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La vicenda e la questione giuridica controversa

La questione interpretativa che ci si accinge ad esaminare trae origine da una vicenda occorsa nell’ambito di una gara per l’affidamento dell’appalto dei lavori aventi ad oggetto l’ampliamento della capacità di base del deposito carburanti di un aeroporto militare.

La lex specialis richiedeva ai concorrenti il possesso di un’adeguata attestazione SOA in corso di validità, ai sensi dell’art. 84 del d.lgs. 50/2016. Il disciplinare tuttavia stabiliva quale conditio sine qua non per poter ricorrere all’avvalimento di un’impresa ausiliaria in possesso della SOA richiesta dal bando che il concorrente ausiliato possedesse già in proprio una attestazione SOA.

Nel corso della procedura, in applicazione della clausola del disciplinare “incriminata”, venivano escluse una serie di imprese che avvalendosi dell’attestazione SOA di altri operatori economici, risultavano ciò nonostante sprovviste “in proprio” e “tout court” di una SOA.

Una delle predette imprese – che ove non esclusa sarebbe risultata aggiudicataria – impugnava la propria esclusione, la lex specialis di gara ed il provvedimento di aggiudicazione in favore del controinteressato.

Costituitasi in giudizio, la controinteressata eccepiva, tra l’altro, la tardiva impugnazione della lex specialis.

Il TAR Toscana (Sezione Seconda), con sentenza 13 marzo 2019, n. 356 respinta l’eccezione di inammissibilità (per tardività) del ricorso, accoglieva il ricorso, in particolare valorizzando la logica dell’istituto dell’avvalimento volto a consentire la partecipazione alle procedure di gara di medie e grandi dimensioni anche alle piccole e medie imprese (PMI) e statuendo il contrasto del disciplinare di gara con la ratio sottesa all’istituto. Sicché, ritenendo la clausola come una restrizione all’avvalimento ulteriore a quelle previste dall’art. 89 del d.lgs. 50/2016, tale da comportare un effetto escludente degli operatori economici, ne riteneva la nullità per contrasto con il divieto di cause di esclusione cd. atipiche sancito dall’art. 83 comma 8 del codice dei contratti pubblici e, quindi, annullava l’esclusione della società ricorrente disposta in applicazione del disciplinare e tutti gli atti successivi del procedimento compresa l’aggiudicazione.

L’impresa aggiudicataria proponeva appello sostenendo la legittimità della parte del disciplinare impugnata in primo grado in quanto espressione del potere dell’amministrazione di integrare i requisiti di partecipazione alla selezione e contestando, in subordine, la qualificazione nel senso di nullità anziché in termini di annullabilità della clausola che condiziona l’accesso all’avvalimento al possesso di un’attestazione SOA in proprio. In altre parole la clausola in questione era stata erroneamente qualificata dal primo giudice in termini di nullità, con conseguente sua rilevabilità d’ufficio ed ammissibilità del ricorso malgrado la mancata tempestiva impugnazione della legge di gara. Di talché, l’applicazione del diverso regime dell’annullabilità avrebbe comportato l’irricevibilità del ricorso di primo grado per mancata tempestiva impugnazione delle clausole immediatamente escludenti.

La questione giuridica controversa. La norma che viene anzitutto in rilievo è l’art. 89 del decreto legislativo n. 50 del 2016, che consente l’utilizzazione dell’avvalimento in via generale da parte delle imprese che negoziano con la pubblica amministrazione, prevedendo quali uniche eccezioni alla regola le ipotesi contemplate nei commi 4, 10 e 11 della stessa.

La seconda disposizione che viene in rilievo è l’art. 83, comma 8, del medesimo decreto legislativo, laddove, nel disciplinare i criteri di selezione e il soccorso istruttorio, stabilisce che: «Le stazioni appaltanti indicano le condizioni di partecipazione richieste, che possono essere espresse come livelli minimi di capacità, congiuntamente agli idonei mezzi di prova, nel bando di gara o nell’invito a confermare interesse ed effettuano la verifica formale sostanziale delle capacità realizzative, delle competenze tecniche professionali, ivi comprese le risorse umane, organiche all’impresa, nonché delle attività effettivamente eseguite. I bandi e le lettere d’invito non possono contenere ulteriori prescrizioni a pena di esclusione rispetto a quelle previste dal presente codice e da altre disposizioni di legge vigenti. Dette prescrizioni sono comunque nulle».

