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1. Considerazioni generali

Anche la pubblica amministrazione, alla stregua di un qualsiasi privato, non può esimersi dall’obbligo di tenere una condotta improntata ai fondamentali doveri di buona fede e correttezza nell’ambito delle relazioni che intrattiene con i terzi. Tale regola di condotta deve essere rispettata in ogni fase dell’attività svolta dall’amministrazione, anche in quella che precede l’adozione di provvedimenti amministrativi.

Per quanto concerne, in particolare, le procedure di appalto, gli obblighi di lealtà e buona fede devono caratterizzare il comportamento della stazione appaltante dall’avvio della procedura sino alla conclusione della stessa nonché nella successiva fase, prettamente privatistica, di stipulazione del contratto ed esecuzione del medesimo.

Ciò che interessa esaminare in questa sede è la condotta che la pubblica amministrazione deve tenere nella fase antecedente alla stipula del contratto, ovvero nella fase delle c.d. trattative, nell’ambito delle procedure ad evidenza pubblica.

Oggetto del presente contributo sarà, in altri termini, l’analisi dei doveri di buona fede e correttezza cui dovrà improntarsi il comportamento delle stazioni appaltanti dall’avvio di una procedura di affidamento sino alla stipula del contratto con l’aggiudicatario della procedura, nonché delle conseguenze in termini di danno risarcibile di eventuali condotte illecite sotto detto profilo.

Si pensi infatti a tutte quelle fattispecie in cui, nelle more della stipula del contratto, sopraggiunga un motivo per cui la gara venga revocata, ad esempio una sopravvenuta carenza di risorse finanziarie[1]. Ci si pone in questa sede il problema di esaminare se e a quali condizioni possa essere riconosciuta una tutela all’aggiudicatario che ha fatto affidamento sulla stipula del contratto correlato alla gara che il medesimo si sia aggiudicato.

Più in generale, ci si appresta a comprendere di quali rimedi possa disporre il partecipante alla gara che, in ogni caso, ha, in funzione di essa, investito tempo e risorse e che ha visto frustrato il suo affidamento a causa dell’intervenuta revoca.

Viene dunque in rilievo, in questo ambito, il concetto di responsabilità precontrattuale, ovvero della responsabilità per eventuali danni cagionati dalla stazione appaltante nella fase delle trattative che precedono il contratto e derivanti da un suo comportamento scorretto.

La norma di riferimento è, in tal caso, l’art. 1337 c.c. il quale stabilisce che <<le parti nello svolgimento delle trattative e nella formazione del contratto, devono comportarsi secondo buona fede>>.

Detto principio generale scaturisce dal fondamentale dovere di solidarietà cui tutti i consociati sono tenuti in virtù dell’art. 2 Cost., il quale, appunto, implica un generale comportamento improntato alla correttezza e alla buona fede, il quale, operando secondo criteri di reciprocità, fa sì che ciascuna parte in un rapporto obbligatorio agisca in modo da preservare gli interessi dell’altra, a prescindere dall’esistenza di specifici obblighi contrattuali o di quanto espressamente stabilito dalla legge[2].

Fino agli anni ’50, la giurisprudenza non ammetteva la configurabilità della responsabilità precontrattuale in capo alla pubblica amministrazione. Si è giunti gradualmente ad ammetterla, prima con riferimento alle sole trattative private e poi anche alle procedure ad evidenza pubblica.

2. Breve excursus del graduale riconoscimento della responsabilità precontrattuale negli appalti pubblici

La possibilità che in capo alla pubblica amministrazione potesse essere riconosciuta una responsabilità di tipo precontrattuale risale agli anni ’60. Fino alla fine degli anni ’50, infatti, non si riteneva configurabile una tale forma di responsabilità in capo alla pubblica amministrazione in quanto, da un lato, si riteneva che essa non potesse, nel corso della sua attività, compiere atti illeciti, essendo la sua azione preordinata per definizione al raggiungimento di un interesse pubblico e, dall’altro, perché l’indagine del giudice ordinario, volta all’accertamento di tale responsabilità e della conseguente quantificazione del danno, si sarebbe trasformata in un inammissibile sindacato giudiziale sulle modalità di esercizio dei poteri discrezionali.

