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Commento alla sentenza TAR Lazio, Sez. I Quater n. 5702 dell’11 maggio 2017

Premessa

La sentenza in commento si segnala per la novità dell’approccio adottato dal TAR Lazio, che in controtendenza rispetto alla (peraltro scarna) giurisprudenza formatasi nel vigore del precedente Codice Appalti in tema di proposta spontanea di project financing (art. 153 c. 19 D.Lgs. 163/2006), ha affermato che il nuovo Codice (segnatamente art. 183 c. 15 D.Lgs. 50/2016) non consente più un esercizio pienamente libero e sostanzialmente insindacabile della discrezionalità amministrativa ai fini della cd. “dichiarazione di pubblico interesse” della proposta spontanea, ma viceversa l’accento posto nella nuova norma sulla “fattibilita’ tecnica” impone il rispetto dei principi di contraddittorio e di ampia e congrua motivazione propri dei procedimenti amministrativi formali.

Con la sentenza n. 5702, la Sezione I Quater del Tribunale Amministrativo Regionale del Lazio ha infatti stabilito che, nell’ambito di una proposta di Project Financing proveniente da un proponente privato, l’Amministrazione può dissentire solo motivatamente e tale motivazione deve consistere nel rifiuto da parte del privato di adeguare il progetto alle richieste di adeguamento formulate dall’Amministrazione stessa.

Il principio sancito dal TAR Lazio presenta chiari aspetti di innovatività rispetto al panorama giurisprudenziale sinora attestato, ma al contempo declina e dà corpo ad un concetto già noto e consolidato: quello dell’obbligo di trasparenza e ragionevolezza che devono improntare tutti gli atti amministrativi – principi già espressi dalla L. n. 241/1990, ed ancor prima dalla Carta costituzionale -.

1. La vicenda

Brevemente, nel 2014 – vigente l’art. 153, comma 19 del D.Lgs. n. 163/2006 – un raggruppamento di imprese, guidato da una società francese leader nella gestione di servizi di trasporto metropolitano, presenta alla Regione Lazio una proposta spontanea di project financing per l’ammodernamento (nel senso di ristrutturazioneintegrale della linea e degli impianti, e sostituzione totale dei treni) della ferrovia metropolitana Roma-Lido di Ostia, proponendosi come gestore dell’impianto per circa 20 anni, a titolo di controprestazione per il rilevante investimento previsto (circa 450 milioni di euro).

A seguito della presentazione della proposta spontanea viene avviato, come previsto dalla norma, un dialogo in contraddittorio con l’ente concedente, che si articola in circa due anni, mediante riunioni, revisioni progettuali, approfondimenti e studi volti ad acclarare le migliori condizioni di sicurezza ed economicità del sistema di trasporto.

Sotto l’aspetto normativo l’infrastruttura oggetto della proposta, di proprietà della Regione Lazio, si classifica nel novero delle “Linee Ferroviarie Regionali” adibite al trasporto passeggeri, le quali ricadono nella categoria delle c.d. “linee ferroviarie isolate”, ovvero “non interconnesse con la rete ferroviaria nazionale” (cioè, non è compresa fra le linee ferroviarie elencate nell’Allegato A al Decreto del Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti 5 agosto 2016). Convogli, frequenza e tracciato sono propri di una linea metropolitana urbana, cui è normalmente assimilata.

Dal punto di vista contrattuale, tale linea ferroviaria “metropolitana” fa parte a tutti gli effetti del sistema di trasporto pubblico locale della Capitale, affidato (compresa la Roma-Lido di Ostia) dalla Regione alla società municipalizzata di Roma che gestisce il trasporto pubblico locale in città (che non è una “impresa ferroviaria”, come definita dal D.Lgs. n. 162/2007, ad adiuvandum della tesi circa l’assimilazione della linea in questione ad una “metropolitana”), attraverso un contratto di servizio in affidamento diretto senza gara che si protrae – di proroga in proroga – dal 2006.

