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Premesse

Con la “Legge di stabilità 2016” (L. n. 208/2015 del 28 dicembre 2015) ha acquisito un nuovo impulso il principio di centralizzazione degli acquisiti pubblici inaugurato con la Legge n. 488/1999 (istitutiva del “sistema Consip”) e proseguita con la L. n. 296/2006 e, con una nuova veste, con le norme in materia di “Spending Review”, di cui alla L. n. 135/2012 e successivi interventi.

La Legge di stabilità 2016, quindi, si propone di estendere a tutti gli acquisiti pubblici l’obbligo di centralizzazione, modificando – si direbbe “acutizzando” – alcune disposizioni contenute proprio nelle precedenti L. n. 296/2006 e L. n. 135/2012.

Ecco una breve panoramica delle nuove norme in materia di acquisti, pensata come una sorta di “istruzioni per l’uso” per gli uffici gare e contratti delle varie Amministrazioni – soprattutto i “piccoli Comuni” -, per trasferirsi nel nuovo sistema abbandonando i vecchi schemi senza perdere di vista le “buone pratiche” già acquisite.

1. I “piccoli Comuni” e l’obbligo delle gare in forma aggregata

Sino all’entrata in vigore della Legge di stabilità 2016 solo i Comuni non capoluogo di Provincia con oltre 10.000 abitanti potevano effettuare acquisiti in forma non aggregata, come previsto dall’art. 33, comma 3-bis D.Lgs. n. 163/2006 (norma modificata a più riprese, solidalmente con le previsioni in materia di centralizzazione degli acquisti e di risparmio della spesa pubblica e, da ultimo, estesa nella sua massima ampiezza – cioè a tutti i “piccoli Comuni” – dalla L. n. 114/2014).

Per gli altri, i c.d. “piccoli Comuni”, dal 1° novembre 2015 si imponeva l’acquisto di beni e servizi attraverso gli strumenti elettronici di acquisto gestiti da Consip S.p.A. o da altro soggetto aggregatore di riferimento.

Per effetto di tale disposizione, dunque, l’Autorità Nazionale Anti Corruzione (ANAC) con il comunicato del Presidente del 10 novembre 2015 annunciava che non avrebbe erogato il Codice Identificativo Gara (“CIG”), necessario all’espletamento delle procedure ad evidenza pubblica (anche di importo minimo, il c.d. “mini CIG”), ai piccoli Comuni, che non rientravano nei parametri per poter effettuare acquisiti autonomi, con il risultato – confermato dall’ANCI, che si è da subito battuta per la modifica della predetta norma – di paralizzare la quotidianità degli acquisti in gran parte dello Stato.

Tanto a dimostrare come nei piccoli Comuni la vita degli uffici gare ed acquisti non era – e non è ancora – del tutto in linea con le previsioni di una norma che era stata emanata oltre un anno prima della sua entrata in vigore.

Dal novembre 2015, pertanto, da un lato si è assistito alla rincorsa dei piccoli Comuni verso l’adeguamento al sistema di centralizzazione degli acquisiti, almeno per quanto concerne quelli più significativi, oppure per quelli che potrebbero coinvolgere più Comuni (ad esempio, quelli relativi alla raccolta dei rifiuti, al trasporto scolastico, ecc.).

Dall’altro lato, tuttavia, di fronte al moltiplicarsi delle voci di dissenso, il Governo ed il Parlamento hanno dovuto mitigare tale previsione, attraverso un apposito correttivo inserito nella Legge di stabilità 2016.

E così, il comma 501, lett. b) dell’unico articolo di cui è costituita la Legge, prevede ora che anche i piccoli Comuni possono effettuare acquisiti autonomamente e non in forma aggregata di beni, servizi e lavori, sino all’importo di 40.000 euro, facendo sempre salvo l’obbligo di ricorrere al catalogo di acquisti centralizzati gestito dal MePA (“Mercato per la Pubblica Amministrazione”).

Ed ancora, il comma 270 liberalizza gli acquisti di beni e servizi di importo inferiore a 1.000 euro, consentendo che essi possano essere effettuati mediante affidamento diretto e con una procedura del tutto analoga a quella degli acquisti economali.

