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Il Consiglio di Stato ha recentemente evidenziato[1] che l’espressione partenariato pubblico privato indica un complesso fenomeno giuridico, di matrice europea caratterizzato da una sostanziale equiordinazione tra soggetti pubblici e soggetti privati per la realizzazione di un’attività volta al conseguimento di interessi pubblici, in cui:

  •   ai soggetti pubblici è attribuito il compito di individuare/selezionare gli interessi pubblici da tutelare e garantire, nonché lo strumento economico/giuridico/finanziario più adeguato per poterli conseguire, oltre che la vigilanza e il controllo sul loro effettivo raggiungimento;
  •    ai soggetti privati, che mettono a disposizione dell’amministrazione pubblica, le proprie capacità finanziarie e il proprio complessivo know how, è riconosciuto il diritto di ritrarre utilità, mediante la disponibilità o lo sfruttamento economico dell’opera (attraverso le ordinarie fasi della sua realizzazione, trasformazione, manutenzione e gestione)[2].

Il nuovo codice dei contratti pubblici di cui al d.lgs. n. 50/2016 ha espressamente ricompreso anche la finanza di progetto all’interno della tipologia dei contratti di partenariato pubblico privato (art. 180, comma 8)[3].

Secondo il Supremo Consesso della giustizia amministrativa, il partenariato pubblico privato costituisce uno strumento di cooperazione per l’effettiva ed efficace realizzazione degli interessi pubblici, che non solo si presenta come attuativo del principio di solidarietà orizzontale di cui all’art. 118, comma 4 della Costituzione, ma che costituisce concretamente anche un rimedio significativo per il superamento di crisi finanziarie e dei vincoli pubblici posti alla spesa pubblica; esso risulta inoltre idoneo a promuovere un significativo rinnovamento della pubblica amministrazione attraverso l’acquisizione di specifiche conoscenze tecniche e scientifiche, proprie delle realtà private, capaci di fornire nuovi e innovativi strumenti per rendere l’azione amministrativa sempre maggiormente coerente con i principi di imparzialità e buon andamento predicati dall’art. 97 della Costituzione[4].

In tale contesto, il presente breve contributo cercherà di analizzare l’elemento del rischio all’interno delle operazioni di finanza di progetto, partendo dall’analisi di un importante ricorso recentemente deciso dal Tar Sardegna.

1. Il caso

Con la recente sentenza resa dal Tribunale Amministrativo Regionale per la Sardegna n. 586 dello scorso 18 settembre 2017, è stata decisa una complessa vicenda scaturita da una procedura di gara indetta nel 2007 dall’Azienda Sanitaria Locale n. 3 di Nuoro per l’affidamento, in project financing, di una concessione avente a oggetto i lavori di ristrutturazione e completamento di alcuni presidi ospedalieri e sanitari distrettuali, con contestuale affidamento di un ampio global service avente a oggetto, tra l’altro, la fornitura e manutenzione delle relative attrezzature sanitarie, la gestione del servizio di assistenza domiciliare, infermieristica e riabilitativa, nonché la gestione degli spazi a destinazione commerciale e dei contratti di sponsorizzazione relativi alle predette strutture ospedaliere. Dopo l’affidamento della gara e la stipula della relativa convenzione, l’A.T.I. aggiudicataria, esercitando la facoltà attribuitale dall’art. 156 del d.lgs. n. 163/2006, aveva costituito una “società di progetto”, che era perciò automaticamente subentrata in tutti i rapporti attivi e passivi connessi al rapporto concessorio.

Nel 2008, a seguito della riorganizzazione della rete delle strutture pubbliche e private di diagnostica di laboratorio ed a causa dell’approvazione del nuovo programma regionale per l’attivazione delle cc.dd. Case di Salute, la ASL di Nuoro aveva chiesto alla società di progetto di apportare alcune modifiche al progetto preliminare e al progetto definitivo posti in gara, modifiche poi in effetti presentate ed approvate dall’Azienda sanitaria, con la conseguente stipula di un primo atto aggiuntivo alla concessione (atto aggiuntivo n. 1/2009).

Successivamente la società di progetto aveva evidenziato la necessità di procedere ad un ulteriore “adeguamento del rapporto” e l’ASL aveva approvato il nuovo Piano Economico Finanziario, con conseguente stipula di un secondo atto aggiuntivo (atto aggiuntivo n. 2/2014), che aveva tuttavia modificato il rapporto concessorio in termini più favorevoli, sotto diversi aspetti, al concessionario.

Alla fine del 2014 la Regione Sardegna aveva affidato la gestione dell’ASL di Nuoro a un Commissario Straordinario, attribuendogli lo specifico compito di valutare i costi e le eventuali criticità del contratto di concessione in esame, con particolare riferimento al costo dei servizi oggetto dell’atto aggiuntivo n. 2/2014.