Tale situazione giuridica non è sfuggita all’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato che – con il parere AS1321 del 5 dicembre 2016, reso ai sensi dell’art. 22 della legge n. 287/1990, relativamente allo stato in cui versa la gestione dei servizi di trasporto lungo le Linee Ferroviarie Regionali (tra cui anche  la Roma-Lido di Ostia) affidati dalla Regione Lazio alla municipalizzata di Roma – ha rilevato “un sistematico scostamento delle quantità dei Servizi offerti rispetto a quelli programmati, sia in termini di Km/vettura non effettuati che di corse soppresse, e ciò a causa di deficienze che, in base alle informazioni a disposizione dell’Autorità, attengono a voci quali la mancanza di personale o di materiali, ovvero riconducibili in maniera diretta e preponderante a competenze di programmazione e organizzazione proprie di ATAC” e pur considerando che “l’articolo 5, par. 6, del Regolamento (CE) n. 1370/2007 effettivamente consente alla Regione di affidare servizi ferroviari senza il ricorso a procedure di affidamento competitive”, ha rilevato che “è nondimeno richiesto, in tali ipotesi, un particolare sforzo motivazionale e di trasparenza a carico dell’amministrazione procedente, finalizzato a dimostrare che l’affidamento diretto risponda a criteri di efficienza “, concludendo, poi che “l’Autorità ribadisce dunque come una procedura competitiva rappresenti la soluzione più appropriata per la selezione di uno o più gestori efficienti dei Servizi, in caso contrario correndo invece il rischio di non cogliere opportunamente le occasioni di sviluppo dei Servizi ottenibili da un effettivo confronto di mercato”.

In questo contesto, in cui è evidente la necessità di avviare un dialogo concorrenziale fra gli operatori del settore, finalizzato a gestire al meglio una infrastruttura così problematica ma importante per il trasporto pubblico urbano, si colloca la proposta avviata dal Raggruppamento di imprese nel 2014 e si comprende il protrarsi del dialogo con l’amministrazione regionale, ben oltre i “tre mesi” previsti dall’art. 153, comma 19 D.Lgs. n. 163/2006, per circa 2 anni.

Al termine del lungo periodo di valutazione la Giunta Regionale Lazio assume la Delibera n. 437, in cui la Regione ritiene “di valutare non fattibile la proposta presentata dalla costituenda associazione temporanea di imprese … relativamente all’affidamento in concessione della progettazione, costruzione e gestione dell’infrastruttura di trasporto ferroviario Roma-Lido di Ostia, conformemente a quanto previsto dall’articolo 183, comma 15 del D. Lgs. n. 50/2016”. Secondo la Regione, in particolare, la proposta presentata era affetta da “insuperabili criticità tecniche … emerse nel corso della precedente istruttoria …”.

Il Raggruppamento proponente – che all’entrata in vigore del nuovo Codice nell’aprile 2016 aveva formalmente ripresentato la proposta di project financing anche ai sensi dell’art. 183, comma 15 D.Lgs. n. 50/2016 (in conformità alle indicazioni dell’ANAC espresse con il Comunicato del Presidente dell’8 giugno 2016, in relazione alle proposte pendenti durante il periodo transitorio tra il “vecchio” ed il “nuovo“ Codice appalti) – ricorre al TAR contro la Delibera con cui era stata negata la fattibilità della proposta spontanea.

Il quadro giurisprudenziale di riferimento, precedente alla sentenza in commento, era saldamente attestato a tutelare la più ampia discrezionalità dell’Amministrazione nella scelta delle proposte da dichiarare (o meno) “fattibili”.

Il ricorso veniva articolato fondamentalmente sulla violazione dell’art. 153, comma 19 D.Lgs. n. 163/2006 nonché del successivo art. 183, comma 15 D.Lgs. n. 50/2016, per aver la Regione respinto la proposta sulla base di motivazioni tecniche (peraltro, variamente contestate nel merito), senza aver rispettato i passaggi della norma, che impongono un dialogo con il proponente volto ad ottenere la possibile modifica della proposta stessa secondo le indicazioni della stazione appaltante e, di conseguenza, rendono legittimo il rigetto della proposta solo qualora il proponente non intenda apportare le modifiche richieste.

