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1. Inquadramento generale: le novità introdotte dal nuovo Codice

L’obbligo di quantificare ed indicare i costi della manodopera nelle gare d’appalto, già presente nel vecchio Codice, è stato toccato da alcune rilevanti novità nella nuova formulazione dettata dal D. Lgs. n. 36/2023.

Analogamente a quanto previsto nel D. Lgs. n. 50/2016, anche il nuovo Codice prevede che la quantificazione dei costi della manodopera sia compiuta sia dalla stazione appaltante in fase di progettazione della gara per determinare l’importo massimo stimato a base d’asta (art. 41 commi 13 e 14) che dall’operatore economico che partecipa alla procedura, che dovrà indicare in offerta i propri costi della manodopera (art. 108, comma 9).

Rispetto al passato, tuttavia, la nuova formulazione della norma prevede che <<per determinare l’importo posto a base di gara, la stazione appaltante (…) individua nei documenti di gara i costi della manodopera (…). I costi della manodopera e della sicurezza sono scorporati dall’importo assoggettato al ribasso. Resta ferma la possibilità per l’operatore economico di dimostrare che il ribasso complessivo dell’importo deriva da una più efficiente organizzazione aziendale>>. Inoltre, l’art. 108, a differenza della formulazione del previgente art. 95, specifica che l’indicazione nell’offerta economica dei costi della manodopera sia prevista a pena di esclusione e non prevede più la verifica di congruità di tali costi preventiva all’aggiudicazione.

Le implicazioni scaturenti dalle novità introdotte non sono di poco conto anche perché la non felice formulazione dell’art. 41 ha già dato luogo a difficoltà interpretative che, prima il Ministero delle Infrastrutture e dei trasporti (MIT) e l’ANAC e poi la giurisprudenza di merito, sono stati recentemente chiamati a dirimere.

Il nuovo Codice introduce alcune novità in tema di quantificazione dei costi della manodopera. In primo luogo, si stabilisce che, per determinare l’importo posto a base di gara, la stazione appaltante debba individuare nei documenti di gara i costi della manodopera, che devono essere scorporati dall’importo assoggettato al ribasso.

2. La quantificazione dei costi della manodopera da parte della stazione appaltante

Il primo momento logico/cronologico in cui i costi della manodopera vengono in rilievo è quello della progettazione della procedura d’appalto. In questa fase, infatti, la stazione appaltante deve quantificare la base d’asta e lo fa in funzione di una serie di fattori, quali l’oggetto dell’appalto, eventuali condizioni di mercato specifiche, i costi dei prodotti da impiegare sulla base di eventuali listini e così via. Tra gli elementi di cui tener conto vi è anche il costo della manodopera che si stima dover essere impiegata nell’appalto.

Similmente a quanto prima prevedeva l’art. 23 del vecchio Codice, il comma 14 dell’art. 41 del Decreto n. 36 ora dispone che la stazione appaltante individui nei documenti di gara i costi della manodopera sulla base del costo del lavoro determinato annualmente, in apposite tabelle, dal Ministero del lavoro e delle politiche sociali sulla base dei valori economici definiti dal contratto collettivo di riferimento o, in mancanza, quello del settore merceologico più affine (comma 13 del medesimo art. 41).

Una prima differenza rispetto alla passata formulazione è ravvisabile nel criterio di determinazione del costo del lavoro per quanto attiene al settore dei lavori: in questo caso il costo dei prodotti, delle attrezzature e delle lavorazioni è determinato facendo riferimento <<ai prezzi correnti alla data dell’approvazione del progetto riportati nei prezzari>> predisposti dalle regioni (o adottati dalle stazioni appaltanti che, in base alla natura e all’oggetto dell’appalto, sono autorizzati a non applicare quelli regionali) e i criteri di formazione ed aggiornamento dei suddetti prezzari regionali sono definiti nell’allegato I.14 al Codice medesimo.