Infine, la clausola del bando (art. 20 del disciplinare) così recita: «i concorrenti possono soddisfare la richiesta relativa al possesso dei requisiti di carattere economico, finanziario, tecnico e professionale richiesti nel presente disciplinare di gara, avvalendosi dell’attestazione SOA di altro soggetto ad esclusione delle categorie di cui all’articolo 2, comma 1 del decreto ministeriale 10 novembre 2016, n. 248, ai sensi del comma 11 dell’articolo 89 del codice. Ai sensi del combinato disposto degli articoli 84 e 89, comma 1, del Codice i concorrenti che ricorrono all’Istituto dell’avvalimento devono, pena esclusione, essere in possesso di propria attestazione SOA da attestare secondo le modalità indicate nel precedente punto 17».

Volendo semplificare i temi che, senza presunzione di completezza, ci si appresta ad esporre, va evidenziato come criterio di lettura che le questioni giuridiche oggetto di querelle concernono la legittimità di una clausola della lex specialis, come quella in esame, ai sensi del comma 8 dell’articolo 83 del codice, nonché l’eventuale identificazione dell’illegittimità della clausola in termini di nullità o piuttosto di annullabilità. La rilevanza della suddetta qualificazione è di non poco conto atteso che si riverbera sul regime dell’impugnazione amministrativa, poiché, in caso di ritenuta nullità ai sensi dell’art. 83, comma 8, del d.lgs. n. 50 del 2016, il regime processuale applicabile sarebbe quello dell’art. 31, comma 4, c.p.a., mentre, in caso di ritenuta annullabilità, sarebbe applicabile l’art. 120, comma 5, c.p.a.; ciò, che – essendo stato il bando pubblicato il 21 settembre 2018 e il ricorso proposto il 15 novembre 2018 – comporterebbe il rigetto dell’appello, nella prima eventualità, e l’accoglimento, nella seconda.

La questione oggetto di rimessione da parte della Sezione V del Consiglio di Stato

La quinta sezione del Consiglio di Stato, con la sentenza non definitiva n. 1920 del 17 marzo 2020, ha rimesso all’Adunanza plenaria la questione inerente alla validità della clausola del disciplinare che richiedeva a pena di esclusione l’attestazione SOA dell’impresa ausiliata.

La sentenza, nel deferire le questioni controverse all’Adunanza, ha rammentato anzitutto che:

  • l’appellante ha contestato la qualificazione, in termini di radicale nullità, dell’art. 20 del disciplinare, da parte del primo giudice, deducendo che la questione posta dal ricorso involge(va) quella, da ritenersi di massima importanza, dell’interpretazione dell’articolo 83, comma 8, ultimo inciso, del codice dei contratti pubblici. Di tal ché la clausola del disciplinare sarebbe in linea con le disposizioni di cui agli artt. 83, 84 e 89 del codice dei contratti pubblici, non rappresentando una clausola “atipica” di esclusione della gara, ma piuttosto la rigida applicazione delle dette disposizioni e l’espressione della facoltà della stazione appaltante di integrare i requisiti di partecipazione; in secondo luogo, che l’art. 89 riguarda i casi e le modalità di ricorso all’istituto dell’avvalimento, restando in capo alla p.a. il potere di disciplinarne “le modalità di utilizzazione” nella singola gara e, come precisato in memoria, la clausola in contestazione non rappresenterebbe nemmeno una limitazione della facoltà dell’avvalimento, ma un ulteriore requisito di partecipazione determinato con proporzionalità e non discriminazione, considerata la particolare tipologia di opera da realizzare.
  • Mentre l’appellata sosteneva che condizionare il ricorso all’avvalimento al possesso di una SOA sarebbe una “contraddizione in termini” in quanto l’istituto è finalizzato proprio a conseguire quei requisiti di qualificazione che sono certificati dalla SOA e dei quali l’operatore economico è privo; si avrebbe perciò la nullità della clausola perché il “divieto di avvalimento” comporterebbe il “divieto di partecipazione” al di fuori dei casi prescritti dal codice dei contratti pubblici e quindi la violazione del principio di tassatività delle cause di esclusione. Quest’ultimo principio sottrarrebbe all’amministrazione il potere di fissare cause di esclusione non previste e quindi l’operato della stazione appaltante, nel caso in esame, sarebbe esercitato praeter legem, cioè, secondo la tradizionale impostazione dicotomica, in carenza di potere e non nel cattivo esercizio del potere, di modo che il vizio della clausola non sarebbe di annullabilità, bensì di nullità.

