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1. Introduzione normativa

L’accertamento da parte dell’Autorità garante per la concorrenza ed il mercato (d’ora in poi solo “AGCM” o “Autorità”) in capo ad un operatore economico di una grave condotta anticoncorrenziale avente effetti sulla contrattualistica pubblica, come noto, rileva anche ai fini della valutazione discrezionale della possibile esclusione del partecipante dalla gara ai sensi dell’articolo 80, comma 5, lettera c), del Codice dei Contratti Pubblici (d’ora in poi solo “Codice”), la fattispecie rientrando in astratto tra i “gravi illeciti professionali” suscettibili di rendere dubbia la integrità o l’affidabilità dell’operatore economico.

Sebbene, infatti, dei provvedimenti antitrust non sia fatta espressa menzione nell’art. 80, comma 5, del Codice, una lettura sistematica di tale comma, laddove in via di principio definisce gli illeciti professionali come quelli che sono tali da rendere dubbia l’integrità o l’affidabilità del concorrente, rende possibile e ragionevole (e anche rispettoso del principio di proporzionalità) ricomprendere nella clausola aperta di cui al comma 5, dell’articolo 80, anche l’illecito antitrust sanzionato dall’AGCM.

In tal senso dispongono espressamente le Linee guida ANAC n. 6, aggiornate al d. lgs. 19 aprile 2017 n. 56 con deliberazione n. 1008 dell’11 ottobre 2017, recanti “Indicazione dei mezzi di prova adeguati e delle carenze nella esecuzione di un precedente contratto d’appalto che possano considerarsi significative per la dimostrazione delle circostanze di esclusione di cui all’art. 80, comma 5, lett. c, del Codice”. Nelle Linee guida n. 6, al punto 2.2.3, lett. i), si prevede, infatti, che, tra le “Altre situazioni idonee a porre in dubbio l’integrità o l’affidabilità dell’operatore economico”, la Stazione appaltante debba valutare, ai fini dell’eventuale esclusione del concorrente “i provvedimenti esecutivi dell’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato di condanna per pratiche commerciali scorrette o per illeciti antitrust gravi aventi effetti sulla contrattualistica pubblica e posti in essere nel medesimo mercato oggetto del contratto da affidare”.

Sul punto, la giurisprudenza amministrativa ha avuto modo di precisare, con riferimento alla nozione di “mercato rilevante”, che essa è connotata non tanto in senso meramente geografico o spaziale, ma  soprattutto con riferimento all’ambito nel quale l’intento anticoncorrenziale ha, o dovrebbe avere, capacità di incidere e attitudine ad interferire con la corretta dinamica concorrenziale, sicché, nelle ipotesi di intese restrittive della concorrenza, la definizione del mercato rilevante è direttamente correlata al contesto in cui si inquadra il comportamento collusivo tra le imprese coinvolte. In tali ipotesi, l’individuazione e la definizione del mercato rilevante è quindi successiva rispetto all’individuazione dell’intesa nei suoi elementi oggettivi, in quanto sono l’ampiezza e l’oggetto dell’intesa a circoscrivere il mercato su cui l’abuso è commesso (TAR Lazio, Sez. III – Quater, 22 marzo 2019, n. 3894; Consiglio di Stato, Sez. VI, 4 novembre 2014 n. 5423).

Ciò posto con riferimento al vigente Codice dei Contratti pubblici, giova evidenziare che, fino all’intervento della Corte di Giustizia UE del 4 giugno 2019 in causa CNS contro GTT S.p.A. & altri, non vi era unanimità di veduta sulla possibilità di ricondurre gli illeciti antitrust nel perimetro applicativo dell’errore professionale grave di cui all’art. 38, comma 1 lett. f) del d.lgs. 163 del 2006.

In specie, il Consiglio di Stato con una serie di pronunce (4 dicembre 2017, n. 5704 e 7 febbraio 2018, n. 722) in riforma di alcune sentenze del TAR Piemonte (n. 428/2017 e n. 446/2017), aveva ritenuto che ai fini della esclusione dalla gara rilevassero esclusivamente come “errori professionali gravi” i solo inadempimenti e le condotte negligenti commessi nell’esecuzione di un contratto pubblico, rimanendo invece estranei al campo di applicazione dell’art. 38 “i fatti, anche illeciti, occorsi nella prodromica procedura di affidamento”. Il TAR Piemonte, di diverso avviso, ha rimesso con ordinanza 21 giugno 2018, n. 770 al vaglio pregiudiziale della Corte di Giustizia dell’Unione europea la compatibilità con l’art. 45, paragrafo 2, primo comma, lett. d) della direttiva 2004/18/UE di un’interpretazione dell’art. 38, comma 1, lett. f) del d.lgs. 163 del 2006, volta ad escludere dalla nozione di errore professionale la violazione delle regole in materia di concorrenza.

