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1 Il principio di immodificabilita’ del raggruppamento temporaneo di imprese.

1.1 La Ratio del principio di immodificabilita’.

L’ “immodificabilita’ soggettiva” dei raggruppamenti temporanei di imprese costituisce il principio che impronta l’esecuzione degli appalti pubblici. La ratio si fa tradizionalmente discendere dalla necessita’ di garantire l’identita’ del soggetto esecutore dell’appalto, a salvaguardia della trasparenza delle operazioni di gara e della par condicio tra i concorrenti.

Coerentemente con quanto sopra, il comma 9 dell’articolo 37 sancisce che la definitiva “cristallizzazione” della composizione del RTI si determina a partire dal momento della presentazione dell’offerta, statuendo espressamente che “[…] e’ vietata qualsiasi modificazione alla composizione dei raggruppamenti temporanei rispetto a quella risultante dall’impegno presentato in sede di offerta”. Successivamente a questa fase, il RTI non potrebbe dunque subire alcuna modificazione che dipenda dalla volonta’ dei singoli componenti, pena l’annullamento dell’aggiudicazione o la nullita’ del contratto (cosi’ il comma 10 dell’art. 37). Da tale principio il legislatore fa tra l’altro conseguire il divieto di cessione (totale o parziale) del contratto d’appalto.

1.2 I necessari temperamenti al principio. La distinzione al RTI tra modifiche di stampo volontario e soggettivo e quelle di derivazione oggettiva.

Questo principio subisce tuttavia dei temperamenti necessari per tener conto di alcuni fatti che possono sopraggiungere tanto in fase di procedimento di gara che successivamente alla stipula del contratto d’appalto.

Di seguito si dara’ conto di alcune ipotesi nelle quali e’ consentita la modifica della composizione di un RTI.

In via preliminare occorre fare una doverosa distinzione tra le modifiche al RTI che dipendono dalla volonta’ delle imprese in raggruppamento (eventi “soggettivi”) e quelle conseguenti ad eventi non volontari che incidono sulla capacita’ imprenditoriale delle stesse, tali da non consentir loro la prosecuzione delle attivita’ (eventi “oggettivi”).

Ulteriore distinzione va fatta tra eventi che avvengano durante le fasi di gara ovvero in pendenza di esecuzione del contratto d’appalto.

A tale riguardo, con riferimento agli eventi di stampo volontari, e’ necessario chiarire immediatamente come esse siano ammissibili unicamente nel corso del procedimento di gara (fatte salve le ipotesi di fusione, scissione o cessione come si vedra’ meglio piu’ avanti).

In costanza di esecuzione, il RTI non e’ piu’ modificabile se non per eventi di carattere oggettivo conseguenti al fallimento (od all’ammissione al concordato preventivo) di una delle imprese in RTI (con ulteriore distinzione tra gli effetti che le richiamate procedure concorsuali riverberano nei confronti rispettivamente della mandataria e/o della mandante). L’art. 37 comma 9, nel disporre il divieto di modificazione del RTI, fa infatti espressamente salve le ipotesi di cui ai commi 18 e 19 (rispettivamente riguardanti il fallimento della mandataria e della mandante).

2 Le modificazioni soggettive.

Tra le modifiche di stampo soggettivo, si possono richiamare il comma 12 dell’articolo 37 il quale consente (relativamente alle procedure ristrette, alle negoziate ed al dialogo competitivo) che il soggetto invitato individualmente presenti offerta quale mandatario di un costituendo RTI. Un’altra ipotesi si ricava dall’articolo 92 comma 5 del D.P.R. 5 ottobre 2010 n. 207 (il “Regolamento”) che prevede l’ipotesi della cooptazione da parte di un’impresa singola o da parte di imprese raggruppande le quali siano in possesso dei requisiti richiesti dal Bando ed intendano associare altre imprese qualificate anche per categorie ed importi diversi da qualli richiesti nel bando, a condizione che i lavori eseguiti da queste ultime non superino il venti per cento dell’importo complessivo dei lavori e che l’ammontare complessivo delle qualificazioni possedute da ciascuna sia almeno pari all’importo dei lavori che saranno ad essa affidati. 

2.1 Le modificazioni soggettive da “recesso” dal RTI in fase di gara.

La giurisprudenza ha ammesso la possibilita’ del recesso da parte di un membro del RTI che intervenga nel corso di un procedimento di gara.