A seguito della Sentenza n. 1675 pronunciata nel 1961  dalle Sezioni  Unite della Cassazione, vi è stata una svolta importante nel senso di riconoscere, per la prima volta, la configurabilità della responsabilità precontrattuale in capo alla pubblica amministrazione. Tale configurabilità era, invero, ammessa inizialmente soltanto per due ipotesi: l’ingiustificato recesso da una trattativa privata e la violazione del dovere di correttezza e buona fede nel rapporto instauratosi successivamente all’aggiudicazione della gara, ad esempio, in caso di omissione o ritardo nell’approvazione del contratto. La giurisprudenza riteneva che, in tali casi, la stazione appaltante si spogliasse dei propri doveri pubblicistici ed operasse come un qualunque altro soggetto privato.

Diversamente, nell’ambito dei pubblici incanti e delle licitazioni private ovvero, in sostanza, per le procedure ad evidenza pubblica, in cui la stazione appaltante esercitava un ruolo indiscutibilmente pubblicistico, la responsabilità precontrattuale della P.A. non veniva ritenuta ammissibile. A giustificazione di tale distinzione i giudici adducevano la motivazione per cui – in tale tipo di procedure – gli interessati non rivestissero la qualità di parte contraente, cui poteva applicarsi l’articolo 1337 c.c., ma fossero semplicemente “partecipanti alla gara”.

In una fase più recente, la giurisprudenza è giunta ad affermare la configurabilità della responsabilità precontrattuale in capo alla stazione appaltante anche nell’ipotesi di svolgimento di procedure ad evidenza pubblica.

Esamineremo di seguito le condizioni e i presupposti che giustificano la configurabilità di tale tipo di responsabilità nella condotta della pubblica amministrazione, soffermando l’attenzione proprio sulle procedure ad evidenza pubblica.

In particolare, la casistica venuta in rilievo in ambito giurisprudenziale ha visto attribuire una responsabilità precontrattuale in capo all’amministrazione nelle seguenti fattispecie[3]:

  • nel caso di revoca dell’indizione di una gara e dell’intervenuta aggiudicazione per esigenze di una ampia revisione del progetto, decisa dopo vari anni dall’indizione della gara medesima;
  • in caso di impossibilità di realizzare l’opera prevista per un sostanziale mutamento delle condizioni dell’intervento;
  • nel caso di annullamento di ufficio degli atti di gara per un vizio rilevato dalla stazione appaltante dopo l’aggiudicazione definitiva ma che la stessa avrebbe potuto rilevare già all’inizio della procedura di gara;
  • nel caso di revoca dell’aggiudicazione o di rifiuto di stipulare il contratto dopo l’aggiudicazione per sopravvenuta mancanza delle relative risorse finanziarie.

Si anticipa – ma lo vedremo più approfonditamente nella trattazione che segue – che, perché possa ritenersi sussistente una responsabilità precontrattuale in capo all’amministrazione, non è sufficiente il verificarsi sic et simpliciter di una delle situazioni concrete sopra elencate ma occorre che, in relazione ad esse, la P.A. abbia tenuto un qualche comportamento colpevole e sleale nei confronti del concorrente.

3. Presupposti e contenuti della responsabilità precontrattuale in capo alla pubblica amministrazione

Si è detto che la responsabilità precontrattuale – sia in capo alla pubblica amministrazione che in capo a qualunque altro soggetto – sorge in caso di violazione dei doveri di correttezza e buona fede cui tutti i consociati sono tenuti nella fase delle trattative che precedono l’instaurarsi di un rapporto contrattuale.

Il senso da attribuirsi ai concetti di buona fede e correttezza, pur se genericamente ravvisabile nel dovere in capo a ciascuno, come detto, di preservare gli interessi di controparte, è in verità piuttosto indeterminato e ciò non a caso: tale indeterminatezza permette a tale concetto di adattarsi agevolmente alle mutevoli dinamiche sociali. Con specifico riferimento alla condotta della pubblica amministrazione, occorre dire che il dovere di correttezza e buona fede è riferibile ad un comportamento, per così dire, fattuale e non all’attività amministrativa provvedimentale. La giurisprudenza ha infatti nel tempo chiarito come si debba distinguere tra l’esercizio dell’attività discrezionale della pubblica amministrazione, che si esprime mediante provvedimenti, i quali possono essere o meno legittimi, e il comportamento della stessa pubblica amministrazione. E’ necessario cioè considerare i comportamenti di fatto assunti dalla stazione appaltante – nel corso di una procedura di gara, per quanto qui ci interessa – a prescindere dalle scelte amministrative dalla stessa compiute mediante l’adozione di provvedimenti.