La necessità di rimettere la questione all’Adunanza plenaria, come precisato dalla sentenza di rimessione, discende anche dal contrasto giurisprudenziale che si registra(va) all’interno della V sezione del Consiglio di Stato, laddove da un lato la sentenza n. 1772 del 2013 e l’ordinanza cautelare n. 344 del 25 gennaio 2019 negano che la clausola oggettivamente escludente integri un’ipotesi di nullità del bando e dall’altro la sentenza 23 agosto 2019, n. 5834 ne ribalta completamente l’orientamento.

I quesiti posti all’Adunanza Plenaria sono due: a) se rientrino nel divieto di clausole cosiddette atipiche, di cui all’art. 83, comma 8, del decreto legislativo n. 50 del 2016, le previsioni dei bandi o delle lettere d’invito con le quali la stazione appaltante, limitando o vietando, a pena di esclusione, il ricorso all’avvalimento al di fuori delle ipotesi consentite dall’art. 89 del medesimo decreto legislativo, escluda, di fatto, la partecipazione alla gara degli operatori economici che siano privi dei corrispondenti requisiti di carattere economico-finanziario o tecnico-professionale; b) se, in particolare, possa reputarsi nulla la clausola con la quale, nel caso di appalti di lavori pubblici di importo pari o superiore a 150.000 euro, sia consentito il ricorso all’avvalimento dell’attestazione SOA soltanto da parte di soggetti che già ne posseggano una propria.

Giova per chiarezza espositiva precisare i termini del contrasto, partendo dal sottolineare che la sentenza n. 5834/2019 del Consiglio di Stato, parametro del contrasto in esame, si è pronunciata su una clausola di un bando di gara della medesima Stazione Appaltante in tutto coincidente con la clausola del disciplinare di gara incriminata, esprimendo il convincimento che la disposizione “non tanto si limiti a disciplinare la modalità di esercizio dell’avvalimento, ma direttamente ne limiti il ricorso”. Di talché ha escluso che il divieto oggetto della controversia riguardi l’avvalimento in relazione ad attività ed a compiti specifici (ai sensi dell’art. 89, comma 4, d.lgs. n. 50 del 2016) e si è piuttosto ritenuto che ponga di fatto in essere “un limite generale al suo ricorso”, al di fuori dei limiti all’avvalimento consentiti alle stazioni appaltanti.

Sennonché, ancor prima, l’ordinanza cautelare n. 344/2019, emessa nell’ambito dello stesso giudizio concluso con la sentenza n. 5834/2019 appena riferita, aveva, sia pure nei termini sintetici propri del provvedimento cautelare, espresso l’orientamento contrapposto sia quanto al rapporto con la previsione dell’art. 89 del d.lgs. n. 50 del 2016 e s.m.i., affermando che la clausola impugnata fosse espressione di un potere amministrativo in astratto esistente, quale è quello di disciplinare le modalità dell’avvalimento in corso di gara, sia quanto al rapporto con l’art. 83, comma 8, ultimo inciso, affermando che non potesse essere qualificata come causa di esclusione ‘atipica’.

Partendo da tali considerazioni la V Sezione ha considerato che lo stesso comma 8 dell’art. 83 del d.lgs. n. 50 del 2016 assegna alle stazioni appaltanti il compito di indicare le condizioni di partecipazione richieste, con la facoltà di esprimerle come livelli minimi di capacità, tra cui parrebbe rientrare a pieno titolo il possesso di attestazione SOA. Di talché era quindi richiesto un requisito di partecipazione in astratto proporzionato e congruente con l’oggetto e il valore dell’appalto e con la tipologia dei lavori da eseguire. Sennonché, la clausola del disciplinare di gara è stata interpretata – sia dalla stazione appaltante sia dalla sentenza di primo grado – nel senso che il possesso in proprio di un’attestazione SOA fosse condizione per accedere, a pena di esclusione, all’istituto dell’avvalimento. Così interpretata, la lex specialis, per un verso, ha limitato il ricorso a quest’ultimo, per altro verso ha impedito che gli operatori economici, come la ricorrente principale in primo grado, sprovvisti del tutto di qualificazione SOA potessero partecipare alla gara, pur essendo in possesso di idoneità professionale.

Riguardo a tale ultima questione è stato dunque segnalato che non è chiaramente delineata la giurisprudenza del Consiglio di Stato in punto di (il)legittimità delle clausole che impongono, per i contratti di appalto di lavori pubblici di importo pari o superiore a 150.000 euro, ai concorrenti che vogliono stipulare un avvalimento per il possesso dell’attestazione SOA di averne almeno una in proprio (ragionevolmente, per categorie e classifiche diverse da quelle richieste per i lavori da appaltare).

