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Premessa

In tema di attuazione dei Recovery Fund, sotto il profilo del diritto dei contratti, è interessante soffermarsi sul ruolo dei RUP.

Non v’è dubbio che un ruolo principale, da protagonista, verrà svolto dalla figura che deve pensare, organizzare, presidiare l’approccio all’utilizzo dei fondi del piano di resilienza (e del PNC).

Una delle prime questioni pratico/operative, a sommesso parere, che ogni stazione appaltante – tra le tante incombenze -, deve chiarire in via propedeutica è quella, immediata, di organizzare, fornire indirizzi sull’attività contrattuale, sull’approccio alle procedure e cercare di risolvere anticipatamente le varie problematiche che si possono incontrare. Per intendersi, occorre fornire degli indirizzi agli uffici anche sullo svolgimento del procedimento e delle procedure contrattuali. Cercando di attivare una procedura uniforme evitando anarchia amministrativa.  

Una delle prime questioni pratico/operative che possiamo definire nuove riguarda i rapporti tra il PNRR (per sintetizzare) e le norme dei decreti semplificazione.

Non v’è dubbio che un ruolo principale, da protagonista, verrà svolto dalla figura che deve pensare, organizzare, presidiare l’approccio all’utilizzo dei fondi del piano di resilienza (e del PNC)

1. I rapporti tra PNRR e decreti semplificazione

Per decreti semplificazione, ovviamente, si intendono il DL 76/2020 ed il successivo DL 77/2021 che, come noto, introducono un regime derogatorio generale fino al giugno 2023. Ritorna, in relazione agli affidamenti o se si preferisce all’attività contrattuale legata ai contratti del recovery fund la questione dell’obbligatorietà o meno dell’applicazione delle norme di semplificazione. Si tratta, evidentemente, di un problema che, prima di tutti, riguarda proprio i RUP e, quindi, le stazioni appaltanti che valutassero, anche sul tema, di fornire un indirizzo per uniformare l’azione amministrativa. Sarebbe ben strano, infatti, che all’interno della stessa stazione appaltante i RUP operassero in modo completamente diverso (tra chi applicasse le norme di semplificazione e chi invece si ostinasse ad operare con le norme codicistiche).

Un utile aiuto, sulla soluzione del problema, viene fornito dalla recente comunicazione del MIMS del 17 dicembre scorso.

Il chiarimento è intervenuto in tema di finanziamenti concessi per gli “Interventi comunali in materia di efficientamento energetico, rigenerazione urbana, mobilità sostenibile e messa in sicurezza degli edifici e valorizzazione del territorio”. 

Finanziamenti, semplificando, che sono stati configurati – dalla comunicazione dell’8 novembre scorso -, come afferenti il piano PNRR. Da qui la necessità di comprendere il significato di tale configurazione (comunque immaginabile).  

Uno degli aspetti su cui era necessario un immediato chiarimento è la questione degli appalti PNRR/PNC da parte dei comuni non capoluogo di provincia. Come noto, l’articolo 52 del DL 77/2021 nel sospendere gli obblighi di accorpamento delle stazioni appaltanti (art. 37 e 38 del Codice dei contratti) fino al 30 giugno 2023 ha puntualizzato, però, che gli obblighi di accorpamento rimangono in vigore in relazione ai contratti finanziati anche solo in parte dal PNRR o dal PNC.

In pratica in questo caso, i comuni non capoluogo – secondo il dato normativo – non possono espletare autonomamente la gara d’appalto ma rivolgersi ad enti sovra comunali e quindi sia alle fattispecie di cui al comma 4, dell’articolo 37 del Codice dei contratti e quindi:

a)  ricorrendo a una centrale di committenza o a soggetti aggregatori qualificati;

b) mediante unioni di comuni costituite e qualificate come centrali di committenza, ovvero associandosi o consorziandosi in centrali di committenza nelle forme previste dall’ordinamento.

c) ricorrendo alla stazione unica appaltante costituita presso le province, le città metropolitane ovvero gli enti di area vasta ai sensi della legge del 7 aprile 2014, n. 56.

E quindi a situazioni strutturate oppure ricorrere a realtà meno formalizzate come “unioni di comuni, le province, le città metropolitane e i comuni capoluogo di provincia”.

Si è in presenza di una prima disposizione che, ovviamente, modifica i classici approcci programmatori della stazione appaltante interessata.

