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1. Premessa.

Il D.L. 6 luglio 2012, n. 95[1] (cd. “spending review”), convertito in legge n. 135 del 14 agosto 2012, all’art. 4 ha introdotto importanti novità riguardanti le società partecipate dagli Enti locali, prevedendo in particolare una serie di interventi di razionalizzazione nel settore delle società produttrici di servizi rivolti a soddisfare esigenze delle stesse amministrazioni, vale a dire i c.d. “servizi strumentali”.

L’art. 4, rubricato Riduzione di spese, messa in liquidazione e privatizzazione di società pubbliche, nel quadro di un più generale intervento normativo volto alla riduzione ed all’efficientamento della spesa pubblica, interviene a porre ulteriori limitazioni e vincoli alla detenzione di partecipazioni societarie in capo alle pubbliche amministrazioni per l’erogazione di servizi strumentali, dopo l’art. 13 D.L. 223/2006[2] (cd. “decreto Bersani”, conv. in L. 246/2006), l’art. 3 commi 27 e ss. L. 244/2007[3] (“Finanziaria 2008”) e l’art. 14 comma 32 D.L. 78/2010[4].

La norma in commento si riferisce esclusivamente alle “società che prestano servizi nei confronti delle pubbliche amministrazioni”, dunque senza dubbio soltanto a quelle società che producono beni e servizi strumentali alla pubblica amministrazione.

Il decreto sulla “spending review” impone stringenti vincoli in ordine alla dismissione delle società strumentali, costituite per erogare servizi a supporto di funzioni amministrative di natura pubblicistica.

Ricordiamo che secondo la giurisprudenza del Consiglio di Stato [5] possono definirsi strumentali tutti quei beni e servizi erogati da società a supporto di funzioni amministrative di natura pubblicistica di cui resta titolare l’ente pubblico di riferimento, e con i quali l’ente provvede al perseguimento dei suoi fini istituzionali. Si tratta quindi di strutture costituite per svolgere attività rivolte essenzialmente alla pubblica amministrazione e non al pubblico, diversamente da quelle costituite per la gestione dei servizi pubblici locali, che mirano invece a soddisfare direttamente ed in via immediata esigenze generali della collettività [6].

2. Scioglimento o vendita delle società “in house” che svolgono servizi nei confronti della sola P.A.

I commi da 1 a 3 dell’art. 4 prevedono lo scioglimento o, in alternativa, la privatizzazione di società direttamente o indirettamente controllate da amministrazioni pubbliche, che prestano servizi nei confronti delle P.A. medesime.

In particolare il comma 1, come risultante dalle modifiche apportate in sede di conversione, dispone per le società controllate direttamente o indirettamente dalle pubbliche amministrazioni di cui all’art. 1 comma 2, del D.Lgs. n. 165/2001, che abbiano conseguito, nell’esercizio 2011, un fatturato da prestazione di servizi alla P.A. superiore al 90% dell’intero fatturato:

a)   lo scioglimento, entro il 31 dicembre 2013; al riguardo è disposto che, in caso di scioglimento, gli atti e le operazioni posti in essere in favore delle pubbliche amministrazioni che possiedono il controllo delle medesime siano esenti da imposizione fiscale, fattasalva l’IVA, e assoggettati in misura fissa alle imposte di registro, ipotecarie e catastali;

b)   in alternativa allo scioglimento, l’alienazione con procedure ad evidenza pubblica entro il 30 giugno 2013, delle partecipazioni detenute alla data di entrata in vigore del decreto legge. In tale caso, il servizio è contestualmente assegnato alla società privatizzata per cinque anni a decorrere dal 1° gennaio 2014[7]. Tra le modifiche apportate nel corso dell’esame al Senato è stato chiarito che i cinque anni non sono rinnovabili.

Le pubbliche amministrazioni dovranno sciogliere, entro il 31.12.2013, le società strumentali che abbiano conseguito nell’esercizio 2011 un fatturato da prestazione di servizi alla P.A. superiore al 90% dell’intero fatturato, o in alternativa alienarle entro il 30.6.2013.

L’alienazione deve essere totale, cioè riguardare l’intera partecipazione della pubblica amministrazione controllante e non solo una parte.

Inoltre è stato previsto che il relativo bando di gara deve considerare tra gli elementi rilevanti di valutazione dell’offerta l’adozione di strumenti di tutela del livello di occupazione.

