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La Corte di Cassazione richiede una tutela effettiva dell’assicurato.

Premessa

Qual è la portata innovativa della clausola claims made?

Una tale impostazione opera una deroga al modello di assicurazione della responsabilità civile delineato dall’art. 1917, primo comma, c.c., poiché la copertura assicurativa viene ad operare non “in relazione a tutte le condotte, generatrici di domande risarcitorie, insorte nell’arco temporale di operatività del contratto, quale che sia il momento in cui la richiesta di danni venga avanzata” (modello c.d. loss occurrence o act committed), bensì in ragione della circostanza che nel periodo di vigenza della polizza intervenga la richiesta di risarcimento da parte del terzo danneggiato (il c.d. claim) e che tale richiesta sia inoltrata dall’assicurato al proprio assicuratore.

Se questo è lo schema essenziale al quale si ispira il sistema c.d. “claims made” (letteralmente: “a richiesta fatta”), esso trova poi concretizzazione, nella prassi assicurativa, in base a più varianti, la cui riduzione alle due categorie più generali della claims “pura” (siccome imperniata sulle richieste risarcitorie inoltrate nel periodo di efficacia della polizza, indipendentemente dalla data di commissione del fatto illecito) e della claims “impura” (o mista: poiché operante là dove tanto il fatto illecito quanto la richiesta risarcitoria intervengano nel periodo di efficacia del contratto, con possibile retrodatazione della garanzia alle condotte poste in essere anteriormente) è frutto unicamente di convenzionale semplificazione, la quale, tuttavia, non può elidere la complessità del fenomeno.

Complessità che si apprezza, anzitutto, proprio a motivo di quelle varianti cui si faceva cenno, che introducono ulteriori previsioni pattizie orientate in più direzioni: per un verso, volte a rendere effettiva la copertura assicurativa rispetto a claims intervenute anche in un certo arco temporale successivo alla scadenza del contratto (cd. sunset clause o clausola di ultrattività o di “postuma”); per altro verso, dirette a consentire all’assicurato, in aggiunta alla richiesta del danneggiato, di comunicare all’assicuratore, ai fini di operatività della polizza, anche le circostanze di fatto conosciute in corso di contratto e dalle quali potrebbe, in futuro, originarsi la richiesta risarcitoria (c.d. deeming clause).

La sentenza della Corte di Cassazione a Sezioni Unite Civile che più di ogni altra segna una svolta verso un’accurata tutela dell’assicurato nel caso di una polizza di responsabilità civile terzi il cui sinistro è la richiesta danni, è la numero 22437 del 24 settembre 2018.

questa la massima:

Il modello dell’assicurazione della responsabilità civile con clausole “on claims made basis“, che è volto ad indennizzare il rischio dell’impoverimento del patrimonio dell’assicurato pur sempre a seguito di un sinistro, inteso come accadimento materiale, è partecipe del tipo dell’assicurazione contro i danni, quale deroga consentita al primo comma dell’art. 1917 c.c., non incidendo sulla funzione assicurativa il meccanismo di operatività della polizza legato alla richiesta risarcitoria del terzo danneggiato comunicata all’assicuratore.

Ne consegue che, rispetto al singolo contratto di assicurazione, non si impone un test di meritevolezza degli interessi perseguiti dalle parti, ai sensi dell’art. 1322, secondo comma, c.c., ma la tutela invocabile dal contraente assicurato può investire, in termini di effettività, diversi piani, dalla fase che precede la conclusione del contratto sino a quella dell’attuazione del rapporto, con attivazione dei rimedi pertinenti ai profili implicati, ossia (esemplificando): responsabilità risarcitoria precontrattuale anche nel caso di contratto concluso a condizioni svantaggiose; nullità, anche parziale, del contratto per difetto di causa in concreto, con conformazione secondo le congruenti indicazioni di legge o, comunque, secondo il principio dell’adeguatezza del contratto assicurativo allo scopo pratico perseguito dai contraenti; conformazione del rapporto in caso di clausola abusiva (come quella di recesso in caso di denuncia di sinistro)”.

Tale enunciazione di diritto ha in effetti condizionato il parere successivo dei nostri Ermellini.