La giurisprudenza amministrativa ha chiarito che la responsabilità precontrattuale della pubblica amministrazione non è una responsabilità da provvedimento ma una responsabilità da comportamento e la stessa prescinde dall’avere o non avere adottato provvedimenti illegittimi.

Come ha chiarito la giurisprudenza[4], <<in seno ad un procedimento ad evidenza pubblica può configurarsi, accanto ad una responsabilità civile per lesione dell’interesse legittimo, derivante dalla illegittimità degli atti o dei provvedimenti relativi al procedimento amministrativo di scelta del contraente, una responsabilità di tipo precontrattuale per violazione di norme imperative che pongono “regole di condotta”, da osservarsi durante l’intero svolgimento della procedura di evidenza pubblica. Le predette regole “di validità” e “di condotta”, come ribadito più volte dalla giurisprudenza amministrativa, operano su piani distinti: non è necessaria la violazione delle regole di validità per aversi responsabilità precontrattuale e, viceversa, la inosservanza delle regole di condotta può non determinare l’invalidità della procedura di affidamento>>.

In altre parole, la responsabilità precontrattuale della pubblica amministrazione non è una responsabilità da provvedimento ma una responsabilità da comportamento e la stessa prescinde dall’avere o non aver adottato provvedimenti illegittimi. Ciò da cui può derivare una responsabilità precontrattuale dell’amministrazione non è dunque l’esercizio del potere amministrativo, il quale, se esercitato illegittimamente dà luogo ad una responsabilità per danno da lesione di interessi legittimi, ma è il comportamento nel quale si inserisce l’esercizio di tale potere, comportamento che deve rispettare regole privatistiche proprio per il fatto di non essere esercizio del potere amministrativo.

L’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato n. 6 del 2005 ha in questo senso fatto luce sul punto affermando la configurabilità della responsabilità precontrattuale anche nell’ipotesi di svolgimento di attività amministrativa legittima. In particolare, l’attività de qua, sebbene legittima, può essere, infatti, lesiva del principio di affidamento e buona fede laddove, naturalmente, i comportamenti tenuti dalla stazione appaltante nel corso della procedura di gara o dopo l’aggiudicazione – per porsi quali fatti generatori di responsabilità precontrattuale – risultino contrastanti con le regole di correttezza e di buona fede di cui all’art. 1337 del c.c..

Di più. In alcune pronunce, i giudici del Supremo Collegio hanno ribadito che <<l’avvenuto riconoscimento della legittimità della revoca non contraddice l’eventualità di un risarcimento per responsabilità precontrattuale, ma ne fonda anzi la condizione imprescindibile[5] giacché, in caso di illegittimità della revoca e quindi del suo annullamento, si imporrebbe la ripresa della gara, ovvero il risarcimento per equivalente anche in relazione al mancato utile relativo alla specifica gara revocata >>.

Un esempio può aiutare a chiarire quanto sostenuto nelle sentenze citate. E’ sufficiente pensare ad alcuni dei casi concreti che hanno fatto sorgere i contenziosi conclusisi con le pronunce citate. La stazione appaltante procede alla pubblicazione di un bando di gara, espleta la procedura, giunge ad aggiudicare l’affidamento in capo ad uno dei concorrenti ma, dopo l’aggiudicazione definitiva, non stipula il contratto con l’aggiudicatario in quanto non ha più le risorse finanziarie sufficienti. A questo punto è obbligata a revocare l’aggiudicazione definitiva e l’intera procedura di gara.

Oppure: nel corso di una procedura di gara pubblicata, una nuova valutazione dell’interesse pubblico porta l’amministrazione ad una modifica sostanziale del progetto o dell’opera oggetto della gara, modifica tale da rendere totalmente inutile, e conseguentemente antieconomico, il proseguimento della procedura medesima.

Dinanzi a casi emblematici come questi, invero sempre più frequenti considerata la crescente esiguità delle risorse finanziarie pubbliche a disposizione, il provvedimento amministrativo di revoca adottato può considerarsi pienamente legittimo in quanto sono sopravvenute circostanze successive che giustificano la revoca. Sussistono in altri termini, tutte le condizioni per invocare l’applicazione dell’art. 21–quinquies della L. n. 241/1990.