Alla luce del quadro fattuale e giurisprudenziale testé descritto, la Sezione ha, pertanto, Rimesso alla Adunanza Plenaria le risposte ai quesiti che seguono:

a) se rientrino nel divieto di clausole di esclusione c.d. atipiche, di cui all’art. 83, comma 8, ultimo inciso, del d.lgs. n. 50 del 2016, le prescrizioni dei bandi o delle lettere d’invito con le quali la stazione appaltante, limitando o vietando, a pena di esclusione, il ricorso all’avvalimento al di fuori delle ipotesi consentite dall’art. 89 del d.lgs. n. 50 del 2016, precluda, di fatto, la partecipazione alla gara degli operatori economici che siano privi dei corrispondenti requisiti di carattere economico-finanziario o tecnico-professionale;

b) in particolare, se possa reputarsi nulla la clausola con la quale, nel caso di appalti di lavori pubblici di importo pari o superiore a 150.000 euro, sia consentito il ricorso all’avvalimento dell’attestazione SOA soltanto da parte di soggetti che posseggono una propria attestazione SOA.

L’Adunanza Plenaria n. 22/2020

L’Adunanza plenaria, come ci si appresta ad esporre, ha ritenuto che la clausola del disciplinare illegittima, per contrasto con l’art. 83, comma 8, attesa l’intrinseca contraddittorietà, nel consentire l’avvalimento dell’attestazione SOA di altro soggetto e poi, nel richiedere cionondimeno il possesso di propria attestazione SOA.

Siffatta clausola secondo il Supremo Consesso prevede una causa di esclusione – il mancato possesso della propria attestazione SOA – che risulta sprovvista di una idonea base normativa, ponendosi così in contrasto col divieto di porre cause di esclusione non previste per legge, a pena di nullità della clausola (art. 83, comma 8, ultimi due periodi).

La Plenaria ha così ricordato che il codice dei contratti pubblici, in linea con la giurisprudenza divenuta infine prevalente, nel vigore del d.lgs. n. 163 del 2006 (v., ex plurimis, Cons. St., sez. V, 30 novembre 2015, n. 5396; Cons. St., sez. V, 26 maggio 2017, n. 2627), dopo un primo indirizzo che negava l’ammissibilità dell’avvalimento sul presupposto del carattere intrinsecamente e insostituibilmente soggettivo e quasi “personalistico” della certificazione di qualità, ammette ora l’avvalimento delle certificazioni di qualità e, in particolare, delle attestazioni SOA, poiché riconosce che anche la certificazione di qualità costituisce un requisito speciale di natura tecnico-organizzativa, come tale suscettibile di avvalimento, in quanto il contenuto dell’attestazione concerne il sistema gestionale dell’azienda e l’efficacia del suo processo operativo.

La conferma di tale possibilità, coerente con la ratio dell’avvalimento, quale delineata dalla Adunanza plenaria già con la sentenza n. 23 del 4 novembre 2016 in riferimento al d. lgs. n. 163 del 2006, intesa a favorire il principio della massima partecipazione alle procedure di gara, si è avuta non solo nella legge delega per l’emanazione dell’attuale codice (legge n.11 del 2016), che, nell’art. 1, comma 1, lett. zz), ha previsto che «il contratto di avvalimento indichi nel dettaglio le risorse e i mezzi prestati, con particolare riguardo ai casi in cui l’oggetto di avvalimento sia costituito da certificazioni di qualità o certificati attestanti il possesso di adeguata organizzazione imprenditoriale ai fini della partecipazione alla gara», ma nella stessa formulazione dell’art. 89, comma 1, del d. lgs. n. 50 del 2016, come modificato dal d.lgs. n. 56 del 2017, nella parte in cui si prevede che l’operatore economico possa soddisfare la richiesta relativa al possesso dei requisiti di carattere economico, finanziario, tecnico e professionale, di cui all’art. 83, comma 1, lett. b) e c), del d.lgs. n. 50 del 2016, necessari per partecipare ad una procedura di gara – con esclusione dei requisiti di cui all’art. 80 – avvalendosi delle capacità di altri soggetti, a prescindere dalla natura giuridica dei suoi legami con questi ultimi.

Per i soggetti esecutori a qualsiasi titolo di lavori pubblici di importo pari o superiore a 150.000 euro, il possesso di detti requisiti di qualificazione avviene esclusivamente, ai sensi dell’art. 84, comma 1, del d.lgs. n. 50 del 2016, mediante attestazione da parte delle società organismi di attestazione (SOA) autorizzate dall’ANAC.