2. I principi espressi nella sentenza del TAR

Il TAR, secondo una logica negoziale di proposta-accettazione ovvero di trattative pre-contrattuali inserite in un regolare procedimento amministrativo, è partito dal considerare e valorizzare il comportamento tenuto dalle parti, confermando che il lungo protrarsi del dialogo – ben oltre i tre mesi previsti normativamente – non poteva considerarsi sintomatico di una posizione di chiusura da parte del proponente, anzi, era la prova che quest’ultimo aveva profuso ogni sforzo per tentare di apportare alla proposta le indicazioni richieste dalla Regione a più riprese.

Dal canto suo, la Regione non ha esibito alcuna prova di aver effettuato il passaggio procedurale in cui invita il proponente ad apportare le modifiche ritenute necessarie – indicate come “criticità tecniche insuperabili” nella Delibera impugnata -, né tantomeno la prova che il proponente si sia rifiutato di apportare le modifiche richieste.

La Regione, inoltre, riafferma la sua discrezionalità nel decidere quali proposte spontanee siano “fattibili” e quali no, citando a suo sostegno la giurisprudenza costante.

Secondo il TAR, però, ferma restando la discrezionalità ribadita dalla Regione, “ciò che rileva, invece, nella fattispecie in esame è che alla parte ricorrente non sono state contestate le criticità in punto fattibilità tecnica ed economica mediante richieste di modifica nelle parti emerse in sede di conclusione del procedimento valutativo, mentre un’articolata richiesta in tal senso avrebbe permesso alla proponente di valutare se risolvere le incoerenze evidenziate, attesa la disponibilità, costantemente manifestata, a realizzare la progettazione dell’infrastruttura della Ferrovia Roma – Lido di Ostia. Le superiori considerazioni, comportano, pertanto, l’accoglimento del primo motivo di ricorso, con salvezza, peraltro, della successive fasi procedimentali che la Regione avrà cura di porre in essere, al fine di consentire alla parte ricorrente di interloquire in merito alle criticità esposte nel provvedimento impugnato; atteso che l’annullamento del provvedimento impugnato comporta la riattivazione del procedimento per la valutazione di fattibilità della proposta in controversia, rimangono assorbiti gli ulteriori mezzi di impugnativa con cui erano contestate nel merito le valutazioni espresse dall’ente regionale”.

Il fulcro del ragionamento del TAR consiste, quindi, nella violazione del dovere della P.A. di agire in contraddittorio rispettando l’obbligo giuridico – di buona fede contrattuale e, sul piano amministrativo, di correttezza e trasparenza dell’agire della P.A. – di interloquire con il proponente e verificare la disponibilità ad apportare le eventuali modifiche richieste al progetto.

A ben vedere i principi da cui discendono tali conclusioni derivano direttamente dalla Costituzione, come declinati dall’art. 41 e 97.

In primo luogo si tratta della tutela prevista per l’iniziativa economica privata, che trova la sua espressione generale nell’art. 41 della Costituzione, nella fattispecie consentita e favorita da una norma quadro quale è l’art. 183 (prima 153) del Codice Contratti Pubblici, che prevede la facoltà del privato di proporre “spontaneamente” alla P.A. la realizzazione di un’opera pubblica o la gestione di un servizio pubblico non prevista nella programmazione, da cui scaturisce un vero e proprio procedimento amministrativo obbligatoriamente soggetto alle regole di trasparenza, congruità e motivazione previste per legge.

Dalla lettura comparata dei commi 1 e 3 dell’art. 41 Cost., emerge l’obbligo giuridico di tutelare le iniziative economiche private, in particolare indirizzandole ai fini dello sviluppo sociale; senza dubbio una proposta di privati che intendano sviluppare – a livello imprenditoriale – un servizio di trasporto pubblico, migliorandolo ed aprendo la strada ad un confronto concorrenziale, rappresenta espressione del caso tipico indicato dalla Costituzione.

Oltre a ciò, l’esplicitazione del principio di buon andamento e trasparenza della pubblica Amministrazione – anch’esso di matrice costituzionale (art. 97) e positivizzato dalla legge n. 241/1990 – impongono al soggetto pubblico coinvolto in una procedura di gara di motivare in modo compiuto e trasparente gli atti amministrativi, tra i quali anche il provvedimento con il quale si dichiara “non fattibile” la proposta spontanea.