In questo caso, l’aggiudicatario, verosimilmente, non potrebbe impugnare la revoca per illegittimità dello stesso, né richiedere il risarcimento del danno conseguente in quanto non vi sarebbero i presupposti – la sussistenza di vizi di legittimità – per l’annullamento del provvedimento.

Vi potrebbe essere però lo spazio per una valutazione del comportamento di fatto tenuto dalla stazione appaltante nel corso della procedura di gara fino all’intervenuta revoca. Se, ad esempio, come è successo nelle fattispecie concrete oggetto di giudizio, la stazione appaltante non ha comunicato tempestivamente ai concorrenti l’intervenuta modifica sostanziale degli intendimenti della P.A. e la volontà di procedere a realizzare un progetto o un’opera totalmente differenti rispetto a quelle oggetto di gara, ovvero, nel caso di sopravvenuta carenza di fondi, l’amministrazione non ha posto in essere le azioni richieste dall’ordinaria diligenza per impedire la perdita dei fondi, o comunque, dinanzi alla notizia della perdita definitiva dei fondi, ha tardato colpevolmente nel comunicare tale circostanza all’aggiudicatario, mantenendo in piedi il suo affidamento oltre il tempo strettamente necessario, in tali casi è rinvenibile una condotta della P.A. contraria ai doveri di correttezza e buona fede, dalla quale potrebbe scaturire una responsabilità precontrattuale, con conseguente richiesta di risarcimento del relativo danno.

La responsabilità precontrattuale della PA si fonda su una lesione del diritto soggettivo di autodeterminarsi liberamente nei rapporti negoziali, ossia di veder rispettata la propria libertà di compiere scelte negoziali senza subire illegittime ingerenze frutto dell’altrui scorrettezza.

Trattandosi di responsabilità da comportamento, ci troviamo di fronte ad una possibile lesione di un diritto soggettivo, ossia quello di autodeterminarsi liberamente nei rapporti negoziali, ossia di veder rispettata la propria libertà di compiere scelte negoziali senza subire illegittime ingerenze frutto dell’altrui scorrettezza[6]. Diversamente, in caso di provvedimento illegittimo, saremmo dinanzi alla lesione di un interesse legittimo.

L’Adunanza Plenaria n. 6/2005 esprime chiaramente tale principio: <<Il giudice amministrativo non è oggi più chiamato a conoscere delle sole controversie rivolte a garantire la tutela degli interessi legittimi (di regola pretensivi) del privato attraverso l’annullamento di atti (o di silenzi rifiuti) e la successiva attività di conformazione dell’amministrazione (e, se quest’ultima attività non risulti possibile, il ristoro per equivalente degli interessi pretensivi). Al giudice amministrativo viene, infatti, dalla nuova normativa conferita – dopo la caducazione degli atti della fase pubblicistica che hanno costituito in capo all’interessato effetti vantaggiosi (dall’ammissione alla procedura all’aggiudicazione del contratto) – la cognizione, secondo il diritto comune, degli affidamenti suscitati nel privato da tali effetti vantaggiosi ormai venuti meno. Ed invero nello svolgimento della sua attività di ricerca del contraente l’amministrazione è tenuta non soltanto a rispettare le regole dettate nell’interesse pubblico (la cui violazione implica l’annullamento o la revoca dell’attività autoritativa) ma anche le norme di correttezza di cui all’art. 1337 c.c. prescritte dal diritto comune (regole la cui violazione assume significato e rilevanza, ovviamente, solo dopo che gli atti della fase pubblicistica attributiva degli effetti vantaggiosi sono venuti meno e questi ultimi effetti si sono trasformati in affidamenti restati senza seguito)>>[7].

La responsabilità precontrattuale in capo alla P.A. può configurarsi anche prima di addivenire all’aggiudicazione definitiva ed è invocabile non soltanto dall’aggiudicatario che veda frustrato il suo affidamento alla stipula del contratto ma anche, seppure in minor misura, dagli altri concorrenti.

4. Condizioni per la configurabilità della responsabilità precontrattuale e soggetti lesi

Molto si è dibattuto per individuare il momento a partire dal quale è possibile che si configuri una responsabilità ex art. 1337 c.c. in capo alla stazione appaltante.

