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1. La questione controversa

Nel nostro Codice dei contratti pubblici convivono al momento due norme la cui compatibilità è stata da tempo revocata in dubbio. Si tratta dell’art. 89 e dell’art. 83, comma 8, che dettano regole sull’avvalimento interno ai raggruppamenti temporanei di imprese. Su di esse si è recentemente pronunciata la Corte di giustizia UE, mettendo fine alle controverse questioni interpretative sorte nell’ultimo periodo.

L’art. 89 infatti, in tema di avvalimento, sancisce che <<l’operatore economico, singolo o in raggruppamento di cui all’articolo 45, per un determinato appalto, può soddisfare la richiesta relativa al possesso dei requisiti di carattere economico, finanziario, tecnico e professionale di cui all’articolo 83, comma 1, lettere b) e c), necessari per partecipare ad una procedura di gara, e, in ogni caso, con esclusione dei requisiti di cui all’articolo 80, avvalendosi delle capacità di altri soggetti, anche partecipanti al raggruppamento, a prescindere dalla natura giuridica dei suoi legami con questi ultimi>>. Si tratta del cosiddetto avvalimento interno o infragruppo, esplicitamente ammesso dal nostro ordinamento, oltre che, in primis, dall’ordinamento dell’Unione, secondo cui, all’interno di un RTI, è possibile che un concorrente si avvalga di uno o più requisiti, di cui esso sia carente, chiedendoli “in prestito” ad altro operatore economico – l’impresa ausiliaria – che può anche far parte del raggruppamento stesso.

Tuttavia, già nel medesimo art. 89 del Codice è contenuta una limitazione all’istituto dell’avvalimento quando questo abbia ad oggetto requisiti esperienziali. Ai sensi del secondo capoverso del comma 1, infatti, <<per quanto riguarda i criteri relativi all’indicazione dei titoli di studio e professionali di cui all’allegato XVII, parte II, lettera f), o alle esperienze professionali pertinenti, gli operatori economici possono (…) avvalersi delle capacità di altri soggetti solo se questi ultimi eseguono direttamente i lavori o i servizi per cui tali capacità sono richieste>>. Ciò significa che, quando il contratto di avvalimento ha ad oggetto il prestito del requisito dell’esperienza pregressa, è necessario che l’ausiliaria si impegni ad assumere un ruolo esecutivo nello svolgimento del servizio e non soltanto a mettere a disposizione dell’ausiliata il know-how e la struttura organizzativa. In questa ipotesi, se l’ausiliaria è anche mandante e l’ausiliata è mandataria, si pone un problema di ripartizione delle quote di esecuzione, in quanto, in forza della disposizione sopra citata, deve essere la mandante ausiliaria ad eseguire il servizio per cui è richiesta l’esperienza pregressa e non la mandataria ausiliata. Ciò, tuttavia, in apparente contrasto con quanto stabilito dall’art. 83, comma 8 del Codice.

Infatti, a fronte delle suddette previsioni, il citato comma 8 dell’art. 83, dal canto suo, stabilisce che, nell’ambito di un raggruppamento temporaneo, <<la mandataria in ogni caso deve possedere i requisiti ed eseguire le prestazioni in misura maggioritaria>>. Tale prescrizione indubbiamente comporta di fatto una limitazione della possibilità per un’impresa mandataria di un RTI di fruire a suo piacimento dell’istituto dell’avvalimento interno.

Le suddette disposizioni, prese letteralmente, danno infatti luogo a possibili antinomie: come può la mandataria farsi prestare un requisito da una mandante se deve comunque possedere quello stesso requisito in proprio in misura maggioritaria? E se si tratta del requisito dell’esperienza pregressa, l’obbligo per cui ad eseguire le prestazioni debba necessariamente essere l’ausiliaria mandante come si concilia con il limite imposto dall’art. 83?

Si dovrebbe ipotizzare che l’avvalimento infragruppo sia possibile ma solo a favore delle mandanti o, se reso a vantaggio della mandataria, soltanto in misura limitata, così da non violare il limite quantitativo dell’art. 83, comma 8.