Così, recependo la nuova normativa, anche l’ANAC – come annunciato con il Comunicato del Presidente dell’8 gennaio 2016, con cui è stato rettificato il precedente Comunicato del novembre 2015 – ha ricominciato ad erogare i CIG anche ai piccoli Comuni, per consentire loro di effettuare acquisti in autonomia sino all’importo di 40.000 euro.

Quindi, a far data dall’entrata in vigore della Legge di stabilità 2016, i piccoli Comuni possono legittimamente effettuare acquisti sino a 1.000 euro senza ricorrere a strumenti centralizzati o a forme di aggregazione, mediante autonoma contrattazione. Sopravvive, invece, per gli acquisiti sino a 40.000 euro, l’obbligo di acquisto tramite convenzioni o con il mercato elettronico, per lavori, servizi e forniture, analogamente a quanto previsto per tutti gli altri Comuni; solo in caso di mancanza dell’articolo prescelto, si potrà dare corso ad affidamenti mediante procedure semplificate, a norma degli articoli 125 D.Lgs. n. 163/2006.

Come si vedrà più oltre, tale regola viene meno in caso di acquisti di particolari prodotti, o per i quali è obbligatorio rivolgersi a Consip o agli altri soggetti aggregatori.

2. I soggetti aggregatori e le aggregazioni di Comuni

A questo punto, si impone un breve chiarimento sulle differenze fra “soggetti aggregatori” ed “aggregazioni di Comuni”, atteso che l’omofonia potrebbe ingenerare pericolose sovrapposizioni.

I “soggetti aggregatori” sono definiti dall’art. 9 D.L. n. 66/2014, convertito, con modificazioni, dalla L. n. 84/2014.

Secondo la norma, nell’ambito dell’Anagrafe Unica delle Stazioni Appaltanti deve essere individuato un ulteriore elenco ristretto (35 soggetti) – appunto quello dei “soggetti aggregatori” – che si caratterizza per la presenza di stazioni appaltanti di grandi dimensioni (poiché sono ricompresi di diritto nell’elenco sia Consip, che le Centrali di acquisto regionali).

Viene lasciato all’ANAC il compito di individuare concretamente, fra i candidati che si propongono per assumere il ruolo di “soggetto aggregatore”, quelli che risultano effettivamente idonei.

L’Autorità, infatti, dopo aver emanato le linee guida per l’individuazione delle modalità operative per presentare la richiesta di iscrizione (v. Determinazione ANAC n. 2 dell’11 febbraio 2015), sulla scorta di quanto previsto anche dal D.P.C.M. 11 novembre 2014, ha pubblicato l’elenco dei soggetti aggregatori, con Delibera n. 58 del 23 luglio 2015.

Entità del tutto diversa è “l’aggregazione di Comuni”, che – come precisato dall’art. 33, comma 3-bis D.Lgs. n. 163/2006 – si riferisce alle unioni di cui all’art. 32 del decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267 … ovvero costituendo un apposito accordo consortile tra i comuni medesimi e avvalendosi dei competenti uffici anche delle province.

Il Testo Unico per gli Enti Locali (D.Lgs. n. 267/2000), a sua volta, definisce l’unione di Comuni come l’ente locale costituito da due o più comuni, di norma contermini, finalizzato all’esercizio associato di funzioni e servizi, specificando, altresì, che ogni comune può far parte di una sola unione di comuni.

Quanto alla composizione delle unioni di Comuni si precisa, poi, che esse possono stipulare apposite convenzioni tra loro o con singoli comuni. Gli organi dell’unione, presidente, giunta e consiglio, sono formati, senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica, da amministratori in carica dei comuni associati e a essi non possono essere attribuite retribuzioni, gettoni e indennità o emolumenti in qualsiasi forma percepiti. Il presidente è scelto tra i sindaci dei comuni associati e la giunta tra i componenti dell’esecutivo dei comuni associati. Il consiglio è composto da un numero di consiglieri definito nello statuto, eletti dai singoli consigli dei comuni associati tra i propri componenti, garantendo la rappresentanza delle minoranze e assicurando la rappresentanza di ogni comune.