Ebbene, rifacendosi ad una giurisprudenza costante, i giudici del Lussemburgo, con la decisione del 4 giugno 2019, hanno (ri)affermato la rilevanza (non automaticamente) escludente, anche nell’ambito della Direttiva 2004/18/UE, degli illeciti antitrust. Interessante è notare che la CGUE, ritenendo che la questione pregiudiziale potesse essere chiaramente desunta dalla giurisprudenza e che la stessa non dava adito ad alcun ragionevole dubbio, ha adottato una ordinanza motivata ai sensi dell’art. 99 del regolamento di procedura della Corte di Giustizia. Di fatti nelle sentenze del 13 dicembre 2012, Forposta e ABC Direct Contact (C-465/11, punto 27), e del 18 dicembre 2014, Generali-Providencia Biztosító (C-470/13, punto 35), la Corte avrebbe già precisato che la nozione di «errore nell’esercizio dell’attività professionale» comprende qualsiasi comportamento scorretto che incida sulla credibilità professionale dell’operatore di cui trattasi, e che la commissione di un’infrazione alle norme in materia di concorrenza, in particolare quando tale infrazione è stata sanzionata con un’ammenda, costituisce una causa di esclusione rientrante nell’articolo 45, paragrafo 2, primo comma, lettera d), della direttiva 2004/18.

Ne discende che sia che si trovi al cospetto di gare disciplinate dal vecchio codice che dal nuovo, la giurisprudenza europea ha definitivamente chiarito la rilevanza dell’accertamento dell’illecito antitrust nell’ambito degli illeciti professionali suscettibili di rilevare quale causa di esclusione dalla partecipazione ad una gara di appalto pubblico. In particolare, con la ordinanza motivata 4 giugno 2019 resa nella causa C-425/18, CNS – GGT S.p.A., la Corte di Giustizia ha statuito che:

la nozione di «errore nell’esercizio della propria attività professionale» comprende qualsiasi comportamento scorretto che incida sulla credibilità professionale dell’operatore economico di cui trattasi la sua integrità o affidabilità;

di conseguenza la nozione di «errore nell’esercizio della propria attività professionale», che è oggetto di un’interpretazione ampia, non può limitarsi ai soli inadempimenti e condotte negligenti commessi nell’esecuzione di un contratto pubblico;

la nozione di «errore grave» deve essere intesa nel senso che essa si riferisce normalmente a un comportamento dell’operatore economico in questione che denoti un’intenzione dolosa o un atteggiamento colposo di una certa gravità da parte sua;

l’accertamento di un tale errore non richiede una sentenza passata in giudicato;

la decisione di un’autorità nazionale garante della concorrenza, che stabilisca che un operatore ha violato le norme in materia di concorrenza, può senz’altro costituire indizio dell’esistenza di un errore commesso da tale operatore;

una violazione delle norme in materia di concorrenza, non può comportare l’esclusione automatica di un operatore economico da una procedura di aggiudicazione di un appalto pubblico. Infatti, conformemente al principio di proporzionalità, l’accertamento della sussistenza di un «errore grave» necessita, in linea di principio, dello svolgimento di una valutazione specifica e concreta del comportamento dell’operatore economico interessato.

Il recente arresto europeo, unitamente ad una serie di provvedimenti adottati dall’AGCM in procedure di gare indette da una centrale di committenza, riporta al centro la questione della rilevanza ostativa degli illeciti antitrust quale parametro per valutare l’affidabilità tout court di un operatore economico.

2. Il caso oggetto della pronuncia del Consiglio di Stato n. 580/2020

Il Consiglio di Stato con una recente sentenza del 24 gennaio 2020, n. 580 ha risolto una interessante controversia in materia di valutazione di affidabilità morale e professionale di un operatore economico e di presunta condotta anticoncorrenziale posta in essere dallo stesso operatore proprio in relazione alla medesima procedura di gara.

