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1. Premessa

Il Consiglio di Stato con la sentenza in commento ritorna sul tema del “subappalto necessario”, rievocando la figura pretoria dell’avvalimento “sostanziale”, e sul solco di precedenti[1] del medesimo tenore afferma che “… il subappalto consente di supplire alla mancanza di un requisito di partecipazione”. Di talché nel caso in cui il subappalto sia necessario al fine dell’ottenimento da parte dell’operatore economico di taluni requisiti speciali, l’impresa concorrente è tenuta ad indicare, al momento della presentazione dell’offerta, il nominativo dell’impresa subappaltatrice ed a dimostrare il possesso in capo a quest’ultima dei requisiti di qualificazione, non essendo consentito all’impresa concorrente di effettuare le dichiarazioni relative al subappalto ex post, nella fase esecutiva.

la previsione di cui all’art. 118[2], secondo comma, del codice degli appalti debba essere intesa nel senso che…la dichiarazione in questione deve contenere anche l’indicazione del subappaltatore, e la dimostrazione del possesso, da parte di quest’ultimo, dei requisiti di qualificazione, nelle ipotesi in cui il ricorso al subappalto si renda necessario a cagione del mancato autonomo possesso, da parte del concorrente, dei necessari requisiti di qualificazione.

2. Il caso

Un’impresa impugna la propria esclusione da una procedura per l’affidamento del servizio raccolta e trasporti dei rifiuti urbani e servizi accessori, disposta in quanto non iscritta all’albo delle imprese di pulizia -requisito ritenuto indispensabile per lo svolgimento di una parte, seppur quantitativamente limitata, dei servizi in gara- e in ragione della mancata indicazione nominativa del subappaltatore.

Pur non essendo espressamente prescritto dalla lex specialis il possesso del predetto requisito, l’Amministrazione aggiudicatrice fonda il provvedimento di esclusione sulla circostanza che la normativa di gara debba, comunque, intendersi integrata dalla disposizione di cui all’art. 6, ultimo comma della L. 82/1994, la  quale prevede che: “I contratti stipulati con imprese di pulizia non iscritte o cancellate dal registro delle ditte o dall’albo provinciale delle imprese artigiane, o la cui iscrizione sia stata sospesa, sono nulli”.

Il primo giudice, non condividendo tale impostazione, annulla l’esclusione poiché, nel silenzio della lex specialis sul punto, ritiene la disciplina di gara insuscettibile di eterointegrazione legale (trattandosi, tra l’altro, di servizio complementare costituente circa l’1% dei servizi appaltati).

Si legge infatti nella sentenza del T.A.R. Puglia – Lecce, Sez. III, 28 marzo 2012, n. 559 che: “è sufficiente osservare al riguardo che, in presenza di un’abilitazione o un’autorizzazione richiesta per l’esecuzione del servizio ma non prevista dalla disciplina di gara, il concorrente sprovvisto potrà correttamente dotarsene al momento dell’esecuzione dell’appalto e non necessariamente nell’anteriore fase di scelta del contraente” (cfr. punto 4.2 ultimo alinea sent. cit.).

In tal quadro, l’indicazione nominativa dell’impresa subappaltatrice non risulta necessaria ai fini dell’ammissione alla gara, non essendo contemplato dall’art. 118, 2° co. del D.Lgs. 163/2006 e s.m.i. (d’ora in poi anche “Codice”) un obbligo di tal fatta e non potendo ritenersi la qualificazione discendente dall’iscrizione all’albo requisito di partecipazione alla gara de qua.

Il Consiglio di Stato, come si è anticipato, in sede di appello, non condividendo tali conclusioni, ha ribaltato l’esito del giudizio di prime cure.

3. La decisione del Consiglio di Stato

Nella sentenza in esame è evidenziato come il ragionamento seguito dal giudice di prime cure imperniato sul principio di tipicità delle cause di esclusione, che escluderebbe tout court la possibilità di impedire la partecipazione ad una gara sulla base di un presupposto non esplicitamente previsto dalla disciplina di gara, ponga “un evidente problema di par condicio””.

