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Premesse

Proveniente da orditi normativi che ne conferivano efficacia solo limitata o transitoria, il D.Lgs. 36/2023, come ormai noto, ha consolidato l’istituto del Collegio Consultivo tecnico come organo deputato di risoluzione delle controversie che possono insorgere durante l’esecuzione dell’appalto, annoverandolo come strumento permanente e alternativo ai più conosciuti dell’accordo bonario e della transazione.

Il nuovo Codice dei Contratti posiziona, in effetti, la normativa relativa al CCT accanto a quegli strumenti più “usitati”, conferendo rango di alternative dispute resolution, cui le parti contrattuali dell’appalto possano far ricorso in corso d’opera per dirimere insorgende questioni che possano ledere i diritti soggettivi dei privati coinvolti ovvero l’interesse pubblico sotteso all’opera pubblica affidata, in luogo di altri consessi o strumenti, di regola, chiamati a risolvere le controversie ad appalto concluso.

Per prevenire le controversie o consentire la rapida risoluzione delle stesse o delle dispute tecniche di ogni natura che possano insorgere nell’esecuzione dei contratti, ciascuna parte può chiedere la costituzione di un collegio consultivo tecnico (CCT), formato secondo le modalità di cui all’allegato V.2

Sebbene, il nuovo Codice rechi nuova e specifica disciplina, la stessa si discosta solo per alcuni aspetti da quella che era stata coniata dall’articolo 6 della L. 120/2020, istitutiva dell’organo di che trattasi per come oggi lo conosciamo, completata dalle Linee Guida approvate dal Ministro delle infrastrutture e della mobilità sostenibili 17 gennaio 2022, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana n. 55 del 7 marzo 2022.

L’articolo 1, comma 3, dell’allegato V.2, ha stabilito, poi, che le suddette Linee guida debbano continuare a trovare applicazione nelle more dell’adozione di nuove linee guida.

Tali Linee guida, d’altro canto, erano state adottate in forza della succitata precedente normativa a carattere emergenziale, dovendo necessitarsi oggi, per alcuni profili, una non semplice attività di coordinamento interpretativo, in ragione di evidenti aporie emergenti da disposizioni delle Linee guida il cui contenuto risulta distonico con quanto previsto oggi previsto dalla nuova normativa di riferimento.

Il presente contributo vuole offrire un contributo che miri ad evidenziare alcune di tali aporie, con particolare riguardo al tema dei compensi spettanti ai membri del Collegio.

Finalità istituzionale del CCT è quella di accompagnare l’intera fase di esecuzione, dall’avvio dei lavori e fino al collaudo degli stessi, per intervenire in tempo reale su tutte le circostanze che possano generare problematiche incidenti sull’esecuzione.

1. Il Quadro normativo: focus sui compensi spettanti ai membri del CCT

1.1 Il caso degli appalti di servizi

I compensi spettanti ai membri del CCT si articolano secondo una parte fissa ed una variabile, proporzionata al valore dell’opera e alla complessità delle decisioni assunte. Principio generale, quest’ultimo, già previsto dalla normativa precedente e poi confermato da quella prevista dal nuovo Codice.  

La parte fissa, secondo quanto previsto dalle citate Linee guida, è stabilito essere calcolata, con riferimento alla prestazione di collaudo tecnico-amministrativo, ridotta del 60%. Per la parte eccedente il valore di euro 100.000.000 di lavori si applica la riduzione del 80%. La corresponsione di detta parte fissa è subordinata all’adozione di determinazioni o pareri e da una parte variabile, per ciascuna determinazione o parere assunto, in funzione della relativa qualità e del relativo carattere tecnico o giuridico determinato dallo stesso CCT.

Ciò rammentato, si sottolinea che tra le principali novità ritraibili dall’articolo 215 del nuovo Codice dei contratti è che il CCT deve essere obbligatoriamente costituito anche per gli appalti di servizi di importo superiore ad 1 milione di Euro.

Per i lavori diretti alla realizzazione delle opere pubbliche di importo pari o superiore alle soglie di rilevanza europea e di forniture e servizi di importo pari o superiore a 1 milione di euro, la costituzione del collegio è obbligatoria.

Tale circostanza pone dubbi di non semplice soluzione a proposito della corretta stima dei compensi spettanti ai componenti dei CCT per tali categorie di appalti.

Infatti, l’articolo 7 della citata Linee guida, che trova applicazione anche ai CCT istituiti per appalti di servizi, in ragione del silenzio sul punto della legge neo emanata, stabilisce che la determinazione del compenso sia ancorata al valore dell’opera, commisurata rispetto ad una aliquota della parcella calcolata per le attività di collaudo tecnico-amministrativo.

Orbene, se per il caso degli appalti di lavori, il valore dell’opera risulta già essere cristallizzato nel progetto esecutivo oggetto di appalto di lavori, nel caso di servizi tecnici, tale importo risulterà definito solo a valle della predisposizione e approvazione dei successivi livelli progettuali.