Tale discorso vale per qualunque requisito, ma soprattutto per il prestito dei requisiti tecnico-professionali, per cui la limitazione opera su due fronti: quello del possesso (con mezzi propri) del requisito in capo alla mandataria in misura maggioritaria e quello dell’esecuzione delle prestazioni (cui i requisiti tecnico- professionali sono per loro natura connessi) in capo ad essa sempre in misura maggioritaria. Se il requisito in prestito è quello dell’esperienza pregressa, la mandataria si troverebbe addirittura impossibilitata ad eseguire le specifiche prestazioni per cui quell’esperienza sia stata richiesta, dovendo quelle essere svolte da chi possiede il requisito. In caso di avvalimento di un requisito di capacità economico-finanziaria, invece, si porrebbe soltanto un problema di ripartizione delle quote di possesso del medesimo senza alcuna ricaduta sulla fase esecutiva.

Si osserva sin d’ora che tali problematiche non sorgerebbero se la mandataria di un RTI decidesse di avvalersi dei requisiti di un soggetto esterno al raggruppamento medesimo. Si tratta quindi di un problema strettamente legato all’avvalimento interno o infragruppo.

L’art. 89 e l’art. 83, comma 8, del Codice dei contratti, che dettano regole sull’avvalimento interno ai raggruppamenti temporanei di imprese, si pongono tra loro in apparente contrasto, come ha avuto modo di rilevare il Consiglio di giustizia amministrativa siciliana nel sollevare la questione pregiudiziale nanti la Corte di giustizia UE. Quest’ultima si è recentemente pronunciata sul punto confermando l’antinomia.

2. L’interpretazione restrittiva del Consiglio di Stato

Fino al momento in cui il Consiglio di giustizia amministrativa per la Regione siciliana ha posto in dubbio la compatibilità dell’art. 83 comma 8 del Codice con l’ordinamento europeo, il Consiglio di Stato aveva a lungo sostenuto un’interpretazione restrittiva delle disposizioni sopra esaminate.

Infatti, il Supremo Collegio[1] ha più volte ribadito che la disposizione contenuta nell’art. 83, comma 8, <<nello stabilire che “la mandataria in ogni caso deve possedere i requisiti ed eseguire le prestazioni in misura maggioritaria”, fissa una prescrizione unitaria, in cui la fase della qualificazione e quella della esecuzione sono strettamente collegate ed il criterio di riparto valido per la seconda costituisce diretta conseguenza e logico sviluppo di quello vigente per la prima: ciò che costituisce, del resto, un corollario della regola di corrispondenza tra quote di qualificazione, quote di partecipazione e quote di esecuzione sulla quale fa leva la stessa società resistente all’appello>>. Il Consiglio di Stato si preoccupa anche di chiarire fino in fondo la ratio della norma contestata, quando afferma che <<scopo della regola citata è quello di assicurare che l’impresa mandataria, per il ruolo che detiene all’interno del raggruppamento e la posizione di responsabilità che riveste nei confronti della stazione appaltante, assuma una funzione di garanzia della corretta esecuzione dell’appalto, quale il legislatore ha ritenuto che possa riposare solo sul suo concorso principale alla dimostrazione dei requisiti di partecipazione ed alla esecuzione della prestazione richiesta dalla stazione appaltante>>.

Ne discende che l’avvalimento interno o infragruppo è certamente possibile secondo la giurisprudenza del Consiglio di Stato, ma a condizione e sino a che non si alteri la regola secondo cui la mandataria deve “in ogni caso”, ossia con mezzi propri, possedere i requisiti ed eseguire le prestazioni in misura maggioritaria[2]. La medesima interpretazione è stata recepita anche dal Consiglio di giustizia amministrativa per la Regione siciliana.

Il Consiglio di Stato ha sostenuto che l’avvalimento interno è possibile, ma a condizione e sino a che non si alteri la regola secondo cui la mandataria deve in ogni caso possedere i requisiti ed eseguire le prestazioni in misura maggioritaria. Tale posizione è stata confermata in un primo momento dal Consiglio di giustizia amministrativa per la Regione siciliana che ha poi, invece, sollevato la questione pregiudiziale dinanzi alla Corte di giustizia.

3. La questione pregiudiziale posta dal Consiglio di giustizia amministrativa per la Regione siciliana

Il Consiglio di giustizia amministrativa per la Regione siciliana si è trovato a riconsiderare la propria precedente posizione in occasione di un appello avverso la sentenza del TAR Sicilia, sezione staccata di Catania (Sezione Quarta) n. 3150/2019.

