestazione;

d) il dettaglio delle ritenute fiscali operate nel mese precedente nei confronti di tale lavoratore, con separata indicazione di quelle relative alla prestazione affidata dal committente.

Le imprese subappaltatrici dovranno inviare le deleghe di versamento e l’elenco con i dati dei lavoratori sia all’impresa appaltatrice che al primo committente. Se l’originario committente è escluso dall’ambito soggettivo di applicazione dell’art. 17-bis (perché, ad esempio, ente pubblico che svolge solo attività non commerciale), l’invio dovrà avvenire nei soli confronti dell’impresa appaltatrice.

Secondo l’Agenzia delle Entrate, la <<finalità dell’obbligo di comunicazione dei dati sopra descritti è consentire al committente il riscontro dell’ammontare complessivo degli importi versati dalle imprese appaltatrici o affidatarie e dalle imprese subappaltatrici>>.

Il committente avrà infatti assolto al suo obbligo di riscontro dopo aver verificato che la retribuzione oraria corrisposta a ciascun lavoratore non sia manifestamente incongrua rispetto all’opera prestata dal lavoratore. In altri termini, pur se basato su dati cartolari, il riscontro da effettuarsi dovrà essere accompagnato da una valutazione finalizzata a verificare, tra l’altro, la coerenza tra l’ammontare delle retribuzioni dichiarate e i tariffari minimi vigenti, risultanti, ad esempio, dai contratti collettivi, nonché occorrerà verificare l’effettiva presenza dei lavoratori presso la sede del committente.

Ancora, spetterà al committente verificare che le ritenute fiscali per ciascun lavoratore non siano manifestamente incongrue rispetto all’ammontare della relativa retribuzione corrisposta. L’Agenzia precisa che si intende per manifestamente incongrue le ritenute fiscali che siano inferiori al 15 per cento della retribuzione imponibile. In caso di valutazione di manifesta incongruità, il committente dovrà richiedere ulteriori giustificazioni.

Infine, compito del committente è anche quello di verificare il rispetto del divieto di compensazione delle ritenute, ad eccezione dei crediti ammessi, indicati nella tabella riportata nella Circolare. In altri termini, il committente deve sostituirsi all’Agenzia delle Entrate nel verificare il rispetto formale degli obblighi di versamento delle ritenute e del divieto di compensazione, spingendosi anche a fare delle valutazioni sulla coerenza delle informazioni trasmesse. Fortunatamente, la stessa Circolare precisa che, con riferimento al controllo sulla correttezza delle eventuali compensazioni operate, il committente non è tenuto a verificare la spettanza e la congruità dei crediti utilizzati in compensazione.

Gli adempimenti posti in capo ai committenti – pubblici o privati che siano – sono, a parere di chi scrive, a dir poco discutibili proprio per l’onere che viene posto in capo ad essi di sostituirsi in qualche modo all’Agenzia delle Entrate nel suo ruolo di ente istituzionalmente preposto alla lotta all’evasione, che è invece la sua principale mission.

In caso di violazione, da parte degli appaltatori, degli obblighi di versamento, in tutto o in parte delle ritenute fiscali trattenute, o di mancato invio nei termini dei dati richiesti, l’art. 17-bis pone a carico del committente l’obbligo di sospensione del pagamento dei corrispettivi maturati dall’impresa appaltatrice o affidataria, qualora entro i cinque giorni lavorativi successivi alla scadenza del versamento sia maturato in capo alla medesima il diritto a ricevere corrispettivi.

La sospensione del pagamento è effettuata finché perdura l’inadempimento riscontrato dal committente e sino a concorrenza del venti per cento del valore complessivo dell’opera o del servizio, ovvero per un importo pari all’ammontare delle ritenute non versate rispetto ai dati risultanti dalla documentazione trasmessa.

La Circolare, opportunamente, chiarisce che nell’ipotesi di ritenute non versate rispetto ai dati risultanti dalla documentazione trasmessa, il committente dovrà trattenere il minore tra i due suddetti importi, mentre nel caso di omessa trasmissione della documentazione richiesta, necessariamente, potrà solo trattenere il venti per cento del valore complessivo dell’opera o del servizio. La norma prevede altresì che l’impresa creditrice non possa agire in giudizio contro il committente al fine di ottenere il pagamento dei corrispettivi spettanti fintanto che perdura l’omesso versamento delle ritenute.

In ogni caso, finché perdura l’inadempimento, il committente ha l’obbligo, entro novanta giorni dall’avvenuto riscontro dell’inadempimento medesimo, di darne comunicazione all’ufficio dell’Agenzia delle Entrate territorialmente competente.

In presenza di una serie di requisiti che attestano la solidità e la regolarità fiscale e contributiva delle imprese appaltatrici, purché appositamente e periodicamente certificati dall’Agenzia delle Entrate, è data possibilità alle imprese appaltatrici di godere di una deroga agli obblighi di cui all’art. 17-bis.

