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Premesse

La nozione di “conflitto di interesse” rilevante per il settore degli appalti pubblici trova il suo fondamento nella norma speciale di cui all’art. 42 del D.Lgs. 50/2016 (“Codice Appalti”).

Nell’ambito del diritto amministrativo è tuttavia con l’art. 1, comma 41 della Legge n. 190/2012 che l’azione preventiva della corruzione ad evitare i conflitti di interessi è divenuta un principio generale: è stato infatti introdotto l’art. 6-bis alla Legge n. 241/1990, norma generale, secondo il quale il responsabile del procedimento e i titolari degli uffici competenti ad adottare i pareri, le valutazioni tecniche, gli atti endoprocedimentali e il provvedimento finale (in qualsiasi procedura anche diversa dalla materia che ci occupa) devono astenersi in caso di conflitto di interessi, segnalando ogni situazione di conflitto, anche potenziale.

È sulla portata della norma del Codice Appalti che compiremo un’approfondita disamina nel seguito del presente contributo, anche alla luce della più recente giurisprudenza amministrativa, ferme restando le implicazioni sia penali che disciplinari che esulano dalla trattazione che segue.

Ai fini della predetta analisi, occorre focalizzarsi sulla finalità dell’art. 42 del Codice Appalti il quale prescrive uno specifico obbligo di condotta a carico delle stazioni appaltanti: al comma 1 dispone infatti che le stazioni appaltanti sono tenute a prevedere e a porre in essere misure adeguate per:

a) contrastare frodi e corruzione, nonché

b) per individuare, prevenire e risolvere in modo efficace ogni ipotesi di conflitto di interesse nello svolgimento delle procedure di aggiudicazione degli appalti e delle concessioni.

Il fine ultimo della citata disposizione è, dunque, evitare qualsiasi distorsione della concorrenza e garantire la parità di trattamento di tutti gli operatori economici.

L’art. 42 al comma 2 reca – come vedremo – una prima definizione di conflitto d’interesse ma è sulla natura, i presupposti e gli elementi indiziari di detta fattispecie che la giurisprudenza si è maggiormente concentrata al fine di meglio delineare la portata di detta definizione.

Prima con l’art. 6-bis Legge n. 241/1990 e dopo con l’art. 42 D.Lgs. 50/2016 il legislatore ha introdotto per gli appalti una disciplina volta a prevenire potenziali conflitti di interesse quali potenziali rischi di corruzione

La disciplina codicistica

Testualmente l’art. 42 del Codice Appalti, per le citate finalità di cui al comma 1, dispone al comma 2 che «Si ha conflitto d’interesse quando il personale di una stazione appaltante o di un prestatore di servizi che, anche per conto della stazione appaltante, interviene nello svolgimento della procedura di aggiudicazione degli appalti e delle concessioni o può influenzarne, in qualsiasi modo, il risultato, ha, direttamente o indirettamente, un interesse finanziario, economico o altro interesse personale che può essere percepito come una minaccia alla sua imparzialità e indipendenza nel contesto della procedura di appalto o di concessione. In particolare, costituiscono situazione di conflitto di interesse quelle che determinano l’obbligo di astensione previste dall’articolo 7 del decreto del Presidente della Repubblica 16 aprile 2013, n. 62».

La funzione dell’art. 42, comma 2 del Codice Appalti è dunque quella di prevenire ogni situazione in cui «lo svolgimento di una determinata attività sia affidato ad un funzionario che ha (sic) contestualmente titolare di interessi personali o di terzi, la cui eventuale soddisfazione implichi necessariamente una riduzione del soddisfacimento dell’interesse funzionalizzato» (così si esprime il Consiglio di Stato nel parere del 5 marzo 2019, n. 667 sullo schema di Linee guida ANAC relative all’ “Individuazione e gestione dei conflitti di interesse nelle procedure di affidamento di contratti pubblici”, v. infra); situazione che nel settore dei contratti pubblici si traduce nel pericolo di una «distorsione della concorrenza» e che non sia «garanti(ta) la parità di trattamento di tutti gli operatori economici».

Prosegue l’art. 42 stabilendo al comma 3 che «Il personale che versa nelle ipotesi di cui al comma 2 è tenuto a darne comunicazione alla stazione appaltante, ad astenersi dal partecipare alla procedura di aggiudicazione degli appalti e delle concessioni. Fatte salve le ipotesi di responsabilità amministrativa e penale, la mancata astensione nei casi di cui al primo periodo costituisce comunque fonte di responsabilità disciplinare a carico del dipendente pubblico» e al comma 5 che «La stazione appaltante vigila affinché gli adempimenti di cui ai commi 3 e 4 siano rispettati».