In primo grado, il TAR aveva avuto modo di accogliere il ricorso della seconda classificata in una gara, sulla scorta del fatto che il RTI aggiudicatario non avesse rispettato i dettami dell’art. 83 comma 8 del Codice. <<Pertanto, – ha affermato il giudice di prime cure – sebbene, sia certamente ammesso l’avvalimento, la mandataria del RTI deve, comunque, soddisfare la predetta condizione (possedere i requisiti ed eseguire le prestazioni in misura maggioritaria, ndr), tanto più considerato che la richiamata norma pretende l’osservanza della regola ivi sancita “in ogni caso”>>. In tal senso, il TAR Catania richiama appunto la precedente pronuncia del CGARS n. 147 del 2019 citata in nota, che, confermando l’indirizzo già espresso dal Consiglio di Stato, aveva affermato che <<è innegabile come dall’insieme degli articoli appena citati – del diritto italiano dei contratti pubblici – si ricava una regola per cui “la mandataria in ogni caso deve possedere i requisiti ed eseguire le prestazioni in misura maggioritaria” (…); e che la mandataria, tanto di un raggruppamento orizzontale quanto di uno verticale, debba assumere un ruolo predominante, spendendo i requisiti in misura maggioritaria, perché appunto maggioritarie sono le prestazioni che deve eseguire (…). Se dunque il Codice ed il regolamento (il D.P.R. n. 207/2010, ndr) richiedono che la mandataria sia davvero, in senso pieno ovvero anche sostanziale, la capogruppo e la guida effettiva dell’ATI, si tratta di valutare il rapporto tra la regola di fondo appena individuata e la possibilità, oramai pacificamente ammessa, di ricorrere all’avvalimento ad amplissimo spettro, permettendo che il prestito dei requisiti avvenga anche tra partecipanti al medesimo raggruppamento (art. 89, co. 1)>>. Il TAR si rifà quindi alla prima posizione espressa dal CGARS secondo cui va <<ricercata una formula, e dunque una soluzione, che renda compatibili le due regole, altrimenti in apparente contraddizione, in antinomia, l’una con l’altra (da un lato l’art. 83, comma 8; dall’altro l’art. 89, comma 1). E questa compatibilità non può che essere trovata riconoscendo che l’avvalimento infragruppo o interno è (certamente) possibile (ma) a condizione e sino a che non si alteri la regola secondo cui la mandataria deve “in ogni caso” possedere i requisiti ed eseguire le prestazioni in misura maggioritaria>>.

In sede di appello, il CGARS si è trovato quindi a dover nuovamente affrontare la questione della dubbia compatibilità tra l’art. 89, comma 1, che ammette l’avvalimento interno e l’art. 83, comma 8 che vi pone dei limiti. Stavolta il Collegio non ha concluso per la compatibilità nella misura in cui non sia travalicata la soglia posta dall’art. 83, comma 8, ma si è finalmente deciso a sollevare la questione pregiudiziale davanti alla Corte europea di giustizia, in accoglimento della richiesta in tal senso da parte dell’appellante.

Il RTI appellante ha infatti sostenuto che, nel caso di specie, ci si trovasse dinanzi ad un avvalimento operativo, e non di garanzia, <<un avvalimento, cioè, nel quale non si assiste al mero “prestito cartolare”, ma alla concreta messa a disposizione delle risorse umane e materiali che costituiscono il sostrato materiale del requisito stesso>>. In questo quadro fattuale, sarebbe stato chiaro, a detta dell’appellante, il tenore delle norme europee, <<nel senso della indiscriminata possibilità, espressamente estesa alla possibilità di “fare valere le capacità dei partecipanti al raggruppamento o di altri soggetti” (art. 63 direttiva 2014/24/UE, paragrafo 1, comma 3)>>.