Il comma 2 prevede che, nel caso in cui l’amministrazione non proceda allo scioglimento o alla alienazione, a decorrere dal 1° gennaio 2014 le società suddette non possono ricevere ulteriori affidamenti diretti di servizi, né rinnovi degli affidamenti in corso. I servizi già prestati, ove non vengano prodotti nell’ambito dell’amministrazione stessa, dovranno pertanto essere acquisiti nel rispetto della vigente normativa comunitaria e nazionale (e dunque mediante ricorso alle procedure ad evidenza pubblica ovvero, qualora ne ricorrano i presupposti, mediante acquisizione in economia ai sensi dell’art. 125 D.Lgs. 163/2006).

Le società strumentali che non siano sciolte o alienate alla data del 1° gennaio 2014 non potranno ricevere ulteriori affidamenti diretti né rinnovi dei contratti in corso.

Il comma 3 esclude dall’applicazione delle disposizioni dell’articolo in esame una serie di società, quali:

  • le società che svolgono servizi di interesse generale, anche aventi rilevanza economica;
  • le società che svolgono prevalentemente compiti di centrali di committenza ai sensi del Codice degli appalti pubblici (articolo 33 del D.Lgs. n. 163/2006);
  • le società Consip S.p.A. e Sogei S.p.A.;
  • le società finanziarie partecipate dalle regioni, ai sensi dell’articolo 10 della legge n. 281/1970[8];
  • le società che gestiscono banche dati strategiche per il conseguimento di obiettivi economico-finanziari.

Il comma, a seguito delle modifiche introdotte in sede di conversione,  prevede inoltre che le disposizioni di cui all’articolo in esame non si applicano qualora non sia possibile per l’amministrazione controllante un efficace ed utile ricorso al mercato, per le peculiari caratteristiche economiche e sociali, ambientali e geo-morfologiche del contesto, anche territoriale, di riferimento.

In tale ipotesi, l’amministrazione – entro i termini di cui al comma 1 – è tenuta a predisporre un’analisi di mercato e trasmettere una relazione sugli esiti di tale analisi all’Autorità garante della concorrenza e del mercato ai fini dell’acquisizione del parere vincolante, che deve essere reso entro 60 giorni dalla ricezione della relazione[9]. Il parere dell’Autorità è comunicato alla Presidenza del Consiglio dei Ministri.

A differenza che nella similare norma contenuta nell’abrogato art. 4 D.L. 138/2011 riguardante i servizi pubblici locali, in questo caso il parere dell’Antitrust è espressamente definito come “vincolante”; la disposizione con cui si introduce la verifica “vincolante” dell’AGCM, introdotta in sede di conversione del decreto legge, mira evidentemente a limitare al massimo il ricorso a tali forme di affidamento diretto e a favorire il confronto concorrenziale per l’acquisizione di servizi e prestazioni che l’ente pubblico potrebbe agevolmente reperire sul mercato.

Si rammenta che, in base al comma 8 del medesimo art. 4 qui in commento, a decorrere dal 1o gennaio 2014 l’affidamento diretto potrà avvenire solo a favore di società a capitale interamente pubblico, nel rispetto dei requisiti richiesti dalla normativa e dalla giurisprudenza comunitaria per la gestione in house e a condizione che il valore economico del servizio o dei beni oggetto dell’affidamento sia complessivamente pari o inferiore a 200.000 euro annui. La disposizione fa salvi gli affidamenti in essere fino alla scadenza naturale e comunque fino al 31 dicembre 2014 [10].

Qualora il valore dell’affidamento sia pari o inferiore a 200.000 euro annui, si potrà procedere ad affidamento diretto a decorrere dall’1.1.2014 unicamente nel rispetto dei requisiti comunitari dell’in house providing.

3. Piani di ristrutturazione e razionalizzazione delle società controllate

Il comma 3-sexies, introdotto dal Senato in sede di conversione in legge, stabilisce che entro novanta giorni dalla data di entrata in vigore della legge in esame le pubbliche amministrazioni di cui al comma 1 possono predisporre appositi piani di ristrutturazione e razionalizzazione delle società controllate.

La norma ha evidentemente lo scopo di mitigare la rigida e cogente previsione di cui al comma 3 (alienazione o scioglimento entro le ravvicinate scadenze temporali del 30 giugno e 31 dicembre 2013), introducendo una soluzione alternativa con alcuni paletti applicativi.