Il comma 4 del medesimo art. 42 specifica poi che «Le disposizioni dei commi da 1, 2 e 3 valgono anche per la fase di esecuzione dei contratti pubblici».

L’art. 42 del Codice Appalti si compone, dunque, di tre diversi obblighi per il personale della stazione appaltante:

1. obbligo di adozione di «misure adeguate per contrastare le frodi e la corruzione, nonché per individuare, prevenire e risolvere in modo efficace ogni ipotesi di conflitto di interesse nello svolgimento delle procedure di aggiudicazione degli appalti e delle concessioni»;

2. obbligo di segnalazione e di (eventuale) astensione nei casi previsti in particolare dall’art. 7, d.P.R. n. 62/2013;

3. generico dovere di vigilanza circa il rispetto del primo e del secondo obbligo sopra indicati.

Dette disposizioni del Codice Appalti attuano l’art. 24 della direttiva 2014/24/UE, l’art. 42 della direttiva 2014/25/UE e l’art. 35 della direttiva 2014/23/UE (ai sensi dei quali «Gli Stati membri provvedono affinché le Amministrazioni aggiudicatrici adottino misure adeguate per prevenire, individuare e porre rimedio in modo efficace a conflitti di interesse nello svolgimento delle procedure di aggiudicazione degli appalti in modo da evitare qualsiasi distorsione della concorrenza e garantire la parità di trattamento di tutti gli operatori economici. Il concetto di conflitti di interesse copre almeno i casi in cui il personale di un’Amministrazione aggiudicatrice o di un prestatore di servizi che per conto dell’amministrazione aggiudicatrice interviene nello svolgimento della procedura di aggiudicazione degli appalti o può influenzare il risultato di tale procedura ha, direttamente o indirettamente, un interesse finanziario, economico o altro interesse personale che può essere percepito come una minaccia alla sua imparzialità e indipendenza nel contesto della procedura di appalto»).

Il Consiglio di Stato nel parere sullo schema di codice appalti (Consiglio di Stato, comm. spec., 1 aprile 2016, n. 855) a riguardo ha osservato che le citate norme delle direttive appalti «… prevedono una “regolazione minima” per contrastare la presenza di conflitti di interesse nello svolgimento delle procedure di aggiudicazione degli appalti e delle concessioni: essi contengono tutti la seguente locuzione: “Il concetto di conflitti di interesse copre almeno i casi”. Nel sistema (pre)vigente, l’art. 84 d.lgs. n. 163/2006 contiene disposizioni sul conflitto di interessi, con riferimento alle ipotesi di aggiudicazione con il criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa. L’art. 42 prevede dunque disposizioni che vanno valutate con favore: esso mira a una applicazione più estesa delle regole di incompatibilità, perché si riferisce in generale al “personale” della stazione appaltante, e quindi, non solo ai membri della commissione giudicatrice».

Sullo stesso piano opera anche l’art. 77 del Codice Appalti secondo il quale la presenza in commissione di commissari che hanno avuto rapporti – direttamente o indirettamente – con uno dei concorrenti integra l’ipotesi di conflitto di interessi di cui all’art. 42 del Codice Appalti[1], costituendo, il principio della separazione tra chi predispone il regolamento di gara e chi è chiamato concretamente ad applicarlo, una regola generale posta a tutela della trasparenza della procedura.

In particolare, l’art. 77 dispone che «4. I commissari non devono aver svolto né possono svolgere alcun’altra funzione o incarico tecnico o amministrativo relativamente al contratto del cui affidamento si tratta. La nomina del RUP a membro delle commissioni di gara è valutata con riferimento alla singola procedura. 5. Coloro che, nel biennio antecedente all’indizione della procedura di aggiudicazione, hanno ricoperto cariche di pubblico amministratore, non possono essere nominati commissari giudicatori relativamente ai contratti affidati dalle Amministrazioni presso le quali hanno esercitato le proprie funzioni d’istituto. 6. Si applicano ai commissari e ai segretari delle commissioni l’articolo 35-bis del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, l’articolo 51 del codice di procedura civile, nonché l’articolo 42 del presente codice. Sono altresì esclusi da successivi incarichi di commissario coloro che, in qualità di membri delle commissioni giudicatrici, abbiano concorso, con dolo o colpa grave accertati in sede giurisdizionale con sentenza non sospesa, all’approvazione di atti dichiarati illegittimi».