Partendo dall’affermazione della eterointegrabilità del bando di gara in questione, il Collegio osserva come non possa essere condivisa la logica del primo giudice secondo cui sarebbe permesso dimostrare la propria qualificazione in un momento successivo a quello in cui tale obbligo sorge per gli altri partecipanti, ai quali d’altronde non è accordata nessuna possibilità di sanatoria. Inoltre sarebbe per di più consentito al concorrente posticipare non la mera dimostrazione del possesso (attuale) del requisito ma la relativa acquisizione dello stesso a “qualificazione avvenuta” e prima della stipula del contratto. Con la conseguenza che il procedimento preordinato all’affidamento – nel caso de quo – di un servizio sarebbe inevitabilmente esposto al rischio della conclusione di un contratto nullo.

Il Collegio ha così ritenuto che “qualora la prestazione, oggetto dell’appalto, presupponga il possesso di una determinata qualificazione, imposta dalla legge (nel caso di specie dal citato art. 6, ultimo comma della L. 82/1994 n.d.r.), la relativa dimostrazione debba essere fornita dai partecipanti anche se non richiesta dal bando di gara, debba essere fornita entro il termine per partecipare al procedimento e la sua mancanza può essere superata avvalendosi del subappalto …”.

A tal ultimo riguardo, la pronuncia, conformandosi all’orientamento giurisprudenziale prevalente, ha messo in luce come in siffatta evenienza sia necessario che l’impresa concorrente indichi espressamente nella propria domanda di partecipazione il nominativo del subappaltatore e ne dimostri i requisiti. Infatti, nella sentenza si legge che la previsione di cui all’art. 118, 2° co., del Codice impone la mera indicazione della volontà di concludere un subappalto nelle sole ipotesi in cui il concorrente sia a propria volta in possesso delle qualificazioni necessarie per l’esecuzione in via autonoma delle lavorazioni oggetto dell’appalto, ossia nelle ipotesi in cui il subappalto rappresenti per questi una facoltà, non la via necessitata per partecipare alla gara. Mentre nelle ipotesi in cui il ricorso al subappalto si renda indispensabile in ragione del mancato autonomo possesso, da parte del concorrente, dei requisiti di qualificazione prescritti, la dichiarazione di cui al 2° co. dell’art. 118 cit. deve contenere anche l’indicazione del subappaltatore, e la dimostrazione del possesso, da parte di quest’ultimo, dei requisiti di qualificazione.

La ratio di tale interpretazione dell’art. 118 è ben spiegata da una precedente pronuncia del Consiglio di Stato, laddove si legge che diversamente opinando la stazione appaltante non sarebbe nelle condizioni “… di valutare sin dall’inizio l’idoneità di un soggetto … per la corretta esecuzione di un contratto” e risulterebbe così completamente gravata del rischio “… che l’appaltatore non sia poi in grado di rinvenire gli apporti necessari per la corretta esecuzione delle lavorazioni, con i conseguenti rischi in termini di esecuzioni non adeguate, ovvero in termini di costi per l’integrale ripetizione della gara(Cons. St., cit. n. 2508/2012).

Per tali preminenti ragioni non è concepibile un’interpretazione delle norme che ammetta sistematicamente “al buio” un soggetto placidamente carente di un requisito di partecipazione e che non si sia curato ab initio di dimostrare la possibilità di avvalersi di soggetti terzi, detta interpretazione comportando un vulnus al principio di par condicio tra i partecipanti.

4. Considerazioni conclusive

Nell’interpretazione giurisprudenziale si è progressivamente assistito ad un’operazione ermeneutica di accostamento o (sarebbe meglio dire) di assimilazione tra avvalimento e subappalto. Si tratta di una sorta di crasi tra due istituti (uno attinente alla procedura di gara e l’altro evenienza accidentale e relativa alla fase di esecuzione dell’appalto) che ha dato vita ad un fenomeno ibrido[3] difficilmente inquadrabile a livello dogmatico.

Si è di conseguenza acceso un dibattito, non ancora sopito, sulla possibilità di assimilare (o meno) il subappalto c.d. necessario all’avvalimento e sulla prospettabilità (o meno) del c.d. principio di avvalimento come fenomeno aggregativo che trascende la sua procedimentalizzazione[4].