La vicenda era stata notificata all’ANAC, che aveva avviato un apposito procedimento di verifica. Secondo i rilievi dell’ANAC[5], poi fatti propri dall’Azienda sanitaria, “l’operazione negoziale ed economica conclusa all’esito della procedura di affidamento in esame si caratterizza per costituire uno strumento con il quale si trasgredisce l’applicazione delle norme e dei principi che disciplinano la concessione di lavori pubblici e il project financing (artt. 2, 143 e 153 del d.lgs. 163/2006) nonché gli appalti pubblici in generale, facendo conseguire alle parti un risultato precluso dall’ordinamento; e ciò attraverso la previsione (in netto contrasto con lo schema normativo tipico) di una remunerazione degli investimenti dei privati concessionari posta interamente a carico dell’amministrazione aggiudicatrice, senza che si verifichi la necessaria traslazione in capo ai privati del rischio economico e gestionale (elemento essenziale del project financing) collegato alla realizzazione dell’opera, ovvero allo svolgimento dei servizi erogati attraverso le opere pubbliche realizzate”.

Nel dicembre 2015, anche l’Unità Tecnica Finanza di Progetto istituita presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri aveva trasmesso al Commissario Straordinario le proprie osservazioni sulla vicenda, evidenziando l’insussistenza dei presupposti per l’utilizzo dello strumento del project financing.

Nel 2016 il Commissario Straordinario aveva così annullato in autotutela le precedenti deliberazioni aziendali prodromiche alla stipula dell’atto aggiuntivo n. 2/2004, dichiarando, per l’effetto, tale “improduttivo ab origine di qualunque effetto giuridico in conseguenza del disposto annullamento d’ufficio e, in ogni caso, della rilevata sua nullità assoluta ex artt. 1344 e 1418, comma 2 c.c.”.

Con la sentenza n. 586/2017 il Tar Sardegna ha respinto il ricorso elevato dalla società di progetto avverso i provvedimenti di annullamento in autotutela adottati dalla ASL nuorese.

2. I principali rischi configurabili nelle operazioni di finanza di progetto

Dalla pronuncia resa dal Tar Sardegna emerge come la società di progetto avesse sostenuto in giudizio che il project financing, in quanto contratto normativamente assimilato alla concessione di lavori pubblici, non presupponga un pieno accollo del rischio gestionale sul concessionario; la società ricorrente aveva richiamato, a tale proposito, la decisione Eurostat 11 febbraio 2004[6], in base alla quale un contratto può essere qualificato come concessione di lavori laddove il concessionario assuma:

(a) il rischio di costruzione;

(b) uno tra i due seguenti rischi:

(i) il rischio di disponibilità (ovverosia il rischio correlato alla prestazione che il concessionario deve rendere);

(ii) il rischio di domanda (ovverosia il rischio connesso ai diversi volumi di domanda del servizio che il privato deve soddisfare)[7].

È legittimo un project financing senza rischi per il concessionario?

Nella decisione assunta dal Tar Sardegna si afferma invece che il rischio economico non può mai essere totalmente traslato in capo alla parte pubblica, poiché ciò farebbe venire meno la stessa ragion d’essere di una tipologia contrattuale del partenariato pubblico privato, che resta invece profondamente differenziata rispetto all’appalto. Nel caso di specie, la convenzione stipulata con la ASL non poteva legittimamente caratterizzarsi per un sostanziale annullamento del rischio gestionale a carico della parte privata, poiché una simile prospettazione non si rinviene nemmeno nelle pronunce della giurisprudenza amministrativa in cui è emersa una concezione, sotto questo punto di vista, “più elastica”[8], nella quale comunque si legge che nel project financing il rischio ridotto per l’impresa e la sussistenza di oneri a carico del soggetto pubblico possono essere sempre rivalutati dalla PA sotto il profilo dell’opportunità e della convenienza”[9].

A tale proposito si può notare che il nuovo codice dei contratti prescrive (art. 180, comma 2) che il contenuto del contratto deve essere definito tra le parti in modo che il recupero degli investimenti effettuati e dei costi sostenuti dall’operatore economico per eseguire il lavoro o fornire il servizio dipenda, oltre che dal rispetto dei livelli di qualità contrattualizzati:

  • dall’effettiva fornitura del servizio o dall’utilizzabilità dell’opera (per quanto concerne le c.d. “opere fredde”);
  •     dal volume dei servizi erogati in corrispondenza della domanda (per quanto concerne le “opere calde”).

Per le cc.dd. “opere fredde”, la PA può scegliere di versare un canone all’operatore economico a fronte della disponibilità dell’opera o della propria domanda di servizi: tale canone dovrà essere proporzionalmente ridotto o anche annullato nei periodi di ridotta o mancata disponibilità dell’opera oppure di ridotta o mancata prestazione dei servizi (art. 180, comma 4): con l’adozione del decreto correttivo al codice dei contratti è stato altresì precisato che, quando la ridotta o mancata disponibilità dell’opera o la ridotta prestazione del servizio è imputabile all’operatore, tali variazioni del canone devono, in ogni caso, essere in grado di incidere significativamente sul valore attuale netto dell’insieme degli investimenti, dei costi e dei ricavi dell’operatore economico stesso. Il contenuto del contratto di partenariato dovrà essere poi definito tra le parti in modo che il recupero degli investimenti effettuati e dei costi sostenuti dall’operatore economico, per eseguire il lavoro o fornire il servizio, dipenda dall’effettiva fornitura del servizio o dall’utilizzabilità dell’opera o dal volume dei servizi erogati in corrispondenza della domanda e, in ogni caso, dal rispetto dei livelli di qualità contrattualizzati, purché la valutazione avvenga ex ante, con precisazione che con il contratto di partenariato devono essere disciplinati anche i rischi, incidenti sui corrispettivi, derivati da fatti non imputabili all’operatore economico (art. 180, comma 3).