L’intervento delle Sezioni Unite nasce da una profonda esigenza di chiarezza manifestatasi nell’ordinanza interlocutoria numero 1465 del 19 gennaio 2018 della Sezione III civile:

“questo Collegio chiede alle Sezioni Unite di stabilire se siano corretti i seguenti princìpi:

(a) nell’assicurazione contro i danni non è consentito alle parti elevare al rango di “sinistri” fatti diversi da quelli previsti dall’art. 1882 c.c. t ovvero, nell’assicurazione della responsabilità civile, dall’art. 1917, comma primo, c.c.;

(b) nell’assicurazione della responsabilità civile deve ritenersi sempre e comunque immeritevole di tutela, ai sensi dell’art. 1322 c.c., la clausola la quale stabilisca che la spettanza, la misura ed i limiti dell’indennizzo non già in base alle condizioni contrattuali vigenti al momento in cui l’assicurato ha causato il danno, ma in base alle condizioni contrattuali vigenti al momento in cui il terzo danneggiato ha chiesto all’assicurato di essere risarcito”.

L’Ivass così ne riassume l’operatività.

Estensione della garanzia alle condotte poste in essere anteriormente (Art 11 della l Gelli prevede l’estensione dell’operatività temporale agli eventi accaduti nei dieci anni antecedenti la conclusione della polizza).

Estensione della garanzia alle condotte poste in essere successivamente alla scadenza del contratto (c.d. sunset clause o clausola di ultrattività o postuma prevista dalla legge Gelli in caso di cessazione definitiva dell’attività professionale).

Deeming clause consente all’assicurato di comunicare all’assicuratore anche le circostanze conosciute in corso di contratto dalla quale potrebbe originare la richiesta di risarcimento (c.d. denuncia del fatto noto).

Partiamo dalle condizioni di polizza.

La differenza con il loss occurance

Il rischio nell’assicurazione di responsabilità civile è così definito dall’art. 1917, comma primo, c.c.: “nell’assicurazione della responsabilità civile l’assicuratore è obbligato a tenere indenne l’assicurato di quanto questi, in conseguenza del fatto accaduto durante il tempo dell’assicurazione, deve pagare a un terzo, in dipendenza della responsabilità dedotta nel contratto”.

Secondo la previsione legislativa nell’assicurazione di responsabilità civile il rischio in astratto è l’impoverimento dell’assicurato; il “sinistro” (o rischio in concreto) è la causazione, da parte dell’assicurato, d’un danno a terzi del quale debba rispondere.

L’assicurazione della responsabilità civile è un sottotipo dell’assicurazione danni.

Se ne distingue perché la “cosa” esposta al rischio non è un bene determinato, ma il patrimonio dell’assicurato.

Per questa ragione la si definisce “assicurazione di patrimoni”, per distinguerla dalle “assicurazioni di cose”.

Normalmente la polizza di responsabilità civile terzi si divide fra

  • danni materiali: per morte, per lesioni personali e per danneggiamenti a cose;
  • perdite patrimoniali (pecuniarie):il pregiudizio economico subito da terzi che non sia conseguenza di Danni Materiali;

Nel primo caso questo è l’oggetto dell’assicurazione con le definizioni ed il contratto opera appunto, in funzione dell’articolo 1917, con il verificarsi dell’evento:

La Società si obbliga a tenere indenne l’Assicurato di quanto questi sia tenuto a pagare, quale civilmente responsabile ai sensi di legge, a titolo di risarcimento (capitale, interessi e spese) di danni involontariamente cagionati a terzi, per morte, per lesioni personali e per danneggiamenti a cose, in conseguenza di un fatto verificatosi in relazione all’attività svolta.

Le definizioni

Cosa: nel termine “cosa” devono ritenersi convenzionalmente ricompresi anche gli animali.

Danno fisico: Il pregiudizio, suscettibile di valutazione economica, conseguente a morte o a lesioni fisiche di una persona, ivi compreso i danni alla salute nonché il danno biologico e/o morale.

Danno materiale: Il pregiudizio, suscettibile di valutazione economica, conseguente a distruzione, rovina, deterioramento, totale o parziale di una cosa e quello conseguente a morte o a lesioni fisiche di un animale.

Sinistro

Il verificarsi del fatto dannoso per il quale è prestata la garanzia assicurativa.