Coerentemente con la ratio del principio di immodificabilita’ soggettiva del RTI e con l’esigenza di tutelare la trasparenza e la par condicio tra i concorrenti alla Gara, la giurisprudenza ravvisa la ratio del divieto di modificazione nella necessita’ di evitare che si “inseriscano” nell’esecuzione dell’appalto soggetti non sottoposti a preventiva verifica in merito al possesso dei necessari requisiti.

Da qui, secondo il Giudice Amministrativo, consegue l’ammissibilita’ nel corso del procedimento di gara del recesso volontario di una delle imprese dal raggruppamento, in quanto attivita’ che di per se’ non comporta una nuova verifica in merito al possesso dei requisiti, con l’unica condizione che il RTI continui nel suo complesso a soddisfare le prescrizioni del Bando e dei documenti di Gara. Non sono pertanto ammissibili la sostituzione e/o l’aggiunta di componenti del raggruppamento.

In questo senso, Cons. Stato, Sez. VI, 16/02/2010, n. 842 sottolinea come “l’immodificabilità mira a garantire conoscenza piena, per la p.a., dei soggetti che intendono concorrere, consentendo una verifica preliminare dei requisiti di idoneità morale, tecnico organizzativa ed economico finanziaria, che andrebbe vanificata in ipotesi di ammissione di concorrenti “a geometria variabile”. Tale essendo il fine della norma, è di evidenza come la frustrazione della finalità legislativa possa verificarsi nelle sole ipotesi di aggiunta o di sostituzione delle imprese partecipanti, non anche in quelle che conducono al recesso di una delle imprese raggruppate o consorziate. In tali casi è ammissibile il recesso del concorrente, subordinatamente alla persistenza in capo alle rimanenti imprese, raggruppate o consorziate, dei requisiti di partecipazione di cui alla legge di gara” (in senso conformeCdS Sez. VI, sent. n. 2964 del 13-05-2009).

Al contrario, modificazioni di carattere oggettivo quali il fallimento (o l’ammissione al concordato preventivo) che intervengano in questa fase a carico di una impresa in raggruppamento temporaneo di imprese, determineranno, come si vedra’ meglio piu’ avanti, la perdita del requisito soggettivo “generale” (o d’ordine pubblico) richiesto, con conseguente esclusione del RTI.

2.2 Le modifiche soggettive conseguenti ad operazioni di trasformazione (cessione, affitto, fusione, scissione).

Tra gli atti modificativi del RTI dipendenti dalla volonta’ o comunque riconducibili ad una scelta dai singoli raggruppati, meritano di essere ricordate le operazioni di fusione o di scissione che interessino uno dei membri del RTI ovvero la cessione di azienda.

In linea di massima questi fenomeni non incidono sulla capacita’ di partecipazione alla gara od alla prosecuzione dell’esecuzione del contratto d’appalto.

Una doverosa distinzione va comunque effettuata tra l’ipotesi di fusione o di scissione da quella afferente la cessione o l’affitto di ramo d’azienda.

I primi due fenomeni, infatti, implicano una successione a titolo universale (e, quindi, una sostanziale continuita’ tra il soggetto incorporato e l’incorporante). La cessione o l’affitto importano, invece, un effetto traslativo dei requisiti e delle posizioni contrattuali che siano espressamente previste nell’atto di cessione stesso. Occorrera’ quindi maggiore rigore nella verifica del possesso dei requisiti da parte del cessionario o dell’affittuario del ramo d’azienda interessato.

L’art. 51 del Codice disciplina le conseguenze che tali operazioni possono avere durante la fase di gara prevedendo che “qualora i candidati o i concorrenti, singoli, associati o consorziati, cedano, affittino l’azienda o un ramo d’azienda, ovvero procedano alla trasformazione, fusione o scissione della società, il cessionario, l’affittuario, ovvero il soggetto risultante dall’avvenuta trasformazione, fusione o scissione, sono ammessi alla gara, all’aggiudicazione, alla stipulazione, previo accertamento sia dei requisiti di ordine generale, sia di ordine speciale, nonché dei requisiti necessari in base agli eventuali criteri selettivi utilizzati dalla stazione appaltante ai sensi dell’articolo 62, anche in ragione della cessione, della locazione, della fusione, della scissione e della trasformazione previsti dal presente codice”.