Come cambia il “rischio” nel nuovo codice dei contratti?

Il nuovo codice ha infine introdotto, quale elemento caratterizzante di tutte le ipotesi di concessioni, il concetto di “rischio operativo”, ovverosia il rischio legato alla gestione dei lavori o dei servizi sul lato della domanda o sul lato dell’offerta o di entrambi, trasferito all’operatore economico nei casi di partenariato pubblico privato. L’operatore economico assume il rischio operativo nel caso in cui, in condizioni operative normali (per tali intendendosi l’insussistenza di eventi non prevedibili) non sia garantito il recupero degli investimenti effettuati o dei costi sostenuti per la gestione dei lavori o dei servizi oggetto della concessione. La parte del rischio trasferita all’operatore economico deve comportare una reale esposizione alle fluttuazioni del mercato tale per cui ogni potenziale perdita stimata subita dal concessionario non sia puramente nominale o trascurabile (art. 3, comma 1, lett. zz), in combinato disposto con le recedenti lett. uu) e vv)).

Circa la necessaria presenza del rischio all’interno dei contratti di partenariato, il Consiglio di Stato ha sottolineato che il rischio (ed il suo trasferimento all’operatore privato) costituisce l’elemento che caratterizza il partenariato pubblico privato non solo nel suo momento genetico, ma anche per tutta la durata della sua esecuzione[10]. Al rischio operativo di gestione vanno così aggiunti:

  •     il rischio di costruzione “legato al ritardo nei tempi di consegna, al non rispetto degli standard di progetto, all’aumento dei costi, a inconvenienti di tipo tecnico nell’opera e al mancato completamento dell’opera” (art. 3, comma 1, lett. aaa);
  •    il rischio di disponibilità, “legato alla capacità, da parte del concessionario, di erogare le prestazioni contrattuali pattuite, sia per volume che per standard di qualità previsti” (art. 3, comma 1, lett. bbb);
  •    il rischio di domanda, “legato ai diversi volumi di domanda del servizio che il concessionario deve soddisfare, ovvero il rischio legato alla mancanza di utenza e quindi di flussi di cassa” (art. 3, comma 1, lett. ccc).

Per il Consiglio di Stato la concreta e puntuale individuazione dei rischi trasferiti deve essere espressamente contenuta nel contratto e risulta essere uno degli elementi fondanti dell’equilibrio economico e finanziario, rappresentando in concreto la “contemporanea presenza delle condizioni di convenienza economica e sostenibilità finanziaria” e in termini più propriamente giuridici la stessa “causa” del contratto di partenariato pubblico privato[11].

Anche secondo ANAC ciò che caratterizza la concessione, sia essa di lavori che di servizi, differenziandola dal contratto d’appalto, è la ripartizione del rischio tra amministrazione e concessionario[12]: in assenza di alea correlata alla gestione, indipendentemente dal nomen iuris utilizzato, non si configura la concessione bensì l’appalto, nel quale vi è unicamente il rischio imprenditoriale derivante dalla errata valutazione dei costi di costruzione, da una cattiva gestione, da inadempimenti contrattuali da parte dell’operatore economico o da cause di forza maggiore. Nella concessione, invece, al rischio proprio dell’appalto, si aggiunge il rischio di mercato: pertanto, in assenza di un effettivo trasferimento del rischio in capo al concessionario, le procedure di aggiudicazione dovranno essere quelle tipiche dell’appalto e i relativi costi dovranno essere integralmente contabilizzati nei bilanci della stazione appaltante.

Ai fini della corretta allocazione dei rischi, inoltre, ANAC ribadisce la rilevanza sostanziale dei fattori relativi al finanziamento pubblico dei costi di investimento, alla presenza di garanzie pubbliche, alle clausole di fine contratto ed al valore di riscatto dell’asset a fine concessione precisando che, con riferimento al finanziamento pubblico possono essere individuate differenti forme, quali l’apporto di capitale di rischio (equity) o di capitale di credito (finanziamenti bancari), accanto alle più tradizionali forme di contribuzione pubblica[13]. In tutti questi casi, quando il costo del capitale è prevalentemente coperto dalla PA in una delle suddette forme, ciò comporta che la stessa PA assume la maggioranza dei rischi[14]: inoltre, l’incremento del livello di finanziamento, da minoritario a maggioritario, in corso d’opera può comportare la riclassificazione on balance dell’asset, ossia la sua imputazione sul bilancio del soggetto pubblico[15]. 