In primo luogo, è, in tutta evidenza, necessario che si instauri un rapporto precontrattuale, ossia una relazione tra P.A. e privato qualificabile quale trattativa.

La mera pubblicazione di un bando di gara non è all’uopo sufficiente in quanto non è idonea a concretare un qualunque affidamento in capo ad un determinato soggetto fintanto che quest’ultimo, con la propria offerta, non sia concretamente ammesso a partecipare alla procedura.

Sino all’atto di ammissione alla gara, pertanto, non è configurabile alcun tipo di responsabilità, perché non si è instaurato alcun rapporto giuridico tra le parti idoneo a dar vita a modificazioni della sfera giuridica soggettiva dei concorrenti.

A partire dal momento dell’ammissione in gara e sino alla stipula del contratto può dirsi instaurata una fase di trattativa nel corso della quale la P.A. e i concorrenti sono reciprocamente obbligati a comportarsi secondo buona fede e correttezza.

Va da sé che più è avanzata la fase della trattativa e maggiore è l’affidamento dei concorrenti sulla possibilità di aggiudicarsi la procedura. In caso, poi, di aggiudicazione definitiva, l’affidamento dell’aggiudicatario sulla possibilità di addivenire alla stipula del contratto è massimo.

A questo punto, un comportamento colpevole dell’amministrazione che, a dispetto di tale affidamento, non si preoccupi di comunicare tempestivamente i motivi di una intervenuta revoca della procedura di gara o dell’aggiudicazione può sicuramente portare ad una condanna della stessa P.A. in virtù dell’art. 1337 c.c..

Da quanto sinora detto, emerge altresì che, non soltanto l’aggiudicatario che veda frustrato il proprio affidamento a stipulare il contratto a seguito di una revoca seppure legittima, ha diritto a chiedere un risarcimento per danno da responsabilità ex art. 1337, ma anche gli altri partecipanti alla gara, se e nella misura in cui la condotta contraria ai principi di lealtà e buona fede della stazione appaltante nel corso della procedura abbia arrecato un danno anche ad essi.

Il Supremo Collegio[8] ha infatti chiarito che <<nel caso di revoca legittima degli atti della procedura di gara, può sussistere una responsabilità precontrattuale della pubblica amministrazione nel caso di affidamenti suscitati nella impresa dagli atti della procedura ad evidenza pubblica poi rimossi (…) potendo aver confidato l’impresa sulla possibilità di diventare affidataria e, ancor più, in caso di aggiudicazione intervenuta e revocata, sulla disponibilità di un titolo che l’abilitava ad accedere alla stipula del contratto stesso>>.

Si legge ancora nella sentenza citata: <<Si tratta allora di verificare se l’Amministrazione, in questo rapporto, abbia violato i doveri di correttezza e buona fede di cui è espressione l’art. 1337 Cod. civ.. Questi, nel quadro di una procedura ad evidenza pubblica, si traducono in primo luogo nell’obbligo di rendere al partecipante alla gara in modo tempestivo le informazioni necessarie a salvaguardare la sua posizione, su eventi, o sulla rinnovata valutazione dell’interesse pubblico alla gara che possano far ipotizzare fondatamente la revoca dei relativi atti, in modo da impedire che si consolidi un pericoloso affidamento sulla, invece incerta, conclusione del procedimento; affidamento che deve ritenersi tanto più formato quanto più è avanzato il procedimento di gara>>[9].

5. Il quantum del danno risarcibile: il danno emergente e quello da perdita di chances alternative

Una volta appurato che da una condotta sleale della stazione appaltante nei confronti dei concorrenti possa discendere una responsabilità ex art. 1337 c.c., resta da chiedersi come quantificare il danno risarcibile.

Anche in questo caso viene in soccorso copiosa giurisprudenza che ha affrontato e risolto tale aspetto problematico.

Occorre partire dall’assunto che il diritto soggettivo leso non è il diritto ad eseguire il contratto ma quello a non essere coinvolti in trattative inutili e dispendiose da un comportamento colpevole della P.A. Da ciò discende che sia risarcibile solo il danno correlato, non già all’interesse positivo consistente nelle utilità economiche che il privato avrebbe tratto dall’esecuzione del contratto, ma all’interesse negativo, comprensivo, però, sia del danno emergente sia del lucro cessante.