Dovendo scindere la fase della procedura di gara da quella dell’esecuzione del contratto (che rimane nel comune non capoluogo di provincia) si impongono nuovi adempimenti. Sintetizzando, la necessità di individuare per tempo l’ente sovracomunale in grado di svolgere la gara e quindi una ulteriore fase di programmazione (anche per rispettare i tempi stretti di aggiudicazione ed esecuzione del contratto) e quindi anche la necessità di stipulare delle convenzioni o atti di delega perché l’ente disponibile possa fare la gara.

Come si anticipava, la questione ha ricevuto un importante chiarimento con la circolare in commento. Uno dei problemi principale era capire se l’obbligo di “accorpamento” dovessero essere inteso come assoluto e, soprattutto, si rendeva necessaria una spiegazione di alcuni passi della DM dell’8 novembre scorso che assegnava i fondi che, in alcune parti, sembrava legittimare in realtà anche l’appalto svolgo dal comune non capoluogo (nonostante si trattasse di fondi configurati PNRR).

La comunicazione del 17 dicembre ha fornito il chiarimento atteso limitando l’obbligo di accorpamento innestato dal DL 77/2021 (che su questa parte ha modificato il DL 32/2019 convertito con legge 55/2019) ovvero la c.d. legislazione sblocca cantieri.

In pratica, il comune non capoluogo potrà svolgere autonomamente la propria procedura di gara per appalti di lavori infra 150mila euro e per servizi/forniture infra 40mila euro.

Da notare che per effetto della comunicazione in commento non sono soggetti agli obblighi individuati dal comma in parola “se la stazione appaltante è in possesso della necessaria qualificazione di cui all’articolo 38, gli affidamenti di valore superiore a 40 mila euro ed inferiori alla soglia di cui all’art. 35, per servizi e forniture; e gli affidamenti superiori a 150 mila euro ed inferiori ad 1 milione per acquisti di lavori di manutenzione ordinaria”. Situazione che comunque, al massimo, può riguardare grandi stazioni appaltanti.

La comunicazione del 17 dicembre ha fornito il chiarimento atteso limitando l’obbligo di accorpamento innestato dal DL 77/2021 (che su questa parte ha modificato il DL 32/2019 convertito con legge 55/2019) ovvero la c.d. legislazione sblocca cantieri

2. L’applicabilità dei decreti semplificazione     

Altra sottolineatura di rilievo, che si legge nella comunicazione in commento, riguarda proprio la questione dei rapporti tra normativa semplificata e appalti del PNRR.

Il passo di rilievo, che sembra essere sfuggito a molti, espressamente prevede che “In ragione del passaggio delle risorse sopra rappresentate sul Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza, i Comuni beneficiari che hanno avviato procedure di affidamento successivamente alla data di pubblicazione in G.U. del Decreto Ministeriale del 24 settembre 2021, sono tenuti al rispetto della normativa in tema di appalti pubblici disciplinata dal Decreto-Legge n. 77/2021, derogatoria del d.lgs. 50/2016”.

Si tratta di una indicazione che le stazioni appaltanti, e prima ancora i RUP, non possono sottovalutare.

Sul tenore della precisazione occorre interrogarsi. Ovviamente non può avere il carattere di una norma ma, altresì, non può neppure essere declassata a sorta di mero suggerimento/consiglio.

Ecco quindi che, propedeuticamente, alle varie attività connesse all’attuazione del PNRR, qualora si tratti di ente, evidentemente, risultato beneficiario di finanziamenti, è bene che nell’atto di indirizzo si chiariscano i termini operativi.

Dalla sottolineatura, il primo aspetto che andrebbe definitivamente chiarito è se la normativa che introduce semplificazioni è di obbligatoria applicazione – tanto da determinare, in caso di non applicazione l’illegittimità degli atti adottati -, o piuttosto la scelta su come operare (e quindi su quali norme debbano essere applicate) ci si rimette alla discrezionalità dei RUP.

Per giungere alla risposta occorre procedere, si potrebbe dire, “per sottrazione”. In primo luogo è opportuno analizzare le conseguenze in caso di mancata applicazione delle norme di semplificazione nel caso i cui si preferisca applicare le norme del codice (per intendersi l’articolo 36 visto che l’ambito di interesse delle semplificazioni è, in particolare, quello del sottosoglia comunitario).