Trasferendo questi principi nell’ambito del codice appalti – e segnatamente nella procedura che qui occupa – essi si concretizzano nel puntuale rispetto degli step procedurali ivi previsti, caratterizzati – non a caso – da un proattivo incentivo al dialogo.

Affermano, in proposito, i giudici del TAR: “… il progetto in controversia, pure sviscerato minutamente nel corso di un biennio senza che venissero formulate le richieste di modifica nel dettaglio poi emerse in sede di provvedimento finale, o che queste fossero state rifiutate, è stato analizzato criticamente in sede collegiale dalle amministrazioni coinvolte, in assenza di alcun confronto con il soggetto proponente, circostanza, quest’ultima, di cui la ricorrente, peraltro, si lamenta senza smentita. … l’espressione adoperata dal legislatore [si intende l’espressione contenuta sia nell’art. 153, comma 19 D.Lgs. n. 163/2006, sia nell’art. 183, comma 15 D.Lgs. n. 50/2016, alla quale si riconduce la discrezionalità amministrativa “l’amministrazione aggiudicatrice può invitare il proponente ad apportare al progetto di fattibilità le modifiche necessarie per la sua approvazione” – n.d.a.] non comporta che l’amministrazione sia dotata di una discrezionalità nell’ambito del confronto dialettico con il proponente tale da trasmodare in arbitrarietà; tanto più ove, come nel caso di specie, la proposta, pure analizzata per un lunghissimo periodo di tempo senza che si giungesse ad una delineazione definitiva dei requisiti della stessa, avrebbe potuto essere modificata, ove espressamente richiesto, al fine del superamento delle criticità rilevate solo all’esito di un procedimento in cui il proponente non è stato affatto coinvolto.”

In conclusione, dunque, è proprio la repentina chiusura del procedimento sulla base di motivazioni non verificate in contraddittorio con il proponente – letta in contraddizione con il prolungato precedente iter di valutazione della proposta e della conclusiva assenza di dialogo fra Amministrazione e privato – che rende illegittimo il provvedimento impugnato. Viepiù ove si consideri lo sfondo in cui la Delibera opera, caratterizzato da un’infrastruttura il cui pubblico interesse è riconosciuto dalla stessa Amministrazione procedente, in quanto urgentemente bisognosa di adeguamenti – tecnici e gestionali – che ne migliorino l’utilizzo per la collettività; in altre parole, in un contesto dove l’interesse pubblico è, sostanzialmente, un “fatto notorio”.

Ed ancor più ove si consideri che una proposta ex art. 183 del Codice, attivando una successiva procedura ad evidenza pubblica, offre una risposta concreta all’esigenza – rappresentata a più riprese dall’Antitrust – di porre in ambito concorrenziale l’affidamento del servizio pubblico. Di fronte a tali esigenze, il potere discrezionale dell’Amministrazione, pur in astratto ampio, assume carattere recessivo e deve ricondursi nei binari (metafora calzante) del dialogo, della logica, della ragionevolezza ed – in definitiva – della trasparenza.

Da ciò, segue la conclusione del ragionamento del TAR: “altrimenti detto, l’Amministrazione non può giustificarsi sostenendo che è una sua facoltà sottrarsi al confronto competitivo con la parte proponente, solo in virtù della norma che le conferisce un potere ampiamente discrezionale, laddove l’uso di tale discrezionalità trasmodi in una condotta contraddittoria con il comportamento osservato per ben due anni nell’ambito di un procedimento in cui era indubitabile l’interesse per il progetto, ancorché, attesa la sua ampiezza e complessità, bisognoso di notevoli modifiche ed aggiustamenti che solo ove rifiutati, avrebbero legittimato senz’altro la contestata negativa valutazione”.

In virtù di quanto precede il TAR trae l’ordine, rivolto all’ente concedente, di riaprire il procedimento e valutare – in contraddittorio con il proponente – le eventuali modifiche alla proposta spontanea a suo tempo presentata; consentendo al proponente stesso di valutare e decidere se adeguarsi alle richieste della Regione o rifiutarsi di apportare le modifiche, con tutte le conseguenze indicate espressamente dal testo del Codice.