Nel secondo caso, invece, il sinistro è la richiesta danni: questa assicurazione è prestata nella forma “CLAIMS MADE” ossia a coprire i Sinistri che producano gli effetti previsti in polizza e che abbiano luogo per la prima volta durante il Periodo di Assicurazione e siano notificati agli Assicuratori durante lo stesso periodo.

La Società si obbliga a tenere indenne l’Assicurato di quanto questi sia tenuto a pagare a titolo di risarcimento, quale civilmente responsabile a norma di legge per le perdite patrimoniali cagionate a terzi in conseguenza di un evento dannoso di cui l’Ente debba rispondere in relazione allo svolgimento dell’attività dichiarata in polizza

Evento dannoso: il fatto, l’atto, l’omissione, o il ritardo da cui scaturisce la richiesta di risarcimento;

Sinistro: il ricevimento di una richiesta di risarcimento per la quale è prestata l’Assicurazione;

  • i. domanda giudiziale di condanna al risarcimento dei danni, anche a seguito di una sentenza definitiva;
  • ii. azione civile di risarcimento danni promossa dalla parte civile nel processo penale nei confronti dell’amministrazione quale civilmente responsabile;
  • iii. qualsiasi richiesta scritta pervenuta all’Assicurato che contenga una richiesta di risarcimento dei danni;

Ai fini della presente polizza, le richieste di risarcimento derivanti da un singolo Evento Dannoso saranno considerate alla stregua di un una singola richiesta di risarcimento.

Denuncia di sinistro: la notifica inviata dall’Assicurato alla Società del verificarsi di un sinistro nei termini e nei modi stabiliti in Polizza;

Danno: qualsiasi pregiudizio subito da terzi suscettibile di valutazione economica;

Danni Materiali: il pregiudizio economico subito da terzi conseguente a danneggiamento di cose od animali, lesioni personali, morte;

Danni Erariali: il danno pubblico subito dall’erario, comprensivo della lesione di interessi pubblici anche non patrimoniali;

Perdite Patrimoniali: il pregiudizio economico subito da terzi che non sia conseguenza di Danni Materiali;

La nascita della clausola claims made

La clausola claim’s made venne escogitata da broker assicurativi statunitensi alla metà degli anni Ottanta, al fine di attenuare gli effetti t di un orientamento giurisprudenziale delle Corti di quel Paese, le quali ritennero che, nel caso di danni causati dalla diffusione di un farmaco rivelatosi dannoso, fossero obbligati a tenere indenne la ditta produttrice tutti gli assicuratori succedutisi dall’epoca di diffusione del farmaco, sino alla manifestazione dei suoi effetti: decisione che comportò ovviamente la responsabilità di tutti gli assicuratori che ebbero la sventura di assicurare la ditta produttrice dal 1942 al 1985, epoca della decisione (lo stabilì la Corte Suprema dell’Indiana con sentenza 12.9.1985, nel caso Eli Lilly contro The Home Insurance Company). Sicché è agevole concludere che la clausola claim’s made sorse per limitare i rischi, per l’assicuratore, derivanti dall’affermazione di princìpi giuridici inconcepibili nel nostro ordinamento. E’ ovvio che poi, esportata quella clausola, essa consentì risparmi di spesa: ma poiché nel nostro ordinamento non sono possibili condanne come quella del caso Eli Li//y, non sembra lecito sostenere che la clausola claim’s made evita “costi insostenibili”. Essa non è affatto quel baluardo contro il rischio di tracolli finanziari che certa dottrina vorrebbe far credere, ma è più banalmente una clausola conveniente per l’assicuratore: e va da sé che la validità dei contratti non si giudica in base alla loro convenienza per l’una o per l’altra parte.Sono ben note le ragioni storiche che hanno dato luogo, nell’ambito del mercato assicurativo, a partire da quello anglosassone e, poi, statunitense della prima metà degli ’80 del secolo scorso, alle clausole claims made, affermatesi – in estrema sintesi – come risposta all’aumento dei costi per indennizzo generato dall’espansione, qualitativa e quantitativa, della tutela risarcitoria, in particolar modo nell’area dei rischi c.d. lungo-latenti, ossia dei danni da prodotti difettosi, quelli ambientali e quelli da responsabilità professionale (segnatamente, in ambito di responsabilità sanitaria). Di qui, per l’appunto (come ricordato dalla citata sentenza n. 9140 del 2016), l’esigenza, avvertita dalle imprese di assicurazione, di circoscrivere l’operatività della assicurazione ai soli sinistri “reclamati” durante la vigenza del contratto, così da consentire alla compagnia “di conoscere con precisione sino a quando sarà tenuta a manlevare il garantito e ad appostare in bilancio le somme necessarie per far fronte ai relativi esborsi”, con evidente ulteriore agevolazione nel calcolo del premio assicurativo.