Quanto alle conseguenze della sussistenza del conflitto di interessi, l’art. 80 comma 5 del Codice Appalti prevede che «Le stazioni appaltanti escludono dalla partecipazione alla procedura d’appalto un operatore economico in una delle seguenti situazioni, anche riferita a un suo subappaltatore nei casi di cui all’articolo 105, comma 6, qualora: … d) la partecipazione dell’operatore economico determini una situazione di conflitto di interesse ai sensi dell’articolo 42, comma 2, non diversamente risolvibile; …».

Il ragionamento in termini di rischio di conflitto di interessi impone a carico della stazione appaltante una valutazione concreta dell’offerta e della situazione dell’offerente interessato: l’esclusione di tale offerente è, dunque, un rimedio volto a garantire il rispetto dei principi di trasparenza e di parità di trattamento tra gli offerenti.

È, dunque, di estrema rilevanza che l’operatore economico intenzionato a partecipare a una procedura di gara abbia evidenza di tutte le circostanze che possano rappresentare un potenziale conflitto di interessi ai sensi dell’art. 42 del Codice Appalti onde non incorrere nell’esclusione dalla procedura.

La funzione dell’art. 42 del D.lgs. 50/2016 è prevenire ogni situazione di conflitto di interessi che nel settore dei contratti pubblici si traduce nel pericolo di una distorsione della concorrenza

Il Giudice Amministrativo sulla nozione di conflitto di interessi

La nozione di “conflitto di interesse” rilevante per il settore degli appalti pubblici risulta attualmente ricostruita grazie anche al contributo della giurisprudenza amministrativa, ferme restando le indicazioni fornite in ambito di prassi dall’ANAC con le Linee Guida n. 15[2] recanti «Individuazione e gestione dei conflitti di interesse nelle procedure di affidamento di contratti pubblici» (approvate dal Consiglio dell’Autorità con delibera n. 494 del 5 giugno 2019), a cui si rimanda per una compiuta disamina.

La giurisprudenza si è più volte espressa al fine di meglio specificare l’ambito soggettivo della nozione di conflitto di interessi contenuta nell’art. 42, comma 2 del Codice Appalti che, come visto, richiama “in particolare” l’art. 7[3] D.P.R. 16 aprile 2013 n. 62 recante il Codice di comportamento dei dipendenti pubblici.

A riguardo il giudice amministrativo ha osservato che «l’art. 24 della direttiva 2014/24/UE (cui il predetto art. 42, comma 2 del d.lgs. n. 50 del 2016 dà attuazione), non sembra dettare una disciplina univoca del “conflitto di interesse”, ma indica solamente una soglia minima di contenuto e tutela … La fattispecie descritta dall’art. 42, comma 2 del d.lgs. 50 del 2016 ha portata generale, come emerge dall’uso della locuzione “in particolare”, riferita alla casistica di cui al richiamato art. 7 d.P.R. n. 62 del 2013, avente dunque mero carattere esemplificativo. Ritiene il Collegio – considerate anche le finalità generali di presidio della trasparenza e dell’imparzialità dell’azione amministrativa – che bene il primo giudice abbia ritenuto che l’espressione “personale” di cui alla norma in questione vada riferita non solo ai dipendenti in senso stretto (ossia, i lavoratori subordinati) dei soggetti giuridici ivi richiamati, ma anche a quanti, in base ad un valido titolo giuridico (legislativo o contrattuale), siano in grado di validamente impegnare, nei confronti dei terzi, i propri danti causa o comunque rivestano, di fatto o di diritto, un ruolo tale da poterne obiettivamente influenzare l’attività esterna. Diversamente, si entrerebbe nella contraddizione di escludere dalla portata della norma – dalla manifesta funzione preventiva – proprio quei soggetti che più di altri sono in grado di condizionare l’operato dei vari operatori del settore (pubblici e privati) e dunque si darebbe vita a situazioni di conflitto che la norma vuol prevenire, ossia i componenti degli organi di amministrazione e controllo. Invero, se la norma sul conflitto di interessi si applica sicuramente ai dipendenti “operativi”, a maggior ragione andrà applicata anche agli organi ed uffici direttivi e di vertice (nonché ai dirigenti e amministratori pubblici), come si evince proprio dal richiamo all’art 7 del d.P.R. n. 62 del 2013, per indicare le ampie categorie di soggetti cui fare riferimento …» (Consiglio di Stato, sez. V, sentenza 11 luglio 2017 n. 3415).