In considerazione del ragionamento svolto dall’appellante, il CGARS ha deciso, con ordinanza n. 1106 del 24 novembre 2020, di “passare la palla” alla Corte di Giustizia UE. La motivazione del rinvio è la seguente: <<È noto che l’istituto dell’avvalimento ha una forte valenza nel diritto euro-unitario in quanto esso ha una valenza pro-concorrenza e non sono mancate le contestazioni mosse allo Stato Italiano per non aver valorizzato a pieno le potenzialità dell’istituto la cui disciplina (art. 89 comma 1 del decreto legislativo n. 50 del 2016) reca ancora resistenze ben evidenziate nella procedura di infrazione avviata nel 2019 dalla Commissione europea dove un paragrafo è proprio dedicato all’avvalimento. Su questi presupposti si prospetta l’eventualità che la disciplina di cui al penultimo periodo del comma 8 dell’art. 83 (…) potrebbe incidere e condizionare il ricorso all’avvalimento, finendo per disattendere quanto indicato dalla direttiva 2014/24/UE del 26 febbraio 2014 che all’art. 63 paragrafo 1 non sembra porre limitazioni alla possibilità che l’operatore economico faccia affidamento senza restrizioni alle capacità di altri soggetti ricorrendo all’avvalimento. (…). Quanto previsto dal penultimo periodo del comma 8 dell’art. 83 del Codice dei contratti d.lgs. 50 del 2016 (…) finirebbe per determinare in via interpretativa e senza violare direttamente l’art. 63 paragrafo 1 della direttiva 2014/24/UE, un’interpretazione della disposizione comunitaria limitativa delle scelte effettuate dall’operatore economico che finisce per condizionarne le libere determinazioni dell’impresa con chiari effetti anti concorrenziali (…)>>.

Il CGARS ha anche ribadito il proprio punto di vista, espresso in precedenti pronunce, suggerendo che le due disposizioni in precedenza richiamate (art. 89 comma 1 e art. 83 comma 8 del Codice) non darebbero vita ad alcuna antinomia e potrebbero essere interpretate nel senso che l’operatore economico non incontri alcun limite nel ricorrere all’istituto dall’avvalimento al fine di conquistare capacità non possedute purché il ricorso all’avvalimento non si spinga fino al punto da sovvertire la regola secondo cui la mandataria deve “in ogni caso” possedere i requisiti ed eseguire le prestazioni in misura maggioritaria.

Il CGARS ha quindi concluso la propria ordinanza di rinvio sollevando questione di pregiudizialità e invitando la Corte di Giustizia dell’Unione europea, ai sensi dell’art. 267 TFUE, a pronunciarsi sul seguente quesito: <<se l’articolo 63 della direttiva 2014/24 del Parlamento europeo e del Consiglio del 26 febbraio 2014, relativo all’istituto dell’avvalimento, unitamente ai principi di libertà di stabilimento e di libera prestazione di servizi, di cui agli articoli 49 e 56 del Trattato sul Funzionamento dell’Unione Europea (TFUE), osti all’applicazione della normativa nazionale italiana in materia di “criteri di selezione e soccorso istruttorio” di cui all’inciso contenuto nel penultimo periodo del comma 8 dell’art. 83 del codice dei contratti pubblici di cui al decreto legislativo 18 aprile 2016, n. 50, nel senso che in caso di ricorso all’istituto dell’avvalimento (di cui all’articolo 89 del codice dei contratti pubblici di cui al decreto legislativo 18 aprile 2016, n. 50), in ogni caso la mandataria deve possedere i requisiti ed eseguire le prestazioni in misura maggioritaria>>.

La questione pregiudiziale sollevata dinanzi alla Corte di giustizia UE si fonda sul fatto che l’art. 63 par. 1 della direttiva europea sui contratti pubblici non sembra porre limitazioni, a differenza del diritto interno, alla possibilità che l’operatore economico faccia affidamento senza restrizioni alle capacità di altri soggetti mediante avvalimento anche interno ad un RTI.

4. La posizione dell’ANAC espressa nel parere di precontenzioso reso con delibera n. 1140 del 2020

Nelle more della pronuncia della Corte europea di giustizia sulla questione di pregiudizialità sollevata dal CGARS, l’Autorità Nazionale Anticorruzione ha avuto modo di pronunciarsi su una fattispecie concreta del tutto similare. Con delibera n. 1140 del 22 dicembre 2020, infatti ha emesso un parere di precontenzioso che ha di fatto anticipato quella che poi sarebbe stata la decisione della Corte di giustizia UE.

L’ANAC ha infatti ritenuto che, pur essendo pendente il procedimento di rinvio pregiudiziale dinanzi alla CGUE, sarebbe stato possibile risolvere la questione sulla base dei principi già enunciati in merito dalla Corte di Giustizia fornendo una interpretazione delle norme codicistiche compatibile con le direttive europee.

