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Premessa

Il legislatore italiano non finisce mai di stupire. Tra le molteplici novità introdotte dal Decreto legge sulla competitività e la giustizia sociale, il n. 66 del 2014, salta all’occhio la singolare previsione dell’art. 8, commi da 4 a 9, in base alla quale ogni amministrazione pubblica deve contribuire a realizzare un risparmio di spesa annuale, nelle acquisizioni di beni e servizi, di 2.100 milioni di euro complessivi a decorrere dal 2014[1]. Per far ciò, è prevista una riduzione del 5 per cento degli importi di tutti i contratti in essere alla data di entrata in vigore del decreto (24 aprile 2014), con facoltà per le amministrazioni di rinegoziarne il contenuto e fatta salva la possibilità per il contraente privato di recedere senza alcuna penalità.

Il comma 8 del citato art. 8 aggiunge altresì che le amministrazioni sono tenute ad assicurare la medesima riduzione di spesa sui contratti da stipularsi dopo l’entrata in vigore del decreto[2].

Come si darà ampiamente conto nella trattazione che segue, la norma in esame dà luogo a molteplici incertezze interpretative – anche per via della formulazione in più parti infelice – ed è foriera di rilevanti difficoltà applicative, tanto che, in sede di conversione del decreto in legge (avvenuta proprio nei giorni in cui il presente contributo veniva ultimato) sono stati apportati alcuni correttivi volti a ridurre le difficoltà di applicazione saltate subito all’occhio all’indomani dell’entrata in vigore del decreto legge.

Le previsioni dell’art. 8 del D.L. n. 66 nel testo vigente dal 24 aprile 2014. La rinegoziazione dei contratti in essere 

Nel testo originario del decreto legge, vigente dal 24 aprile, il comma 8 dell’art. 8 in esame così disponeva:

“Le amministrazioni pubbliche di cui al comma 1, per realizzare l’obiettivo loro assegnato ai sensi dei commi da 4 a 7, sono:

  1.  autorizzate, a decorrere dalla data di entrata in vigore del presente decreto, a ridurre gli importi dei contratti in essere aventi ad oggetto acquisto o fornitura di beni e servizi, nella misura del 5 per cento, per tutta la durata residua dei contratti medesimi. Le parti hanno facoltà di rinegoziare il contenuto dei contratti, in funzione della suddetta riduzione. E’ fatta salva la facoltà del prestatore dei beni e dei servizi di recedere dal contratto entro 30 giorni dalla comunicazione della manifestazione di volontà di operare la riduzione senza alcuna penalità da recesso verso l’amministrazione. (…);
  2.  tenute ad assicurare che gli importi e i prezzi dei contratti aventi ad oggetto acquisto o fornitura di beni e servizi stipulati successivamente alla data di entrata in vigore del presente decreto non siano superiori a quelli derivati, o derivabili, dalle riduzioni di cui alla lettera a), e comunque non siano superiori ai prezzi di riferimento, ove esistenti, o ai prezzi dei beni e servizi previsti nelle convenzioni quadro stipulate da Consip S.p.A (…).

Entrambe le ipotesi sollevano rilevanti difficoltà interpretative ed applicative. Partiamo dalla prima.

Le amministrazioni aggiudicatrici sono “autorizzate” a ridurre gli importi dei contratti di fornitura di beni e servizi già stipulati nella misura del 5 per cento. Per far ciò, possono rinegoziare le prestazioni oggetto del contratto ed è fatta salva la facoltà per il contraente privato di recedere senza penalità, laddove il medesimo non acconsenta alla rinegoziazione.

Anche a voler sorvolare sull’infelicità dell’espressione “autorizzate”, si rileva innanzitutto che la norma va intesa nel senso che le amministrazioni “devono” ridurre gli importi dei contratti al fine di raggiungere l’obiettivo di contenimento della spesa nella misura fissata dalla norma medesima (comma 4). Tuttavia, alle Regioni e alle Province autonome è data la possibilità di adottare misure alternative di contenimento della spesa corrente al fine di conseguire risparmi comunque non inferiori a quelli derivanti dall’applicazione del comma 4 (comma 10)[3].