Il Cons. Stato, Sez. V, 23/07/2010 n. 4849, in conferma della sentenza del T.a.r. Sardegna – Cagliari, sez. I, n. 1047/2009, ha, al riguardo, cosi’ pronunziato: “l’art. 51 del codice dei contratti pubblici  […] derogando al principio dell’immodificabilità soggettiva delle imprese che partecipano alla procedura, identifica le ipotesi consentite di modificazioni in progress dell’organizzazione produttiva o della natura giuridica del concorrente o dell’offerente, subordinando, a seconda dei casi, l’ammissione alla procedura, l’aggiudicazione o la stipulazione del contratto alla verifica dei requisiti di partecipazione nei confronti del soggetto risultante dalle operazioni consentite. Si vuole così evitare che l’amministrazione aggiudicatrice concluda il contratto con operatori economici che non abbiano partecipato alla gara e nei confronti dei quali non sia stata effettuata la verifica del possesso dei requisiti di ordine generale e di ordine tecnico ed economico-finanziario”.

L’art. 116 del Codice (che disciplina l’impatto che tali vicende hanno sull’esecutore del contratto), testualmente prevede che “tali operazioni di trasformazione, fusione o scissione non hanno effetto nei confronti della stazione appaltante sino a quando il cessionario, ovvero il soggetto risultante dall’avvenuta trasformazione, fusione o scissione, non abbia proceduto nei confronti del Committente alle comunicazioni previste dall’articolo 1 del DPCM 187 del 1991 e non abbia documentato il possesso dei requisiti di qualificazione previsti dal Codice”.

Nella prassi si pone spesso la questione se sia o meno necessario procedere ad una “rinnovazione” del RTI che abbia visto uno dei suoi componenti interessato da una delle operazioni sopra richiamate. A questo riguardo, tendenzialmente, dovrebbe evitarsi di costringere gli appaltatori a rinnovare dei rapporti di mandato che sono validi ed efficaci anche dopo l’intervenuta operazione di cessione, fusione o scissione.

Questo innanzitutto perche’ la norma non impone in questi casi di “rinnovare” o “modificare” il RTI presupponendo, al contrario, il trapasso in capo al cessionario, ovvero al soggetto risultante dall’operazione di fusione o scissione, di ogni relativa posizione giuridica attiva e passiva. E, ragione non del tutto secondaria, perche’ costringendo le imprese a rinnovare degli RTI fatti a suo tempo, si costringono queste ultime ad affrontare perdite di tempo e costi che non appaiono francamente giustificabili anche alla luce del principio di non aggravamento del procedimento.

3. Le modifiche oggettive al RTI che non dipendono dalla manifestazione di volonta’ delle imprese raggruppate. Il fallimento ed il concordato preventivo.

Tra le modifiche che incidono sulla composizione del RTI ma non dipendenti dalla volonta’ dell’impresa raggruppata si devono annoverare la perdita della capacita’ imprenditoriale dell’azienda dipendente da fallimento o da concordato preventivo. In questa sede, per semplicita’, si considereranno le richiamate procedure concorsuali come sostanzialmente equivalenti. Il concordato preventivo, infatti, benche’ in teoria non assimilabile al fallimento quanto alla disciplina ed agli effetti (non determinando di per se il venir meno della disponibilita’ dei beni, dei poteri degli amministratori e dell’esercizio dell’impresa) e’ nella pratica molto spesso produttivo di effetti analoghi che si verificano allorche’ la proposta di concordato preveda la liquidazione dell’impresa debitrice e la cessione dei beni.

In via preliminare occorre chiarire come il fallimento determini lo scioglimento del contratto d’appalto.

L’articolo 81 della Legge Fallimentare dispone, infatti che ”il contratto di appalto si scioglie per il fallimento di una delle Parti”.

La norma prevede anche la possibilita’ che il curatore fallimentare possa dichiarare la propria volonta’  di subentrare nel rapporto. Tuttavia tale ipotesi deve considerarsi non applicabile agli appalti pubblici in quanto il Codice dei Contratti pubblici prevede che il fallimento determini lo scioglimento automatico del rapporto con la societa’ fallita.

Circa il momento nel quale possa dirsi pendente una procedura concorsuale, la giurisprudenza ritiene non sufficiente una mera istanza creditoria, occorrendo quanto meno un pronunciamento istruttorio del giudice che accerti oggettivamente lo stato di insolvenza.

Cio’ premesso in termini generali, e’ necessario distinguere tra gli effetti del fallimento che coinvolgono la mandataria da quelli che coinvolgono la mandante.