In primo luogo, l’Autorità rammenta come il diritto europeo e l’interpretazione delle direttive fornita dalla Corte di Giustizia non prevedono limiti al ricorso dell’avvalimento. Il diritto dell’Unione infatti non impone che l’impresa concorrente sia in grado di realizzare direttamente, con mezzi propri, la prestazione convenuta né vieta che un concorrente possa avvalersi delle capacità di una o più imprese ausiliarie, in aggiunta alle proprie capacità, al fine di soddisfare i criteri di qualificazione posti dal bando di gara. Anzi, le direttive europee riconoscono il diritto di ogni operatore economico di fare affidamento, per un determinato appalto, sulle capacità di altri soggetti “a prescindere dalla natura giuridica dei suoi legami con questi ultimi” e purché sia dimostrato alla stazione appaltante che l’offerente disporrà dei mezzi di tali soggetti necessari per l’esecuzione della prestazione.

<<In quest’ottica, sostiene l’ANAC – sia la direttiva 2004/18/CE che la successiva direttiva 2014/24/UE hanno consentito senza riserve, ed in sostanziale continuità tra loro, il cumulo delle capacità di più operatori economici per soddisfare i requisiti minimi di qualificazione imposti dall’amministrazione aggiudicatrice, purché alla stessa si dimostri che l’appaltatore che si avvale delle capacità di uno o di svariati altri soggetti ausiliari disporrà effettivamente dei mezzi di questi ultimi, che sono necessari all’esecuzione dell’appalto. Tale interpretazione risponde all’obiettivo dell’apertura del mercato degli appalti pubblici alla concorrenza nella misura più ampia possibile, a vantaggio non soltanto degli operatori economici stabiliti negli Stati membri, ma parimenti delle amministrazioni aggiudicatrici. In tal modo, inoltre, si agevola l’accesso delle piccole e medie imprese agli appalti pubblici>>.

L’ANAC prosegue il ragionamento sostenendo che <<la disciplina dei raggruppamenti temporanei di imprese, in quanto espressione del principio generale di neutralità della forma dell’operatore economico (e quindi della necessità di garantire l’accesso agli appalti pubblici favorendo la cooperazione tra imprese) non può essere intesa come un limite all’avvalimento. La regola codificata nell’art. 83, comma 8, del D. lgs. n. 50/2016 (che, peraltro, non trova riscontro nelle direttive europee) va quindi intesa nel senso che anche la quota maggioritaria di requisiti che la mandataria di un raggruppamento deve possedere può essere dimostrata mediante ricorso all’avvalimento, anche interno. D’altra parte, una diversa interpretazione finirebbe con lo svilire la stessa figura dell’avvalimento e il suo significato>>.

L’Autorità, molto argutamente, fa notare inoltre che fornire un’interpretazione dell’art. 83, comma 8, del Codice come “limite” all’avvalimento <<è suscettibile di determinare una ingiustificata disparità di trattamento tra l’ipotesi in cui la mandataria di un RTI ricorra all’avvalimento esterno (per il quale gli artt. 83 e 89 del Codice non pongono restrizioni quantitative) e l’ipotesi di utilizzo di avvalimento interno. Ciò, pur a fronte del rilievo che l’avvalimento infragruppo offre maggiori garanzie alla stazione appaltante in termini di responsabilità solidale tra le imprese. In questo caso, infatti, alla garanzia di solidarietà di cui all’art. 89, comma 5, del Codice (circoscritta alle sole prestazioni oggetto del contratto di avvalimento), si aggiunge il regime rafforzato dei RTI (ex art. 48, comma 5, del Codice) che prevede la responsabilità solidale di tutte le imprese raggruppate nei confronti della stazione appaltante, nonché dei subappaltatori e dei fornitori, con riferimento all’esecuzione di tutte le prestazioni oggetto di gara>>.