Tuttavia, per evitare che l’avvalimento dell’attestazione SOA divenga in concreto un mezzo per eludere il rigoroso sistema di qualificazione nel settore dei lavori pubblici, la giurisprudenza amministrativa ha in modo univoco e costante più volte ribadito che l’avvalimento dell’attestazione SOA è consentito ad una duplice e contestuale condizione:

a) che oggetto della messa a disposizione sia l’intero setting di elementi e requisiti che hanno consentito all’impresa ausiliaria di ottenere il rilascio dell’attestazione SOA;

b) che il contratto di avvalimento dia conto, in modo puntuale, del complesso dei requisiti oggetto di avvalimento, senza impiegare formule generiche o di mero stile.

È stato, infatti, affermato che, in materia di gare pubbliche, quando oggetto dell’avvalimento sia un’attestazione SOA di cui la concorrente sia priva, occorre, ai fini dell’idoneità del contratto, che l’ausiliaria metta a disposizione dell’ausiliata l’intera organizzazione aziendale, comprensiva di tutti i fattori della produzione e di tutte le risorse, che, complessivamente considerata, le ha consentito di acquisire l’attestazione da mettere a disposizione (Cons. St., sez. V, 16 maggio 2017, n. 2316, Cons. St., sez. V, 12 maggio 2017, n. 2226): sicché è onere del concorrente dimostrare che l’impresa ausiliaria non si impegna semplicemente a prestare il requisito soggettivo richiesto e, nel caso di specie, l’attestazione SOA, quale mero requisito astratto e valore cartolare, ma assume la specifica obbligazione di mettere a disposizione dell’impresa ausiliata, in relazione all’esecuzione dell’appalto, le proprie risorse e il proprio apparato organizzativo, in tutte le parti che giustificano l’attribuzione del requisito di qualità.

Tali condizioni, del resto, sono coerenti con la ricostruzione dogmatica dell’istituto dell’avvalimento nelle gare pubbliche, ricondotto anche di recente dalla Adunanza Plenaria (n. 13 del 2020) ai c.d. contratti d’impresa.

In effetti, è interessante sottolineare, che anche le negoziazioni private conoscono tali tipi di collaborazione tra imprese, che hanno lo stesso (o comunque simile) risultato economico a quello che si realizza con l’avvalimento, solamente che per esse si fa ricorso ad istituti e meccanismi propri di quell’ordinamento (noleggio, affitto, consorzio, gruppo societario, subappalto, cessione di ramo d’azienda e così via).

In realtà sia gli strumenti civilistici sia l’avvalimento sono destinati ad amplificare l’effetto c. d. reale proprio del contratto di società, ossia la creazione di una struttura economica che vive oltre il contratto che l’ha generata. Pertanto, l’avvalimento serve “ad integrare una organizzazione aziendale realmente esistente ed operante nel segmento di mercato proprio dell’appalto posto a gara, ma che, di certo, non consente di creare un concorrente virtuale costituito solo da una segreteria di coordinamento delle attività altrui, né di partecipare alla competizione ad un operatore con vocazione statutaria ed aziendale completamente estranea rispetto alla tipologia di appalto da aggiudicare” (Cons. di Stato, V, n. 1772 del 20 novembre 2013; negli stessi sensi sembra andare Cons. di Stato, III, n. 3702 del 10 giugno 2020).

Con la conseguenza che è stata ben presto avvertita l’esigenza di evitare il possibile fenomeno del c. d. “avvalificio”, in cui cioè potessero operare imprese che si limitassero ad utilizzare la capacità economica di altre imprese, nonché di rendere possibile il controllo su tutte quelle forme di avvalimento che si sono delineate a seguito dell’applicazione pratica dell’istituto, come quello frazionato, quello plurimo e incrociato nonché il c.d. avvalimento ‘sovrabbondante’, e infine per sanzionare le forme di avvalimento vietate, come quello c.d. ‘a cascata’ (Adunanza Plenaria n. 13 del 2020).