Per l’ANAC anche la presenza di garanzie pubbliche può rappresentare un elemento idoneo ad influenzare il trattamento contabile dell’operazione, in quanto tali garanzie possono incidere sulla distribuzione dei rischi tra le parti: più in particolare, le garanzie possono comportare l’iscrizione o la riclassificazione dell’asset on balance quando assicurano un’integrale copertura del debito o un rendimento certo del capitale investito dal soggetto privato[16]. Nell’atto regolatorio del PPP adottato nel 2015 ANAC aveva indicato, quale elemento discretivo, il criterio secondo cui l’opera deve essere contabilizzata on balance quando l’effetto combinato delle garanzie e del contributo pubblico copra più del 50% del costo: va ricordato, a tale proposito, che attualmente, il nuovo codice dei contratti, come emendato in sede di decreto correttivo, ha previsto che l’eventuale riconoscimento del prezzo, sommato al valore di eventuali garanzie pubbliche o di ulteriori meccanismi di finanziamento a carico della pubblica amministrazione, non può essere superiore al quarantanove per cento del costo dell’investimento complessivo, comprensivo di eventuali oneri finanziari (art. 165, comma 2, ultimo periodo e art. 180, comma 6, ultimo periodo del d.lgs. n. 50/2016 s.m.i.).

Secondo ANAC, infine, anche l’allocazione dell’asset alla fine del contratto rappresenta un elemento idoneo ad incidere sulla contabilizzazione dell’intervento, e può incidere sulla contabilizzazione on balance dell’infrastruttura se ricorre una delle seguenti tre condizioni: 

1. si concorda un prezzo fisso che l’amministrazione dovrà pagare alla scadenza del contratto e questo prezzo non rispecchia il valore di mercato dell’asset; 

2. è previsto un prezzo più alto del valore economico atteso;

3. è previsto un prezzo più basso del valore economico atteso perché l’amministrazione ha già pagato in precedenza per l’acquisizione dell’asset[17].

Per l’Autorità anticorruzione una corretta valutazione dei rischi deve essere compiuta attraverso l’elaborazione di una matrice dei rischi, utile, in particolare, a definire se l’ottimale allocazione del rischio specifico debba essere in capo al soggetto pubblico o privato o se non sia piuttosto opportuno considerare altre forme di gestione condivisa[18]. Quanto più dettagliata sarà la matrice, minori si riveleranno le possibilità di trascurare alcuni aspetti dell’operazione, e, pertanto, per la costruzione della matrice dei rischi si dovrebbero sempre considerare i seguenti aspetti:

a) identificazione del rischio, ovverosia individuazione di tutti quegli elementi che potrebbero costituire un rischio nella fase di progettazione, di costruzione dell’infrastruttura o di gestione;

b) risk assessment, ovverosia valutazione della probabilità del verificarsi di un evento associato ad un rischio e dei costi che ne possono derivare. È importante definire anche il momento in cui l’evento negativo si potrebbe verificare;

c) risk management, ovverosia individuazione dei meccanismi che permettono di minimizzare gli effetti derivanti da un evento[19].

3. Il rischio di costruzione

Nella pronuncia Tar Sardegna n. 586/2017 si evince come la società di progetto avesse sostenuto, nel corso del giudizio, che l’originario contratto era strutturato in modo tale da addossarle rischi significativi: in primo luogo, a carico della società vi sarebbe stato il c.d. “rischio di costruzione”, non essendo stato previsto nel contratto originario alcun diritto del concessionario a percepire compensi prima della concreta realizzazione delle opere, come dimostrerebbe il fatto che lo stesso contratto prevedeva l’applicazione di penali in caso di colpevole violazione dei termini previsti per la consegna delle opere.

Cos’è e come opera il “rischio di costruzione”?

Sul punto, tuttavia, il Tar replica che i rischi direttamente riferibili alla realizzazione dell’opera gravano sempre, tendenzialmente, sulla parte privata anche nei contratti strutturati come appalto di opera pubblica, per cui tale aspetto del regime contrattuale non assumeva rilievo ai fini della verifica della legittimità o meno del modello concessorio utilizzato nel caso in esame.

Va poi aggiunto che, per quanto concerne lo specifico rischio di costruzione, ANAC ha recentemente evidenziato che, all’interno della categoria generale del rischio di costruzione, si distinguono, comunque a titolo esemplificativo e non esaustivo, i seguenti rischi specifici[20]: 

a) rischio di progettazione, connesso alla sopravvenienza di necessari interventi di modifica del progetto, derivanti da errori o omissioni di progettazione, tali da incidere significativamente su tempi e costi di realizzazione dell’opera;

b) rischio di esecuzione dell’opera difforme rispetto al progetto, collegato al mancato rispetto degli standard di progetto;

c) rischio di aumento del costo dei fattori produttivi o di inadeguatezza o indisponibilità di quelli previsti nel progetto;

d) rischio di errata valutazione dei costi e tempi di costruzione; 

e) rischio di inadempimenti contrattuali di fornitori e subappaltatori;

f) rischio di inaffidabilità e inadeguatezza della tecnologia utilizzata.