A parziale attenuazione di una disposizione così cogente e gravosa, soccorre la norma introdotta dal comma 5 dello stesso articolo 17-bis, che neesclude l’applicazione qualora le imprese appaltatrici o affidatarie comunichino al committente, allegando apposita certificazione rilasciata dall’Agenzia delle Entrate, la sussistenza di una serie di concomitanti requisiti, da attestare come esistenti all’ultimo giorno del mese precedente a quello di scadenza del pagamento delle ritenute. I requisiti richiesti sono i seguenti:

a) l’impresa deve risultare in attività da almeno tre anni. Ciò in quanto la ratio della norma è quella di contrastare fenomeni di evasione posti in essere per lo più da soggetti che hanno una vita breve e che tendono ad estinguersi appena sono sottoposti a controllo, per ricostituirsi sotto una nuova veste giuridica;

b) l’impresa deve essere in regola con gli obblighi dichiarativi;

c) l’impresa deve aver eseguito nel corso dei periodi d’imposta cui si riferiscono le dichiarazioni dei redditi presentate nell’ultimo triennio complessivi versamenti registrati nel conto fiscale per un importo non inferiore al dieci per cento dell’ammontare dei ricavi o compensi risultanti dalle dichiarazioni medesime;

d) l’impresa non deve avere iscrizioni a ruolo o accertamenti esecutivi o avvisi di addebito affidati agli agenti della riscossione relativi alle imposte sui redditi, all’IRAP, alle ritenute e ai contributi previdenziali per importi superiori a cinquantamila euro, per i quali i termini di pagamento siano scaduti e siano ancora dovuti pagamenti o non siano in essere provvedimenti di sospensione. Sono escluse da tali ipotesi le somme oggetto di piani di rateazione per i quali non sia intervenuta decadenza.

L’Agenzia delle Entrate, con provvedimento del Direttore dell’Agenzia del 6 febbraio 2020, ha approvato lo schema di certificato di sussistenza dei requisiti previsti dall’art. 17-bis. Ora, pertanto, l’Agenzia è in grado di mettere a disposizione delle imprese la suddetta certificazione a partire dal terzo giorno lavorativo di ogni mese; tale certificato ha validità di quattro mesi dalla data del rilascio, superati i quali le imprese ne devono acquisire uno nuovo e produrlo ai committenti.

La Circolare n. 1 precisa tuttavia che, se il committente è una pubblica amministrazione (nelle ipotesi in cui essa rientri nell’ambito soggettivo di applicazione della norma), la sussistenza dei requisiti che ammettono la deroga potrà essere oggetto di autocertificazione da parte dell’impresa e sarà dunque onere del committente pubblico accertare la veridicità della stessa mediante interlocuzione diretta con i competenti Uffici dell’Agenzia delle Entrate.

In caso di violazione degli obblighi cui il committente è tenuto, allo stesso è irrogata una sanzione di importo pari alla sanzione che sia stata già irrogata all’impresa appaltatrice o affidataria per la non corretta determinazione ed esecuzione delle ritenute, nonché per il tardivo versamento delle stesse, senza possibilità di compensazione.

5. Ritenute fiscali e appalti: il regime sanzionatorio previsto dall’art. 17-bis

Il comma 4 dell’art. 17-bis prevede infine un regime sanzionatorio in caso di inottemperanza agli obblighi sin qui esaminati.

Infatti, al committente che non richieda la documentazione prevista (deleghe di versamento delle ritenute e elenco nominativo dei lavoratori), è tenuto al versamento di una somma pari alla sanzione irrogata all’impresa appaltatrice o affidataria o subappaltatrice per la non corretta determinazione ed esecuzione delle ritenute, nonché per il tardivo versamento delle stesse, senza possibilità di compensazione.

Tale sanzione trova applicazione, tuttavia, soltanto nell’ipotesi in cui l’impresa appaltatrice o affidataria abbia effettivamente commesso una delle suddette violazioni (scorretta determinazione delle ritenute, omesso versamento o illegittima compensazione) e purché le siano state irrogate le relative sanzioni.

Stante il dato letterale della norma, infatti, nulla deve pagare il committente, pur non avendo lo stesso, in ipotesi, correttamente adempiuto agli obblighi posti in capo ad esso, se l’impresa appaltatrice o affidataria abbia correttamente assolto ai propri obblighi di versamento, eventualmente anche avvalendosi dell’istituto del ravvedimento operoso per sanare le violazioni commesse prima della contestazione da parte degli organi preposti al controllo.

Trattandosi di norma di natura sanzionatoria, e pertanto di stretta interpretazione, restano fuori dall’ambito di applicazione della stessa tutte le altre violazioni tributarie da parte dell’impresa appaltatrice o affidataria non espressamente menzionate, quali, ad esempio, la violazione degli obblighi di dichiarazione in veste di sostituto d’imposta.

Infine, la sanzione prevista dal comma 4 dell’articolo 17-bis è di natura amministrativa non tributaria, perché non strettamente correlata alla violazione di norme disciplinanti il rapporto fiscale. Per tale ragione, ad essa si applicano i principi di cui alla L. n. 689/1981 e non invece quelli stabiliti dal D. Lgs. n. 472/1997, recante le disposizioni generali in materia di sanzioni amministrative per le violazioni di norme tributarie.

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Dott.ssa Alessandra Verde
Referendaria consiliare presso il Consiglio regionale della Sardegna
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