Nel delineato quadro normativo, l’Adunanza ha ritenuto che sussistendo il rispetto delle condizioni cui la giurisprudenza del Consiglio di Stato subordina la legittimità del ricorso all’avvalimento dell’attestazione SOA e, per converso, non ricorrendo alcuna delle ipotesi, anche indirette, in cui l’avvalimento risulta vietato, l’obbligo, imposto all’ausiliata dal disciplinare di gara, espressamente a pena di esclusione, di produrre la propria attestazione SOA, quando questa vorrebbe avvalersi dell’attestazione SOA dell’ausiliaria, è contraddittorio rispetto alla previsione dello stesso § 20 del disciplinare (il quale consente che «i concorrenti possono soddisfare la richiesta relativa al possesso dei requisiti di carattere economico, finanziario, tecnico e professionale richiesti nel disciplinare di gara, avvalendosi dell’attestazione SOA di altro soggetto»), ma soprattutto si pone in contrasto con gli artt. 84 e 89 del d.lgs. n. 50 del 2016, che non escludono la possibilità dell’avvalimento dell’attestazione SOA né, tantomeno, subordinano tale possibilità alla condizione di depositare in sede di gara l’attestazione SOA dell’impresa ausiliata in proprio.

Nel caso di specie inoltre la stazione appaltante non ha mai previsto o richiesto che i lavori, per le loro specifiche caratteristiche tecniche, dovessero essere eseguiti direttamente dall’impresa concorrente ausiliata e anzi ha ammesso in linea di principio il ricorso all’avvalimento, anche dell’attestazione SOA, salvo richiedere contemporaneamente il possesso e la produzione dell’attestazione SOA in capo all’impresa ausiliata.

Sicché quello delineato dalla clausola in questione si traduce in un adempimento formale e procedurale che contrasta con le previsioni degli artt. 84 e 89 del d.lgs. n. 50 del 2016 e con la ratio dell’avvalimento stesso, applicabile alle attestazioni SOA secondo le modalità e nei limiti delineati dalla giurisprudenza del Consiglio di Stato, e di fatto, come ricorda sia la Plenaria che la sezione rimettente, esso comporta l’esclusione dell’impresa priva dell’attestazione SOA dalla gara, con un effetto espulsivo che non è implicito o indiretto, ma espresso e diretto.

Pertanto, in un contesto normativo ormai mutato e volto a consentire la massima espansione all’avvalimento senza, però, sminuire l’affidabilità economica e tecnica delle imprese partecipanti alla gara, non si può dare seguito all’orientamento espresso dal CdS con la sentenza n. 1772 del 27 marzo 2013, la quale ha inteso, peraltro, evitare gli effetti distorsivi del sistema, potenzialmente derivanti dall’ammissione dell’avvalimento della SOA in presenza di «mera sommatoria delle attestazioni SOA dell’impresa avvalente e dell’impresa ausiliaria, prescindendo dal fatto che ciascuna di esse sia autonomamente in possesso della qualificazione necessaria alla partecipazione alla gara»: nel ben diverso caso di specie, non è contestato che l’impresa ausiliaria sia in possesso dell’attestazione SOA richiesta per lo svolgimento dei lavori.

È illegittima, per violazione degli artt. 84 e 89, comma 1, del d.lgs. n. 50 del 2016, la clausola del disciplinare di gara che, senza indicare le specifiche ragioni ai sensi dell’art. 89, comma 4, del d.lgs. n. 50 del 2016, subordini l’avvalimento dell’attestazione SOA alla produzione, in sede di gara, dell’attestazione SOA della impresa ausiliata, ed è conseguentemente di per sé illegittima, come ha statuito il TAR, l’esclusione disposta del ricorrente in primo grado.

Sulla annullabilità o nullità della clausola escludente ritenuta illegittima, la Adunanza ha statuito che deve ritenersi che la clausola è affetta da nullità, e pertanto da considerarsi come non apposta e quindi disapplicabile, poiché essa finisce per integrare un requisito ulteriore rispetto a quelli espressamente previsti dagli artt. 80 e 83 del codice dei contratti pubblici; cosa non consentita dall’ordinamento, che anzi in tal caso prevede la sanzione massima della nullità.

Sennonché, secondo la Adunanza plenaria, si tratta i di una nullità parziale che non invalida l’intero bando e che non si configuri una fattispecie di nullità derivata o successiva, bensì propria, ossia di una clausola in contrasto con una norma imperativa di legge.

La Adunanza ha inoltre affermato che la nullità dell’atto amministrativo – figura generale, assieme all’annullabilità, dell’invalidità e che può essere riguardata non solo come vizio, ma anche come azione, eccezione in senso tecnico e come sanzione- opera in presenza di un provvedimento amministrativo, che viene emanato nell’ambito di un procedimento rigorosamente disciplinato e che costituisce la forma necessaria dell’azione tendenzialmente unilaterale, ancorché sempre più spesso partecipata, del potere amministrativo. Quest’ultimo si apre, prosegue e si chiude all’insegna del principio per cui l’amministrazione deve curare l’interesse pubblico datogli in attribuzione dalla legge in maniera da raggiungere il massimo risultato possibile con il minimo mezzo.