L’Autorità pertanto conclude sostenendo che <<la regola codificata nel richiamato art. 83, comma 8, del Codice non può essere intesa come “limite” o “condizione” all’avvalimento, perché così interpretata essa sarebbe contraria al diritto euro-unitario che non pone limitazioni quantitative né qualitative all’avvalimento e che lo consente espressamente anche nell’ambito dei raggruppamenti di imprese e, in tal caso, sia mediante avvalimento interno sia mediante avvalimento esterno. Dunque, all’interno di un RTI, anche tutti i requisiti di capacità economico-finanziaria e tecnico-professionale della mandataria possono essere dimostrati mediante ricorso all’avvalimento (anche interno)>>.

L’ANAC, in un parere di precontenzioso reso alla fine del 2020, anticipa le conclusioni cui poi giungerà la Corte di giustizia UE, interpretando la regola codificata nell’art. 83, comma 8, del Codice nel senso che essa non può essere intesa come limite all’avvalimento, perché così interpretata risulterebbe contraria al diritto euro-unitario, che non pone limitazioni quantitative né qualitative all’avvalimento.

5. La decisione della Corte europea di giustizia

Con sentenza del 28 aprile 2022, pronunciata nella causa C-642/20, la Corte di giustizia UE scioglie finalmente ogni dubbio sull’apparente antinomia tra l’art. 89 e l’art. 83, comma 8 del Codice.

La Corte delinea il quadro normativo europeo richiamando innanzitutto l’art. 19 della direttiva 2014/24, nella parte in cui prevede che «ove necessario, le amministrazioni aggiudicatrici possono specificare nei documenti di gara le modalità con cui i raggruppamenti di operatori economici devono ottemperare ai requisiti in materia di capacità economica e finanziaria o di capacità tecniche e professionali di cui all’articolo 58, purché ciò sia proporzionato e giustificato da motivazioni obiettive. Gli Stati membri possono stabilire le condizioni generali relative all’ottemperanza a tali modalità da parte degli operatori economici. Le condizioni per l’esecuzione di un appalto da parte di tali gruppi di operatori economici, diverse da quelle imposte a singoli partecipanti, sono giustificate da motivazioni obiettive e sono proporzionate».

La Corte richiama, tra gli altri, l’art. 63 della medesima direttiva che dispone che «per quanto riguarda i criteri relativi alla capacità economica e finanziaria stabiliti a norma dell’articolo 58, paragrafo 3, e i criteri relativi alle capacità tecniche e professionali stabiliti a norma dell’articolo 58, paragrafo 4, un operatore economico può, se del caso e per un determinato appalto, fare affidamento sulle capacità di altri soggetti, a prescindere dalla natura giuridica dei suoi legami con questi ultimi. Per quanto riguarda i criteri relativi all’indicazione dei titoli di studio e professionali (…) o alle esperienze professionali pertinenti, gli operatori economici possono tuttavia fare affidamento sulle capacità di altri soggetti solo se questi ultimi eseguono i lavori o i servizi per cui tali capacità sono richieste. (…) Nel caso di appalti di lavori, di appalti di servizi e operazioni di posa in opera o installazione nel quadro di un appalto di fornitura, le amministrazioni aggiudicatrici possono esigere che taluni compiti essenziali siano direttamente svolti dall’offerente stesso o, nel caso di un’offerta presentata da un raggruppamento di operatori economici di cui all’articolo 19, paragrafo 2, da un partecipante al raggruppamento».

Stante questa cornice normativa europea, nell’ordinamento italiano si prevede qualcosa di diverso. Secondo la Corte, infatti, nell’imporre all’impresa mandataria del raggruppamento di imprese di eseguire le prestazioni «in misura maggioritaria» rispetto a tutti i membri del raggruppamento, vale a dire di eseguire la maggior parte dell’insieme delle prestazioni contemplate dall’appalto, l’articolo 83, comma 8, del nostro Codice dei contratti pubblici ha posto <<una condizione più rigorosa di quella prevista dalla direttiva 2014/24, la quale si limita ad autorizzare l’amministrazione aggiudicatrice a prevedere, nel bando di gara, che taluni compiti essenziali siano svolti direttamente da un partecipante al raggruppamento di operatori economici. Secondo il regime istituito da tale direttiva, le amministrazioni aggiudicatrici hanno la facoltà di esigere che taluni compiti essenziali siano svolti direttamente dall’offerente stesso o, se l’offerta è presentata da un raggruppamento di operatori economici ai sensi dell’articolo 19, paragrafo 2, della direttiva 2014/24, da un partecipante a detto raggruppamento; per contro, secondo il diritto nazionale (…), il legislatore nazionale impone, in modo orizzontale, per tutti gli appalti pubblici in Italia, che il mandatario del raggruppamento di operatori economici esegua la maggior parte delle prestazioni>>.