Inoltre – e soprattutto – viene introdotto un nuovo inciso che precisa che i costi della manodopera (unitamente ai costi di sicurezza) devono essere scorporati dall’importo assoggettato al ribasso. Ciò significa che occorre distinguere l’importo a base di gara, di cui fanno parte anche i costi di manodopera e di sicurezza, dall’importo ribassabile che invece non li contempla. Lo scopo perseguito dal legislatore è quello di garantire con sempre maggiore decisione l’equa remunerazione dei lavoratori da impiegare negli appalti pubblici. La stazione appaltante deve quindi stimare con attenzione i costi della manodopera al fine di costruire una congrua ed adeguata base d’asta, tale da consentire ai futuri concorrenti di presentare un’offerta che garantisca loro l’equa remunerazione del personale e un giusto utile di impresa. Naturalmente, la stima dei costi della manodopera da parte della stazione appaltante è frutto di un calcolo statistico: trattasi di un costo medio, applicabile ad un’organizzazione aziendale “tipo” e non ad una realtà concreta e specifica, non conoscendo la stazione appaltante, in questa fase preliminare, le modalità organizzative particolari dei futuri concorrenti.

La novità essenziale rispetto al passato è che, nell’individuazione della base d’asta, la stazione appaltante dovrà chiarire quale è l’importo cui dovrà essere applicato il ribasso percentuale offerto (se l’offerta deve essere espressa in termini di sconto) o quale è l’importo soggetto a ribasso (in caso di offerta da esprimersi in termini di prezzo); detto importo deve essere calcolato al netto dei costi di sicurezza e – ed è questa la novità – anche di quelli della manodopera.

Considerato, tuttavia, che i costi stimati dalla stazione appaltante sono costi medi, è comunque possibile che un concorrente sostenga in concreto costi di manodopera inferiori rispetto alla stima effettuata dall’Amministrazione. Ne consegue che, se il concorrente indica propri costi di manodopera inferiori, dovrà essere sottoposto ad una verifica di congruità dell’offerta nel suo complesso, assimilabile a quella da svolgersi in caso di offerta anomala. La nuova formulazione della norma prevede infatti che sussiste comunque la possibilità per l’operatore economico di dimostrare che il ribasso complessivo dell’importo derivi da una più efficiente organizzazione aziendale. Se mancasse la possibilità di fornire una prova contraria, verrebbe inevitabilmente vulnerata la libertà di iniziativa economica dell’imprenditore sancita dall’art. 41 della Costituzione[1].

Correlata alla disposizione di cui al citato art. 41, comma 14 è la previsione sancita dall’art. 11 del Codice in basa alla quale è fatto obbligo alle stazioni appaltanti di indicare nei bandi e negli inviti il contratto collettivo applicabile al personale dipendente impiegato nell’appalto.

Come ha avuto modo di precisare il MIT nel parere n. 2338 del 26 febbraio 2024, l’obbligo di individuazione del contratto collettivo applicabile trova necessaria applicazione anche negli affidamenti diretti. Infatti, il Ministero precisa che <<in base all’art. 48, co. 4, D.lgs. 36/2023 “ai contratti di importo inferiore alle soglie di rilevanza europea si applicano, se non derogate dalla presente Parte, le disposizioni del codice”. Da tale disposizione consegue la regola secondo cui ai contratti sottosoglia europea si applicano, in primis, le regole semplificatorie previste dagli artt. 48-55 d.lgs. 36/2023 e, per le sole parti ivi non regolate, la disciplina ordinaria (prevista per gli appalti sopra-soglia) del Codice dei contratti pubblici>>. Pertanto, anche se, dal punto di vista letterale, la mancanza di un bando o di un invito di gara potrebbe far propendere per una disapplicazione della disposizione de qua per l’affidamento diretto, <<visto il principio del risultato di cui all’art. 1 del d.lgs. 36/2023, la stazione appaltante potrà indicare il CCNL, ex art. 11 del d.lgs. 36/2023, per vie informali, per esempio nel momento in cui procede alla richiesta di preventivo all’operatore economico>>.

Allo stesso modo, anche l’art. 41, comma 14, d.lgs. 36/2023 – a parere del MIT – trova applicazione anche negli affidamenti diretti <<in quanto la norma esprime un principio generale – quale la tutela dei lavoratori – che deve essere comunque rispettato, indipendentemente dalle modalità di affidamento>>. Ne consegue che, secondo il MIT, anche negli affidamenti diretti di servizi e lavori, ad eccezione, probabilmente, dei soli servizi di natura intellettuale, le stazioni appaltanti avrebbero l’obbligo di indicare nella richiesta di preventivo i costi della manodopera stimati.