Invero, quel che è certo è che, a livello giurisprudenziale, l’esigenza di certezza circa il possesso da parte del soggetto aggiudicatario dei requisiti prescritti per l’esecuzione dell’appalto è stata ritenuta (implicitamente) superiore rispetto ai principi che permeano il precetto di tassatività delle cause di esclusione di cui all’art. 46, co. 1°-bis, del Codice[5], che, come è noto, dispone che “la stazione appaltante esclude i candidati o i concorrenti in caso di mancato adempimento alle prescrizioni previste dal presente codice e dal regolamento e da altre disposizioni di legge vigenti … i bandi e le lettere di invito non possono contenere ulteriori prescrizioni a pena di esclusione. Dette prescrizioni sono comunque nulle“.

La sentenza in commento non esamina apertamente il tema ma lo lambisce: si limita, infatti, ad affrontare la questione dall’angolo prospettico dell’integrabilità del bando da norme di legge direttamente applicabili, anche se non espressamente richiamate, e dalla non invocabilità della scusante dell’ignoranza di disposizioni che regolano l’attività professionale considerata. Il Collegio, in un certo senso, bypassa la querelle ritenendo preminente l’esigenza di non esporre l’Amministrazione al rischio della conclusione di un contratto nullo e alle conseguenze che ne deriverebbero in termini di costi per l’integrale ripetizione della gara. Il che non può non rievocare i principi stabiliti dall’art. 2 del Codice, il quale stabilisce che: ”l’affidamento e l’esecuzione di opere e lavori pubblici, servizi e forniture, ai sensi del presente codice, deve garantire la qualità delle prestazioni e svolgersi nel rispetto dei principi di economicità, efficacia, tempestività e correttezza…”.

In altri arresti giurisprudenziali, invece, pur affermandosi che “… anche in ossequio ai principi di tassatività delle cause di esclusione e di favor partecipationis, non appare consentito introdurre nell’attuale sistema dei contratti pubblici una restrizione alla possibilità di partecipazione alle gare in diretto contrasto con la normativa primaria”, il baricentro della questione è stato spostato sulla presenza (o meno) nella disciplina di gara di una clausola di esclusione che sanzioni la mancata indicazione del subappaltatore[6].

Permane, dunque, sullo sfondo l’obiezione dogmatica principale alla tesi del Consiglio di Stato, che fa leva sul principio di tassatività delle cause di esclusione, ossia sulla non piana configurabilità di una clausola di esclusione che sanzioni l’omissione di un obbligo, quale quello di indicare il nominativo del subappaltatore, non espressamente previsto dall’art. 118 del Codice.

Del resto, l’affermazione pretoria dell’obbligo di indicare il nominativo del subappaltatore parrebbe pur sempre il frutto di una reminescenza e di una ricollocazione nell’attuale sistema di prescrizioni un tempo vigenti nel nostro ordinamento. L’obbligo di indicare il nominativo del subappaltatore, infatti, com’è noto, era contenuto nell’art. 18, co. 3° della Legge 55/90, nella formulazione anteriore alla L. 415/1998 (tale obbligo è stato successivamente abrogato dalla L.109/94, c.d. Legge Merloni). D’altra parte, le predette connessioni tra avvalimento e subappalto si spiegano in ragione della duttilità dell’avvalimento, che non funge solo da strumento di ausilio ai fini della partecipazione alla fase di gara ma anche di garanzia per la stazione appaltante anche in fase di esecuzione dell’appalto[7]: si pensi, infatti, all’art. 49, co. 10° (introdotto dall’art. 2 del D.Lgs. 26/01/2007 n. 6) del Codice, il quale sancisce che “… l’impresa ausiliaria può assumere il ruolo di subappaltatore nei limiti dei requisiti prestati”.

Ed è in tal quadro, che si arriva a delineare la assimilazione fra subappalto necessario ed avvalimento che diviene “sostanziale”: detta tipologia di subappalto supplisce alla mancanza dei requisiti di qualificazione dell’impresa concorrente, l’istituto dell’avvalimento di cui all’art. 49 del Codice attrae a sé l’evenienza del subappalto necessitato al fine di evitare che la Stazione appaltante ammetta un soggetto sprovvisto di un requisito di partecipazione e che venga gravata completamente del rischio di un contratto nullo o comunque ab origine privo di effetti.

Resta, tuttavia, pur sempre insoluto il nodo della compatibilità di tale istituto pretorio con il principio del “favor partecipationis” di cui il principio di tassatività delle cause di esclusione è espressione. L’ultima parola non potrà che essere spettare ad un Legislatore accorto che sciolga in un’ottica di auspicata semplificazione tale nodo.