Da qui, l’evidente mancato rispetto da parte del nostro legislatore dei principi posti a livello europeo. Prosegue infatti la Corte, affermando che <<è vero che l’articolo 19, paragrafo 2, secondo comma, della direttiva 2014/24 prevede che gli Stati membri possano stabilire clausole standard che specifichino il modo in cui i raggruppamenti di operatori economici devono soddisfare le condizioni relative alla capacità economica e finanziaria o alle capacità tecniche e professionali di cui all’articolo 58 di tale direttiva. Tuttavia, quand’anche la capacità di svolgere compiti essenziali rientrasse nella nozione di «capacità tecnica», ai sensi degli articoli 19 e 58 della direttiva 2014/24, ciò che consentirebbe al legislatore nazionale di includerla nelle clausole standard previste dall’articolo 19, paragrafo 2, della stessa, una norma come quella contenuta nell’articolo 83, comma 8, terzo periodo, del Codice dei contratti pubblici, che obbliga il mandatario del raggruppamento di operatori economici ad eseguire direttamente la maggior parte dei compiti, va al di là di quanto consentito da tale direttiva. Infatti, una norma del genere non si limita a precisare il modo in cui un raggruppamento di operatori economici deve garantire di possedere le risorse umane e tecniche necessarie per eseguire l’appalto, ai sensi dell’articolo 19, paragrafo 2, di detta direttiva, in combinato disposto con l’articolo 58, paragrafo 4, della stessa, ma riguarda l’esecuzione stessa dell’appalto e richiede in proposito che essa sia svolta in misura maggioritaria dal mandatario del raggruppamento>>.

Con la sentenza di fine aprile, la Corte di giustizia UE ha finalmente chiarito la questione sull’antinomia tra l’art. 89 e il comma 8 dell’art. 83 del Codice, affermando l’incompatibilità di quest’ultimo con il diritto euro-unitario. Ora, in caso di avvalimento interno, la mandataria non sarà più obbligata a possedere i requisiti e ad eseguire le prestazioni in misura maggioritaria.

La conclusione interpretativa cui giunge la Corte europea non è confutata dal fatto che l’articolo 63 della direttiva sopra richiamato consenta alle stazioni appaltanti di esigere, per gli appalti di servizi, che «taluni compiti essenziali» siano svolti da un partecipante al raggruppamento di operatori economici. La volontà del legislatore europeo, in tale frangente, è chiara nel voler <<limitare ciò che può essere imposto a un singolo operatore di un raggruppamento, seguendo un approccio qualitativo e non meramente quantitativo, al fine di incoraggiare la partecipazione di raggruppamenti come le associazioni temporanee di piccole e medie imprese alle gare di appalto pubbliche>>. In altri termini, l’articolo 63 della direttiva si limita ad autorizzare le amministrazioni aggiudicatrici ad esigere, per gli appalti di servizi, che taluni compiti siano svolti dall’uno o dall’altro partecipante al raggruppamento di operatori economici. La prescrizione imposta dal nostro articolo 83, comma 8, invece, che impone tout court alla sola mandataria l’esecuzione delle prestazioni in misura maggioritaria, <<contravviene a siffatto approccio, eccede i termini mirati impiegati all’articolo 63, paragrafo 2, della direttiva 2014/24 e pregiudica così la finalità, perseguita dalla normativa dell’Unione in materia, di aprire gli appalti pubblici alla concorrenza più ampia possibile e di facilitare l’accesso delle piccole e medie imprese>>.

Alla luce delle considerazioni sopra svolte, la Corte di giustizia UE conclude dichiarando che l’articolo 63 della direttiva 2014/24 deve essere interpretato nel senso che esso osta ad una normativa nazionale secondo la quale l’impresa mandataria di un raggruppamento di operatori economici partecipante a una procedura di aggiudicazione di un appalto pubblico deve possedere i requisiti previsti nel bando di gara ed eseguire le prestazioni di tale appalto in misura maggioritaria>>.