E’ infatti previsto che detti piani di ristrutturazione e razionalizzazione:

  • siano approvati previo parere favorevole del Commissario straordinario per la razionalizzazione della spesa per l’acquisto di beni e servizi di cui all’articolo 2 del D.L. n. 52/2012 convertito in legge n. 94/2012 (l’emissione di tale parere costituisce pertanto un atto obbligatorio e vincolante);
  • prevedano l’individuazione delle attività connesse esclusivamente all’esercizio di funzioni amministrative di cui all’articolo 118 della Costituzione[11];
  • operino una riorganizzazione o accorpamento in società che rispondano ai requisiti della legislazione comunitaria in materia di in house providing.

E’ da ritenersi che il riferimento alle funzioni di cui all’art. 118 Cost. abbia l’effetto di circoscrivere ai soli enti locali l’ambito delle amministrazioni destinatarie della disposizione del primo periodo del comma 3-sexies, nonostante il richiamo integrale a tutte le amministrazioni di cui al comma 1.

In caso di adozione dei suddetti piani, i termini previsti dal comma 1, relativi all’alienazione o scioglimento delle società strumentali, sono prorogati per il tempo strettamente necessario per l’attuazione del Piano, con D.P.C.M., di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze, adottato su proposta del Commissario straordinario per la razionalizzazione della spesa per acquisto di beni e servizi.

4. Composizione dei consigli di amministrazione delle società pubbliche

I commi 4 e 5 contengono alcune disposizioni volte alla riduzione del numero di componenti dei consigli di amministrazione delle società partecipate da enti pubblici.

Il comma 4 prevede che i consigli di amministrazione delle società di cui al comma 1 debbano essere composti da non più di tre membri. La norma è dunque applicabile esclusivamente alle sole società “strumentali” aventi i requisiti di cui al comma 1, e non a tutte le società a partecipazione pubblica.

I consigli di amministrazione potranno avere al massimo 3 o 5 membri, la cui maggioranza deve essere dipendente dall’amministrazione controllante con obbligo di rinuncia e riversamento dei compensi.

Il comma fissa anche i criteri di composizione dei CdA di tali società:

  • nel caso di società a partecipazione diretta, minimo due membri devono essere dipendenti dell’amministrazione titolare della partecipazione o titolare dei poteri di indirizzo e vigilanza, scelti d’intesa tra le amministrazioni medesime;
  • nel caso di partecipazione indiretta, minimo due membri devono essere scelti tra dipendenti dell’amministrazione titolare della partecipazione nella controllante o dei poteri di indirizzo e vigilanza, scelti d’intesa tra le amministrazioni medesime, e dipendenti della stessa società controllante.

Il terzo membro svolge in entrambi i casi le funzioni di amministratore delegato. La norma fa comunque salva la possibilità di consentire la nomina di un amministratore unico.

E’ altresì previsto che i dipendenti dell’amministrazione titolare della partecipazione ovvero titolare dei poteri di indirizzo e vigilanza ovvero della società controllante, ferme le disposizioni vigenti sull’onnicomprensività del trattamento economico hanno l’obbligo di riversare i rispettivi compensi assembleari all’amministrazione, ove riassegnabili, in base alle vigenti disposizioni, al Fondo per il finanziamento del trattamento economico accessorio e alla società di appartenenza[12].

Le disposizioni di cui al comma 4 si applicano con decorrenza dal primo rinnovo dei consigli di amministrazione successivo alla data di entrata in vigore del decreto legge[13].

Il comma 5 fa invece riferimento alle altre società a totale partecipazione pubblica, diretta o indiretta, diverse quindi da quelle di cui al comma 1.

La norma, di portata più ampia e generale rispetto al comma 4, prevede che i CdA debbano essere composti da tre o cinque membri, tenendo conto della rilevanza e della complessità delle attività svolte.

Nel caso in cui i CdA siano composti da tre membri, si applicano i medesimi criteri stabiliti dal comma 4.

Nel caso in cui il numero di membri del CdA sia di cinque, la composizione dovrà assicurare:

a)   per le società a partecipazione diretta, la presenza di almeno tre dipendenti dell’amministrazione titolare della partecipazione o di poteri di indirizzo e vigilanza, scelti d’intesa tra le amministrazioni medesime;

b)   per le società a partecipazione indiretta, la presenza di almeno tre membri scelti tra dipendenti dell’amministrazione titolare della partecipazione della società controllante o di poteri di indirizzo e vigilanza, scelti d’intesa tra le amministrazioni medesime, e dipendenti della stessa società controllante.