Il profilo dell’illegittimità del provvedimento, anche quando ridondi sul procedimento che lo contiene, rileva in maniera efficace solo in sede processuale, a meno che l’amministrazione non ritenga di aprire un procedimento di secondo grado di autotutela. Pertanto la nullità emerge nel processo, che ha le sue regole. Quindi chi intenda farla valere deve necessariamente proporre l’azione di annullamento dell’atto emanato in esecuzione di un provvedimento che si assume nullo, mentre l’azione di accertamento è ammissibile solo nei pochi casi in cui il soggetto abbia interesse al mero accertamento e non al suo annullamento; ipotesi difficilmente riscontrabile quando l’amministrazione, proseguendo nel suo itinerario procedimentale, emani altri atti, che il primo presuppongano, i quali producono effetti sulla situazione sostanziale o procedimentale del soggetto inciso.

L’Adunanza Plenaria ritiene che la clausola escludente – che si ponga in violazione dell’art. 83, comma 8, del codice sugli appalti pubblici – non si possa considerare annullabile (e dunque efficace) bensì nulla.

L’Adunanza Plenaria ha quindi statuito che la nullità della clausola escludente contra legem, ora prevista dall’art. 83, comma 9, del codice n. 50/2016, vada intesa anch’essa come nullità in senso tecnico (con la conseguente improduttività dei suoi effetti). In altri termini, la clausola è nulla, ma tale nullità, se da un lato non si estende al provvedimento nel suo complesso (vitiatur sed non vitiat), d’altro canto impedisce all’amministrazione di porre in essere atti ulteriori che si fondino su quella clausola, rendendoli altrimenti illegittimi e quindi, attesa l’autoritatività di tali atti applicativi, annullabili secondo le regole ordinarie.

È stato così affermato che “ritenere che la nullità sancita dal comma 8, ultima parte, dell’articolo 83 vada intesa come annullabilità si porrebbe in contrasto con la scelta del legislatore di qualificare come nulla la clausola escludente contra legem, e dunque non solo con il tenore testuale della legge, cui occorre attribuire primario rilievo in sede ermeneutica, ma anche con la sua composita ratio, volta a individuare un equilibrio tra radicale invalidità della clausola per contrasto con norma imperativa, ordinaria autoritatività dei provvedimenti amministrativi e interesse del ricorrente a far valere l’invalidità, in termini di nullità, quando essa si traduca in un provvedimento applicativo (esclusione o aggiudicazione) lesivo in concreto della sua situazione soggettiva tutelata”.

A questo punto, e tirando del filo delle argomentazioni svolte, l’Adunanza Plenaria ha ritenuto, a integrazione di quanto già affermato dalla Plenaria n. 9 del 2014, che – al cospetto della nullità della clausola escludente contra legem del bando di gara – non vi sia l’onere per l’impresa di proporre alcun ricorso: tale clausola – in quanto inefficace e improduttiva di effetti – si deve intendere come ‘non apposta’, a tutti gli effetti di legge.

Non vi era ed è dunque alcun onere, in conclusione, per le imprese partecipanti alla gara di impugnare (entro l’ordinario termine di decadenza) la clausola escludente nulla e quindi “inefficace” ex lege, ma vi è uno specifico onere di impugnare nei termini ordinari gli atti successivi che facciano applicazione (anche) della clausola nulla contenuta nell’atto precedente.

Conclusioni

La Plenaria, ad avviso di chi scrive, ha del tutto correttamente valorizzato la ratio propria dell’istituto dell’avvalimento – destinato a garantire la partecipazione alla gara di operatori economici che, per definizione, non vi potrebbero altrimenti accedere-, ed ha colto l’occasione per tracciare le coordinate sistematiche in punto di nullità del provvedimento amministrativo in rapporto al principio di tassatività delle cause di esclusione.

Nel fare ciò ha correttamente ripercorso la funzione e l’operatività dell’istituto anche al fine di evitare qualsivoglia meccanismo e uso distorsivo dell’istituto (i c.d. avvalifici), ricordando che l’avvalimento di una certificazione SOA comporta, pur sempre, la verifica a valle di una serie di condizioni di legittimità di ciò che costituisce il prestito materiale di risorse e mezzi che giustificano la SOA di volta in volta oggetto di avvalimento. Del resto la disposizione di cui all’art. 89 del decreto legislativo n. 50 del 2016 si incentra sui rapporti tra l’impresa ausiliaria e l’impresa ausiliata nonché sui rapporti giuridici che ciascuna di esse instaura con la stazione appaltante, prevedendo in capo a quest’ultima penetranti poteri di controllo sull’effettivo possesso dei requisiti professionali e tecnico-finanziari, che si estendono anche alla fase esecutiva, dell’impresa ausiliaria, che, pur non diventando parte nel contratto che segue l’aggiudicazione, è obbligata in solido con l’impresa ausiliata.