Il TAR, infatti, connota la sentenza di un aspetto propulsivo, affermando che “le superiori considerazioni, comportano, pertanto, l’accoglimento del primo motivo di ricorso, con salvezza, peraltro, della successive fasi procedimentali che la Regione avrà cura di porre in essere, al fine di consentire alla parte ricorrente di interloquire in merito alle criticità esposte nel provvedimento impugnato; atteso che l’annullamento del provvedimento impugnato comporta la riattivazione del procedimento per la valutazione di fattibilità della proposta in controversia, rimangono assorbiti gli ulteriori mezzi di impugnativa con cui erano contestate nel merito le valutazioni espresse dall’ente regionale”.

3. Conclusioni

Come ogni racconto, anche questa vicenda reca la sua morale.

L’Amministrazione, pur disponendo di un ampio potere discrezionale nello scegliere quali siano le proposte di project financing ad iniziativa privata meritevoli di interesse, non può disattendere le aspirazioni imprenditoriali private senza una idonea motivazione e seguendo un percorso dialettico incoerente con il provvedimento finale.

La libertà di iniziativa economica dei privati merita il dovuto rispetto. Se un privato, in virtù di una norma di legge primaria che espressamente gliene conferisce facoltà, assume formalmente l’onere di proporsi all’Amministrazione con un atto di impegno (tale è la “proposta spontanea”, normativamente assistita da garanzie poste a carico del proponente) che lo vincola ad attivarsi per dare corpo ad una iniziativa di pubblico interesse, l’Amministrazione deve dimostrarsi altrettanto impegnata a dialogare secondo i canoni di correttezza, logicità e trasparenza propri all’agire amministrativo.

La forma di partenariato che potrà nascere da questo tipo di proposte spontanee, dunque, deve vedere la luce in un contesto in cui i futuri partner operino ab initio con reciproca “solennità” (ovverossia, con scambievole impegno), valutando ogni aspetto tecnico ed economico, senza esimersi dal seguire un percorso che sembra tracciato dal legislatore proprio per favorire un dialogo proattivo e – in definitiva – per sollecitare l’istituto del partenariato, che come noto soffre di gravi limitazioni nel nostro Paese.

Il TAR, infine, focalizza una differenza determinante fra il vecchio ed il nuovo Codice appalti: quella che nel D.Lgs. 163/2006 era una proposta finalizzata alla sua valutazione in rapporto al “pubblico interesse”, adesso è ricondotta – in maniera a nostro avviso appropriata – nei termini più precisi e circoscritti di una valutazione di “fattibilità” della proposta stessa.

Questa diversità di espressione, secondo il Tribunale – lungi dall’apparire meramente lessicale – indica, invece, un elemento di maggior tutela del proponente ed al contempo un obbligo di maggiore trasparenza per la P.A.. Laddove infatti nel precedente art. 153 del Codice la proposta spontanea del privato poteva (o meno) suscitare un interesse collettivo – a “libera” interpretazione dell’Amministrazione -, adesso, nella formulazione del nuovo art. 183, l’ambito di discrezionalità viene ristretto alla “valutazione di fattibilità”, che implica un giudizio che vira sulla discrezionalità tecnica, invece che sulla più ampia (ed ineffabile) discrezionalità amministrativa.

Ne consegue un obbligo motivazionale rafforzato, sotto il profilo tecnico e, di conseguenza, un dialogo necessariamente costruttivo (sempre sotto il profilo tecnico) tra il proponente e l’Amministrazione.

In definitiva, sembrano amplificarsi quelle ragioni di rispetto e tutela del proponente privato che costituiscono un fattore di rilancio dell’istituto del partenariato pubblico – privato, nella consapevolezza che solo il maggior rispetto delle proposte delle imprese, può contribuire ad eliminare la diffidenza endemica verso queste forme di sviluppo economico.

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Massimiliano Lombardo
Avv. Massimiliano Lombardo
Esperto e docente in materia di appalti pubblici
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