Un primo problema applicativo va ravvisato nell’eccessiva ampiezza della portata della norma, la quale fa riferimento genericamente a tutti i contratti di fornitura di beni e servizi. La riduzione dell’importo contrattuale, con eventuale corrispondente rinegoziazione del contenuto del contratto, può agevolmente essere posta in essere soltanto nella fornitura di beni e di servizi standardizzabili. Si pensi ad esempio alla fornitura di cancelleria o di servizi di pulizia o altri servizi similari, che abbiano il carattere della ripetitività. In tali casi è possibile ridurre il quantitativo di merce ordinata oppure di diminuire l’ampiezza o la durata della prestazione dei servizi oggetto del contratto. Molto più difficile è rinegoziare il contenuto di contratti in cui il bene fornito è unico e non scindibile o separabile, ovvero nei casi di prestazione di servizi tecnici o di tipo intellettuale difficilmente scomponibili in parti che possano essere tralasciate. Si pensi ai servizi di ingegneria ed architettura, ad esempio una progettazione o una direzione lavori. E’ quasi impossibile in questi casi scomporre la prestazione in parti distinte e autonome, alcune delle quali da sottrarre all’oggetto contrattuale.

Un altro problema di non poco conto è ravvisabile nella possibile violazione della trasparenza e parità di trattamento della procedura di affidamento che sta a monte del contratto da rinegoziare.

Pensiamo all’ipotesi di un contratto scaturente da una procedura di gara in cui il criterio di applicazione sia stato quello dell’offerta economicamente più vantaggiosa. In tal caso, in sede di gara, saranno state sicuramente oggetto di apposita valutazione comparativa sia le prestazioni che il prezzo offerti dai vari concorrenti. Una successiva riduzione unilaterale del prezzo di aggiudicazione, magari a fronte di una rinegoziazione delle prestazioni da svolgere, andrebbe a ritoccare alcuni elementi della valutazione svolta in sede di procedura, alterando a posteriori le decisioni operate in quella sede, in totale dispregio della par condicio tra i concorrenti.

Non solo. La stazione appaltante che rinegozia – laddove sia possibile – il contenuto del contratto, potrebbe essere facile preda di accuse da parte delle imprese non aggiudicatarie, le quali potrebbero sollevare il sospetto che l’amministrazione abbia condotto la rinegoziazione in modo da favorire l’aggiudicataria, lasciando intatte le prestazioni in cui la medesima abbia il maggior margine di guadagno e facendo venir meno le altre, in tal modo massimizzando paradossalmente il guadagno dell’impresa contraente. 

Se anche la stazione appaltante decidesse di ridurre tout court l’importo contrattuale del 5 per cento senza rimodulazione delle corrispondenti prestazioni, sorgerebbe probabilmente la necessità di verificare la congruità dell’offerta, che potrebbe risultare anomala a posteriori a seguito della riduzione così imposta.

Ancora, nei casi in cui il margine di guadagno degli offerenti è minimo, una riduzione del 5 per cento dell’importo contrattuale potrebbe significare il venir meno di qualsiasi utile per l’impresa con conseguente probabile recesso dell’aggiudicatario. Da ciò può facilmente prevedersi un sensibile aumento del contenzioso, con conseguente allungamento dei tempi per l’esecuzione dei contratti e con probabile aggravio dei costi – amministrativi e processuali – per l’amministrazione, per non parlare della perdita di efficienza dell’azione amministrativa.  

Le previsioni dell’art. 8 del D.L. n. 66 nel testo vigente dal 24 aprile 2014. La riduzione degli importi contrattuali nei contratti da stipularsi dopo l’entrata in vigore del decreto

Per quanto concerne il caso preso in considerazione dalla lett. b) del comma 8, ossia i contratti da stipularsi dopo l’entrata in vigore del decreto, a parere di chi scrive occorre distinguere tra due ipotesi: contratti non ancora stipulati ma con prezzo di aggiudicazione già fissato prima del 24 aprile 2014, perché la procedura di affidamento era sostanzialmente conclusa, e contratti non ancora conclusi perché la procedura di affidamento non era stata ancora avviata o era in corso.