Nel caso in cui non si applichino le norme dei decreti semplificazione, evidentemente, non si potrà ravvisare una illegittimità visto che le norme codicistiche vengono solo derogate dalle nuove previsioni. Con i decreti semplificazione, infatti, viene introdotto un regime “alleggerito” destinato ad operare per un “breve” spazio temporale.

Proprio quest’ultima affermazione però dovrebbe far comprendere al RUP che nell’emergenza si dovrebbero applicare le norme che introducono un regime alleggerito di adempimenti. Pertanto, come in altre circostanze annotato, il suggerimento del legislatore (espresso, ad esempio, nell’articolo 1, comma 1 del DL 76/2020) è qualcosa di più di un suggerimento che ha implicazioni, come si dirà, sotto il profilo di eventuali responsabilità del RUP per ritardata aggiudicazione (e, quindi, della stessa esecuzione del contratto).

Si è in presenza, pertanto, di opzioni che consentono di risparmiare “tempi e mezzi” della procedura che non possono definirsi meramente facoltative. La scelta di non applicare, a titolo esemplificativo, l’affidamento diretto infra 139mila euro per beni/servizi attivando una procedura maggiormente articolata richiede una motivazione. Motivazione, come si è già annotato a valenza interna.

Motivazione che, secondo parte della dottrina, dovrebbe ritenersi addirittura rafforzata visto che viene in considerazione non solo la scelta contraria a quella “suggerita” dal legislatore (ed ora anche ricordata nella comunicazione in commento) ma di una scelta anche contraria ai principi di economicità/efficacia dell’azione amministrativa.

Non si può non rammentare, poi, che lo stesso DL 76/2020 richiama la potenziale responsabilità erariale del RUP per ritardi (da intendersi non solo nell’aggiudicazione ma nella stessa esecuzione del contratto) sempre che danno erariale si determini e sempre che sia imputabile a questo soggetto. 

3. Le linee guida e i nuovi obblighi assunzionali (nei contratti del PNRR/PNC)

Una delle novità di maggior rilievo, che il RUP sarà chiamato a presidiare, riguarda i nuovi obblighi documentali degli appaltatori che partecipano all’aggiudicazione di contratti del recovery, ben delineati nell’articolo 47 del DL 77/2021 come convertito con legge 108/20217 e, soprattutto, i nuovi obblighi assunzionali.

A tal proposito con il recente DPCM pubblicato in G.U. il 30/12/2021 sono state definite le “Linee guida per favorire la pari opportunità di genere e generazionali, nonché l’inclusione lavorativa delle persone con disabilità nei contratti pubblici finanziati con le risorse del PNRR e del PNC”.

Documento importante dedicato all’analisi dell’articolo 47 e, per ciò che in questa sede interessata trattare, in tema di obblighi assunzionali e quindi sulle implicazioni pratico operative del comma 4 dell’articolo appena citato.

La norma del DL 77/2021, come noto, pone un obiettivo di miglioramento (quanti/qualitativo) del tasso di occupazione femminile e giovanile e dell’inclusione lavorativa delle persone con disabilità).

In particolare, la disposizione richiamata contempla la possibilità di inserire nei bandi/lettere di invito (nel caso di procedure negoziate) relativi all’aggiudicazione di contratti finanziati anche solo in parte dal PNRR/PNC un vincolo assunzionale per l’aggiudicatario.

Tale vincolo può riguardare (stante la sua facoltatività come si dirà più avanti) nell’obbligo di assumere una percentuale di personale – necessario per l’esecuzione del contratto – “pari almeno al 30 per cento, delle assunzioni necessarie per l’esecuzione del contratto o per la realizzazione di attività ad esso connesse o strumentali, sia all’occupazione giovanile (nda di età inferiore ai 36 anni) sia all’occupazione femminile”.

La decisione, del RUP, di non prevedere l’inserimento della clausola in parola richiede una adeguatissima motivazione.

Nelle linee guida si puntualizza che le assunzioni (ed il correlato vincolo assunzionale) è relativo alle sole “attività necessarie per l’esecuzione del contratto”.

Questo collegamento “non implica di distinguere tra assunzioni necessarie e non necessarie, ma introduce una relazione o un nesso funzionale tra l’esecuzione del contratto e le assunzioni, nel senso che nel calcolo della quota corrispondente al numero delle assunzioni obbligatorie occorre fare riferimento a tutte le assunzioni funzionali a garantire l’esecuzione del contratto aggiudicato”.