Secondo ANAC, inoltre, il rischio di costruzione non può considerarsi trasferito all’operatore economico laddove l’amministrazione si obblighi a corrispondere all’impresa le somme stabilite dal contratto senza una verifica preventiva delle condizioni in cui l’opera è consegnata oppure nel caso in cui la PA si obblighi a supportare sistematicamente ogni eventuale costo aggiuntivo indipendentemente dalla relativa causa[21].

Dal proprio canto, il Consiglio di Stato ha sottolineato che il “rischio di costruzione” può ritenersi allocato al partner privato se il soggetto pubblico corrisponde quanto contrattualmente stabilito o ripiana gli eventuali costi aggiuntivi ma lo fa soltanto previa verifica dello stato di avanzamento effettivo della realizzazione dell’infrastruttura e dei fattori che hanno determinato i sovraccosti o gli allungamenti dei tempi di realizzazione[22].

4. Il rischio di disponibilità

Nella pronuncia del Tar Sardegna in rassegna emerge che la ricorrente aveva eccepito in giudizio come, in realtà, sul concessionario era stato posto il rischio di disponibilità, relativo alla gestione ed all’erogazione dei molteplici servizi oggetto del contratto; ciò in quanto:

  •     il contratto di concessione prevedeva che nell’ipotesi di inadempimento delle prestazioni l’Azienda sanitaria avrebbe dovuto procedere all’applicazione di penali sia in caso di ritardo nei tempi di progettazione ed esecuzione dei lavori, sia nel caso di mancata e/o non corretta prestazione dei servizi, purché tale ritardo fosse dovuto a causa imputabile al concessionario: la previsione di penali automatiche costituiva pertanto, secondo la società ricorrente, un preciso indice del rischio di disponibilità a carico del concessionario[23];
  •    non potrebbe condividersi il rilievo dell’ANAC, recepito dall’Azienda sanitaria, secondo cui il rischio di disponibilità sarebbe stato significativamente ridotto dalla limitazione delle penali entro un tetto massimo pari al 10% del valore complessivo delle prestazioni, poiché tale misura sarebbe stata consentita dall’art. 145, comma 3, del d.p.r. n. 207/2010;
  •   la sussistenza di una rilevante “quota di rischio” a carico del concessionario avrebbe trovato conferma in alcune specifiche previsioni contrattuali, in forza delle quali:

o    veniva consentito all’Azienda sanitaria di richiedere l’erogazione dei servizi anche in misura parziale rispetto a quanto complessivamente stabilito, previsto pagamento di un canone proporzionalmente ridotto: qualora la parte pubblica avesse esercitato tale facoltà si sarebbe materializzato il rischio per il concessionario di non coprire il costo degli investimenti iniziali, necessariamente parametrati in relazione all’eventualità che l’Azienda sanitaria richiedesse la prestazione pattuita per intero;

o    si accollava al concessionario, per tutta la durata del contratto, il rischio del perimento delle attrezzature.

Cos’è e come opera il “rischio di disponibilità”?

Per il Giudice amministrativo, tuttavia, nessuno dei predetti elementi risultava sufficiente a “spostare sul concessionario” un rischio gestionale che era stato concepito soprattutto a carico della parte pubblica: il Tar Sardegna ha rilevato, in particolare, la quasi totale assenza (o, comunque, la “minima rilevanza”) dei servizi che il concessionario avrebbe dovuto svolgere direttamente in favore dell’utenza, per cui la sua remunerazione trovava fonte, essenzialmente, nei corrispettivi versati dalla parte pubblica. Peraltro, il contratto di concessione prevedeva che “il canone integrativo per la disponibilità sarà dovuto, indipendentemente da qualsiasi sospensione, interruzione o altra circostanza afferente all’erogazione dei servizi e in caso di inadempimento del concessionario nell’erogazione dei servizi l’Azienda non potrà sospendere alcuna parte del pagamento del canone di disponibilità”: si era così realizzato un significativo sganciamento tra l’adempimento della prestazione dedotta in contratto ed il diritto all’immediato conseguimento del corrispettivo previsto, “scaricando sulla parte pubblica” quei rischi di possibili interruzioni del rapporto che costituiscono una componente tipica del c.d. rischio di gestione.

A tale proposito si può sottolineare che secondo ANAC, all’interno della categoria generale del rischio di disponibilità, si distinguono – a titolo esemplificativo e non esaustivo – i seguenti rischi specifici[24]:

a) rischio di manutenzione straordinaria, non preventivata, derivante da una progettazione o costruzione non adeguata, con conseguente aumento dei costi;

b) rischio di performance, ossia il rischio che la struttura messa a disposizione o i servizi erogati non siano conformi agli indicatori chiave di prestazione elaborati preventivamente in relazione all’oggetto e alle caratteristiche del contratto o agli standard tecnici e funzionali prestabiliti, con conseguente riduzione dei ricavi;

c) rischio di indisponibilità totale o parziale della struttura da mettere a disposizione e/o dei servizi da erogare.