La sentenza interpretativa della Corte di giustizia UE ha portata immediatamente precettiva nel senso che la stessa è efficace e vincolante erga omnes senza alcuna necessità di recepimento da parte dello Stato membro con apposito provvedimento. La norma in contrasto con il diritto europeo deve essere direttamente disapplicata dal giudice e dalla pubblica amministrazione.

6. Conclusioni

Alla luce dell’esaminata pronuncia della Corte di giustizia UE, gli operatori del diritto – stazioni appaltanti e giudici nazionali – dovranno immediatamente adeguarsi disapplicando, nelle procedure di appalto che di volta in volta si troveranno ad espletare o a giudicare, il limite imposto dall’art. 83, comma 8 del Codice.

Non vi è infatti alcun dubbio sulla portata immediatamente precettiva delle sentenze della Corte di giustizia, la cui efficacia e immediata vincolatività erga omnes è stata a più riprese affermata dalla Corte Costituzionale[3] e confermata dal Consiglio di Stato il quale, recentemente – con riferimento all’istituto del subappalto per cui la Corte di giustizia si era pronunciata affermando l’incompatibilità della norma interna che pone un limite quantitativo al subappalto in contrasto con l’ordinamento euro-unitario – ha disapplicato in un caso concreto l’art. 105, comma 2 del Codice[4].

L’interpretazione del diritto europeo, con efficacia vincolante per tutte le autorità – giurisdizionali e amministrative – degli Stati membri, anche ultra partes, compete alla Corte di giustizia UE. Pertanto, una norma interna dichiarata dalla Corte in contrasto con l’ordinamento UE ha come ricaduta la disapplicazione diretta della stessa anche da parte delle pubbliche amministrazioni degli Stati membri.

Secondo l’orientamento consolidato della Corte costituzionale[5], <<poiché ai sensi dell’art. 164 del Trattato spetta alla Corte di giustizia assicurare il rispetto del diritto nell’interpretazione e nell’applicazione del medesimo Trattato, se ne deve dedurre che qualsiasi sentenza che applica e/o interpreta una norma comunitaria ha indubbiamente carattere di sentenza dichiarativa del diritto comunitario, nel senso che la Corte di Giustizia, come interprete qualificato di questo diritto, ne precisa autoritariamente il significato con le proprie sentenze e, per tal via, ne determina, in definitiva, l’ampiezza e il contenuto delle possibilità applicative>>. Ne consegue che <<esigenze fondamentali di eguaglianza e di certezza giuridica postulano che le norme comunitarie (…) debbano avere piena efficacia obbligatoria e diretta applicazione in tutti gli Stati membri, senza la necessità di leggi di recezione e adattamento, come atti aventi forza e valore di legge in ogni Paese della Comunità, sì da entrare ovunque contemporaneamente in vigore e conseguire un’applicazione uguale ed uniforme nei confronti di tutti i destinatari>>.

Non resta quindi che attendere i prossimi passi delle stazioni appaltanti e dei giudici nazionali dinanzi ai casi concreti di avvalimento interno che si troveranno ad affrontare.

Dott.ssa Alessandra Verde

 (Referendaria consiliare presso il Consiglio regionale della Sardegna)


[1] Si veda, da ultimo, Cons. Stato, Sez. III, n. 4206 del 01.07.2020. Nel caso esaminato, il RTI appellato aveva dichiarato, ai fini della dimostrazione dei requisiti di capacità tecnica, una ripartizione degli stessi tra i componenti il raggruppamento – così come una partecipazione delle imprese raggruppate all’esecuzione del servizio oggetto di gara – non rispettosa della regola maggioritaria stabilita dall’art. 83, comma 8 del Codice.

[2] In senso conforme, Cons. Stato sez. III, n. 1339/2018, sez. IV, n. 5687/2017; Consiglio di giust. amm.va Reg. siciliana n. 147/2019.

[3] Tra le altre, si vedano Corte Cost. n. 210 del 29.10.2015, n. 41 del 07.02.2000, n. 384 del 10.11.1994.

[4] Cons. Stato, sez. V, n. 8101 del 17.12.2020

[5] Si vedano, ex multis, Corte Cost. n. 170/1984; n. 113/1985; ordinanza n. 255/1999.

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Dott.ssa Alessandra Verde
Referendaria consiliare presso il Consiglio regionale della Sardegna
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