La norma prescrive che le amministrazioni aggiudicatrici debbano, in entrambi i casi, garantire la riduzione del 5 per cento. Questo significa che nel primo caso, ossia nelle ipotesi in cui la procedura di gara e l’individuazione del prezzo di aggiudicazione sia avvenuta in data antecedente al 24 aprile, sembrerebbe applicabile la rinegoziazione del prezzo di aggiudicazione alla stessa stregua dell’ipotesi sub lett. a), con tutte le difficoltà interpretative ed applicative che ne conseguono e che abbiamo sopra descritto.

Nelle altre ipotesi – quelle in cui la procedura di gara deve essere ancora espletata – la modalità applicativa della norma resta, invero, piuttosto oscura (che cosa significa “importi dei contratti non superiori a quelli derivati, o derivabili,dalle riduzioni”?) posto che la stazione appaltante potrebbe soltanto intervenire in diminuzione sull’importo stabilito a base d’asta, il che, se può non costituire un problema nei casi di bandi ancora da pubblicare, lo diventerebbe per i bandi già pubblicati e con le offerte già presentate perché queste, come è ovvio, sarebbero state predisposte sulla base dell’importo a base d’asta non ridotto.

Particolarmente incisiva appare la previsione del comma 9, che dispone che “gli atti e i relativi contratti adottati in violazione delle disposizioni di cui al comma 8, lettera b), sono nulli e sono rilevanti ai fini della performance individuale e della responsabilità dirigenziale di chi li ha sottoscritti”. I comportamenti difformi dell’amministrazione sono quindi sanzionati con la radicale nullità dei contratti stipulati senza tener conto della riduzione e con la valutazione negativa dell’operato del dirigente che ha agito.

Le previsioni dell’art. 8 del D.L. n. 66 come modificate in sede di conversione in legge

In sede di conversione, il Senato della Repubblica ha apportato alcune modifiche di rilievo all’art. 8, comma 8, in esame[4].

L’ipotesi di cui alla lett. a) (riduzione degli importi contrattuali nei contratti in essere alla data di entrata in vigore del decreto) è stata ritoccata in più parti. Innanzitutto, la riduzione degli importi contrattuali deve avvenire lasciando intatte le spese relative al costo del personale e delle misure di adempimento alle disposizioni in materia di salute e sicurezza nei luoghi di lavoro (costi della sicurezza), come prescritto dagli artt. 82, comma 3 bis, e 86 comma 3 bis, del Codice dei contratti pubblici.

Il riferimento alla necessaria salvaguardia dei costi del personale e della sicurezza conferma – a parere di chi scrive – la necessità che, in sede di rinegoziazione del contratto, si operi anche una valutazione della congruità del prezzo come risultante dalla riduzione del 5 per cento, nel senso che deve verificarsi l’intangibilità della parte di prezzo afferente a quei costi.

Un’altra importante modifica apportata in sede di conversione è la soppressione della lett. b) (contratti ancora da stipularsi alla data di entrata in vigore del decreto) in accoglimento dei suggerimenti formulati, tra gli altri, dalla Conferenza delle Regioni e province autonome.

In realtà, parte dei casi riconducibili alla lett. b) soppressa sono per così dire “rientrati dalla finestra” nella lett. a) integrata, nella parte in cui la necessaria riduzione degli importi dei contratti in essere viene estesa a “quelli relativi a procedure di affidamento per cui sia già intervenuta l’aggiudicazione, anche provvisoria”, vale a dire la prima delle ipotesi esaminate nel paragrafo precedente, per la quale restano ferme tutte le perplessità, in ordine alla percorribilità, sotto il profilo della legittimità e del buon andamento dell’azione amministrativa, sollevate dalla dottrina e dagli operatori del diritto già in fase di applicazione del decreto legge.

In linea con la soppressione della lett. b) citata è stata altresì eliminata la pesante sanzione prevista dal comma 9, vale a dire la nullità per i contratti stipulati in difformità a quanto prescritto e la correlata responsabilità dirigenziale di chi li aveva sottoscritti.