In questo ultimo caso, le cariche di Presidente e di Amministratore delegato sono disgiunte e al Presidente potranno essere affidate dal Consiglio deleghe esclusivamente nelle aree relazioni esterne e istituzionali e supervisione delle attività di controllo interno.

Resta fermo l’obbligo di riversamento dei compensi assembleari di cui al comma 4, nonché l’applicabilità della norma con decorrenza dal primo rinnovo dei consigli di amministrazione successivo alla data di entrata in vigore del decreto legge.

5. Vincoli alle assunzioni nelle società pubbliche

I commi da 9 a 13 dispongono limitazioni nelle assunzioni per le società pubbliche di cui al comma 1 dell’articolo 4 in commento, nonché misure di contenimento della spesa per il personale dipendente dalle società medesime.

Il comma 9 dispone che a decorrere dall’entrata in vigore del decreto legge in esame e fino al 31 dicembre 2015, alle società di cui al comma 1 si applicano le disposizioni limitative delle assunzioni previste per l’amministrazione controllante. Resta fermo, sino alla data di entrata in vigore del presente decreto, quanto previsto dall’articolo 9, comma 29, del decreto‐legge 31 maggio 2010, n. 78, convertito, con modificazioni, dalla legge 30 luglio 2010, n. 122[14].

Vigono per le società strumentali di cui al comma 1 i medesimi vincoli e limiti alle assunzione previsti per le amministrazioni controllanti.

La nuova disciplina dettata dal comma 9 in oggetto comporterà pertanto che le singole società controllate dovranno far riferimento, in tema di politiche assunzionali, non più alla disciplina generale in materia, ma a quella che si applica all’amministrazione controllante[15].

Il comma 9 dispone inoltre, al secondo periodo, che continua ad applicarsi quanto previsto dall’articolo 18, comma 2, del decreto-legge n. 112 del 2008, secondo cui le società a partecipazione pubblica totale o di controllo adottano criteri e modalità per il reclutamento del personale e per il conferimento degli incarichi nel rispetto dei principi, anche di derivazione comunitaria, di trasparenza, pubblicità e imparzialità. Tale disposizione, viene però espressamente precisato, si applica “salva comunque l’applicazione della disposizione più restrittiva” recata dal comma 9 medesimo.

Il comma 10 reca una riduzione anche per quanto riguarda il ricorso a rapporti di lavoro di tipo temporaneo, stabilendo che le società in oggetto possano ricorrere a personale a tempo determinato o a contratto solo entro il limite del 50% della spesa sostenuta per tali finalità nell’anno 2009.

Il comma 11 esclude che per il biennio 2013 – 2014, possano determinarsi incrementi relativi al trattamento economico dei dipendenti delle società in oggetto, stabilendo che tale trattamento debba restare invariato rispetto a quello ordinariamente spettante per l’anno 2011.

Il comma 12 attribuisce agli organi esecutivi e ai dirigenti delle società la responsabilità di far rispettare i vincoli posti dal decreto-legge, essendo chiamati in caso contrario, a rispondere per tali violazioni a titolo di danno erariale.

Il comma 13 precisa, come già sopra rilevato, che tutte le disposizioni dell’articolo in esame non si applicano alle società quotate ed alle loro controllate.

Degna di menzione risulta infine la disposizione di cui al comma 14, che vieta, a pena di nullità, dalla data di entrata in vigore del decreto-legge (7 luglio 2012) di inserire clausole arbitrali in sede di stipulazione di contratti di servizio intercorrenti tra società a totale partecipazione pubblica e le amministrazioni statali e regionali. La violazione di tale divieto comporterà dunque la nullità e la risoluzione del contratto stipulato.

Le clausole arbitrali inserite nei contratti di servizio tra società a totale partecipazione pubblica e amministrazioni statali e regionali sono nulle di diritto.

6. La soppressione di enti, agenzie e organismi di cui all’art. 9.

Nell’ambito delle disposizioni di contenimento della spesa pubblica mediante la riduzione degli enti partecipati dalle pubbliche amministrazioni, si inserisce altresì l’art. 9 (“Razionalizzazione amministrativa, divieto di istituzione e soppressione di enti, agenzie e organismi”).

