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Analisi di pareri e pronunce su questioni attinenti all’attività contrattuale ed in genere all’azione amministrativa delle stazioni appaltanti


La rinegoziazione dei contratti prevista dal d.l. 66/2014 non costituisce un obbligo

Corte dei Conti, sezione regionale Lombardia, deliberazione del 21 gennaio 2015 n. 24

Indice

  1. Premessa
  2. I quesiti
  3. La modifica intervenuta in fase di conversione del decreto legge 66/2014
  4. Le considerazioni sulla finalità della norma      

1. Premessa

La sezione regionale della Lombardia viene escussa dal sindaco di un comune per ottenere un definitivo chiarimento in relazione al corretto modus agendi da adottare da parte delle stazioni appaltanti in relazione alle previsioni contenute nel decreto legge 66/2014 come convertito – con modifiche – nella legge n. 89/2014. In particolare, la questione sottoposta investe la problematica relativa alla riduzione della spesa corrente agendo – in riduzione – sui contratti di beni e servizi.

E’ noto che il decreto legge introduce una ipotesi di riduzione dei contratti in argomento che, concertate con altre misure,  rappresentano strumenti utilizzabili dalla stazione appaltante al fine di assicurare rilevanti risparmi di spesa.

La questione che la normativa ha posto è relativa alla corretta interpretazione del previsto obbligo di riduzione ovvero  se questa, nel misura del 5% dei contratti (di forniture e servizi in essere), debba  ritenersi un obbligo non disponibile dalla stazione appaltante (destinato ad essere subito, salvo risoluzione del contratto, da parte dell’appaltatore) o piuttosto una facoltà nel senso che, l’amministrazione, tra le varie misure di contenimento avrebbe comunque un potere di scelta valutando anche altri rilevanti interessi pubblici magari collegati all’importanza del servizio reso e/o similari.

2. I quesiti

Nel caso trattato dal consesso, i quesiti posti dal comune erano sostanzialmente due, ed in particolare:

  • se il combinato disposto dell’art. 8, comma 8, dell’art. 47 e della tabella A allegata al decreto legge n. 66 del 24 aprile 2014, così come risultanti dalla legge di conversione n. 89 del 23 giugno 2014 vada interpretato nel senso che la riduzione del 5% non si applica ai contratti riguardanti i servizi di raccolta, trasporto, conferimento e smaltimento dei rifiuti solidi urbani;
  • se nel conflitto tra l’interpretazione letterale della tabella A del decreto legge n. 66 del 2014, così come convertito in legge dalla legge 89 del 2014, e l’interpretazione teleologica legata agli obiettivi di conseguimento dei risparmi di spesa corrente non si debba dare prevalenza allo scopo dell’intervento normativo che dà vigore alla manovra economico finanziaria.

La sezione, già si anticipa, conferma quanto già evidenziato ovvero che la prescrizione normativa non impone una autentico obbligo ma una sorta di abilitazione/autorizzazione – al fine di raggiungere l’obiettivo di contenimento – ad incidere sui  contratti (di beni e servizi) in essere con la specifica di una allegato (all’articolo 47) che, a titolo esemplificativo – si annota nel parere -,   indica i contratti (tra gli altri) sui quali è possibile agire per ottenere i risparmi predetti.   

3. La modifica intervenuta in fase di conversione del decreto legge 66/2014

Secondo la sezione, nel passaggio dal decreto legge alla legge di conversione, in relazione a questo aspetto specifico non si possono rilevare mutamenti di previsione da parte del legislatore.

Quanto espresso equivale a dire che già in vigenza di decreto legge non si poteva parlare di un obbligo della stazione appaltante di procedere con la riduzione lineare dei contratti di beni e di servizi ma piuttosto di una possibilità che l’amministrazione doveva valutare in relazione ai propri obiettivi di contenimento delle spese.       

In questo senso, si legge nella deliberazione che “la ratio dell’intervento normativo in esame ed il suo inquadramento generale sono state già messe in luce da una recente deliberazione di questa Corte (deliberazione Sezione Puglia n. 147/PAR/2014). In merito al disposto dell’art. 8, comma 8, sopra richiamato, si è evidenziato come esso ha assunto l’attuale formulazione solo a seguito delle modifiche introdotte in sede di conversione del decreto legge citato”.