La peculiarità del caso è tale da meritare una scansione degli eventi come succedutesi secondo la rappresentazione datane dalla sentenza in commento. Questa la sequenza dei fatti rilevanti:

– la commissione giudicatrice segnalava l’esistenza di una possibile intesa restrittiva della concorrenza tra alcuni degli operatori in gara alla stazione appaltante;

– con atto di segnalazione la stazione appaltante rimetteva all’AGCM di approfondire gli elementi indiziari, provenienti dalla commissione giudicatrice e dall’esposto di altra società, che portavano a ritenere taluni operatori concorrenti in accordo per proporre offerte ad incastro ed impedire, così, il libero dispiegarsi della concorrenza nella procedura di gara al fine di giungere ad una vera e propria spartizione tra loro dei lotti;

– l’Autorità decideva di avviare un’indagine nei confronti degli operatori segnalati per aver rintracciato il fumus dell’esistenza di un’intesa restrittiva della concorrenza in relazione alla gara de qua negli indizi esposti nell’atto di segnalazione, fissando termine per la conclusione del procedimento sanzionatorio al luglio 2019, dandone  comunicazione alla stazione appaltante;

– con successivo provvedimento la stazione appaltante disponeva la definitiva aggiudicazione a favore di uno dei tre R.T.I. nei confronti dei quali pendeva il procedimento avviato dall’AGCM.

Il secondo classificato, nell’impugnare l’esito di siffatta procedura, sosteneva l’illegittimità del provvedimento di ammissione alla procedura di gara del R.T.I. aggiudicatario per violazione dell’art. 38, comma 1, lett. f) d.lgs. 12 aprile 2016, n. 163 ratione temporis applicabile, per aver commesso un “grave errore nell’esercizio dell’attività professionale”, tale dovendosi qualificare la conclusione di un’intesa restrittiva della concorrenza nonché per aver falsamente dichiarato nella domanda di partecipazione di non aver praticato intese restrittive della concorrenza nella formulazione dell’offerta.

Con riguardo alle predette doglianze la stazione appaltante, pur confermando le circostanze di fatto esposte dalle ricorrenti, replicava che fino all’eventuale adozione da parte dell’AGCM di un provvedimento di accertamento dell’intervenuta intesa anticoncorrenziale non v’era ragione alcuna per escludere il R.T.I. dalla procedura.

Il giudizio di primo grado era concluso dal TAR Lazio con la reiezione del ricorso con la sentenza sez. II, 6 maggio 2019, n. 5677.

Con la proposizione dell’appello, il soccombente secondo classificato, precisava che l’AGCM, con nota del 16 aprile 2019, aveva dato conferma, a conclusione dell’attività istruttoria, dell’esistenza di elementi indiziari di un’intesa tra gli RTI indagati, finalizzata ad una equilibrata ripartizione dei lotti e così a limitare la concorrenza nella procedura di gara. Sicché veniva ulteriormente stigmatizzata la condotta della stazione appaltante, la quale, pur avendo formalmente rilevato l’esistenza di un accordo anticoncorrenziale tra diversi operatori concorrenti – consistente nella tipica formula della “partecipazione a scacchiera” con offerte predisposte con l’intento di garantire ad ognuno l’aggiudicazione di uno specifico lotto grazie ad altre offerte c.d. di appoggio con ribassi differenziati tra i lotti secondo un preciso piano di spartizione –, del tutto contraddittoriamente aveva, poi, deciso di procedere ugualmente all’aggiudicazione in favore di quegli stessi operatori che erano stati individuati quali parti dell’accordo illecito. Sempre, secondo la tesi delle appellanti, la stazione appaltante, accertata l’esistenza di un’intesa anticoncorrenziale per l’attività istruttoria svolta, avrebbe dovuto, anche in ragione degli atti medio tempore adottati dall’AGCM (comunicazione di apertura del procedimento, nonché, ora, comunicazione di conclusione dell’attività istruttoria), disporre l’esclusione del R.T.I. in parola dalla procedura di gara per disposizione della lex specialis sanzionatoria degli operatori stipulanti “nella presente gara pratiche e/o intese restrittive della concorrenza e del mercato”; disposizione, a sua volta, riproduttiva dell’art. 38, comma 1 lett. m – quater) d.lgs. 12 aprile 2006, n. 163.