Come si evince dalla inequivoca rubrica della norma, l’art. 9 impone a regioni, province e comuni una ulteriore “cura dimagrante” delle partecipazioni comunque denominate, con l’apprezzabile scopo di “assicurare il coordinamento e il conseguimento degli obiettivi di finanza pubblica, il contenimento della spesa e il migliore svolgimento delle funzioni amministrative”.

La norma, che si rivolge specificamente alle amministrazioni locali e territoriali (e non a quelle statali), richiede un intervento drastico di soppressione o di accorpamento o comunque, in ogni caso[16], volto ad assicurare la riduzione dei relativioneri finanziari in misura non inferiore al 20 per cento.

L’art. 9 impone a regioni, province e comuni di sopprimere o accorpare enti, agenzie e organismi di qualsiasi natura giuridica che svolgono, anche in via strumentale, funzioni fondamentali delle stesse amministrazioni, o comunque di operare una riduzione del 20% sui relativi oneri finanziari.

La platea delle partecipazioni interessate dalla disposizione è alquanto ampia; essa riguarda infatti enti, agenzie e organismi comunque denominati e di qualsiasi natura giuridica che, alla data di entrata in vigore del decreto legge n. 95/2012, esercitano, anche in via strumentale, funzioni fondamentali di cui all’articolo 117, comma secondo, lettera p), della Costituzione o funzioni amministrative spettanti a comuni, province, e città metropolitane ai sensi dell’articolo 118, della Costituzione.

In sede di conversione è stato inserito un comma 1-bis il quale specifica che tali obblighi non si riferiscono alle aziende speciali, agli enti ed alle istituzioni che gestiscono servizi socio‐assistenziali, educativi e culturali.

Il comma 2 demanda ad un accordo, da prendere in sede di Conferenza unificata ex art. 9 D.lgs. 281/1997 entro 3 mesi dall’entrata in vigore del decreto legge, la complessiva ricognizione degli enti, agenzie e organismi da assoggettare agi interventi di cui al comma 1.

Al fine di dare concreta effettività alla disposizione, senza che essa sia condizionata dalla necessaria adozione di un provvedimento successivo (l’accordo di cui al comma 2), il comma 4 prevede che, decorsi nove mesi dalla data di entrata in vigore del presente decreto, se le regioni, le province e i comuni non hanno dato attuazione a quanto disposto dal comma 1, gli enti, le agenzie e gli organismi indicati al medesimo comma 1 sono soppressi. Onde rafforzare la precettività della norma, è espressamente prevista una sanzione di nullità per gli atti successivamente adottati dai medesimi.

Completa il quadro di tendenziale riduzione del numero degli organismi strumentali, la disposizione del comma 6, la quale fa divieto agli enti locali di istituire enti, agenzie e organismi comunque denominati e di qualsiasi natura giuridica, che esercitino una o più funzioni fondamentali e funzioni amministrative loro conferite ai sensi dell’articolo 118 della Costituzione.

Con le disposizioni sopra commentate, si palesa senza ombra di dubbio il sostanziale disfavore del legislatore, in questo particolare momento storico di difficoltà per i bilanci pubblici e le finanze in generale e dopo anni di eccessiva proliferazione, verso la costituzione ed il mantenimento di enti e società, in qualunque forma costituiti e con qualsiasi natura giuridica[17], attributarie di funzioni e attività strumentali delle pubbliche amministrazioni, sia centrali che locali.


[1] Il decreto legge è stato pubblicato nel Supplemento ordinario n. 141 alla Gazzetta Ufficiale n. 156 del 6 luglio 2012.

[2] Si ricorda che ai sensi dell’art. 13 del decreto legge n. 223/2006, le società interamente pubbliche o miste, costituite o partecipate da amministrazioni pubbliche regionali e locali non per l’esercizio dell’attività di impresa, bensì per lo svolgimento di attività strumentali all’ente ovvero per lo svolgimento esternalizzato delle funzioni amministrative dell’ente (fatta eccezione per i servizi pubblici locali e i servizi e centrali di committenza), a decorrere dal 4 gennaio 2010, devono operare esclusivamente a favore degli enti costituenti o partecipanti o affidanti, non possono svolgere prestazioni a favore di altri soggetti pubblici o privati e non possono partecipare ad altre società o enti aventi sede nel territorio nazionale. A decorrere dalla citata data del 4 gennaio 2010, le società sono state obbligate a cessare le attività non consentite, le quali possono essere cedute a terzi (nel rispetto delle procedure ad evidenza pubblica) ovvero scorporate, anche costituendo una separata società. I contratti relativi alle attività vietate non cedute o scorporate sono nulli.