Secondo il collegio “la differente espressione utilizzata nelle due disposizioni (”le pubbliche amministrazioni…. per realizzare l’obiettivo loro assegnato sono: a) autorizzate…. a ridurre gli importi dei contratti in essere”……b) tenute ad assicurare che gli importi e i prezzi dei contratti ….. stipulati successivamente alla data di entrata in vigore del presente decreto non siano superiori a quelli derivati, o derivabili, dalle riduzioni di cui alla lettera a”) nonché la previsione della sanzione di cui al comma 9 solo per l’inosservanza delle disposizioni di cui alla lett b) inducevano a considerare la riduzione del 5% per i contratti in essere alla data di entrata in vigore del decreto come una mera facoltà, strumentale alla realizzazione degli obiettivi di riduzione di spesa di cui al comma 4 del medesimo decreto”.

Sotto si riportano i commi dell’articolo 8 del decreto legge a confronto con le disposizioni omologhe come convertite   

Art. 8, commi 8 e 9 del decreto legge 66/2014 ante conversione intervenuta con legge 89/2014   Art. 8, commi 8 e 9 del decreto legge 66/2014 post conversione intervenuta con legge 89/2014 – in grassetto parti introdotte –
8. Le amministrazioni pubbliche (…) per realizzare l’obiettivo loro assegnato (…), sono: a) autorizzate, a decorrere dalla data di entrata in vigore del presente decreto, a ridurre gli importi dei contratti in essere aventi ad oggetto acquisto o fornitura di beni e servizi, nella misura del 5 per cento, per tutta la durata residua dei contratti medesimi. Le parti hanno facoltà di rinegoziare il contenuto dei contratti, in funzione della suddetta riduzione. È fatta salva la facoltà del prestatore dei beni e dei servizi di recedere dal contratto entro 30 giorni dalla comunicazione della manifestazione di volontà di operare la riduzione senza alcuna penalità da recesso verso l’amministrazione. Il recesso è comunicato all’Amministrazione e ha effetto decorsi trenta giorni dal ricevimento della relativa comunicazione da parte di quest’ultima. In caso di recesso, le Amministrazioni di cui al comma 1, nelle more dell’espletamento delle procedure per nuovi affidamenti, possono, al fine di assicurare comunque la disponibilità di beni e servizi necessari alla loro attività, stipulare nuovi contratti accedendo a convenzioni-quadro di Consip S.p.A., a quelle di centrali di committenza regionale o tramite affidamento diretto nel rispetto della disciplina europea e nazionale sui contratti pubblici; b) tenute ad assicurare che gli importi e i prezzi dei contratti aventi ad oggetto acquisto o fornitura di beni e servizi stipulati successivamente alla data di entrata in vigore del presente decreto non siano superiori a quelli derivati, o derivabili, dalle riduzioni di cui alla lettera a), e comunque non siano superiori ai prezzi di riferimento, ove esistenti, o ai prezzi dei beni e servizi previsti nelle convenzioni quadro stipulate da Consip S.p.A, ai sensi dell’articolo 26 della legge 23 dicembre 1999, n. 488.   8. Fermo restando quanto previsto dal comma 10 del presente articolo e dai commi 5 e 12 dell’articolo 47, le pubbliche amministrazioni di cui all’articolo 11, comma 1, del decreto legislativo 14 marzo 2013, n. 33, per realizzare l’obiettivo loro assegnato ai sensi dei commi da 4 a 7, sono: a) autorizzate, a decorrere dalla data di entrata in vigore del presente decreto e nella salvaguardia di quanto previsto dagli articoli 82, comma 3-bis, e 86, comma 3-bis, del decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163, a ridurre gli importi dei contratti in essere nonché di quelli relativi a procedure di affidamento per cui sia già intervenuta l’aggiudicazione, anche provvisoria, aventi ad oggetto acquisto o fornitura di beni e servizi, nella misura del 5 per cento, per tutta la durata residua dei contratti medesimi. Le parti hanno facoltà di rinegoziare il contenuto dei contratti, in funzione della suddetta riduzione. E’ fatta salva la facoltà del prestatore dei beni e dei servizi di recedere dal contratto entro 30 giorni dalla comunicazione della manifestazione di volontà di operare la riduzione senza alcuna penalità da recesso verso l’amministrazione. Il recesso è comunicato all’Amministrazione e ha effetto decorsi trenta giorni dal ricevimento della relativa comunicazione da parte di quest’ultima. In caso di recesso, le pubbliche amministrazioni di cui all’articolo 11, comma 1, del decreto legislativo 14 marzo 2013, n. 33, nelle more dell’espletamento delle procedure per nuovi affidamenti, possono, al fine di assicurare comunque la disponibilità di beni e servizi necessari alla loro attività, stipulare nuovi contratti accedendo a convenzioni-quadro di Consip S.p.A., a quelle di centrali di committenza regionale o tramite affidamento diretto nel rispetto della disciplina europea e nazionale sui contratti pubblici; b) abrogato
9. Gli atti e i relativi contratti adottati in violazione delle disposizioni di cui al comma 8, lettera b), sono nulli e sono rilevanti ai fini della performance individuale e della responsabilità dirigenziale di chi li ha sottoscritti Abrogato

Il collegio, citando sempre la deliberazione n. 147/2014 della regione Puglia, evidenzia come nella sostanza il dato normativo non sia stato modificato nel senso che la prescrizione doveva essere intesa come una facoltà nel decreto legge e tale è rimasta nella legge di conversione. 