Non è stata affatto modificata, tuttavia, la restante parte della disposizione, inerente alla possibilità di recesso senza penalità per il contraente che non acconsenta a rinegoziare o – verrebbe da dire, laddove la rinegoziazione non sia possibile – a subire uno sconto del 5 per cento del proprio corrispettivo imposto unilateralmente.

La necessaria diminuzione degli importi contrattuali è norma di dubbia legittimità costituzionale, in quanto si traduce di fatto nella riduzione unilaterale – perché stabilita ex lege – della prestazione di uno solo dei due contraenti, riduzione unilaterale che mal si concilia con la posizione paritaria che la parte pubblica e la parte privata assumono nell’ambito del rapporto contrattuale.  

Il ricorso alle convenzioni quadro Consip

La norma convertita in legge conferma la possibilità per le stazioni appaltanti, in caso di recesso del contraente e nelle more dell’espletamento delle procedure per nuovi affidamenti, di stipulare nuovi contratti accedendo a convenzioni-quadro di Consip S.p.A. o a quelle delle centrali di committenza regionale, così da assicurare comunque la disponibilità di beni e servizi necessari alla loro attività. Viene addirittura ipotizzata la possibilità di giungere al medesimo risultato “tramite affidamento diretto nel rispetto della disciplina europea e nazionale sui contratti pubblici”, in barba – verrebbe da dire – alle procedure ad evidenza pubblica già regolarmente e legittimamente espletate e dalle quali sono scaturiti i contratti da rinegoziare.   

La possibilità, quale soluzione temporanea, di ricorrere a convenzioni attivate da Consip o dalle centrali di committenza regionale avvalora quanto sopra detto a proposito del fatto che la norma in esame abbia una portata impropriamente ampia.

Probabilmente, il meccanismo della rinegoziazione dei contratti con finalità di contenimento della spesa pubblica può funzionare nei casi di forniture di beni e di servizi ripetitivi o standardizzabili, molto meno negli altri casi, come sopra evidenziato. Il fatto che, in caso di recesso del contraente privato, il legislatore proponga, quale soluzione tampone, il ricorso alle convenzioni Consip dimostra che, nella sua mente, aveva presente proprio quel tipo di contratti che sono appunto stipulabili mediante le convenzioni Consip.

Non è stato poi in alcun modo risolto il problema della riduzione dei  contratti in essere già stipulati mediante convenzioni Consip[5], per i quali sarebbe illogico imporre una rinegoziazione; l’adesione alle convenzioni Consip infatti è già il frutto di un contenimento della spesa pubblica operato al momento della pianificazione della procedura di affidamento. Tanto ciò è vero che, in caso di recesso del contraente, la soluzione proposta dal legislatore, nelle more dell’espletamento delle procedure per nuovi affidamenti, è stata proprio quella di accedere alle convenzioni-quadro di Consip o delle centrali di committenza regionale, senza in tal caso prevedere alcuna riduzione degli importi contrattuali.

Conclusioni

Ancora una volta il legislatore italiano ha dato prova della sua scarsa capacità di elaborare norme chiare, efficaci e concretamente applicabili. E’ stato impiegato lo strumento, ormai abusato, della decretazione d’urgenza, questa volta per finalità di contenimento della spesa, per introdurre norme “maldestre” ed approssimative che creano problemi più che risolverli. Senza dimenticare i rischi – in termini di provvisorietà della vigenza delle norme così introdotte – che conseguono all’impiego della decretazione d’urgenza, laddove il decreto non venga poi convertito in legge o venga radicalmente modificato. Il principio della certezza del diritto viene, una volta di più, messo da parte in favore di contingenti esigenze di cassa.      


[1] Art. 8 , c. 4, D.L. n. 66/2014: A decorrere dalla data di entrata in vigore del presente decreto, le amministrazioni pubbliche di cui al comma 1 riducono la spesa per acquisti di beni e servizi, in ogni settore, per un ammontare complessivo pari a 2.100 milioni di euro per il 2014 in ragione di:

a) 700 milioni di euro da parte delle regioni e delle province autonome di Trento e Bolzano; 

b) 700 milioni di euro, di cui 340 milioni di euro da parte delle province e città metropolitane e 360 milioni di euro da parte dei comuni;

c) 700 milioni di euro, comprensivi della riduzione di cui al comma 11, da parte delle amministrazioni dello Stato di cui al comma 1. 