ANAC evidenzia, inoltre, che il rischio di disponibilità non può considerarsi trasferito all’operatore economico qualora:

  •      il pagamento dei corrispettivi stabiliti contrattualmente non sia strettamente correlato al volume e alla qualità delle prestazioni erogate;

–       il contratto non preveda un sistema automatico di penali in grado di incidere significativamente sui ricavi e profitti dell’operatore economico;

  •    il valore del canone di disponibilità risulti talmente sovrastimato da annullare l’assunzione del rischio[25].

Parimenti, il Consiglio di Stato ha sottolineato che il rischio disponibilità attiene alla fase operativa ed è connesso ad una scadente o insufficiente gestione dell’opera pubblica, a seguito della quale la quantità e/o la qualità del servizio reso risultano inferiori ai livelli previsti nell’accordo contrattuale: pertanto, tale rischio si può ritenere effettivamente posto a carico del privato quando:

  •     i pagamenti pubblici sono correlati all’effettiva prestazione del servizio reso, così come pattuito in sede contrattuale;
  •     il soggetto pubblico ha il diritto di ridurre i propri pagamenti nel caso in cui i parametri contrattualmente prestabiliti di prestazione non vengano raggiunti, sia per quanto riguarda la disponibilità dell’infrastruttura, sia per quanto riguarda i servizi erogati[26].

5.    Il rischio di domanda

Da ultimo, il Tar Sardegna afferma che, in via generale, la necessaria configurazione di un effettivo rischio a carico del concessionario presuppone che la fonte della sua remunerazione risieda, in misura significativa, nei corrispettivi ricevuti dagli utenti ai quali lo stesso concessionario offrirà direttamente delle prestazioni servendosi dell’opera realizzata ─ con tutto ciò che ne consegue in termini di “aleatorietà” della relativa domanda ─ piuttosto che in somme erogate direttamente dall’amministrazione concedente. Quello che viene richiesto nei rapporti concessori è, dunque, un tipico “rischio imprenditoriale”, ben diverso da quello ─ legato semplicemente agli imprevisti che possono insorgere nella realizzazione dell’opera (ad esempio, per la fluttuazione nei costi della manodopera e/o dei materiali) ─ che caratterizza un contratto d’appalto; ed infatti, mentre questi ultimi (cc.dd. “rischi organizzativi”) sono in qualche modo “fronteggiabili” con una corretta organizzazione della struttura aziendale, il rischio legato alla “domanda di servizi” si collega, per definizione, a fattori non pienamente prevedibili né dominabili a priori.

Cos’è e come opera il “rischio di domanda”?

Nel caso di specie, proprio in quanto concretamente congegnato in modo da renderlo “simile” ad un appalto, il rapporto contrattuale avrebbe dovuto essere affidato con le forme previste per l’affidamento degli appalti pubblici e, comunque, non avrebbe potuto avere ad oggetto una così ampia moltitudine di prestazioni tra loro in gran parte funzionalmente scollegate[27]. Il risultato finale di tale illegittima operazione è stata, dunque, la creazione di una commessa di gigantesche dimensioni, di inusitato valore economico e di durata trentennale, della quale si è poi rivelato molto complesso verificare la regolare esecuzione e la cui prosecuzione, sino alla “scadenza naturale”, avrebbe provocato ─ oltre che ingenti ed ingiustificati oneri economici per la parte pubblica ─ anche l’inaccettabile chiusura di ogni confronto concorrenziale nel mercato della sanità, così come conferma il fatto che la società di progetto aveva affidato direttamente la concreta gestione di molti dei servizi in concessione a soggetti orbitanti all’interno della propria compagine societaria.

Per quanto concerne il rischio di domanda, che può non dipendere dalla qualità delle prestazioni erogate dall’operatore economico, ANAC sottolinea come tale rischio costituisca, di regola, un elemento del più generale “rischio economico” sopportato da ogni operatore in un’economia di mercato. In tale categoria generale di rischio si distinguono i seguenti rischi specifici:

a) rischio di contrazione della domanda di mercato, ovverosia di riduzione della domanda complessiva relativa al servizio, che si riflette anche su sulla domanda rivolta verso lo specifico operatore economico;

b) rischio di contrazione della domanda specifica, collegato all’insorgere nel mercato di riferimento di un’offerta competitiva di altri operatori[28].

Il rischio di domanda non è presente, di regola, nei contratti nei quali l’utenza finale non ha libertà di scelta in ordine alla fornitura dei servizi (ad es. carceri, scuole, ospedali) e, pertanto, in tali casi, ai fini della qualificazione del contratto come PPP, è necessaria l’allocazione in capo all’operatore economico, oltre che del rischio di costruzione, anche del rischio di disponibilità. In ogni caso, secondo ANAC il rischio di domanda non può considerarsi trasferito all’operatore economico quando l’amministrazione si obblighi ad assicurare all’operatore economico determinati livelli di corrispettivo “indipendentemente dall’effettivo livello di domanda espresso dagli utenti finali”, così che le variazioni della domanda abbiano un’influenza soltanto marginale sui profitti dell’operatore economico[29].