Dunque, tornando all’esame delle differenze fra le due forme di aggregazione, è possibile sintetizzare che le unioni di Comuni sono centri medio piccoli di aggregazione della domanda, che pongono a fattor comune le risorse per gestire gli acquisti sul presupposto di ricavarne economie di scala; i soggetti aggregatori come individuati dall’ANAC, invece, si caratterizzano per grandi dimensioni – sia del volume di affari, che di estensione dell’aggregazione della domanda sul territorio -.

Come visto, i piccoli Comuni che si propongono di effettuare acquisti di importo superiore a 40.000 euro, sono obbligati a rivolgersi in prima battuta alle unioni di Comuni (forse per la maggiore facilità che hanno tali organi ad intercettare la domanda di specifici servizi e forniture, strettamente collegati con la vita economica e sociale del territorio di riferimento) ed, in mancanza, a rivolgersi a soggetti più grandi.

3. La tecnica normativa della Legge di stabilità 2016

Dunque, con la Legge di stabilità 2016 sembra si sia scelta una soluzione equilibrata che tiene conto delle esigenze che si propongono nella quotidianità dei piccoli Comuni, ma anche dell’emergenza economica che impone di passare ad un sistema di gare unificato ed efficiente.

La tecnica normativa che ha consentito di ottenere questo risultato è stata quella di intervenire sull’art. 1 della L. n. 296/2006 e sull’art. 2 della L. n. 244/2007, nonché sull’art. 2 della L. n. 191/2009, ampliando la platea dei soggetti obbligati ad effettuare acquisti in forma centralizzata o aggregata, sino a ricomprendere tutte le “stazioni appaltanti”.

Questa espansione – tout court – dell’ambito di efficacia delle precedenti Leggi Finanziarie può sembrare una tecnica di scrittura normativa abbastanza sommaria, ma tale formulazione consente di comprendere meglio (e di interpretare, in caso di future incertezze operative) la ratio della norma e delle intenzioni del legislatore, il quale ha chiaramente enunciato il suo intento di contenere al massimo la spesa pubblica, obbligando tutti i soggetti che gravitano su di essa a rifornirsi di beni e servizi – e di effettuare lavori – con costi e tempi certi, evitando così il proliferare di progetti incompiuti per sopravvenuta mancanza di fondi.

Enunciato il principio generale, poi, come si è visto si prevedono le eccezioni, limitando la portata dell’art. 33, comma 3-bis D.Lgs. n. 163/2006 e stabilendo anche per i piccoli Comuni la possibilità di derogare alla centralizzazione ed alle forme di aggregazione per i “piccoli acquisti”.

Il senso di tale deroga, ovviamente, deve essere inteso in chiave di stretta interpretazione e sempre nel rispetto del divieto di frazionamento degli acquisti pubblici. In altre parole, viene precisato dal legislatore che l’inciso non autorizza le stazioni appaltanti a creare ad arte dei “micro-appalti” che facciano capo ad un unico disegno di acquisto, oppure  a prorogare continuamente i contratti in corso, solo per poter beneficiare di una procedura più snella: tale comportamento, infatti, non sfuggirebbe al controllo dell’ANAC, incaricata di procedere a verifiche a campione sugli acquisti dei Comuni e sulle proroghe dei contratti pubblici.

Subito, poi, il legislatore interviene sull’art. 3 e sull’art. 4 della L. n. 135/2012, oltre che sull’art. 12 della L. n. 111/2011 e sull’art. 9, della Legge n. 89/2014 (c.d. “terza spending review”), per espandere anche il campo di applicazione oggettiva della riforma, accentuando il ruolo di Consip e ricomprendendo fra gli acquisiti centralizzati anche le spese di manutenzione degli immobili pubblici.