Le stesse riduzioni si applicano, in ragione d’anno, a decorrere dal 2015. Per le amministrazioni di cui alla lettera c) si provvede secondo i criteri e nelle misure di cui all’articolo 50.”

In sede di conversione in legge, la lett. c) del comma 4 è stata così modificata: “c) 700 milioni di euro, comprensivi della riduzione di cui al comma 11, da parte delle pubbliche amministrazioni di cui all’articolo 11, comma 1, del decreto legislativo 14 marzo 2013, n. 33”.

[2] Si vedrà oltre che la lett. b) del comma 8, che conteneva tale previsione, è stato soppresso in sede di conversione in legge del decreto.

[3] Il decreto legge nulla dice a proposito dell’applicabilità delle disposizioni dell’art. 8 alle Regioni a statuto speciale e alle Province autonome, tanto che l’interpretazione unanimemente data è stata quella di considerarle immediatamente cogenti anche per gli enti ad autonomia differenziata, stante la riconducibilità delle norme in questione alle esigenze di tutela della finanza pubblica e all’ordinamento civile, entrambi rientranti nella competenza esclusiva dello Stato. La previsione del comma 10 costituisce, in tal senso, una seppur limitata clausola di salvaguardia dell’autonomia delle Regioni a statuto speciale e delle Province autonome.

[4] Atto Camera n. 2433 (Disegno di legge di conversione in legge del D.L. n. 66/2014, approvato dal Senato della Repubblica il 5 giugno 2014) – Art. 8, comma 8.Fermo restando quanto previsto dal comma 10 del presente articolo e dai commi 5 e 12 dell’articolo 47, le pubbliche amministrazioni di cui all’articolo 11, comma 1, del decreto legislativo 14 marzo 2013, n. 33, per realizzare l’obiettivo loro assegnato ai sensi dei commi da 4 a 7, sono:

a) autorizzate, a decorrere dalla data di entrata in vigore del presente decreto e nella salvaguardia di quanto previsto dagli articoli 82, comma 3-bis, e 86, comma 3-bis, del decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163, a ridurre gli importi dei contratti in essere nonché di quelli relativi a procedure di affidamento per cui sia già intervenuta l’aggiudicazione, anche provvisoria, aventi ad oggetto acquisto o fornitura di beni e servizi, nella misura del 5 per cento, per tutta la durata residua dei contratti medesimi. Le parti hanno facoltà di rinegoziare il contenuto dei contratti, in funzione della suddetta riduzione. È fatta salva la facoltà del prestatore dei beni e dei servizi di recedere dal contratto entro 30 giorni dalla comunicazione della manifestazione di volontà di operare la riduzione senza alcuna

penalità da recesso verso l’amministrazione. Il recesso è comunicato all’Amministrazione e ha effetto decorsi trenta giorni dal ricevimento della relativa comunicazione da parte di quest’ultima. In caso di recesso, le pubbliche amministrazioni di cui all’articolo 11, comma 1, del decreto legislativo 14 marzo 2013, n. 33, nelle more dell’espletamento delle procedure per nuovi affidamenti, possono, al fine di assicurare comunque la disponibilità di beni e servizi necessari alla loro attività, stipulare nuovi contratti accedendo a convenzioni-quadro di Consip S.p.A., a quelle di centrali di committenza regionale o tramite affidamento diretto nel rispetto della disciplina europea e nazionale sui contratti pubblici;

b) soppressa.”. Approvato dalla Camera dei Deputati il 18 giugno 2014.

[5] Questione sollevata da ITACA nel documento “Prima lettura delle nuove norme in materia di appalti pubblici contenute nel D.L. n. 66/2014”.

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Questo articolo è stato scritto da...

Dott.ssa Alessandra Verde
Referendaria consiliare presso il Consiglio regionale della Sardegna
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