4.  Il fallimento della mandataria.

4.1.1 Effetti sul procedimento di gara.

Il fallimento della mandataria in corso di procedura di gara fa venir meno gli elementi essenziali per l’aggiudicazione.

Si ritiene, infatti, generalmente non applicabile il disposto del comma 18 dell’art. 37 che consente il subentro solo per le attivita’ ancora da eseguire. Col fallimento in corso di gara, si determinera’ una condizione ostativa alla partecipazione alla gara d’appalto, venendo meno uno dei requisiti soggettivi richiesti per l’ulteriore coltivazione del procedimento, con la conseguente esclusione della fallita.

Sul punto il CdS (Sez. VI, 05-12-2008, n. 6038) cosi’ conclude: “… il divieto di modificazione della composizione delle associazioni temporanee rispetto a quella risultante dall’impegno presentato in sede di offerta impedisce tale subentro e non può essere applicato l’art. 94 del D.P.R. n. 554/99, che attiene al fallimento intervenuto nella fase di esecuzione dell’appalto, e non in quella di partecipazione alla gara (Cons. Stato, V, n. 4350/2003). Ogni eccezione al principio di immodificabilità dell’offerta e della composizione dei partecipanti dopo l’offerta non può che essere applicata restrittivamente alle sole ipotesi espressamente disciplinate dal legislatore e, tra queste, non rientra il caso del fallimento della mandataria di una Ati intervenuto in corso di gara. […]. Di conseguenza, […], legittimamente l’amministrazione non ha consentito tale subentro ed ha annullato l’aggiudicazione provvisoria”.

Sul punto si era registrato un contrasto giurisprudenziale. In senso favorevole all’estensione del principio di cui all’art. 37 comma 19 anche in fase di gara, si era ad esempio pronunciato il TAR Campania Napoli (Sez. I, 06/11/2009, n. 7008). 

In argomento e’ intervenuta l’Adunanza Plenaria del C.d.S. che nella sentenza 15 aprile 2010 n. 2155 ha ribadito come … “In primo luogo, appare inconferente il richiamo all’art. 94 del d.P.R. nr. 554 del 1999, il quale attiene alle modifiche soggettive del raggruppamento ed alla possibilità che questo porti avanti i lavori previo accertamento da parte della stazione appaltante sulla sua idoneità nella nuova (e, in ipotesi, più ristretta) composizione: tale norma, infatti, si riferisce palesemente a una valutazione in ordine alla persistenza in capo al r.t.i. aggiudicatario dei requisiti di capacità tecnica ed economica richiesti dal bando di gara, che presiedono, garantendola, all’esecuzione della prestazione, sicché deve escludersene l’applicabilità ad un’area del tutto diversa nella struttura e nella finalità quale è quella sottesa al possesso di requisiti soggettivi prescritti dalla legge per la partecipazione alle gare […].

4.1.2 Effetti sul mandato.

Occorre ora considerare le modificazioni di carattere oggettivo che intervengano in costanza di esecuzione del contratto.

Preliminarmente occorre richiamare quanto disposto dall’art. 1723 del codice civile che stabilisce l’irrevocabilita’ da parte del mandante del c.d. mandato “in rem propriam”, ossia conferito anche nell’interesse del mandatario.

L’art. 1726 cod. civ. a proposito del mandato collettivo, stabilisce poi che la revoca del mandato collettivo non ha effetto se non e’ fatta da tutti i mandanti.

Come noto, il comma 8 dell’art. 37 D. Lgs. 163 del 2006 (di seguito “Codice dei Contratti Pubblici”), definisce come “mandato collettivo” quello conferito alla mandataria capogruppo dagli operatori economici partecipanti al RTI.

Il comma 15 del medesimo articolo qualifica espressamente il mandato come “irrevocabile” e “la sua revoca  per giusta causa non ha effetto nei confronti della stazione appaltante”.

L’art. 78 della Legge Fallimentare (“L.F.”) stabilisce invece che il mandato si scioglie per effetto del fallimento della mandataria.

Occorre dunque coordinare il principio di automatico scioglimento del mandato che deriva dall’art. 78 della L.F. con quello della sua irrevocabilita’ stabilita dalle norme che regolano gli appalti pubblici.

Sul punto si e’ registrato una interessante elaborazione giurisprudenziale che ha escluso che il mandato sia irrevocabile. Esso, infatti, non sarebbe qualificabile come “in rem propriam” perche’ conferito non nell’interesse della mandataria ma del committente. Di tal che, per effetto del fallimento, il mandato si scioglie.