4. Le altre previsioni contenute nella Legge di stabilità 2016 in materia di acquisti: dalla programmazione al rispetto del prezziario

Dunque, in una legge che vira apertamente verso la centralizzazione e che lascia libere soltanto “sparute eccezioni”, anche le altre Amministrazioni si trovano a dover rispettare i rigidi confini lasciati dal legislatore, condividendo, in questo, il destino dei piccoli Comuni.

A differenza di essi, gli enti più grandi non sono tenuti ad approvvigionarsi in forma aggregata, ma possono adire direttamente il mercato.

Ciò non esime, però, tutti i soggetti – piccoli e grandi – dall’obbligo (anch’esso una novità apportata dalla Legge di stabilità 2016, mutuata da strumenti similari già sperimentati nelle Finanziarie precedenti) di effettuare una accurata programmazione degli acquisti più impegnativi. Infatti, ogni anno entro il mese di ottobre tutte le stazioni appaltanti dovranno predisporre il Programma biennale degli acquisti di beni e servizi di importo stimato superiore a 1.000.000 di euro, che verrà progressivamente aggiornato in ragione delle esigenze dell’Amministrazione.

In tal senso, infatti, la nuova forma di programmazione è l’altro pilastro sul quale si basa la novella.

Il nuovo quadro normativo, infatti, modificando l’art. 271 D.P.R. n. 207/2010, obbliga (laddove prima era una mera facoltà) le Amministrazioni pubbliche ad approvare un programma biennale di acquisti.

Nel Programma dovranno essere indicati i fabbisogni di acquisto, le quantità dei diversi prodotti/servizi/lavori da acquistare, le relative tempistiche, le risorse finanziarie relative a ciascun fabbisogno d’acquisto.

Il Programma è considerato l’emblema dell’acquisto trasparente per ciascuna stazione appaltante, tanto che – nonostante la sua funzione meramente amministrativo-gestionale – è soggetto a pubblicazione in forma telematica sul sito di ciascuna stazione appaltante ed anche su quello dell’Osservatorio dei contratti pubblici istituito presso l’ANAC.

Le sanzioni a tutela della corretta applicazione della norma sono di due tipi: innanzitutto, la violazione dell’obbligo di pubblicazione (e, prima ancora, dell’obbligo di predisposizione) del Programma comporta la responsabilità amministrativa e disciplinare dei dirigenti; inoltre, gli acquisti non ricompresi nel Programma non possono ricevere finanziamenti da parte delle amministrazioni pubbliche.

Inoltre, i dati contenuti nella programmazione hanno finalità statistica, poiché essi dovranno essere trasmessi al tavolo dei soggetti aggregatori presso il MEF, per  consentire allo stesso di analizzare i fabbisogni di acquisto, in rapporto alle diverse tipologie di beni e servizi acquisibili tramite Consip e gli altri soggetti aggregatori.

Altra disposizione di sicuro interesse è quella contenuta nei commi da 507 a 510 della Legge di stabilità 2016, inerente l’obbligo del rispetto del prezziario standard e dei parametri di qualità e prezzo relativi ai beni e servizi (non si accenna ai lavori) acquisiti tramite le convenzioni di Consip e dei soggetti aggregatori.

Questa disposizione, che discende dalla L. n. 296/2006 e dalla L. n. 135/2012 e che aveva creato, in passato, diverse correnti interpretative circa l’effettivo obbligo di ricorrere a Consip nel caso in cui venga rilevato un prezzo migliore sul mercato, viene ricostruita con la previsione dell’obbligo generalizzato di utilizzo delle  convenzioni Consip o dei soggetti aggregatori, salvo il caso in cui i beni e servizi da acquistare non siano presenti tra gli articoli “convenzionati”.

In tale evenienza, l’Amministrazione potrà ricercare sul mercato tali beni – da acquisire, beninteso, attraverso una procedura, ma l’acquisto deve essere espressamente autorizzato dall’organo di governo (con una Determina a contrarre  in cui si dia atto delle esigenze che  hanno condotto a tale risoluzione) e deve essere comunicato alla Corte dei Conti. La certificazione circa la carenza o l’inadeguatezza deve essere declinata chiaramente nella determinazione a contrattare con assunzione diretta di responsabilità.