Il MIT ha, con proprio parere, sostenuto che l’obbligo di indicare nei documenti di gara il CCNL applicato all’appalto e la stima dei costi della manodopera si applica in via generale a tutti gli appalti a prescindere dall’importo, quindi anche agli affidamenti diretti.

3. L’obbligatoria indicazione dei costi della manodopera nelle offerte

Il secondo momento in cui la quantificazione dei costi della manodopera viene in rilievo è quello della predisposizione dell’offerta da parte del concorrente, che ha l’obbligo di indicarli nell’offerta economica a pena di esclusione.

Tale espressa precisazione, contenuta nell’art. 108 del Codice, fuga ogni dubbio sull’annosa questione della tassatività o meno dell’obbligo per il concorrente di indicare i costi della manodopera in offerta. In merito, in assenza di una prescrizione esplicita nel Codice previgente, la giurisprudenza ha oscillato per molto tempo tra due opposte posizioni: da un lato, la tesi volta a riconoscere un più ampio margine di discrezionalità alla stazione appaltante, per cui, in forza del principio secondo cui ubi lex voluit dixit, ubi noluit taquit, al vecchio art. 95 del D. lgs. n. 50 del 2016 non doveva essere attribuito carattere di norma imperativa con effetto escludente. Pertanto, in assenza di una specifica previsione di esclusione nei documenti di gara, l’omessa indicazione in offerta dei costi della manodopera non avrebbe comportato l’esclusione del concorrente. Dall’altro lato, si è consolidata la tesi, divenuta preminente grazie all’intervento, prima, della Corte di Giustizia europea e, poi, del Consiglio di Stato in Adunanza Plenaria, secondo cui la mancata indicazione separata dei costi della manodopera comporta l’esclusione della medesima offerta senza possibilità di soccorso istruttorio, anche nell’ipotesi in cui l’obbligo di indicare i suddetti costi separatamente non fosse specificato nella documentazione della gara d’appalto. Ciò in quanto il carattere imperativo e di eterointegrazione della norma appariva sufficientemente chiaro dal suo dettato letterale. L’introduzione nell’art. 108 del nuovo Codice dell’esplicita sanzione dell’esclusione in caso di omessa indicazione non ha fatto altro che recepire tale orientamento consolidatosi nel tempo e mettere finalmente un punto al dibattito.

Scopo facilmente individuabile dell’obbligo in esame è quello di offrire alla stazione appaltante la possibilità di accertare la sostenibilità e la remuneratività dell’offerta, che non sarebbero garantite laddove il prezzo offerto non fosse sufficientemente capiente a contenere sia i costi della manodopera che gli altri costi generali e l’utile di impresa. Non solo: l’obbligo di indicare i costi della manodopera persegue altresì la finalità di tutelare i lavoratori impiegati nella commessa, per i quali occorre accertarsi che sia quantomeno garantito il rispetto dei minimi salariali stabiliti dal CCNL, pena il rischio di sfruttamento della manodopera o di ricorso al lavoro nero.

Naturalmente, nell’indicare in offerta i costi della manodopera, l’operatore economico non deve fare riferimento ad un costo medio del lavoro ma ai propri costi effettivi, cioè a quanto lui ritiene di dover sostenere in caso di aggiudicazione della commessa, tenuto conto del numero di ore di lavoro da impiegarsi nell’appalto, delle eventuali condizioni di esecuzione migliorative proposte, delle figure professionali che intende impiegare in esso e del loro costo orario effettivo, ecc.. Il costo della manodopera quantificato dal concorrente potrà quindi certamente discostarsi da quello stimato dalla stazione appaltante sulla base dei costi medi tratti dalle tabelle ministeriali, in quanto i reali valori aziendali possono ben risultare inferiori a causa di agevolazioni, sgravi fiscali o contributivi, detrazioni varie, nonché a causa di tassi di assenteismo del personale inferiori alla media. Esso tuttavia non potrà in nessun caso essere inferiore ai minimi salariali stabiliti dai contratti collettivi di riferimento, pena l’esclusione dell’offerta della procedura per incongruità non giustificabile (cfr. art. 110, comma 5, lett. d) del D. Lgs. n. 36/2023)[2].