In sostanza, uno dei primi compiti del RUP (in relazione a dette clausole) è quello di comprendere e distinguere quali siano le attività relative all’esecuzione e su cui poi andrà calibrato l’eventuale obbligo assunzionale.

Il punto di riferimento, come anche si legge nel documento rimane “il contratto stipulato tra la stazione appaltante e l’aggiudicatario e, quindi, le prestazioni da esso ricavabili”.

Secondo le linee guida in argomento, pertanto, si deve ritenere “che il legislatore non abbia voluto introdurre una clausola estensiva o ampliativa delle ipotesi in cui è applicabile il citato obbligo (ad esempio anche ai contratti stipulati con terzi – es. contratti di fornitura – o ai contratti relativi ad opere non finanziate con le risorse descritte al comma 1 della disposizione), ma abbia inteso riferirsi alla realizzazione di attività comunque funzionali e strumentali rispetto alla esecuzione delle obbligazioni principali del contratto – come sovente avviene nella prassi contrattuale in cui viene indicato il riferimento allo svolgimento di attività strumentali e funzionali alla esecuzione delle prestazioni contrattuali di carattere principale o relative alla categoria prevalente”.

L’obbligo “deve comunque essere inteso come riferibile anche alle prestazioni che questi esegue tramite subappalto o avvalimento, purché rientranti nel (…) perimetro applicativo” e quindi circa l’esecuzione delle prestazioni del contratto.

Sulla declinazione/applicabilità concreta di questi obblighi le linee guida forniscono al RUP anche degli esempi concreti, precisando che:  

1. in caso di subappalto, se l’aggiudicatario avesse già raggiunto la percentuale del 30 per cento e quindi ha già soddisfatto l’obbligo assunzionale, il subappaltatore non ha nessun vincolo anzi, “le assunzioni da questi effettuate rileveranno per determinare la base di calcolo della quota del 30 per cento”.

2. il RUP, invece, non deve ritenere corretto l’eventuale impegno dell’aggiudicataria che propone “l’incremento del 30 per cento componendolo con il 20 per cento di giovani e il 10 per cento di donne, salvo che queste percentuali non rispecchino i criteri per l’applicazione delle deroghe indicati di seguito”.

3. deve ritenersi corretto, invece, l’impegno proposto dall’aggiudicataria di garantire “assunzioni che, sebbene nominalmente non superano la percentuale del 30 per cento, garantiscono tuttavia il target con un numero inferiore di unità in tutto o in parte caratterizzate dal doppio requisito di genere ed età (30 per cento di donne con meno di 36 anni oppure 20 per cento di donne con meno di 36 anni, 10 per cento di donne di almeno 36 anni e 10 per cento di uomini con meno di 36 anni). In termini assoluti, ad esempio, l’aggiudicatario che assume 20 persone rispetterà le quote previste non solo nel caso in cui assuma 6 uomini con meno di 36 anni e 6 donne con almeno 36 anni, ma anche qualora assuma 6 donne con meno di 36 anni oppure 4 donne e 2 uomini con meno di 36 anni e 2 donne con almeno 36”.

Il rispetto di questi obblighi dovrà essere attentamente monitorato in fase di esecuzione del contratto e sul punto il DPCM precisa che per assunzioni si deve far riferimento al “perfezionamento di contratti di lavoro subordinato disciplinati dal decreto legislativo 15 giugno 2015, n. 81, e dai contratti collettivi sottoscritti dalle organizzazioni comparativamente più rappresentative a livello nazionale”.

La norma del DL 77/2021, come noto, pone un obiettivo di miglioramento (quanti/qualitativo) del tasso di occupazione femminile e giovanile e dell’inclusione lavorativa delle persone con disabilità)

4. Deroghe solo con adeguata motivazione

Le clausole sull’obbligo assunzionale possono essere omesse o gli impegni ricalibrati al ribasso ma il RUP deve corredare la determina a contrarre di puntuale motivazione. In questo senso già il comma 7 del DL 77/2021 puntualizza che “Le stazioni appaltanti possono escludere l’inserimento nei bandi di gara, negli avvisi e negli   inviti dei requisiti di partecipazione di cui al comma 4, o stabilire una quota  inferiore, dandone adeguata e  specifica motivazione, qualora l’oggetto del contratto, la tipologia o la natura del progetto o altri elementi puntualmente indicati ne rendano l’inserimento impossibile o contrastante con obiettivi di universalità e socialità,   di efficienza, di economicità e di qualità del servizio nonché di ottimale impiego delle risorse pubbliche”.