Nel medesimo solco si registra anche una successiva pronuncia del Consiglio di Stato secondo cui «l’art. 42, comma 2, d.lgs. 18 aprile 2016, n. 50 (cui rimanda l’art. 80, comma 5, lett. d) che ne fa una causa di esclusione dell’operatore economico) presume la sussistenza di una situazione di conflitto di interessi quando: “il personale di una stazione appaltante o di un prestatore di servizi che, anche per conto della stazione appaltante, interviene nello svolgimento della procedura di aggiudicazione degli appalti e delle concessioni o può influenzarne, in qualsiasi modo, il risultato, ha direttamente o indirettamente, un interesse finanziario, economico o altro interesse personale che può essere percepito come minaccia alla sua imparzialità e indipendenza nel contesto della procedura di appalto o di concessione. In particolare, costituiscono situazione di conflitto di interessi quelle che determinano l’obbligo di astensione previsto dall’articolo 7 del decreto del Presidente della Repubblica 16 aprile 2013, n. 62”; la norma è interpretata in senso ampio dalla giurisprudenza come riferita pur riferita, oltre che al “personale della stazione appaltante”, a qualsiasi soggetto che, in forza di un valido titolo contrattuale o legislativo, ovvero per la sua posizione di rilievo abbia la capacità di impegnare la stazione appaltante nei confronti di terzi (cfr. Cons. Stato, sez. V, 11 luglio 2017, n. 3415)» (Consiglio di Stato, sez. V, sentenza 17 aprile 2019, n. 2511).

Diverse sono le ipotesi sottoposte al vaglio del Giudice Amministrativo, esaminando le quali sono stati delineati i contorni del conflitto di interessi nell’ambito procedure di gara.

È stata, ad esempio, esaminata la posizione potenzialmente conflittuale in cui si sarebbe trovato un soggetto dipendente della società mandante dell’RTI aggiudicatario in ragione della consulenza contestualmente prestata ad altra impresa, quest’ultima incaricata di supportare l’Amministrazione nella predisposizione della documentazione di gara. Il Consiglio di Stato si è sul punto pronunciato sia con riferimento alla configurabilità del conflitto nel caso in esame sia valutando le eventuali ricadute sulla procedura di gara. In particolare, Palazzo Spada ha ritenuto sussistente il conflitto di interessi ex art. 42 Codice Appalti in quanto «L’esistenza di un rapporto di lavoro non può che essere considerato espressione di un interesse personale, enucleando la disciplina del conflitto di interessi una fattispecie di pericolo (Cons. Stato, III, 14 gennaio 2019, n. 355). Il conflitto di interessi non presuppone la realizzazione di un vantaggio competitivo, ma il potenziale rischio di minaccia alla imparzialità amministrativa», rilevando ancora che «se il conflitto di interessi è evidenziato in una fase più avanzata del procedimento di gara, od addirittura successivamente all’aggiudicazione, non può che trovare applicazione la misura demolitoria, che, secondo la regola generale, colpisce il provvedimento viziato dal conflitto di interessi» (Consiglio di Stato, sez. V, sentenza 28 ottobre 2019 n. 7389). Ad avviso del Consiglio di Stato, pertanto, il potenziale rischio di compromettere l’imparzialità amministrativa è di per sé idoneo a configurare il conflitto di interessi, senza necessità che questo si traduca in un concreto beneficio nell’ambito della procedura. La misura demolitoria nel caso di specie ha interessato la lex specialis di gara, poiché elaborata con il contributo, anche solo potenzialmente interessato, di un soggetto dipendente di una società concorrente il quale aveva prestato consulenza ad altra società incaricata di supportare l’Amministrazione nella stesura dei documenti di gara, con l’effetto che risultano incisi dalla situazione di conflitto anche tutti gli atti di gara conseguenti.

Sul punto, ancora di recente è stato osservato da Palazzo Spada che «… b) l’ampia portata della disposizione consente di ricomprendere nel suo ambito di applicazione tutti coloro che con qualsiasi modalità e anche senza intervenire nella procedura (predisponendone gli atti o facendo parte della commissione giudicatrice) siano in grado di influenzarne il risultato; ed il rischio di un’alterazione della par condicio si verifica anche quando il concorrente si è potuto avvalere dell’apporto di conoscenze e di informazioni pervenutegli dal progettista (anche se esterno alla stazione appaltante e dalla stessa incaricato della redazione del progetto posto a base di gara) “al fine di predisporre un’offerta tecnica meglio rispondente alle esigenze ed agli obiettivi della stazione appaltante”» (Consiglio di Stato, sez. III, sentenza 20 agosto 2020 n. 5151).