Nelle procedure d’appalto, la quantificazione dei costi della manodopera rileva sotto due distinti profili: da un lato, la stazione appaltante fa una stima dei costi medi in fase di progettazione della gara per costruire la base d’asta, dall’altro, il concorrente deve indicare i propri costi di manodopera in offerta, ora a pena di esclusione. Questi ultimi non potranno in nessun caso essere inferiori ai minimi salariali stabiliti dai contratti collettivi di riferimento.

4. Il problema della non ribassabilità dei costi della manodopera stimati dalla stazione appaltante. Le diverse ipotesi interpretative

Come già detto, la novità di maggior rilievo nella nuova formulazione della norma, che peraltro sta dando già più di un grattacapo agli addetti ai lavori, è la previsione della non ribassabilità dei costi della manodopera stimati dalla stazione appaltante. L’art. 41 comma 14 dispone infatti che gli stessi siano scorporati dall’importo assoggettato al ribasso. Tale ultima disposizione, tuttavia, all’apparenza mal si concilia con il successivo capoverso del medesimo comma 14 che prevede che <<resta ferma la possibilità per l’operatore economico di dimostrare che il ribasso complessivo dell’importo deriva da una più efficiente organizzazione aziendale>>.

I grattacapi derivano dal fatto che non è ben chiaro come debbano procedere, sia la stazione appaltante nella quantificazione della base d’asta che l’operatore economico nella compilazione della propria offerta, per non incorrere in una errata applicazione della norma.

I primi a cimentarsi nella soluzione di questo rebus sono stati gli esperti del Servizio Supporto giuridico del MIT, i quali, rispondendo ad alcune richieste di parere, hanno richiamato i dettami del Bando tipo ANAC n. 1/2023.

Con i pareri nn. 2154 e 2280 del 2023, infatti, il Ministero ha tentato di dare risposta ai quesiti formulati proprio sulle modalità applicative della disposizione in esame. In particolare, era stato richiesto se l’offerta economica debba essere costituita solamente dal ribasso operato sull’importo al netto del costo della manodopera e se il costo della manodopera, <<laddove invece ribassato, ovvero indicato dall’operatore economico in misura inferiore all’importo indicato dalla stazione appaltante negli atti di gara, in virtù di una più efficiente organizzazione sindacale, debba considerarsi un importo che si aggiunge all’importo dell’offerta economica come sopra considerata ed oggetto solo di valutazione ai fini della congruità dell’offerta medesima>>.

Il MIT, nel fornire risposta ai predetti quesiti, rinvia alle indicazioni interpretative ed applicative di cui al bando tipo ANAC n. 1/2023 relativo alle procedure aperte per l’affidamento di servizi e forniture sopra soglia nei settori ordinari. Nello specifico, il MIT richiama il punto 3 dello schema di Disciplinare nella parte in cui stabilisce che nella determinazione dell’importo a base di gara la stazione appaltante dovrà procedere in questo modo: <<l’importo a base di gara comprende i costi della manodopera che la stazione appaltante ha stimato pari ad € … [indicare l’importo] calcolati sulla base dei seguenti elementi … [precisare gli elementi attraverso i quali si è pervenuti alla determinazione del costo stimato o eventualmente indicare l’allegato che contiene questa informazione] e riferiti a … [specificare a quali servizi o forniture si riferiscono i costi della manodopera]. I costi della manodopera non sono soggetti al ribasso>>.

D’altro canto, l’operatore economico dovrà indicare in offerta il costo della manodopera (punto 17 del Bando-tipo ANAC). In caso di indicazione in offerta di un costo della manodopera diverso da quello stimato dalla stazione appaltante, la medesima sarà sottoposta al procedimento di verifica dell’anomalia ai sensi dell’art. 110, D.Lgs. 36/2023. Il MIT rammenta altresì che <<le clausole contenute nei bandi tipo ANAC, diverse da quelle indicate come facoltative, continuano ad assumere carattere vincolante per le stazioni appaltanti, in base a quanto dispone l’art. 83, comma 3, del nuovo Codice dei contratti, secondo cui “Successivamente all’adozione da parte dell’ANAC di bandi tipo, i bandi di gara sono redatti in conformità degli stessi. Le stazioni appaltanti, nella delibera a contrarre, motivano espressamente in ordine alle deroghe al bando-tipo”>>.