La Cassazione con sentenza 13-09-2007, n. 19165  ha, a tale riguardo, stabilito: “come questa Corte ha avuto occasione di affermare ripetutamente (cass. n. 421/2000, 1396/2003 e 5950/2003) se, per quanto si è ora osservato, l’impresa fallita non può più concorrere all’esecuzione dell’appalto, viene meno il presupposto che giustifica la sua partecipazione all’associazione temporanea e quindi al rapporto di mandato sul quale tale associazione si basa. Del resto tale conclusione, imposta da insuperabili esigenze di logica giuridica, è anche coerente con il principio dettato dall’art. 78 L. Fall., secondo il quale il mandato si scioglie per il fallimento di una delle parti. Nè tale principio può soffrire deroga per il fatto che il mandato di cui si tratta dovrebbe ritenersi conferito in rem propriam e, quindi, in applicazione analogica dell’art. 1723 c.c., comma 2, possa sopravvivere alla dichiarazione di fallimento di una parte. Infatti, in primo luogo, deve escludersi che l’irrevocabilità del mandato prevista dal del D.Lgs. n. 1396 del 2001, art. 23, comma 8, sia stabilita nell’interesse del mandatario, risultando evidente che la norma citata ha stabilito l’irrevocabilità nell’esclusivo interesse dell’amministrazione appaltante, e, in secondo luogo, la sopravvivenza del mandato in rem propriam alla morte e alla perdita di capacità nonchè, come generalmente si ritiene, anche al fallimento, prevista dall’art. 1723, 2 comma c.c. riguarda l’ipotesi in cui tali eventi colpiscono il mandante e non anche il mandatario”.

4.1.3 Effetti sul contratto d’appalto.

Dunque, chiarito che per effetto del fallimento il mandato si estingue, occorre chiarire gli effetti che tale evento ha sull’esecuzione del contratto d’appalto.

Mentre le sorti del mandato sono evidentemente segnate, gli effetti sul contratto d’appalto sono superabili se si consideri il disposto del comma 18 dell’articolo 37 il quale dispone che, in caso di fallimento della mandataria “ovvero, qualora si tratti di imprenditore individuale, in caso di morte, interdizione, inabilitazione o fallimento del medesimo ovvero nei casi previsti dalla normativa antimafia, la stazione appaltante può proseguire il rapporto di appalto con altro operatore economico che sia costituito mandatario nei modi previsti dal presente codice purché abbia i requisiti di qualificazione adeguati ai lavori o servizi o forniture ancora da eseguire; non sussistendo tali condizioni la stazione appaltante può recedere dall’appalto”.

Il Legislatore del Codice ha sensibilmente ridotto la discrezionalita’ di cui la stazione appaltante godeva sotto la previgente disposizione dell’articolo 94 del D.P.R. 554  del 1999.

Il citato regolamento prevedeva, infatti, che ricorrendo l’ipotesi sopra richiamata, il Committente avesse la facolta’ di proseguire oppure di recedere dall’appalto.

Nel regime normativo attuale, il Committente puo’ invece recedere dall’appalto solo se l’operatore economico subentrante non sia costituito mandatario ovvero non sia in possesso dei requisiti economico finanziari  e tecnico organizzativi richiesti dalla legge o dal Bando di gara per rivestire tale qualita’.

Un recesso infatti che non fosse adeguatamente giustificato dalla mancanza dei requisti di idoneita’ in capo alla nuova mandataria sarebbe ingiustificato tanto relativamente alle altre mandanti del RTI (che riceverebbo un ingiustificato danno da recesso) che rispetto all’interesse pubblico a ricevere la prestazione contrattuale promessa.

Il “nuovo” mandatario potra’ essere sia un soggetto estraneo all’originario RTI che selezionato tra una delle imprese mandanti, la quale dovra’ quindi mutare la propria qualita’ da “mandante” a “mandataria” (in senso conforme Cons. Stato parere della commissione speciale del 22 gennaio 2008, n. Prot., 4575/2007 il quale testualmente afferma: “Non va condivisa la  tesi secondo cui il nuovo mandatario potrebbe essere solo un soggetto estraneo  all’originario raggruppamento, soluzione che non ha appiglio nel dato letterale  e che non ha, in sé, alcuna giustificazione razionale”).