Alla sentenza di primo grado veniva, in particolare, imputato l’errore di aver ritenuto fosse necessario per la stazione appaltante attendere gli esiti del procedimento sanzionatorio avviato dall’Autorità, laddove, invece, la stazione appaltante, a fronte della prescrizione contenuta nel disciplinare di gara e della documentata attività istruttoria svolta, era tenuta a disporre l’esclusione senza attendere le indagini di altre Autorità (come appunto l’Autorità garante della concorrenza e del mercato, ma anche, l’Autorità giudiziaria). Fermo restando in ogni caso, che la stazione appaltante, di certo non avrebbe potuto disporre l’aggiudicazione così consentendo la realizzazione dell’obiettivo del patto illecito che essa stessa aveva denunciato.

Di contro le appellanti ribadivano che l’esclusione di un concorrente per aver concluso un’intesa restrittiva della concorrenza avrebbe potuto essere disposta solo in seguito ad un provvedimento definitivo emesso dall’Autorità compente che tale intesa accerti e sanzioni, non surrogabile dagli atti preparatori quali la comunicazione delle risultanze istruttorie, di mera apertura della fase di contraddittorio con le imprese interessate.

Nelle more del giudizio l’AGCM adottava il provvedimento sanzionatorio dell’intesa anticoncorrenziale nei confronti degli operatori inquisiti nella gara di cui si discute.

3. La decisione del Consiglio di Stato

I Giudici di Palazzo Spada, nell’affrontare il quesito giuridico sottostante la suddetta controversia, hanno preliminarmente ritenuto di precisare che la condotta della stazione appaltante va valutata alla luce delle circostanze esistenti al momento in cui era adottato il provvedimento di aggiudicazione impugnato con il ricorso introduttivo del giudizio e, dunque, senza tener conto degli atti sopravvenuti dell’AGCM, quali la comunicazione di chiusura dell’attività istruttoria nonché, a maggior ragione, il provvedimento sanzionatorio dell’intesa anticoncorrenziale.

La condotta va valutata dalla stazione appaltante alla luce delle circostanze esistenti al momento in cui era adottato il provvedimento di aggiudicazione impugnato con il ricorso introduttivo del giudizio. Diversamente opinando si finirebbe per pronunciare su poteri amministrativi non ancora esercitati in violazione del divieto posto dall’art. 34, comma 2, c.p.a..

Come in più occasioni precisato dalla giurisprudenza amministrativa, a voler tener conto di fatti e circostanze che, intervenute nel corso di un giudizio avente ad oggetto l’impugnazione di atti di una procedura di gara, potrebbero comportare l’adozione di provvedimenti di esclusione nei confronti di taluni dei concorrenti, si finirebbe per pronunciare su poteri amministrativi non ancora esercitati in violazione del divieto posto dall’art. 34, comma 2, Cod. proc. amm., fatta salva l’ipotesi in cui la stazione appaltante medio tempore a ciò provveda e i provvedimenti siano introdotti in giudizio attraverso motivi aggiunti.

Simili accertamenti, infatti, sono preclusi al giudice amministrativo che, per espressa indicazione dell’art. 34, comma 2, Cod. proc. amm., “non può pronunciare con riferimento a poteri amministrativi non ancora esercitati” (cfr. Cons Stato, sez. V, 15 maggio 2019, n. 3151; V, 4 febbraio 2019, n. 827).

Il Consiglio di Stato, una volta ripercorsa la sequenza dei fatti di cui si è detto infra, sub § 2, ha evidenziato come dagli stessi emerga che il provvedimento di aggiudicazione della procedura di gara è viziato da eccesso di potere per contrasto con il principio di ragionevolezza dell’azione amministrativa.

La decisione della Stazione appaltante di aggiudicare la procedura di gara al R.T.I. in questione quando era già possibile, per il dettaglio e la compiutezza degli elementi indiziari a disposizione, maturare giustificato convincimento dell’esistenza di un’intesa restrittiva della concorrenza tra gli operatori concorrenti, è scelta non ragionevole.

Sul punto è stato, infatti, osservato che, pur potendosi comprendere che la stazione appaltante, una volta segnalati all’Autorità gli elementi indiziari dell’intesa restrittiva, abbia reputato opportuno non procedere essa stessa all’esclusione degli operatori per assenza di “mezzo di prova” adeguato, come pure, e per le stesse ragioni, che si sia astenuta dal disporre l’esclusione dalla procedura per falsa dichiarazione, di certo era ragionevole attendersi dalla stazione appaltante una diversa decisione in merito al prosieguo della procedura, di soprassedere all’aggiudicazione fino a che non fossero stati noti gli esiti del procedimento sanzionatorio avviato dall’Autorità sulla propria segnalazione, previa eventuale adozione di adeguati provvedimenti interinali, non di procedere con l’aggiudicazione, così da favorire essa stessa quel risultato frutto dell’alterazione dalla concorrenza che, con i propri atti, e sin dal disciplinare di gara, intendeva scongiurare.