Più precisamente, <<il danno risarcibile a titolo di responsabilità precontrattuale in relazione alla mancata stipula di un contratto d’appalto o in relazione all’invalidità dello stesso, comprende le spese sostenute dall’impresa per aver partecipato alla gara (danno emergente), ma anche e soprattutto la perdita, se adeguatamente provata, di ulteriori occasioni di stipulazione di altri contratti altrettanto o maggiormente vantaggiosi, impedite proprio dalle trattative indebitamente interrotte (lucro cessante), con esclusione del mancato guadagno che sarebbe derivato dalla stipulazione ed esecuzione del contratto non concluso>>[10].

Perché possa aversi il ristoro del danno emergente è necessaria la prova concreta delle spese effettivamente sostenute e della loro quantificazione[11].

E’ risarcibile solo il danno correlato all’interesse negativo di non essere coinvolti in trattative inutili, inteso come danno emergente e perdita di chances alternative, e non invece quello connesso all’interesse positivo, consistente nelle utilità economiche che il privato avrebbe tratto dall’esecuzione del contratto.

Le spese sostenute per la partecipazione alla gara sono, ad esempio, quelle inerenti all’elaborazione dell’offerta, alla progettazione e pianificazione della commessa nella fase precedente alla gara; le spese eventualmente sostenute per costituire l’associazione temporanea di imprese; quelle per le polizze fideiussorie, provvisoria e eventualmente definitiva[12]. Occorre però che il privato che ne chiede il ristoro sia in grado di fornire la prova dei pagamenti effettivamente sostenuti, non essendo a ciò <<sufficiente la mera esibizione della fattura, atteso che essa non dimostra l’avvenuto pagamento e, quindi, l’effettivo sostenimento del costo da rimborsare>>[13]

In altre pronunce, la giurisprudenza si è spesso attestata su criteri di quantificazione equitativi o forfettari, ad esempio, per quantificare le spese sostenute per la retribuzione del personale dipendente della società partecipante e le spese generali per il funzionamento della struttura aziendale. Anche se tali spese sarebbero state comunque sostenute a prescindere dalla partecipazione alla gara, i giudici ne hanno, in taluni casi, riconosciuto la risarcibilità in misura forfettaria pari ad una quota, ad esempio del 25 per cento, dei costi vivi sostenuti per la partecipazione, in quanto l’impresa concorrente ha comunque destinato una parte delle sue risorse umane e materiali a tale scopo, <<rinunciando al loro utilizzo in altre attività e sopportando, quindi, un costo-opportunità>>[14].

L’altro danno risarcibile è il lucro cessante derivante dalla perdita di chances alternative. La prova richiesta per ristorare la perdita di chances è però piuttosto rigorosa. Per i giudici di seconde cure, infatti, la perdita di chances deve configurarsi come un danno attuale, che non si identifica con la perdita di un risultato utile, ma con quella della possibilità di conseguirlo, e postula, a tal fine, la sussistenza di una situazione presupposta, concreta ed idonea a consentire la realizzazione del vantaggio sperato, da valutarsi sulla base di un giudizio prognostico e statistico, fondato su rigorosi elementi di fatto allegati dal danneggiato. Quest’ultimo deve saper dimostrare, anche in via presuntiva, ma pur sempre sulla base di circostanze di fatto certe e puntualmente allegate, la sussistenza di un valido nesso causale tra la condotta lesiva tenuta dalla stazione appaltante e la ragionevole probabilità del conseguimento del vantaggio alternativo perduto, ossia l’aggiudicazione di altri appalti.

Il lucro cessante risarcibile in questa ipotesi è in ogni caso sempre e solo quello da interesse contrattuale negativo, ovvero quello scaturente dalle occasioni di guadagno perse per effetto dell’inutile coinvolgimento in trattative precontrattuali, coinvolgimento che ha impedito all’impresa interessata di concludere altri contratti, altrettanto o maggiormente vantaggiosi[15].

Né, d’altro canto, varrebbe a escludere la risarcibilità di tale tipo di danno la considerazione che la struttura aziendale avrebbe potuto, in astratto, gestire la contemporanea esecuzione di più contratti. La giurisprudenza ritiene infatti che un’impresa, in virtù di una autodeterminazione imprenditoriale cauta e ragionevole, possa legittimamente decidere di non assumere più impegni contemporaneamente, preferendo concentrarsi su un solo appalto, evidentemente stimato come preferibile rispetto ad altre possibili commesse[16].  