Il Ministero conclude nel senso che l’importo della manodopera non debba essere scorporato dall’importo a base d’asta e che detto importo non si aggiunge ma fa parte dell’offerta ed è soggetto a verifica.

A conclusioni simili è giunta anche l’ANAC, che, con propria delibera n. 528 del 15 novembre 2023, in risposta ad una istanza di parere avente ad oggetto l’interpretazione dell’art. 41, comma 14, sostiene che <<la lettura sistematica della prima parte dell’articolo 41, comma 14, del d.lgs. 31 marzo 2023, n. 36, secondo il quale i costi della manodopera sono scorporati dall’importo assoggettato al ribasso, e della seconda parte della norma, che riconosce al concorrente la possibilità di dimostrare che il ribasso complessivo offerto deriva da una più efficiente organizzazione aziendale, induce a ritenere che il costo della manodopera, seppur quantificato e indicato separatamente negli atti di gara, rientri nell’importo complessivo a base di gara, su cui applicare il ribasso offerto dal concorrente per definire l’importo contrattuale>>.

L’Autorità giunge alla predetta conclusione richiamando anch’essa il Bando tipo n. 1 e chiarendo che l’interpretazione della norma de qua recepita in esso <<consente un adeguato bilanciamento tra la tutela rafforzata della manodopera – che costituisce la ratio della previsione dello scorporo dei costi della manodopera, evincibile dal criterio contenuto nella lett. t) dell’art. 1, comma 1, della legge delega (L. n. 78/2022) – con la libertà di iniziativa economica e d’impresa, costituzionalmente garantita, la quale, nel suo concreto dispiegarsi, non può che comportare la facoltà dell’operatore economico di dimostrare che la più efficiente organizzazione aziendale impatta sui costi della manodopera, diminuendone l’importo rispetto a quello stimato dalla Stazione appaltante negli atti di gara>>.

Secondo l’ANAC, inoltre, <<solo seguendo tale impostazione, si spiega anche l’obbligo del concorrente di indicare i propri costi della manodopera, a pena di esclusione dalla gara (art. 108, comma 9, d.lgs. 36/2023), previsione che sarebbe evidentemente superflua se i costi della manodopera non fossero ribassabili, e il successivo art. 110, comma 1, che include i costi della manodopera dichiarati dal concorrente tra gli elementi specifici in presenza dei quali la stazione appaltante avvia il procedimento di verifica dell’anomalia>>.

La norma contenuta nell’art. 41, che dispone la non ribassabilità dei costi della manodopera, ha dato adito a diverse interpretazioni. Su di essa si sono espressi il MIT, l’ANAC e la giurisprudenza, giungendo a soluzioni molto differenti tra loro.

La conclusione cui giungono il Ministero delle infrastrutture e l’ANAC, tuttavia, sembrerebbe invero inconciliabile con il dettato letterale della norma, laddove si dice espressamente che i costi della manodopera debbano essere scorporati dall’importo assoggettato a ribasso, cosa evidentemente differente dal dire che detto costo debba invece rientrare nell’importo complessivo a base di gara, su cui applicare il ribasso offerto dal concorrente.

Detta apparente inconciliabilità è stata probabilmente colta anche dai giudici del TAR, posto che nelle prime sentenze pronunciate sul nuovo art. 41, emesse in particolare dal TAR Calabria, i giudici di prime cure sono giunti a conclusioni opposte rispetto alla posizione dell’ANAC e del MIT.

In due recenti sentenze – la n. 119 e, ancora più chiaramente, la n. 120, entrambe del 8 febbraio 2024 – il TAR Calabria, sezione staccata di Reggio Calabria, ha accolto i ricorsi di un operatore economico concorrente in due diverse procedure, e ha, in entrambi i casi, annullato l’aggiudicazione in favore del primo classificato (lo stesso soggetto per entrambe le gare), e ha disposto l’esclusione del secondo classificato (nella sentenza n. 120), a causa di una loro erronea interpretazione della lex specialis di gara e dell’art. 41, che ha portato all’inclusione, in entrambe le procedure, dei costi della manodopera nell’importo assoggettato al ribasso.