La riflessione, autorevolissima, a sommesso avviso non evidenzia che nel passaggio dal decreto alla legge di conversione è avvenuta in realtà una modifica di impostazione.

Se nel caso del decreto la rinegoziazione era prevista senza alcuna valutazione “discrezionale” da parte della p.a. ovvero con una  possibilità di agire unilateralmente una volta valutata l’azione necessaria ed indispensabile per assicurare il contenimento, nel provvedimento di conversione, il legislatore ha preferito meglio raccordare la prescrizione che, oggettivamente, riconduce la prerogativa della rinegoziazione nell’ambito di ipotesi di lavoro che la stazione appaltante può decidere di praticare senza che ne risulti effettivamente obbligata.

Risultano dirimenti in questo senso le precisazioni innestate nella prima parte  del comma 8 ovvero l’inciso “fermo restando quanto previsto dal comma 10 del presente articolo e dai commi 5 e 12 dell’articolo 47 (…)”.

Il richiamo in argomento chiarisce la criptica espressione riportata nel decreto legge con un riferimento preciso alla possibilità di utilizzare – se vi sono – alternative alla riduzione dei contratti.

E’ sufficiente una semplice lettura dei commi richiamati che sotto si riportano in sequenza.   

10 Le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano possono adottare misure alternative di contenimento della spesa corrente al fine di conseguire risparmi comunque non inferiori a quelli derivanti dall’applicazione del comma 4.

5. Le province e le città metropolitane possono rimodulare o adottare misure alternative di contenimento della spesa corrente, al fine di conseguire risparmi comunque non inferiori a quelli derivanti dall’applicazione del comma 2.

12. I Comuni possono rimodulare o adottare misure alternative di contenimento della spesa corrente, al fine di conseguire risparmi comunque non inferiori a quelli derivanti dall’applicazione del comma 9.

Altra annotazione che non può sfuggire e che la legge di conversione – ed in questo senso innovando il testo contenuto nella lettera a), del comma 8 – si autorizzano le amministrazioni anche a ridurre i contratti di servizi e forniture (per raggiungere gli obiettivi di contenimento) a condizione che vengano salvaguardate le disposizioni in tema di costi di lavoro/personale.

E più precisamente, viene richiamata l’esigenza  di salvaguardare  “quanto previsto dagli articoli 82, comma 3-bis, e 86, comma 3-bis, del decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163che, in sequenza, sotto si riportano.

3-bis. Il prezzo più basso è determinato al netto delle spese relative al costo del personale, valutato sulla base dei minimi salariali definiti dalla contrattazione collettiva nazionale di settore tra le organizzazioni sindacali dei lavoratori e le organizzazioni dei datori di lavoro comparativamente più rappresentative sul piano nazionale, delle voci retributive previste dalla contrattazione integrativa di secondo livello e delle misure di adempimento alle disposizioni in materia di salute e sicurezza nei luoghi di lavoro.

3-bis. Nella predisposizione delle gare di appalto e nella valutazione dell’anomalia delle offerte nelle procedure di affidamento di appalti di lavori pubblici, di servizi e di forniture, gli enti aggiudicatori sono tenuti a valutare che il valore economico sia adeguato e sufficiente rispetto al costo del lavoro e al costo relativo alla sicurezza, il quale deve essere specificamente indicato e risultare congruo rispetto all’entità e alle caratteristiche dei lavori, dei servizi o delle forniture. Ai fini del presente comma il costo del lavoro è determinato periodicamente, in apposite tabelle, dal Ministro del lavoro e della previdenza sociale, sulla base dei valori economici previsti dalla contrattazione collettiva stipulata dai sindacati comparativamente più rappresentativi, delle norme in materia previdenziale ed assistenziale, dei diversi settori merceologici e delle differenti aree territoriali. In mancanza di contratto collettivo applicabile, il costo del lavoro è determinato in relazione al contratto collettivo del settore merceologico più vicino a quello preso in considerazione.