È stata dunque l’occasione per precisare, con estrema chiarezza, come la disciplina contenuta nell’art. 83 non elimina, anzi lo regolamenta, il potere della stazione appaltante di indicare nel bando le condizioni minime di partecipazione e i mezzi di prova. Questo al fine di consentire la verifica, in via formale e sostanziale, delle capacità realizzative dell’impresa, nonché le competenze tecnico-professionali e le risorse umane, organiche all’impresa medesima.

Il che ha consentito all’Adunanza di tracciare un limite ben preciso alla discrezionalità di cui gode ciascuna Stazione Appaltante in materia, dato che “conformemente al diritto dell’Unione europea, la stazione appaltante incontra il limite di non poter escludere il meccanismo dell’avvalimento se non nei casi tassativamente previsti dalla legge”.

Scendendo per così dire di scala, nella declinazione dei suesposti principi nel caso di specie, si può dire che è stato decisivo l’esame dell’effetto prodotto dalla clausola nulla, che finisce per comportare l’esclusione dalla (partecipazione alla) gara di tutti coloro cui si è illegittimamente impedito il ricorso all’avvalimento. Il tutto per giungere all’affermazione che una siffatta previsione si traduce in un vero e proprio divieto di applicare l’istituto dell’avvalimento mediante la previsione di un adempimento apparentemente formale che, in modo surrettizio ma certamente a pena di esclusione per il concorrente, ne comprime l’operatività senza alcuna idonea copertura normativa. La clausola, infatti, pur non prevedendo direttamente l’esclusione dalla gara se non in possesso di un particolare requisito, finisce per avere il medesimo effetto escludente, che viene raggiunto prevedendo un requisito di partecipazione per il quale non è consentito l’avvalimento.

La Plenaria con estrema lucidità afferma inoltre che non può neppure ritenersi che la clausola in questione sia legittima (come sembrava prospettare la sezione remittente), sulla base dell’art. 83, comma 8, primo periodo, del d. lgs. n. 50 del 2016, laddove prevede che «le stazioni appaltanti indicano le condizioni di partecipazione richieste, che possono essere espresse come livelli minimi di capacità». In tal senso secondo l’Adunanza rileva il principio di tassatività delle cause di esclusione, affermato dallo stesso art. 83, comma 8, sicché la discrezionalità, comunque non illimitata né insindacabile, della pubblica amministrazione nel disporre ulteriori limitazioni alla partecipazione, integranti speciali requisiti di capacità economico-finanziaria o tecnica che siano coerenti e proporzionati all’appalto, è potere ben diverso dalla facoltà, non ammessa dalla legge, di imporre adempimenti che in modo generalizzato ostacolino la partecipazione alla gara, come è avvenuto nel presente caso per l’avvalimento dell’attestazione SOA, senza adeguata copertura normativa e in violazione del principio della concorrenza (v., in questo senso, anche Cons. St., sez. V, 26 maggio 2015, n. 2627).

La Adunanza Plenaria 22/2020 giunge così, del tutto correttamente, ai seguenti tre principi di diritto:

a) la clausola del disciplinare di gara che subordini l’avvalimento dell’attestazione SOA alla produzione, in sede di gara, dell’attestazione SOA anche della stessa impresa ausiliata si pone in contrasto con gli artt. 84 e 89, comma 1, del d. lgs. n. 50 del 2016 ed è pertanto nulla ai sensi dell’articolo 83, comma 8, ultimo periodo, del medesimo decreto legislativo;

b) la nullità della clausola ai sensi dell’art. 83, comma 8, del d. lgs. n. 50 del 2016 configura un’ipotesi di nullità parziale limitata alla clausola, da considerare non apposta, che non si estende all’intero provvedimento, il quale conserva natura autoritativa;

c) i provvedimenti successivi adottati dall’amministrazione, che facciano applicazione o comunque si fondino sulla clausola nulla, ivi compresi il provvedimento di esclusione dalla gara o la sua aggiudicazione, vanno impugnati nell’ordinario termine di decadenza, anche per far valere l’illegittimità derivante dall’applicazione della clausola nulla.

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Avv. Adriana Presti
Avvocato amministrativista, esperto in contrattualistica pubblica
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