Secondo i giudici calabresi, l’art. 41 del Codice <<contiene il riferimento a due concetti distinti che (…) non sono sovrapponibili ovvero “l’importo posto a base di gara”, nell’individuare il quale la stazione appaltante deve prevedere anche il cd. costo della manodopera, e l’”importo assoggettato al ribasso” dal quale, invece, “i costi della manodopera”, devono essere scorporati. Tale previsione normativa vieta, quindi, che i costi della manodopera, pur rientrando nel più generale “importo posto a base di asta”, siano inclusi nel cd. importo assoggettato al ribasso ovvero nell’importo sul quale dovrà essere applicato il ribasso percentuale offerto dal concorrente e ciò all’evidente fine di non sottostimare le retribuzioni da erogare ai lavoratori “applicati” nell’esecuzione delle commesse pubbliche>>.

Nella sentenza n. 120, il TAR puntualizza inoltre che occorre <<partire proprio dalla corretta individuazione dell’importo ribassabile, posto che non può dubitarsi del fatto che esso sia predeterminato dalla stazione appaltante e uguale per tutte le imprese, (…) la corretta individuazione dello stesso non è, tuttavia, irrilevante atteso che l’importo concretamente offerto, che costituisce il fulcro della volontà negoziale manifestata dalla concorrente in quanto la vincola nei confronti della stazione appaltante, non può che essere stabilito applicando il ribasso percentuale all’importo soggetto a ribasso indicato>>.

Il fatto di dover applicare il ribasso percentuale offerto solo sull’importo a base di gara al netto dei costi della manodopera stimati non toglie che <<ciascun concorrente possa, in via separata rispetto “all’importo assoggettato al ribasso” (ovvero quello sul quale applicare la percentuale di ribasso percentuale), esporre una cifra, a titolo di costi della manodopera, inferiore rispetto a quella che la stazione appaltante ha previsto ex ante nell’ambito del più ampio importo posto a base di gara. Ciò, tuttavia, potrà avvenire a condizione che tale, per così dire, “indiretto” ribasso dei costi della manodopera risulti coerente con una “più efficiente organizzazione aziendale” che l’operatore dovrà dimostrare in sede di verifica dell’anomalia, doverosamente promossa dalla stazione appaltante (…)>>[3].

Nel caso concreto che ha dato origine alla prima pronuncia, i concorrenti avrebbero dovuto indicare un ribasso percentuale unico offerto, da applicarsi all’importo assoggettato al ribasso, da digitare direttamente sulla piattaforma di e-procurement e, contestualmente, compilare un “modello C”, da allegare in piattaforma, nel quale ciascun concorrente avrebbe dovuto chiaramente distinguere: a) l’importo soggetto al ribasso, sul quale avrebbe dovuto applicare la percentuale caricata direttamente on line, e comunque da ribadire nel modello C; b) l’importo dei costi della manodopera impiegata, non inseribili nell’ambito del suddetto importo.

In concreto, l’aggiudicataria, dopo aver inserito in piattaforma il ribasso percentuale offerto, ha riempito gli spazi lasciati liberi nell’apposito Modello C – le cui indicazioni erano necessarie, ai fini sopra indicati – inserendo nella casella corrispondente all’importo soggetto a ribasso la sommatoria del costo dei lavori, dei costi della progettazione e dei costi della manodopera. L’inserimento di siffatta ultima voce di costo <<nel novero dell’importo assoggettato a ribasso, – si legge nella sentenza n. 119/2024 – in quanto contrastante con le disposizioni normative e speciali sopra indicate, avrebbe dovuto condurre all’esclusione de plano la concorrente>>.

Ancora, i giudici di prime cure non accolgono neppure l’eccezione secondo la quale la volontà del concorrente di non assoggettare a ribasso i costi della manodopera, avendo lo stesso inserito nell’offerta una postilla che prevedeva tale specificazione, fosse inequivocabilmente “ricostruibile” dalla Commissione, in quanto, al contrario, tale precisazione avrebbe semmai dovuto indurre la Commissione a valutare l’estrema incertezza dell’offerta economica dell’aggiudicataria. <<Tale incertezza – afferma il TAR Calabria – risulta, invero, figlia non già di un mero errore materiale, facilmente riconoscibile ed emendabile, in applicazione dei principi del risultato e della fiducia, (…) bensì della predisposizione di una offerta in termini confusi ed indecisi la quale, per ciò stesso, non avrebbe potuto essere oggetto di alcuna attività esegetica, pena l’indebita sostituzione dell’amministrazione nella volontà dell’offerente, con conseguente violazione del principio della par condicio competitorum>>.