[1] In termini Cons. Stato, sez. VI, 2 maggio 2012, n. 2508, nello stesso senso V, 20 giugno 2011, n. 3698; implicitamente, VI, 29 dicembre 2010, n. 9577; IV, 12 giugno 2009, n. 3696, T.A.R. Umbria, Sez. I, 31 ottobre 2010, n. 464.

[2]La stazione appaltante è tenuta ad indicare nel progetto e nel bando di gara le singole prestazioni e, per i lavori, la categoria prevalente con il relativo importo, nonché le ulteriori categorie, relative a tutte le altre lavorazioni previste in progetto, anch’esse con il relativo importo. Tutte le prestazioni nonché lavorazioni, a qualsiasi categoria appartengano, sono subappaltabili e affidabili in cottimo, [ferme restando le vigenti disposizioni che prevedono per particolari ipotesi il divieto di affidamento in subappalto]. Per i lavori, per quanto riguarda la categoria prevalente, con il regolamento, è definita la quota parte subappaltabile, in misura eventualmente diversificata a seconda delle categorie medesime, ma in ogni caso non superiore al trenta per cento. Per i servizi e le forniture, tale quota è riferita all’importo complessivo del contratto. L’affidamento in subappalto o in cottimo è sottoposto alle seguenti condizioni:

1) che i concorrenti all’atto dell’offerta o l’affidatario, nel caso di varianti in corso di esecuzione, all’atto dell’affidamento, abbiano indicato i lavori o le parti di opere ovvero i servizi e le forniture o parti di servizi e forniture che intendono subappaltare o concedere in cottimo;

2) che l’affidatario provveda al deposito del contratto di subappalto presso la stazione appaltante almeno venti giorni prima della data di effettivo inizio dell’esecuzione delle relative prestazioni;

3) che al momento del deposito del contratto di subappalto presso la stazione appaltante l’affidatario trasmetta altresì la certificazione attestante il possesso da parte del subappaltatore dei requisiti di qualificazione prescritti dal presente codice in relazione alla prestazione subappaltata e la dichiarazione del subappaltatore attestante il possesso dei requisiti generali di cui all’articolo 38.”.

[3] R. Troccoli, Supappalto, Ergo sum!, in Appalti&Conrtratti, 2012.

[4] Si veda V. Capuzza, Subappalto “necessario”, avvalimento “sostanziale” e principio di comunione dei requisiti di qualificazione, in giustamm.it, 2012, che conclude nel senso che ci si trovi piuttosto di fronte ad un principio di comunione dei requisiti di qualificazione.

[5] Comma introdotto dal D.L. 70/2011, c.d. “Decreto Sviluppo”.

[6] Si veda sul punto la pronuncia del T.A.R. Lombardia Milano, Sez. I, 11 ottobre 2012, n. 2514  “… l’art. 118 del D.lgs. n. 163/06 non impone di indicare già in sede di offerta il subappaltatore e rimanda anche il controllo delle qualificazione di questo al momento in cui verrà stipulato il relativo contratto; che, pertanto, anche in ossequio ai principi di tassatività delle cause di esclusione e di favor partecipationis, non appare consentito introdurre nell’attuale sistema dei contratti pubblici una restrizione alla possibilità di partecipazione alle gare in diretto contrasto con la normativa primaria, normativa che, come detto, ha voluto posticipare il controllo sul possesso delle qualificazioni ad un momento successivo a quello delle offerte; che, d’altra parte, a differenza del caso esaminato dal Tar Lazio nella sentenza n. 5806/11 (decisione poi confermata dal Consiglio di Stato nel precedente richiamato dalla ricorrente), nella procedura in esame nulla era stato previsto dal bando in ordine al momento in cui effettuare la dichiarazione di subappalto, dovendosi dunque ritenere che la stazione appaltante avesse deciso, sul punto – con valutazione tipicamente discrezionale e coerente al disposto di cui all’art. 118 del D.lgs. n. 163/2006 – di effettuare i controlli di legge in sede di stipulazione del contratto”.

[7] Si veda in tal senso Cancrini, Piselli, Capuzza, Commentario al codice dei contratti pubblici di lavori, servizi e forniture, 2010, p. 240 e ss.

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Questo articolo è stato scritto da...

Avv. Adriana Presti
Avvocato amministrativista, esperto in contrattualistica pubblica
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