Sempre con riferimento al profilo soggettivo della fattispecie in esame, si segnala una recente pronuncia del Giudice Amministrativo (Consiglio di Stato, sez. V, sentenza 6 maggio 2020 n. 2864) che ha ritenuto legittimo l’affidamento a società partecipate o controllate dalla stessa stazione appaltante, senza che ciò possa configurare una situazione di conflitto di interesse ex art. 42 Codice Appalti, in linea con taluni precedenti della V sezione del Consiglio di Stato e con il parere n. 667 del 5 marzo 2019 sulle Linee Guida ANAC. L’appello in questione viene proposto avverso la sentenza di primo grado che ha rigettato il ricorso per l’annullamento di un provvedimento di revoca in autotutela dell’affidamento adottato sulla base della «violazione del Codice Etico Aziendale, al cui rispetto sono tenuti tutti i soggetti che entrano in contatto» con la stazione appaltante, emerso all’esito delle verifiche sui requisiti del soggetto affidatario (società controllata). Nello specifico l’amministratore delegato dell’affidatario risultava dipendente dell’Amministrazione appaltante «con posizione apicale all’interno della Direzione Generale». Viene accertato che il dipendente della stazione appaltante e allo stesso tempo amministratore delegato dell’affidatario non ha preso alcuna parte nell’affidamento del servizio, per cui difettano in radice i presupposti per applicare il Codice Etico. Con riferimento all’ipotesi di esclusione di cui all’art. 80, comma 5 lett. d), del Codice Appalti, il conflitto di interessi del dipendente pubblico può avere un riflesso esterno all’Amministrazione e comportare l’esclusione da procedure di affidamento dell’operatore economico o l’annullamento in autotutela di un affidamento disposto). Sul punto il Consiglio di Stato rileva tuttavia che il conflitto di interessi deve essere dimostrato concretamente e non in via astratta o meccanicamente, ma caso per caso e con idonea motivazione: dimostrazione del conflitto di interesse e del pregiudizio arrecato alla stazione appaltante (tale da attivare l’annullamento d’ufficio) che manca nel caso di specie.

Il Consiglio di Stato giunge a ritenere legittimo che un’Amministrazione affidi all’esito di procedure di gara contratti a proprie società partecipate o controllate senza che in ciò possa automaticamente ravvisarsi un conflitto di interesse in quanto l’art. 42, comma 2 del Codice Appalti si riferisce testualmente all’ipotesi di situazioni conflittuali in cui versa il solo “personale” della stazione appaltante ma non estende tale previsione anche alle società partecipate o controllate dalla stazione appaltante. In tal senso, il comma 3 dell’art. 42 «da un lato, pone a carico del dipendente che versa in tale situazione l’obbligo di darne comunicazione alla stazione appaltante e di astenersi dal partecipare alla procedura di affidamento; e dall’altro lato prevede che salve le ipotesi di responsabilità amministrativa e penale eventualmente configurabili, la mancata astensione è «comunque fonte di responsabilità disciplinare a carico del dipendente pubblico». La violazione dei doveri che sorgono a carico del dipendente in situazione di conflitto di interessi è quindi fonte di sanzioni solo per quest’ultimo».

L’espressione “personale” di cui al comma 2 dell’art. 42 del D.Lgs. 50/2016 fa riferimento non solo ai dipendenti in senso stretto della stazione appaltante