Situazione pressocché identica si è verificata anche nella controversia decisa con la sentenza n. 120, nella quale viene escluso anche il secondo classificato in quanto, avendo lo stesso precisato che nell’importo cui applicare il ribasso fossero inclusi i costi di manodopera senza null’altro aggiungere, ha fatto concludere il TAR per la sua esclusione, essendo <<tanto più evidente la volontà dell’operatore economico di offrire il ribasso percentuale sull’importo dell’appalto comprensivo di questi costi e al netto dei soli oneri per la sicurezza>>.

Ciò che invece i giudici per ora non chiariscono, a differenza del parere del MIT, è se e quali costi di manodopera non soggetti al ribasso debbano essere sommati all’offerta economica: quelli stimati dalla stazione appaltante o quelli – eventualmente anche inferiori ma giustificati da una migliore organizzazione aziendale – indicati dal concorrente in offerta.

Le prime pronunce del giudice di primo grado si sono orientate verso un’interpretazione letterale della norma sulla non ribassabilità dei costi della manodopera ed hanno concluso per l’esclusione delle offerte in cui il ribasso percentuale veniva calcolato su un importo a base di gara comprensivo di tali costi.

5. Questioni problematiche sulla verifica di congruità dei costi della manodopera

Il nuovo Codice ha innovato anche con riferimento alla verifica sulla congruità dei costi della manodopera indicati in offerta dal concorrente. La previgente disposizione, l’art. 95, comma 10 del D. Lgs. n. 50/2016, stabiliva che <<le stazioni appaltanti, relativamente ai costi della manodopera, prima dell’aggiudicazione procedono a verificare il rispetto di quanto previsto all’articolo 97, comma 5, lettera d)>>. La giurisprudenza consolidatasi nel tempo ha avuto modo di chiarire che detta verifica va tenuta distinta dalla verifica da compiere in caso di anomalia delle offerte. Infatti, questo tipo di controllo andava fatto in ogni caso, a prescindere dal fatto che l’offerta fosse considerata anomala o meno, e costituiva una verifica propedeutica e necessaria all’aggiudicazione.

In merito, sia il Consiglio di Stato che i giudici di prime cure[4] hanno in più occasioni chiarito che <<l’obbligo di controllo di cui all’art. 95, comma 10 citato non deve essere confuso con l’eventuale verifica di anomalia dell’offerta di cui all’art. 97, essendo il primo controllo obbligatorio in ogni caso, anche in mancanza di una vera e propria verifica di anomalia>> e che si tratta <<di una verifica necessaria a prescindere dall’emersione di situazioni di anomalia dell’offerta (…). La demarcazione fra verifica della manodopera, obbligatoria in ogni procedura di appalto, e verifica di anomalia, è piuttosto netta, anche se la verifica dei costi di manodopera può ragionevolmente confluire in quella di anomalia, qualora (…) la stazione appaltante attivi il relativo subprocedimento>>. La verifica di congruità dei costi della manodopera doveva essenzialmente controllare che fossero rispettati i minimi salariali inderogabili stabiliti dai contratti collettivi maggiormente rappresentativi a livello nazionale per il settore di riferimento. Ciò comporta che il parametro di riferimento insuperabile non era il costo medio determinato dalle tabelle ministeriali e considerato dalla stazione appaltante in sede di stima del costo della manodopera stimato in fase di progettazione della gara ma le tabelle dei minimi salariali.

Ciò premesso, è importante notare che nella nuova formulazione della norma, contenuta nell’art. 108, è venuto meno il riferimento alla necessaria verifica di congruità dei costi della manodopera, propedeutica all’aggiudicazione. Tale mancato riferimento, che fa propendere per la conclusione che sia venuto meno il corrispondente obbligo, che la rendeva necessaria a prescindere dall’eventuale anomalia dell’offerta, sembra coerente con la previsione della non ribassabilità della quota parte dell’importo a base di gara costituito dai costi della manodopera stimati dalla stazione appaltante.