[3] La legge n. 244/2007 ha previsto, per le amministrazioni pubbliche di cui all’art. 1, comma 2 del D.Lgs. n. 165/2001, il divieto di costituire di società aventi ad oggetto la produzione di beni e servizi non strettamente necessari al perseguimento delle proprie finalità istituzionali, ovvero il divieto di assumere o mantenere – direttamente –partecipazioni, anche di minoranza, in tali società (articolo 3, comma 27). Ai sensi del comma 28 del medesimo articolo 3, l’assunzione di nuove partecipazioni e il mantenimento dei pacchetti azionari detenuti devono essere autorizzati dall’organo competente con delibera motivata in ordine alla sussistenza dei presupposti sopra richiamati, la quale deve essere trasmessa alla sezione competente della Corte dei conti. Per quanto riguarda le amministrazioni statali, l’autorizzazione all’assunzione di nuove partecipazioni o al mantenimento di quelle detenute è data con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri, su proposta del Ministro competente per materia, di concerto con il Ministro dell’economia (articolo 3, comma 28-bis, legge n. 244/2007). Per lo Stato, in caso di costituzione di società che producono servizi di interesse generale e di assunzione di partecipazioni in tali società, le relative partecipazioni sono attribuite al Ministero dell’economia e finanze, il quale esercita i diritti dell’azionista, di concerto con i Ministeri competenti per materia (articolo 3, comma 27-bis, legge n. 244/2007). E’ infine stato fissato al 1° gennaio 2011 il termine entro il quale le partecipazioni vietate dall’ordinamento devono essere cedute a terzi, nel rispetto delle procedure ad evidenza pubblica (articolo 3, comma 29, legge n. 244/2007).

[4] Si ricorda che, ai sensi dell’art. 14, comma 32, del decreto legge n. 78/2010, da ultimo modificato dall’art. 29, comma 11-bis, del D.L. n. 216/2011 (legge n. 14/2012) vige il divieto per i comuni con meno di 30.000 abitanti di costituire società. Essi sono tenuti, entro il 31 settembre 2013, a mettere in liquidazione le società già costituite al 31 maggio 2010, ovvero a cederne le partecipazioni. L’obbligo di liquidazione non si applica se le società già costituite: a) abbiano, al 31 settembre 2013, il bilancio in utile negli ultimi tre esercizi; b) non abbiano subito, nei precedenti esercizi, riduzioni di capitale conseguenti a perdite di bilancio; c)  non abbiano subito, nei precedenti esercizi, perdite di bilancio in conseguenza delle quali il comune abbia l’obbligo di procedere al ripiano delle perdite. I comuni con popolazione compresa tra 30.000 e 50.000 abitanti possono invece detenere la partecipazione di una sola società, con obbligo di porre in liquidazione le altre entro il 31 dicembre 2011.

[5] Cfr. ex multis Consiglio di Stato, Sez. V, 12/6/2009 n. 3766; idem, 5/3/2010 n. 1282

[6] Le società in house costituite per l’erogazione di servizi pubblici locali sono escluse dall’applicazione della disposizione in esame in base a espressa previsione del comma 3. Si ricorda che la recente sentenza della Corte Costituzionale n. 199 del 20 luglio 2012 ha dichiarato costituzionalmente illegittima la relativa disciplina contenuta nell’articolo 4 del D.L. 13 agosto 2011, n. 138 (legge n. 148/2011).

[7] Come evidenziato nella relazione tecnica di accompagnamento al D.D.L. di conversione, tale alienazione dovrebbe riguardare solo le partecipazioni dalle quali discende la possibilità di controllo. Pertanto, nel caso di partecipazioni indirette che si realizzano attraverso una catena, appare opportuno valutare se la prescrizione della procedura di evidenza pubblica stabilita (espressamente per la sola) alienazione della partecipazione è idonea a garantire il rispetto del medesimo principio anche ai fini dell’assegnazione del servizio che appare invece prescindere dalla prescrizione di procedura di evidenza pubblica.

[8] Il citato articolo 10 della legge n. 281/1970 prevede che le regioni possono contrarre mutui ed emettere obbligazioni esclusivamente per provvedere a spese di investimento nonché per assumere partecipazioni in società finanziarie regionali cui partecipano altri enti pubblici ed il cui oggetto rientri nelle materie di cui all’articolo 117 della Costituzione o in quelle ad esse delegate ai sensi dell’art. 118, secondo comma, della Costituzione.