Ci sono, però, alcune categorie di beni per i quali i commi da 512 a 520 impongono l’acquisto esclusivamente attraverso le convenzioni previste da Consip o dagli altri soggetti aggregatori: si tratta di acquisti di beni e servizi informatici, di telefonia fissa e mobile, di carburanti, di energia elettrica, gas e combustibili per il riscaldamento. In questo caso, l’obbligo di acquisto tramite convenzioni, sembrerebbe poco conciliabile con nuovi strumenti contrattuali – quali i partenariati per l’innovazione – di cui alla direttiva n. 24/2014/UE, che sono studiati proprio per fare fronte alla celere obsolescenza dei prodotti tecnologici.

Questa eccezione rispetto alla procedura ordinaria, tuttavia, è ammessa solo se l’acquisto garantisce un significativo risparmio di spesa per l’Amministrazione: quantificato nella misura del 10 percento per le categorie merceologiche telefonia fissa e telefonia mobile e del 3 per cento per le categorie.

Si potrà ulteriormente ampliare l’elenco di beni e servizi acquisibili soltanto con tali modalità, per effetto di un D.P.C.M. di futura emanazione.

La norma, invece, non spiega cosa accade se il prodotto non è presente nel sistema di centralizzazione, mentre sul libero mercato avesse un prezzo tale da non giustificare il risparmio percentuale indicato dalla norma stessa. In tale evenienza, si potrebbe ipotizzare che l’acquisto fuori convenzione possa essere effettuato – per sopperire alle esigenze contingenti dell’Amministrazione -, ma solo con la previsione di una clausola di recesso, nel caso in cui – in fase di esecuzione – il bene diventasse disponibile nel sistema centralizzato.

I Comuni non piccoli e quelli che sono Capoluogo di Provincia, quindi (per differenza), conservano la facoltà di effettuare affidamenti con le procedure di cui agli articoli 122 e 124 D.Lgs. n. 163/2006, per gli acquisiti compresi tra 1 milione di euro e la soglia comunitaria, ove l’oggetto dei servizi, forniture o lavori non rientri tra le tipologie per le quali sussiste l’obbligo di acquisto tramite Consip o i soggetti aggregatori, oppure tra gli articoli presenti nei cataloghi dei soggetti aggregatori.

Infine un ulteriore obbligo a carico delle stazioni appaltanti è quello contenuto nel comma 511 della Legge in commento, ove si prevede che – in relazione ai contratti di servizi e di forniture ad esecuzione continuata o periodica stipulati da un soggetto aggregatore – si deve dare luogo alla revisione del prezzo, ove si determini una variazione del prezzo complessivo del 10 percento (in aumento o in diminuzione).

5. Conclusioni

La Legge di Stabilità 2016 è appena entrata in vigore e, pertanto, l’efficacia del sistema di acquisto tracciato dalla legge è ancora al banco di prova.

Resta da valutare, quindi, l’effettivo raggiungimento degli obiettivi che la Legge si pone che – al di là del più immediato “risparmio della spesa pubblica”, punta anche a garantire una migliore programmazione, che consenta di non dover rincorrere le emergenze.

Altro obiettivo, sicuramente interessante, è quello di separare e definire diversamente gli acquisiti dei piccoli Comuni (caratterizzati da quantità ridotte, ma reiterate per un grande numero di soggetti), da quelli dei Comuni più grandi, cercando anche attraverso questa metodologia di effettuare economie di scala.

Infine, forse l’obiettivo più ambizioso, sembrerebbe quello della riduzione del contenzioso in fase di gara, giacché in futuro esso sarà presumibilmente concentrato sulle gare bandite dai soggetti aggregatori o dalle aggregazioni di Comuni e non dalle singole stazioni appaltanti.

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Questo articolo è stato scritto da...

Massimiliano Lombardo
Avv. Massimiliano Lombardo
Esperto e docente in materia di appalti pubblici
mediagraphic assistenza tecnico legale e soluzioni per l'innovazione p.a.