Il ragionamento fatto dal legislatore parrebbe essere stato questo: la stazione appaltante stima i costi della manodopera facendo riferimento ai costi medi tratti dal contratto collettivo di riferimento; l’operatore economico quantifica i propri costi della manodopera guardando ai costi effettivi. Laddove questi ultimi non siano inferiori a quelli stimati dalla stazione appaltante, nulla quaestio: la stazione appaltante potrà procedere all’aggiudicazione senza ulteriori adempimenti preventivi. Nel caso, invece, in cui i costi di manodopera indicati in offerta siano inferiori a quelli stimati dalla stazione appaltante si pone il problema di verificarne la congruità, nei termini sanciti dall’ultimo capoverso del comma 14 dell’art. 41, ossia il concorrente dovrà dimostrare che il ribasso complessivo dell’importo deriva da una sua più efficiente organizzazione aziendale.

Un altro aspetto dubbio riguarda la natura della verifica della congruità dei costi della manodopera indicati in offerta dal concorrente nel caso in cui gli stessi siano inferiori a quelli stimati dalla stazione appaltante. Ci si chiede se la stessa sia assimilabile alla previgente verifica, sempre obbligatoria prima dell’aggiudicazione, o piuttosto si tratti di una verifica sull’anomalia dell’offerta.

In prima battuta, stando anche al dato letterale della norma, parrebbe che tale verifica – eventuale – sia assimilabile a quella che deve svolgersi in presenza di un’offerta considerata anomala. In questo senso si è espressa, seppure incidenter tantum, l’ANAC nella già citata delibera n. 528/2023 e il MIT nel suo parere n. 2154/2023[5]. Di diverso avviso qualche giudice di prime cure[6], che non coglie alcuna differenza tra la vecchia e la nuova disposizione, tanto da annullare un’aggiudicazione per non avere la stazione appaltante sottoposto l’offerta dell’aggiudicataria al necessario controllo finalizzato a verificare il rispetto dei minimi salariali alla luce dell’indicato costo della manodopera. <<In forza del combinato disposto degli artt. 108 comma 9 e 110 comma 5 lett. d) del d.lgs. n. 36/2023, – sostengono infatti i giudici campani – al pari di quanto stabilivano gli artt. 95, comma 10, e 97, comma 5, lett. d) del d.lgs. n. 50/2016, prima dell’aggiudicazione le stazioni appaltanti devono verificare che il costo del personale non sia inferiore ai minimi salariali retributivi. Tale accertamento (che non dà luogo a un sub-procedimento di verifica di anomalia dell’intera offerta, ma mira esclusivamente a controllare il rispetto del salario minimo (…)) è sempre obbligatorio, anche nei casi, quale quello in esame, di gara al massimo ribasso. Diversamente, infatti, potrebbe essere compromesso il diritto dei lavoratori alla retribuzione minima, tutelato dall’art. 36 Cost.>>.

La questione resta aperta, come, del resto, le altre di cui si è trattato sopra. Occorrerà attendere nuove pronunce che chiariscano i molteplici aspetti equivoci della norma sin qui esaminata.

Dott.ssa Alessandra Verde

                        (Referendaria consiliare presso il Consiglio regionale della Sardegna)


[1] Cfr. Cons. Stato sez. V, 09/06/2023, n. 5665.

[2] L’art. 110, comma 5, del nuovo Codice dei contratti, similmente a quanto previsto dal precedente codice, stabilisce che <<La stazione appaltante esclude l’offerta se le spiegazioni fornite non giustificano adeguatamente il livello di prezzi o di costi proposti, tenendo conto degli elementi di cui al comma 3, oppure se l’offerta è anormalmente bassa in quanto: (…) d) il costo del personale è inferiore ai minimi salariali retributivi indicati nelle apposite tabelle di cui all’articolo 41, comma 13>>.

[3] TAR Calabria n. 119/2023 cit..

[4] Tar Lombardia, Milano, 01.06.2020, n.978; TAR Lombardia, Milano, sez. I, n. 1067/2019; TAR Campania, Salerno, sez. II, n. 1994/2020; Cons. Stato, 30.09.2020, n.5735; TAR Lombardia, sez. IV, n. 2634 22.12.2020.

[5]In tal senso, incidenter tantum, anche TAR Calabria nella sentenza n. 119 citata.

[6] In particolare, TAR Napoli, n. 6128 del 07.11.2023.

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Dott.ssa Alessandra Verde
Referendaria consiliare presso il Consiglio regionale della Sardegna
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