Con riferimento poi agli elementi indiziari del conflitto di interessi, necessari a verificarne l’insorgenza o meno, sempre Palazzo Spada ha in più occasioni osservato che «Il conflitto di interessi di cui all’art. 42, comma 2, del codice dei contratti pubblici non è solo quello realmente accertato, ma anche quello potenzialmente esistente, come reso evidente dal riferimento normativo all’interesse personale del funzionario che possa essere “percepito come una minaccia alla sua imparzialità e indipendenza nel contesto della procedura di appalto o di concessione”; la disposizione, insomma, è lato sensu una “norma di pericolo”, nel senso che essa e le misure che contempla (astensione dei dipendenti) o comporta (esclusione dell’impresa concorrente) operano per il solo pericolo di pregiudizio che la situazione conflittuale possa determinare (così Cons. Stato, sez. III, 14 gennaio 2019, n. 355). Il conflitto di interessi si ricava, allora, in via presuntiva da due elementi indiziari quali a) l’esistenza di un interesse personale del funzionario; b) il ruolo che questi riveste nella procedura di gara tale da consentire di “intervenire” o di “influenzare” il risultato, per le informazioni privilegiate che ha a disposizione e può trasferire all’impresa concorrente così ponendola in condizione di vantaggio sugli altri concorrenti (cfr. Cons. Stato, sez. III, 12 settembre 2019, n. 6150, nonché Cons. Stato, parere 5 marzo 2019, n. 667). (…) Per gli elementi indiziari posti dal legislatore a base del ragionamento presuntivo – l’interesse personale e il ruolo rivestito dal funzionario – come non deve essere provato dalla stazione appaltante il reale possesso dell’informazioni privilegiate da parte del funzionario, allo stesso modo è fuori dal perimetro probatorio la dimostrazione che le informazioni siano, poi, state effettivamente trasferite alla consociata in affari. E’, invece, a carico dell’impresa, una volta che l’amministrazione abbia dato conto dell’uno e dell’altro elemento indiziario, dimostrare che non vi è stata violazione del principio delle pari opportunità nella formulazione dei termini delle offerte per tutti gli offerenti né si è determinato alcun rischio reale di pratiche atte a falsare la concorrenza tra gli offerenti» (Consiglio di Stato, sez. V, sentenza 14 maggio 2020 n. 3048).

E ancora, sempre di recente, il Giudice Amministrativo ha rilevato che ai fini dell’individuazione di una situazione di conflitto di interesse «è sufficiente il carattere anche solo potenziale dell’asimmetria informativa di cui abbia potuto godere un concorrente grazie all’acquisizione di elementi ignoti agli altri partecipanti per il tramite di un soggetto in rapporto diretto con la stazione appaltante, così come anche solo potenziale può configurarsi il conseguente, indebito vantaggio competitivo conseguito, in violazione dei principi di imparzialità, buon andamento e par condicio competitorum» (Consiglio di Stato, sez. III, sentenza 20 agosto 2020 n. 5151).

Il conflitto di interessi di cui all’art. 42 comma 2 del D.Lgs. 50/2016 non è solo quello realmente accertato ma anche quello potenzialmente esistente

Conclusioni

È di stretta evidenza che non tutte le situazioni di “contatto” con il personale della stazione appaltante siano da sanzionare benchè sia sempre necessario monitorare le eventuali relazioni sensibili: è infatti sulle modalità di regolamentazione di detta attività di controllo lungo l’intero ciclo del processo di affidamento di lavori, servizi e forniture su cui le Amministrazioni dovrebbero concentrare gli sforzi, così da prevenire l’assenza di conflitti di interesse quali potenziali rischi di corruzione, pur non frustrando la regolare attività amministrativa da una parte e imprenditoriale dall’altra.


[1] Sul punto si la recente Delibera ANAC n. 25 del 15 gennaio 2020 (recante “Indicazioni per la gestione di situazioni di conflitto di interessi a carico dei componenti delle commissioni giudicatrici di concorsi pubblici e dei componenti delle commissioni di gara per l’affidamento di contratti pubblici”).

[2] Le Linee Guida n. 15 dell’ANAC, a cui si rimanda per un’approfondita disamina, sono suddivise in quattro parti che riguardano (i) le definizioni e l’ambito di applicazione del conflitto di interesse nelle procedure di gara (ii) gli obblighi dichiarativi e di comunicazione, l’obbligo di astensione ed esclusione dalla gara del concorrente (iii) la prevenzione del rischio (iv) l’esemplificazione di alcuni comportamenti.

[3] Ai sensi dell’art. 7 del DPR 62/2013 «Il dipendente si astiene dal partecipare all’adozione di decisioni o ad attività che possano coinvolgere interessi propri, ovvero di suoi parenti, affini entro il secondo grado, del coniuge o di conviventi, oppure di persone con le quali abbia rapporti di frequentazione abituale, ovvero, di soggetti od organizzazioni con cui egli o il coniuge abbia causa pendente o grave inimicizia o rapporti di credito o debito significativi, ovvero di soggetti od organizzazioni di cui sia tutore, curatore, procuratore o agente, ovvero di enti, associazioni anche non riconosciute, comitati, società o stabilimenti di cui sia amministratore o gerente o dirigente. Il dipendente si astiene in ogni altro caso in cui esistano gravi ragioni di convenienza. Sull’astensione decide il responsabile dell’ufficio di appartenenza»).

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Avv. Paola Cartolano
Esperta in materia di appalti pubblici
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