Se si considera, del resto, che la procedura di evidenza pubblica è diretta alla scelta del contraente più affidabile per l’esecuzione di un determinato contratto d’appalto, è qui, dunque, irragionevole il risultato dell’azione amministrativa che finisce con il premiare con l’aggiudicazione un concorrente che la stessa stazione appaltante, per il quadro fornito dagli elementi raccolti nella propria attività istruttoria, avrebbe già ritenuto gravemente indiziato di essere compartecipe dell’accordo illecito.

Se, dunque, è vero che il Vademecum fornito alle stazioni appaltanti dall’AGCM espressamente precisa che le segnalazioni non vanno “intese come manifestazioni di una raggiunta consapevolezza, da parte della stazione appaltante, dell’esistenza di criticità concorrenziali, nell’ambito della propria procedura di gara” (punto 9), cionondimeno è la stazione appaltante a doversi regolare a seconda delle circostanze del caso, con l’obiettivo, questo imprescindibile, di evitare che il supposto accordo illecito possa avere concreta attuazione incidendo sull’azione amministrativa. Se del caso, tale determinazione sarà sottoposta al controllo giurisdizionale.

4. Osservazioni conclusive

Nell’approccio qui accolto dalla pronuncia in commento è, quindi, censurabile la scelta della stazione appaltante di procedere all’aggiudicazione allorquando abbia a disposizione elementi tali da fare ragionevolmente sospettare – come in effetti essa stessa aveva fatto (il che, pertanto, rende vieppiù evidente una evidente discrepanza tra le premesse e le conseguenze della sua condotta) – l’intervenuta alterazione della concorrenza nell’ambito della procedura indetta. E ciò non tanto avuto riguardo agli atti medio tempore adottati dall’AGCM (comunicazione di apertura del procedimento, nonché, ora, comunicazione di conclusione dell’attività istruttoria), quanto proprio dall’attività istruttoria dalla stazione appaltante svolta e culminata nella segnalazione della sospetta pratica anticoncorrenziale all’AGCM.

Come di recente condivisibilmente chiarito dalla giurisprudenza amministrativa non è indispensabile che i gravi illeciti professionali che devono essere posti a supporto della sanzione espulsiva del concorrente dalla gara ai sensi dell’art. 80, comma 5, lett. c), d.lgs. n. 50 del 2016 siano accertati da un provvedimento amministrativo definitivo (in caso di illecito antitrust) e/o giurisdizionale (nel caso di risoluzione e/o altre sanzioni), ma è sufficiente che gli stessi siano ricavabili da altri gravi indizi, atteso che, come già chiarito, l’elencazione dei gravi illeciti professionali rilevanti contenuta nella disposizione normativa succitata è meramente esemplificativa e la stazione appaltante ha la possibilità di fornirne la dimostrazione con mezzi adeguati (in tal senso si veda Consiglio di Stato, sez. V, 20 marzo 2019, n. 1845).

Si ritiene condivisibile pertanto l’assunto secondo cui la Stazione appaltante è obbligata ad esercitare il potere discrezionale di valutazione dei fatti sulla base della istruttoria condotta, al fine di determinarsi sulla sussistenza o meno di un grave illecito professionale tale da rendere dubbia la affidabilità e la integrità della società (per una applicazione del principio, si veda TAR Lazio, Roma, Sez. I, 30 gennaio 2020 n. 386).