[9] Le previsioni relative a queste ultime società ricalcano sostanzialmente quelle già recate dall’articolo 23-bis del decreto-legge n. 112 del 2008 (abrogato dalla deliberazione referendaria del 12-13 giugno 2011), poi ripristinate dall’articolo 4 del decreto-legge n. 138 del 2011, dichiarato costituzionalmente illegittimo dalla citata sentenza della Corte Costituzionale n. 199 del 2012. Si rammenta che dalla disposizione in esame restano escluse le “società che svolgono servizi di interesse generale, anche aventi rilevanza economica”, vale a dire quelle che svolgono i servizi pubblici locali.

[10] La norma fa altresì salve le acquisizioni in via diretta di beni e servizi il cui valore complessivo sia pari o inferiore a 200.000 euro in favore delle associazioni di promozione sociale di cui alla legge 7 dicembre 2000, n. 383, degli enti di volontariato di cui alla legge 11 agosto 1991, n. 266, delle associazioni sportive dilettantistiche di cui all’articolo 90 della legge 27 dicembre 2002, n. 289, delle organizzazioni non governative di cui alla legge 26 febbraio 1987, n. 49, e delle cooperative sociali di cui alla legge 8 novembre 1991, n. 381.

[11] L’art. 118 Cost. dispone l’attribuzione ai Comuni delle funzioni amministrative salvo che, per assicurarne l’esercizio unitario, siano conferite a Province, Città metropolitane, Regioni e Stato, sulla base dei princìpi di sussidiarietà, differenziazione ed adeguatezza. L’articolo, in particolare, afferma che i Comuni, le Province e le Città metropolitane sono titolari di funzioni amministrative proprie e di quelle conferite con legge statale o regionale, secondo le rispettive competenze. Il comma in esame non opera alcuna distinzione tra le funzioni proprie e quelle conferite con legge.

[12] Il Fondo per il finanziamento del trattamento economico accessorio è un istituto della contrattazione di II livello (o integrativa), nel quale afferiscono le risorse aggiuntive destinati ai trattamenti accessori tipici (quali straordinario, indennità varie) di ogni settore o comparto. La quantificazione del Fondo è rimessa alla legge (per il pubblico impiego) o alla contrattazione collettiva.

[13] La norma in esame modifica implicitamente la disciplina in materia di società controllate direttamente o indirettamente dalle amministrazioni statali, contenuta nell’articolo 3, comma 12 della legge n. 244/2007, il quale già aveva ridotto a cinque o a sette il numero massimo dei componenti gli organi di amministrazione di tali società: cinque, se lo statuto in vigore alla data del 1° gennaio 2008 prevedeva un numero massimo di componenti superiore a cinque; sette, se lo statuto alla medesima data prevedeva un numero massimo di componenti superiore a sette.

[14] L’articolo 9, comma 29, del decreto-legge 78/2010, stabilisce che le società non quotate inserite nel conto economico consolidato della pubblica amministrazione predisposto dall’Istat, controllate direttamente o indirettamente dalle amministrazioni pubbliche, debbano adeguare le loro politiche di reclutamento alle disposizioni limitative delle assunzioni dettate dall’art. 9 medesimo.

[15] Si consideri ad es. che per talune amministrazioni, ad esempio nel settore dell’istruzione o degli enti di ricerca, ovvero per talune tipologie di enti territoriali, sussistono differenziazioni rispetto alle misure di contenimento dettate per la generalità delle pubbliche amministrazioni.

[16] L’inciso “in ogni caso” è stato inserito in sede di conversione in legge, col probabile fine di introdurre una sorta di clausola di salvaguardia che consenta, anche in quelle ipotesi in cui non si dovesse determinare una soppressione o riduzione per accorpamento tra enti, almeno una riduzione della spesa in misura non inferiore al 20%.

[17] L’ampiezza della platea degli enti interessati è una novità rispetto alle precedenti normative di segno analogo, citate nel paragrafo 1 del presente lavoro, le quali si rivolgevano prevalentemente ai soggetti costituiti in forma societaria.

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Questo articolo è stato scritto da...

Massimiliano Lombardo
Avv. Massimiliano Lombardo
Esperto e docente in materia di appalti pubblici
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