Le linee guida forniscono anche sul tema alcune indicazioni. La prima precisazione è che il comma appena riportato consente due ipotesi differenti: la possibilità di non inserire la clausola assunzionale oppure la possibilità di prevederla ma con un obbligo meno intenso, meno impegnativo per l’aggiudicatario imponendo una percentuale più basse del 30% predetto.  

Come si è anticipato, però, la decisione di omettere (o di ricalibrare le percentuali evidenziate) esige una adeguata motivazione e su questo aspetto le linee guida appaiono oggettivamente utili al RUP.

La deroga è consentita con riferimento:

1.         all’oggetto del contratto;

2.         alla natura del progetto;

3.         ad altri elementi puntualmente indicati dalla stazione appaltante che “rendano l’inserimento delle clausole premiali e il predetto obbligo assunzionale nella quota del 30 per cento impossibile o contrastante con obiettivi di universalità e socialità, di efficienza, di economicità e di qualità del servizio, nonché di ottimale impiego delle risorse pubbliche”.

Ad esempio, il mancato inserimento della clausola assunzionale o una sua ricalibratura al ribasso può essere determinata da una situazione oggettiva del “mercato” dell’occupazione.

La deroga in argomento, ancora, potrebbe essere consentita/imposta dal tipo di procedura utilizzato (ad esempio l’affidamento diretto) e quindi dalla esigua entità dell’importo del contratto.

Altra circostanza che potrebbero legittimare la deroga, è data dalle ipotesi in cui le procedure “prevedano un numero di assunzioni inferiore a tre unità di personale”, o, si tratti di assunzione di personale “con abilitazioni tali da rendere la platea dei potenziali interessati alle assunzioni limitata nel breve periodo, a procedure per somma urgenza o protezione civile o, comunque, altrimenti giustificate da specifiche ragioni di urgenza”.

La decisione di non inserire la clausola assunzionale, ad esempio, potrebbe essere determinata dal fatto che il “mercato” occupazionale presenti, oggettivi, limiti alla possibilità di assumere nelle percentuali previste dalla norma (30% del personale da destinare all’esecuzione del contratto aggiudicato).

Ad esempio, in relazione all’occupazione giovanile una motivazione possibile – per giustificare la deroga in argomento – potrebbe essere determinata dall’esigenza di un apporto esperienziale, necessario/indispensabile per assicurare l’esecuzione del contratto, che la quota assunzionale “giovane” non potrebbe soddisfare.

Per l’occupazione della quota di “genere” (occupazione femminile) la motivazione della deroga potrebbe riguardare il caso in cui, nel territorio/settore economico interessato dall’esecuzione del contratto, insista un basso tasso di occupazione femminile. In questo caso, assicurare un obbligo assunzionale funzionale al raggiungimento della percentuale del 30% (del personale che deve assicurare l’esecuzione del contratto) “potrebbe incontrare difficoltà”.

In certi contesti si potrebbe imporre, quindi, l’esigenza di individuare percentuali assunzionali differenti “in relazione alla diversa distribuzione dei tassi di occupazione femminile rilevata nei settori produttivi a livello nazionale. In particolare, nello spirito dell’articolo 47, la percentuale del 30 per cento dovrebbe essere interpretata come parametro di riferimento pur consentendone, in caso di deroga motivata, un’applicazione comunque orientata all’aumento del tasso di occupazione”.

La violazione degli obblighi assunzionali comporta (ai sensi del comma 4 dell’articolo 50 del DL 77/2021)  l’applicazione di penali da calcolarsi “In deroga all’articolo 113-bis del decreto legislativo n. 50 del 2016, (…) in misura giornaliera compresa tra lo 0,6 per  mille e l’1 per mille dell’ammontare netto contrattuale, da determinare  in relazione” alla gravità dell’inadempimento fermo restando che “non possono comunque superare, complessivamente, il 20 per cento di detto ammontare netto contrattuale”.

Le clausole sull’obbligo assunzionale possono essere omesse o gli impegni ricalibrati al ribasso ma il RUP deve corredare la determina a contrarre di puntuale motivazione

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Dott. Stefano Usai
Vice segretario del Comune di Terralba (Or)
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