In ogni caso (sia, cioe’, che si scelga un soggetto estraneo che uno dei membri del RTI) sara’ necessario un passaggio notarile con la costituzione del “nuovo” RTI e col conferimento di un nuovo mandato.

In termini operativi, il Committente non potra’ quindi continuare ad erogare i pagamenti in favore della mandataria fallita la quale avra’ diritto alla corresponsione dei corrispettivi relativi alle attivita’ eseguite sino al momento del fallimento.

Tuttavia, successivamente a tale evento (e per effetto dell’intervenuto scioglimento del mandato), la mandataria non potra’ piu’ pretendere di incassare i corrispettivi anche in nome e per conto delle mandanti (le quali potranno eventualmente agire autonomamente per il recupero delle somme).

4.2 Fallimento della mandataria di un RTI che sia composto da due soli soggetti.

Sul punto il CdS (Commissione Speciale Parere 22 gennaio 2008 n. 4575/2007) ha ritenuto non possa subentrare “l’unico mandante, ancorche’ abbia i requisiti di qualificazione in relazione alla residua parte di appalto ancora da eseguire, posto che l’articolo 37 comma 18 richiede la costituzione di un nuovo mandatario, prevedendo, percio’, che in ogni caso l’esecutore, che originariamente era una A.T.I., continui ad essere un’ATI, alla quale non puo’ subentrare un’impresa individuale”.  

5 Fallimento della mandante

5.1 Effetto sul procedimento di gara.

Mentre, stando alla richiamata Adunanza Plenaria 15 aprile 2010, il fallimento della mandante in corso di procedimento di gara dovrebbe determinare l’esclusione del RTI analogamente a quanto sopra illustrato a proposito del fallimento della mandataria, assai diversi sono gli effetti che l’evento riverbera sull’esecuzione del contratto d’appalto e sul contratto di mandato.

5.2 Effetti sul contratto d’appalto.

Circa gli effetti sul contratto d’appalto, in caso di fallimento della mandante ovvero, qualora si tratti di imprenditore individuale, in caso di morte, interdizione, inabilitazione o fallimento del medesimo ovvero nei casi previsti dalla normativa antimafia, il comma 19 dell’art. 37 prescrive che “il mandatario, ove non indichi altro operatore economico subentrante che sia in possesso dei prescritti requisiti di idoneità, è tenuto alla esecuzione, direttamente o a mezzo degli altri mandanti, purché questi abbiano i requisiti di qualificazione adeguati ai lavori o servizi o forniture ancora da eseguire”.

Ricorrendo tale circostanza, il mandatario sara’ dunque tenuto all’esecuzione dell’appalto direttamente o tramite le altre mandanti dotate dei necessari requisiti.

La mandataria potra’ anche eventualmente indicare un altro operatore economico che subentri in luogo della fallita, la quale dovra’ in ogni caso possedere i necessari requisiti economico finanziari o tecnico operativi ovvero la qualificazione indispensabile alla esecuzione delle attivita’.

Resta da chiarire il coordinamento tra l’art. 81 L. Fall. con la normativa degli appalti. Come noto, infatti, il richiamato art. 81 stabilisce che il contratto di appalto si scioglie per il fallimento di una delle parti, se il curatore non dichiara di voler subentrare nel rapporto.

La norma fa comunque epressamente salve le norme relative al contratto di appalto per le opere pubbliche. Quindi sara’ prevalente la disciplina speciale prevista dall’art. 37 comma 19 per il fallimento di una mandante.

5.3 Effetti sul mandato.

In merito, infine, agli effetti sul mandato, la dichiarazione di fallimento dell’impresa mandante comporta, con l’uscita di essa dal rapporto e dal concorso all’esecuzione dell’appalto, il venir meno, nei suoi confronti, dei poteri di rappresentanza dell’impresa mandataria capogruppo. Infatti, stando alla richiamata giurisprudenza della Suprema Corte, il mandato e’ conferito nell’interesse del Committente e non in quello della mandataria. Quindi, il fallimento della mandante non incide nelle garanzie che quest’ultimo (e, quindi, il fallimento) e’ tenuto a prestare verso il committente (verso il quale il mandato resta, appunto, irrevocabile).

Il curatore della mandante fallita potra’ invece agire autonomamente per ottenere il soddisfacimento dei crediti da essa vantati.

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Avv. Fabio Salierno
Esperto e docente in materia di appalti pubblici
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