Resta escluso, come detto, il lucro cessante consistente nel mancato guadagno che sarebbe derivato dalla stipulazione ed  esecuzione del contratto non concluso in quanto afferente a tale ultimo interesse positivo.

Posto che il danno lamentato dal privato è la lesione dell’interesse negativo a non veder limitata la propria autodeterminazione negoziale, non sarà risarcibile il c.d. danno curricolare, ovvero il pregiudizio subito dall’impresa a causa del mancato arricchimento del curriculum professionale per non poter indicare in esso l’avvenuta esecuzione dell’appalto[17], in quanto – appunto – connesso all’interesse positivo di eseguire il contratto medesimo[18]

Non sarà risarcibile il c.d. danno curricolare, ovvero il pregiudizio subito dall’impresa a causa del mancato arricchimento del curriculum professionale che sarebbe scaturito dall’esecuzione dell’appalto, in quanto connesso all’interesse positivo di eseguire il contratto medesimo e non all’interesse negativo.

6. Conclusioni

Nel tempo attuale, in cui la disponibilità di risorse finanziarie pubbliche è sempre più scarsa e occorre razionalizzare ed ottimizzare le scelte in merito alle opere o ai servizi da eseguire in funzione degli interessi pubblici cui dare priorità, la pubblica amministrazione è chiamata ad operare affrontando il rischio di trovarsi, da un momento all’altro, priva dei fondi economici a disposizione o di dover mutare gli iniziali intendimenti. Se è vero che tali mutamenti necessitano l’adozione di provvedimenti di revoca delle procedure avviate incontestabili sotto il profilo dell’interesse pubblico perseguito, ciò non toglie che la P.A. debba porre estrema attenzione nelle modalità del suo agire, garantendo una tempestiva comunicazione verso i concorrenti dei mutamenti intervenuti al fine di preservarne gli interessi.

Tale attenzione è ancora più necessaria tenuto conto del fatto che la pubblica amministrazione deve ora fare i conti con la nuova normativa in tema di contabilità[19], che, nello stabilire che le risorse finanziarie possono essere impegnate – e conseguentemente conservate da un esercizio finanziario all’altro – solo quanto l’obbligazione sia giuridicamente perfezionata, impone tempi ristrettissimi di impiego delle risorse finanziarie. La stazione appaltante, infatti, dovrebbe riuscire ad aggiudicare e, conseguentemente, impegnare le risorse, entro il medesimo esercizio finanziario in cui bandisce la gara d’appalto. Il che, considerati i tempi lunghi dell’espletamento delle procedure e i possibili contenziosi, appare sommamente difficile.

Occorre sicuramente che ciascuna stazione appaltante svolga una migliore e tempestiva programmazione annuale delle procedure di gara da bandire e si attenga in ogni caso, nell’espletamento delle stesse, al rigoroso rispetto dei doveri di lealtà e buona fede verso i concorrenti e di tutela dell’affidamento in essi ingenerato.


[1] E’ il caso recentemente affrontato da TAR Lombardia, n. 1918 del 2 settembre 2015.

[2] Si veda Cass.,  Sez. III, n. 22819 del 10.11.2010.

[3] Cfr. Cons. Stato sez. V, n. 5245/2009

[4] Cons. Stato sez. IV, n. 4674/2014. Cfr. anche Cons. Stato sez. V, n. 5245/2009 e Cons. Stato sez. IV, n. 662/2012.

[5] Cons. Stato sez. VI, n. 5002/2011. Cfr: Cons. Stato, IV, 7 luglio 2008 , n. 3380.

[6] Cons. Stato, sez. VI, n. 633/ 2013.

[7] La giurisdizione esclusiva in materia in capo al giudice amministrativo è ribadita anche da Cass. Sez. Un. n. 5084 del 27 febbraio 2008 e da Cons. Stato n. 5245/2009 cit.

[8] Si veda ancora Cons. Stato n. 5002/2011 citata.