Non v’è dubbio, a parere di chi scrive, che a fronte di una previsione (prescindendo dalla sua obbligatorietà o meno) della possibilità di utilizzare uno strumento (rinegoziazione) in modo unilaterale, il legislatore – forse anche per effetto dei molteplici rilievi già espressi dagli uffici legislativi delle camere – abbia voluto introdurre una sorta di dialettica contrattuale preventiva alla praticabilità della riduzione. Ovvero, una previa verifica da parte del RUP se le prescrizioni appena richiamate, oggettivamente, venivano salvaguardate ponendo, a ben vedere, la possibilità all’affidatario di interloquire e, se del caso,  di rilevare che la riduzione richiesta – a pena, tra l’altro, di risoluzione del contratto – non era da ritenersi congrua ed accettabile alla luce dei principi superiori in tema di idoneità dell’offerta rispetto a costi fissi non negoziabili.

Per ciò stesso, evidentemente, alcuni contratti non si prestano assolutamente alla rinegoziazione (si pensi in particolare ai contratti di servizi ad altra concentrazione di manodopera) ed in altri l’amministrazione dovrà adeguatamente motivare se una rinegoziazione non possa determinare un peggioramento sostanziale delle prestazioni a scapito quindi degli stessi interessi pubblici che presidiano l’attività contrattuale.

Appare evidente che una lettura della norma in questo senso determinerà in realtà, non un taglio lineare ma una maggior oculatezza in fase di programmazione degli acquisti.  

4. Le considerazioni sulla finalità della norma       

Si legge in delibera, infine, che la disposizione si inserisce nel solco della già collaudata legislazione spending review, non a caso il decreto legge 66/2014 è anche conosciuto come terzo decreto spending.

In sostanza, il legislatore avrebbe disegnato un microsistema normativo con un chiaro obiettivo di ottenere un rilevante contenimento nella spendita di risorse pubbliche.

Sul punto, nel parere si evidenzia che “la disciplina in esame, infatti, si inserisce nel solco delle disposizioni finalizzate alla razionalizzazione e revisione della spesa attraverso il contenimento degli acquisti già introdotte con d.l. 95/2012 conv. in l. 135/2012 (che, peraltro, nel contemplare, per gli enti del servizio sanitario, una fattispecie analoga a quella del d.l. 66/94 si esprime in termini di obbligatorietà della riduzione). In questo senso, assume rilevanza l’art 1 comma 13 d.l. 95/2012 ove si sancisce: “Le amministrazioni pubbliche che abbiano validamente stipulato un autonomo contratto di fornitura o di servizi hanno diritto di recedere in qualsiasi tempo dal contratto, previa formale comunicazione all’appaltatore con preavviso non inferiore a quindici giorni e previo pagamento delle prestazioni già eseguite oltre al decimo delle prestazioni non ancora eseguite, nel caso in cui, tenuto conto anche dell’importo dovuto per le prestazioni non ancora eseguite, i parametri delle convenzioni stipulate da Consip S.p.A. ai sensi dell’articolo 26, comma 1, della legge 23 dicembre 1999, n. 488 successivamente alla stipula del predetto contratto siano migliorativi rispetto a quelli del contratto stipulato e l’appaltatore non acconsenta ad una modifica delle condizioni economiche tale da rispettare il limite di cui all’articolo 26, comma 3 della legge 23 dicembre 1999, n. 488. Ogni patto contrario alla presente disposizione e’ nullo. Il diritto di recesso si inserisce automaticamente nei contratti in corso ai sensi dell’articolo 1339 c.c., anche in deroga alle eventuali clausole difformi apposte dalle parti”.

Secondo la sezione proprio Il raffronto tra la diposizione di cui all’art 8 comma 8 lett. a) e quella di cui all’art 1 comma 13 d.l. 95/2012 consente di individuare un’omogeneità del modus operandi del legislatore che, allo scopo di raggiungere l’obiettivo di riduzione dei costi per acquisti e forniture, incide sui contratti in essere, in deroga ai principi civilistici in tema di accordo (artt. 1372 e ss c.c.) ed attribuendo ex lege alla parte pubblica poteri di modifica o di risoluzione unilaterale del contratto; in entrambi i casi l’esercizio di siffatto potere viene rimesso alla valutazione discrezionale dell’Ente (esprimendosi la legge in termini di diritto di recesso o di autorizzazione alla riduzione dell’importo), fermo restando l’obbligo di perseguimento dell’obiettivo di fondo della contrazione dei costi.

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Questo articolo è stato scritto da...

Dott. Stefano Usai
Vice segretario del Comune di Terralba (Or)
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