Per i servizi tecnici, si pone, pertanto, un primo dei nodi interpretativi da sciogliere di cui vuole trattare il presente contributo: onde determinare i compensi per i componenti dei CCT di appalti di servizi tecnici superiori ad 1 milione di Euro, è necessario far riferimento alla stima dell’importo dei lavori recata nel livello di progettazione posto a base di gara oppure all’importo di appalto per il quale è obbligatoria la costituzione del CCT?

Tale duplice strada porta con sé alcune conseguenze di cui è necessario tener conto, allorquando la stazione appaltante dovrà quantificare il corretto appostamento nel quadro economico di appalto per conferire copertura alle spese di funzionamento del Collegio.

E’ evidente che se si optasse per la prima ipotesi esclusivamente per i servizi tecnici (i.e. quella di far comunque riferimento all’importo dei lavori come stimanti nel livello di progettazione in possesso), si perpetrerebbe una evidente disparità di trattamento rispetto al caso dei servizi puri. In tal caso, infatti, per gli appalti puri, non essendoci alcune “valore dell’opera” cui ancorare la commisurazione della parcella, l’unica strada da seguire sarebbe quella di riferirsi al valore dell’appalto.

Ove così si operasse, l’ammontare dei compensi per i membri dei CCT per gli appalti di servizi puri sarebbe considerevolmente più basso di quelli costituti per servizi tecnici che beneficerebbero della possibilità di poter calcolare la parcella su un importo dei lavori che, sebbene solo stimato nel livello progettuale posto a base di gara, determinerebbe in ogni caso un incremento proporzionale del compenso spettante.

La suddetta disparità potrebbe ingenerare inevitabili difficoltà a reperire sul mercato soggetti effettivamente disponibili a ricoprire tali ruoli per corrispettivi assai simbolici ovvero mal commisurati rispetto alla mole di lavoro o relative responsabilità.

Qualora, invece, si optasse per una applicazione restrittivamente omogenea per tutte le categorie di appalti di servizi, ancorando cioè il calcolo del compenso al corrispettivo d’appalto, le difficoltà di reperire professionalità disponibili a ricoprire l’incarico, da individuarsi secondo i criteri stabiliti dalle stesse Linee guida che richiedono requisiti assai stringenti al fine di poter essere nominato componente, si paleserebbero anche per gli appalti di servizi tecnici.

La difficoltà ermeneutica anzi rappresenta, a ben vedere, è frutto della circostanza che le Linee guida erano state confezionate in attuazione della normativa precedente che prevedeva la costituzione del CCT esclusivamente per gli appalti di lavori. Tale circostanza pone quindi le stazioni appaltante a dover lanciarsi in spinose decisioni che possono esporre i RUP anche a profili di responsabilità erariale nel caso in cui non si riesca a costituire il Collegio entro i termini stringenti stabiliti dalla norma per oggettiva irreperibilità di professionisti disponibili ad assumere l’incarico.

 1.2 Sulla corretta individuazione del tetto ai compensi

Un secondo ed ulteriore aspetto innovativo che il nuovo assetto normativo ha stabilito è quello relativo al cosiddetto tetto massimo ai compensi da corrispondere.

La normativa previgente stabiliva, all’articolo 6, comma 7-bis della legge 120/2020, quanto segue:

“In ogni caso, i compensi dei componenti del collegio consultivo tecnico, determinati ai sensi del comma 7, non possono complessivamente superare con riferimento all’intero collegio (comma così sostituito dall’art. 35, comma 1-bis, della legge n. 79 del 2022):

a) in caso di collegio consultivo tecnico composto da tre componenti:

1) l’importo pari allo 0,5 per cento del valore dell’appalto, per gli appalti di valore non superiore a 50 milioni di euro;

2) l’importo pari allo 0,25 per cento per la parte del valore dell’appalto eccedente 50 milioni di euro e fino a 100 milioni di euro;

3) l’importo pari allo 0,15 per cento per la parte del valore dell’appalto eccedente 100 milioni di euro e fino a 200 milioni di euro;

4) l’importo pari allo 0,10 per cento per la parte del valore dell’appalto eccedente 200 milioni di euro e fino a 500 milioni di euro;

5) l’importo pari allo 0,07 per cento per la parte del valore dell’appalto eccedente 500 milioni di euro;

b) in caso di collegio consultivo tecnico composto da cinque componenti:

1) l’importo pari allo 0,8 per cento del valore dell’appalto, per gli appalti di valore non superiore a 50 milioni di euro;

2) l’importo pari allo 0,4 per cento per la parte del valore dell’appalto eccedente 50 milioni di euro e fino a 100 milioni di euro;

3) l’importo pari allo 0,25 per cento per la parte del valore dell’appalto eccedente 100 milioni di euro e fino a 200 milioni di euro;

4) l’importo pari allo 0,15 per cento per la parte del valore dell’appalto eccedente 200 milioni di euro e fino a 500 milioni di euro;

5) l’importo pari allo 0,10 per cento per la parte del valore dell’appalto eccedente 500 milioni di euro.