Ancora con riguardo al “rischio di domanda”, infine, il Consiglio di Stato ha osservato che nelle nuove linee guida ANAC sul monitoraggio dei partenariati pubblico privato andrebbe chiarito:

  •    se tale rischio si identifichi o meno con la variabilità della domanda non dipendente dalla qualità del servizio prestato dal partner privato;
  •    se, pertanto, tale rischio rappresenti il normale rischio economico assunto da un’azienda in un’economia di mercato.

In relazione a tali profili il Consiglio di Stato ha quindi sollecitato ANAC a fornire indirizzi puntuali in ordine alle caratteristiche ed alle modalità di intervento della quota di partecipazione finanziaria pubblica prevista dal citato art. 180, comma 4 del codice, in quanto il rischio di domanda dovrebbe considerarsi allocato al soggetto pubblico nel caso di pagamenti garantiti anche per “prestazioni non erogate, ma erogabili in base alle condizioni di mercato”. Nei casi in cui il soggetto pubblico sia invece obbligato ad assicurare un determinato livello di pagamenti al partner privato indipendentemente dall’effettivo livello di domanda espressa dall’utente finale, dovrebbe presumersi che il rischio in questione sia allocato in capo alla PA, rendendo così irrilevanti le fluttuazioni della domanda dell’utenza rispetto alla redditività dell’operazione per il soggetto privato[30].

________________________________

[1] Così Consiglio di Stato, parere 29 marzo 2017, n. 775: si tratta, in particolare, del parere reso sullo schema delle nuove Linee guida elaborate da ANAC per il monitoraggio delle amministrazioni aggiudicatrici sull’attività dell’operatore economico nei contratti di partenariato pubblico privato. Le nuove Linee guida dovrebbero sostituire la precedente Determinazione adottata da ANAC il 23 settembre 2015, n. 10, recante le Linee guida per l’affidamento delle concessioni di lavori pubblici e di servizi ai sensi dell’articolo 153 del decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163.

[2] Cons. Stato parere n. 775/2017 cit. richiama, sul punto, il Libro Verde del 2004 relativo ai PPP e al diritto comunitario degli appalti pubblici e delle concessioni; la Comunicazione della Commissione Europea del 15.11.2016; la Risoluzione del Parlamento Europeo del 16.10.2006; la Comunicazione interpretativa della Commissione sull’applicazione del diritto comunitario degli appalti pubblici e delle concessioni ai partenariati pubblico – privati istituzionalizzati del 5.2.2008; il Libro verde del 2011 per la modernizzazione della politica dell’UE in materia di appalti pubblici per una maggiore efficienza del mercato europeo degli appalti.

[3] Il recente decreto correttivo approvato con d.lgs. n. 56/2017 ha ulteriormente precisato che il contratto di partenariato pubblico privato può essere utilizzato dalle amministrazioni concedenti per qualsiasi tipologia di opera pubblica (art. 180, comma 2, ultimo periodo).

[4] Cons. Stato parere n. 775/2017 cit. richiama, in termini, Consiglio di Stato, Adunanza plenaria 3 marzo 2008, n. 1.

[5] Nella pronuncia in rassegna si legge che “L’aver fatto propria la ricostruzione operata dall’ANAC non configura di per sé, da parte dell’Azienda sanitaria, alcuna ragione di illegittimità: quello espresso dall’Autorità costituisce un parere, ovviamente autorevole, cui l’organo di amministrazione attiva ben poteva fare riferimento, come conferma il costante e condivisibile orientamento giurisprudenziale che addirittura ammette la motivazione per relationem ai pareri espressi nel corso del procedimento (si vedano, ex multis, Consiglio di Stato, 21 ottobre 2014, n. 5173 nonché 24 giugno 2014, n. 3193); nel caso di specie l’Azienda sanitaria ha, comunque, fatto di più, dotando la propria deliberazione n. 24/2017 di ampia motivazione, anche con autonome considerazioni”.

[6] La società ricorrente aveva richiamato anche la sentenza della Corte di Giustizia, 10 settembre 2009, in causa C- 206/08.

[7] Sul punto cfr. anche ANAC, Determinazione n. 10/2015 cit., nella quale si sottolinea che per le concessioni dei lavori, con la citata decisione dell’11 febbraio 2004, l’Eurostat ha stabilito le condizioni in base alle quali la realizzazione di un’opera è da intendersi a carico del bilancio pubblico o del settore privato, ovvero le condizioni per cui le spese per le infrastrutture possono essere poste fuori dal bilancio dello Stato. A tal fine, l’Eurostat, richiamando le tre citate principali forme di rischio:

1) rischio di costruzione

2) rischio di disponibilità

3) rischio di domanda

afferma che un’opera realizzata in partenariato pubblico privato non incide sui bilanci pubblici se il partner privato sostiene il rischio di costruzione ed almeno uno degli altri due rischi (rischio di disponibilità o rischio di domanda). Nella medesima determinazione n. 10/2015 ANAC precisa, peraltro, che i criteri individuati nella Decisione Eurostat 2004 devono essere integrati ed aggiornati con i contenuti del nuovo Sistema Europeo dei Conti nazionali e regionali pubblicato da Eurostat a maggio del 2013 (cd. “SEC2010”), che a partire dal 1 settembre 2014 ha sostituito il SEC95 precedentemente in vigore: il SEC2010 contempla tra le principali forme di rischio anche il “rischio di valore residuo e di obsolescenza” legato, ad esempio, al fatto che qualora il PPP preveda la riconsegna dell’infrastruttura al termine di scadenza della concessione, il valore di acquisto o di subentro possa essere inferiore rispetto a quello atteso.

[8] Sul punto la pronuncia del Tar Sardegna richiama la sentenza resa da Consiglio di Stato, Sez. V, 10 gennaio 2012, n. 39, nella quale era stato evidenziato che il project financing comporta la necessaria partecipazione finanziaria del soggetto promotore, alla quale può aggiungersi l’eventuale contributo pubblico; si tratta, tuttavia, di una procedura caratterizzata da un elevato tasso di elasticità, che consente di adattare il progetto alle specifiche esigenze delle parti; il rischio ridotto per l’impresa e la sussistenza di oneri a carico del soggetto pubblico sono pertanto elementi compatibili con l’istituto del project financing, che non rendono illegittimo l’utilizzo di tale procedura, ma che possono al limite essere rivalutati sotto il profilo dell’opportunità e della convenienza.

[9] La pronuncia in assegna sottolinea, sul punto, che la presenza di un significativo rischio imprenditoriale costituisce, pur sempre, una caratteristica del genus “concessioni” e, con esso, della species “concessione di lavori pubblici” e dell’ulteriore species “project financing”, come indirettamente conferma l’ormai risalente “espunzione normativa” della figura tradizionalmente denominata “concessione di mera costruzione di opera pubblica”, proprio per il fatto che la stessa risultava ─ quanto a contenuto e struttura del rapporto ─ troppo sovrapponibile all’appalto.

[10] Cons. Stato, parere n. 775/2017 cit.

[11] Cons. Stato, parere n. 775/2017 cit.

[12] Determinazione ANAC n. 10/2015 cit.

[13] Determinazione ANAC n. 10/2015 cit.

[14] Determinazione ANAC n. 10/2015 cit.

[15] Cfr. ancora Determinazione ANAC n. 10/2015 cit. In tema si veda però, amplius, quanto rilevato da Corte dei conti, Sezione delle autonomie, nella Questione di massima in ordine alla qualificazione, come indebitamento, del contratto di partenariato pubblico-privato, disciplinato dagli articoli 3, comma 1, lett. eee), 180 e 187 del d.lgs. n. 50/2016, N. 15/SEZAUT/2017/QMIG, Adunanza del 13 giugno 2017.

[16] Determinazione ANAC n. 10/2015 cit. A tal proposito, ANAC ricorda che il Manuale sul disavanzo e sul debito pubblico pubblicato da Eurostat nell’agosto 2014 estende l’applicazione delle regole in materia anche ai casi in cui un’amministrazione fornisca una garanzia al partner non direttamente legata al debito contratto in relazione a uno specifico progetto in PPP.

[17] Determinazione ANAC n. 10/2015 cit.

[18] Determinazione ANAC n. 10/2015 cit.

[19] Determinazione ANAC n. 10/2015 cit.

[20] ANAC, Schema delle Linee guida per il monitoraggio delle amministrazioni aggiudicatrici sull’attività dell’operatore economico nei contratti di partenariato pubblico privato, febbraio 2017.

[21] ANAC, Schema delle Linee guida cit.

[22] Cons. Stato, parere n. 775/2017 cit.

[23] Sul punto la società ricorrente aveva richiamato quanto evidenziato dalla circolare della P.C.M. pubblicata 27 marzo 2009, pubblicata in G.U. 10 aprile 2009, n. 84.

[24] ANAC, Schema delle Linee guida cit.

[25] ANAC, Schema delle Linee guida cit.

[26] Cons. Stato, parere n. 775/2017 cit.

[27] Il contratto stipulato con il concessionario riguardava la costruzione e la manutenzione degli edifici, la loro pulizia e fornitura energetica, la fornitura e la manutenzione di apparecchiature elettromedicali e informatiche, l’erogazione di servizi eterogenei e complessi quali la vigilanza, l’ausiliariato, l’assistenza domiciliare integrata nonché la raccolta e lo smaltimento dei rifiuti.

[28] ANAC, Schema delle Linee guida cit.

[29] ANAC, Schema delle Linee guida cit.

[30] Cons. Stato, parere n. 775/2017 cit.

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Ilenia Filippetti
Avv. Ilenia Filippetti
Avvocato, Responsabile della Sezione Monitoraggio appalti di servizi e forniture della Regione Umbria, Presidente dell’Associazione Forum Appalti
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