[9] Il casus belli da cui è nata la pronuncia in esame consisteva in una modifica sostanziale del progetto oggetto della procedura a seguito di nuove determinazioni politiche intervenute subito dopo la pubblicazione della gara. Così prosegue la pronuncia: << (…) resta indubbio che nel procedimento in esame, in linea generale, l’azione amministrativa non risulta compiutamente coerente con le esigenze di programmazione e di continuità dell’attività corrispondente e che, in particolare, l’Amministrazione è giunta a disporre di informazioni idonee a configurare la fondata ipotesi della revoca della gara in una fase del procedimento antecedente a quella in cui la relativa informazione è stata poi resa, con il provvedimento di revoca, risultando l’adempimento quindi tardivo e per tale motivo da qualificare dannoso per i partecipanti alla gara. Al riguardo, va considerata la situazione quale emerge dallo scambio di note fra i Ministri dello sviluppo economico e per i beni e le attività culturali intervenuto tra il 27 novembre e l’11 dicembre del 2008, che rende palese il concorde intento “di procedere con una comune operatività in alcune fasi anche progettuale […] volta alla ottimizzazione delle risorse pubbliche”, (…). Con il citato scambio di note (e perciò ben prima della revoca, decisa, come detto, il 9 giugno 2009) è da ritenere oggettivamente emersa l’evenienza di una rivisitazione progettuale tale da poter sfociare nella revoca della gara in corso, e definita quindi la premessa idonea per la sospensione cautelativa del procedimento di gara, la cui evenienza avrebbe, alla luce dei principi di correttezza sopra richiamati, essere tempestivamente comunicata. Correttezza e buona fede, canonizzati dall’art. 1337 Cod. civ., avrebbero infatti imposto che di tale nuova valutazione dell’interesse pubblico, e della conseguente probabile inadeguatezza della gara indetta, venissero tempestivamente edotti i concorrenti, ai quali, invece, la revoca è stata comunicata, senza precedenti avvisi, solo il 30 giugno 2009, a gara pressoché ultimata. Nei partecipanti alla gara si era quindi formato un apprezzabile affidamento a fronte della tardiva indicazione della necessità della revisione progettuale, riconoscibile invece almeno con la fine dell’anno 2008. (…). Va osservato, sul quantum, che lo stato della procedura e il conseguente spessore dell’affidamento non avevano raggiunto il consolidamento proprio di chi sia risultato aggiudicatario (…)>>.

[10] Cons. Stato n. 4674/2014 citata.

[11] Si veda in tal senso la recentissima pronuncia del TAR Lombardia, n. 1918 del 2 settembre 2015 citata, che nega il riconoscimento del risarcimento del danno emergente in quanto non adeguatamente comprovato nel quantum.

[12] Si veda Cons. Stato, sez. VI, n. 633/2013.

[13] V. nota precedente.

[14] Ancora, Cons. Stato n. 633/2013 cit..

[15] Si legge nella sentenza n. 4674/2014 citata: <<La prova del danno da perdita di chance richiede la produzione delle dichiarazioni formulate dalla ditta, di rinuncia alla prosecuzione della partecipazione a gare nelle quali aveva presentato domanda, mentre secondo il Collegio non possono ritenersi sufficienti eventuali dichiarazioni con cui la parte ha rinunciato a partecipare a gare d’appalto “per impegni in precedenza assunti” in quanto in queste ultime manca l’elemento della concretezza delle opportunità contrattuali perdute. Pertanto, il danneggiato, per ottenere il risarcimento, deve offrire la prova della perdita in concreto della possibilità di acquisire ulteriori contratti con le pubbliche amministrazioni, non essendo sufficiente l’enunciazione in astratto dell’impossibilità di partecipare a nuove gare d’appalto>>.

[16] Si veda Cons. Stato n. 633/2013 cit..

[17] E’ infatti fonte di vantaggio economicamente valutabile, per l’impresa, il solo fatto di eseguire un appalto, a prescindere dal guadagno che ne consegue, perché accresce verso gli altri la sua capacità di competere sul mercato ed aumenta le probabilità di aggiudicarsi ulteriori appalti.

[18] Cfr. Ancora Cons. Stato, n. 633/2013 cit..

[19] D. Lgs. n. 118/2011 recante <<Disposizioni in materia di armonizzazione dei sistemi contabili e degli schemi di bilancio delle Regioni, degli enti locali e dei loro organismi, a norma degli articoli 1 e 2 della legge 5 maggio 2009, n. 42>>.

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Dott.ssa Alessandra Verde
Referendaria consiliare presso il Consiglio regionale della Sardegna
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