In altri termini, gli importi scaturenti dai succitati scaglioni determinavano l’ammontare massimo da corrispondere all’intero Collegio, coerentemente con quanto prevede l’articolo 7.1.1. delle Linee guida che stabilisce che “I compensi di tutti i membri del Collegio sono dovuti senza vincolo di solidarietà e, non possono complessivamente superare gli importi fissati dall’art. 6 -quater del decreto-legge 6 novembre 2021, n. 152, convertito, con modificazioni dalla legge di conversione 29 dicembre 2021, n. 233”, norma che ha introdotto il succitato scaglionamento.

Tale importo doveva essere letto, in ogni caso, in combinato disposto con quanto previsto dall’articolo 7.2.2 delle Linee guida, secondo cui “il compenso complessivamente riconosciuto a ciascun componente del CCT non può comunque superare il triplo della parte fissa”.

Riassumendo: da un lato, ogni componente non poteva essere beneficiario di un compenso superiore a tre volte la parte fissa e, dall’altro, complessivamente, il Collegio non poteva essere destinatario di un importo superiore a quello stabilito dai tetti di cui al succitato comma 7-bis della Legge 120/2020.

Cosa è cambiato, secondo la normativa oggi vigente?

Il legislatore ha specificato all’articolo 1 comma 5 dell’Allegato V.2 al nuovo Codice che “la parte fissa del compenso non può superare gli importi definiti dall’articolo 6, comma 7-bis, del decreto-legge 16 luglio 2020, n. 76, convertito, con modificazioni, dalla legge 11 settembre 2020, n. 120. Il compenso spettante ai componenti del Collegio non può superare il triplo della parte fissa.

La parte fissa del compenso non può superare gli importi definiti dall’articolo 6, comma 7-bis, del decreto-legge 16 luglio 2020, n. 76, convertito, con modificazioni, dalla legge 11 settembre 2020, n. 120. Il compenso spettante ai componenti del Collegio non può superare il triplo della parte fissa.”

Quindi: sebbene abrogata espressamente, la suddetta norma, per via di un richiamo legislativo statico, risulta vigente come norma che impone un tetto ai compensi della parte fissa dei componenti del Collegio.

L’effetto, dal punto di vista economico è dirompente: il tetto massimo originariamente stabilito per il complessivo compenso spettante a tutti i componenti del Collegio diventa il tetto della sola parte fissa, che, moltiplicato per tre, rappresenta il tetto massimo da corrispondere a tutto il Collegio.

Ciò premesso, residua un secondo nodo interpretativo da dover sciogliere, in ragione della sussistenza di una norma delle Linee guida che pare essere in contrasto con quanto sopra rammentato.

Si pone, infatti, il dubbio della sorte della disposizione di cui al punto 7.2.2 delle Linee guida, secondo cui “il compenso complessivamente riconosciuto a ciascun componente del CCT non può comunque superare il triplo della parte fissa”.

È evidente che si ritenesse ancora vigente questa norma, il compenso massimo complessivo da poter corrispondere si gonfierebbe ulteriormente.

La norma delle Linee guida, a differenza dell’ultimo periodo dell’articolo 1 comma 5 dell’Allegato V.2 al nuovo Codice, individua il limite corrispondibile a “ciascun componente” nella misura di tre volte la parte fissa che, nel suo tetto massimo, risulta essere già stato incrementato.

Parrebbe, quest’ultima, norma ormai superata, sia secondo buon senso, poiché incoerente col nuovo assetto normativo che indica nuovi parametri per individuare i tetti ai compensi del Collegio complessivamente considerato, ma anche sotto un profilo strettamente giuridico ermeneutico, giacché sembrerebbe abrogata implicitamente da una norma di rango superiore intervenuta successivamente nel tempo.

2. Conclusioni

I temi sollevati, a parere di chi scrive, tutt’altro che configurare oziosi ragionamenti, toccano aspetti di particolare delicatezza traducendosi in concreta attualità per le singole amministrazioni.

Le pubbliche amministrazioni sono chiamate, allorquando debbano bandire un appalto che superi le soglie stabilite dalla norma, ad appostare uno specifico accantonamento nel quadro economico dell’appalto per far fronte ai compensi che potranno essere corrisposti al membro di parte pubblica e al Presidente nella misura del 50 percento.

E’ di palmare evidenza come sia indispensabile dirimere le questioni sopra menzionate attraverso un idoneo intervento normativo che miri a chiarire i contorni entro cui le amministrazioni sono chiamate ad agire nel caso di appalti di servizi e di lavori.

La sede naturale dove assumere le necessarie decisioni sarebbe quella della stesura delle nuove linee guida da emanarsi ai sensi dell’articolo 1 comma 3 dell’allegato V2 al nuovo Codice.

In attesa che il legislatore provveda, potrebbe essere altrettanto auspicabile un intervento del MIT che, in via di interpretazione autentica, potrebbe già da subito offrire i chiarimenti necessari.

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Questo articolo è stato scritto da...

Avv. Giuseppe Totino
Esperto in contratti pubblici
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