È in tale discrezionale valutazione che risiede l’ubi consistam del delicato officium demandato alla stazione appaltante nel rapporto con i partecipanti alla procedura, al fine di valutarne, in via autonoma, la affidabilità sulla quale poter fondare la fiducia che deve necessariamente riporsi nel soggetto di poi chiamato a realizzare i lavori o servizi pubblici, in ossequio altresì al dettato della direttiva (art. 57, par. 4, direttiva 2014/24), nonché di agire in ossequio al principio di proporzionalità che, secondo il considerando 101 della direttiva 2014/24, “implica in particolare che, prima di decidere di escludere un operatore economico, una simile amministrazione aggiudicatrice prenda in considerazione il carattere lieve delle irregolarità commesse o la ripetizione di lievi irregolarità”; e, invero, se anche nell’esercizio di tale discrezionale potestà “un’amministrazione aggiudicatrice dovesse essere automaticamente vincolata da una valutazione effettuata da un terzo, le sarebbe probabilmente difficile accordare un’attenzione particolare al principio di proporzionalità al momento dell’applicazione dei motivi facoltativi di esclusione” (CGUE, 19 giugno 2019, cit., § 32, richiamato da TAR Lombardia, Milano, Sez. I, 15 novembre 2019, n. 2421).

È in tale discrezionale valutazione che risiede l’ubi consistam del delicato officium demandato ai sensi dell’art. 80, comma 5, lett. c), d.lgs. n. 50 del 2016 alla stazione appaltante nel rapporto con i partecipanti alla procedura

La pronuncia, del resto, si pone nel solco di un indirizzo giurisprudenziale consolidato secondo cui ai fini della valutazione di cui alla disposizione di cui al comma 5, dell’articolo 80, è necessaria una attività di giudizio della stazione appaltante che deve consistere, alla luce della documentazione in atti e di quella che eventualmente è necessario acquisire ai fini di una piena contezza dei fatti e della loro rilevanza, nel valutare se sussista o meno il grave illecito professionale, tale da rendere dubbia l’integrità o affidabilità dell’operatore economico. Questa valutazione discrezionale si deve concludere con un giudizio di sussistenza o insussistenza del grave illecito professionale supportato da motivazione, che, in caso di esclusione, deve essere congrua e in alcuni casi (individuati dalla giurisprudenza) rafforzata.

Ne discende che il potere discrezionale si arresta a tale momento valutativo, in quanto, ove si accerti a seguito della detta attività, che il grave illecito professionale sussista, allora l’esclusione costituisce atto vincolato e dovuto (TAR Sicilia, Catania, 10 dicembre 2018, n. 2335).

Alla luce dei richiamati principi deve dirsi altresì illogica la soluzione volta a cristallizzare sine die le operazioni di gara, e/o a subordinarne l’esito all’adozione di provvedimenti amministrativi e/o giurisdizionali. E ciò avuto riguardo alla stessa ratio che ispira la disciplina delle gare pubbliche, la quale è improntata alla celere definizione delle stesse, anche eventualmente in chiave negativa, laddove si diano impedimenti che possono suggerire l’adozione di determinazioni di arresto definitivo ovvero di autotutela.

Del resto, come correttamente affermato da recentissima giurisprudenza, altrimenti non si spiegherebbe lo stesso intendimento della natura del rimedio risarcitorio, il quale, come noto, è improntato, nell’ambito dei contratti pubblici, della nota cifra oggettiva (su cui la celebre CGUE 30 settembre 2010 in causa C-314/2009), che più lo connota in chiave compensativa. Detto altrimenti, spicca un favor per la certa e celere definizione delle gare pubbliche, essendo semmai consentita la strada risarcitoria in favore dei concorrenti deprivati illegittimamente del bene della vita finale” (TAR Lazio, Roma, Sez. II, 13 febbraio 2020, n. 1987), favor che mal si concilierebbe con una situazione di inerzia, per di più laddove temporalmente indefinita.

Ciò posto, in caso di accertamento di una condotta anticoncorrenziale avente effetti sul mercato dei contratti pubblici, la mitigazione dei rischi dalla stessa discendenti in termini di self-cleaning assume un ruolo centrale. Proprio con riferimento alle misure di self cleaning da adottare al cospetto di illeciti antitrust, l’AGCM, nel Parere S3211/2018, ha evidenziato che tra gli elementi valutabili possono assumere rilievo la sostituzione del management responsabile dell’illecito (anche accompagnato dall’avvio di azioni di responsabilità nei confronti dello stesso), l’adozione di efficaci programmi di compliance (cfr. Linee Guida sulla compliance antitrust, adottate con provvedimento AGCM del 25 settembre 2018, n. 27356, in Bollettino n. 37/2), nonché l’adesione a programmi di clemenza che hanno consentito l’accertamento dell’illecito o che consentano l’accertamento di altri illeciti.

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Questo articolo è stato scritto da...

Avv. Adriana Presti
Avvocato amministrativista, esperto in contrattualistica pubblica
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