Volgendo per un momento lo sguardo a quelle aree di cultura giuridica più vicine al nostro ordinamento, non è superfluo evidenziare come l’assicurazione “on claims made basis” sia stata oggetto già da tempo, in alcuni Paesi (ad es., Francia, Spagna e Belgio), di riconoscimento a livello di diritto positivo, sebbene con modulazioni particolari e (come accenna la stessa ordinanza interlocutoria n. 1475 del 2018) quale risposta al sostanziale sfavore della giurisprudenza (seppure una tale dinamica non colga propriamente la realtà spagnola). In Francia, dapprima la legge 30 dicembre 2002-1577 (c.d. Loi About), in materia di responsabilità sanitaria, ha previsto che la relativa assicurazione possa prevedere clausole c.d. “base reclamation“, per cui l’operatività della garanzia presuppone la richiesta risarcitoria del danneggiato ed è modulata con la previsione di una retroattività  -12- illimitata ed una ultrattività (“garantie subséquente“) non inferiore a cinque anni ovvero di dieci anni per i medici liberi professionisti in caso di cessazione dell’attività o di decesso. Di poco successiva è stata, quindi, l’emanazione della legge 10 agosto 2003-706 (di “Securité Financieré“), che, novellando il Code des Assurances, ha introdotto, accanto alla assicurazione incentrata sul “fait dommageable” e per i soli rischi industriali e professionali, il meccanismo di garanzia “base reclamation”, imponendo, tuttavia, una durata quinquennale del relativo contratto. In Spagna, all’esito di un vivo dibattito dottrinale e giurisprudenziale sulla validità o meno delle claims made, il legislatore (modificando l’art. 73 della legge 8 novembre 1995, n. 30, sull’ordinamento delle assicurazioni private) ha introdotto le claims made come clausole “limitative” dei diritti dei contraenti deboli, configurandone l’ammissibilità in base a due tipologie: 1) quella (post- copertura) che estende la garanzia ad un periodo minimo di almeno un anno rispetto alla scadenza del contratto; 2) quella che estende la copertura in modo retroattivo, ad evento dannoso verificatosi prima della conclusione del contratto, ma con richiesta di risarcimento intervenuta durante la vigenza del contratto. Il dibattito rimane aperto (non sulla validità in astratto delle clausole claims made, ma) sulla qualificazione legislativa di “clausola limitativa dei diritti degli assicurati”, là dove la giurisprudenza (Trib. S. n. 2508/2014) sembra orientata a ritenere che le claims made siano piuttosto previsioni limitative dell’oggetto del contratto”. Infine, in Belgio, il meccanismo di garanzia improntato sulle clausole claims made è stato previsto dall’art. 78 della legge 25 giugno 1992 sul contratto di assicurazione terrestre, successivamente modellato (nel dicembre 1994) con una ultrattività di trentasei mesi dalla scadenza della polizza (“garantie de posteritè“) ed escluso per i c.d. rischi di massa.

L’intervento del legislatore italiano

Invero – ed è opportuno darne conto sin d’ora -, anche nel nostro ordinamento l’assicurazione secondo il modello delle clausole claims made ha trovato, assai di recente, espresso riconoscimento legislativo, a seguito degli interventi recati, in particolare, dagli artt. 11 della legge 8 marzo 2017, n. 24 e 3, comma 5, lett. e), del d.l. 13 agosto 2011, n. 138 (convertito, con modificazioni, dalla legge 14 novembre 2011, n. 148), come novellato dall’art. 1, comma 26, della legge 4 agosto 2017, n. 124.

La prima disposizione, concernente l’obbligo (previsto dall’art. 10 della medesima legge n. 24) di assicurazione delle strutture sanitarie per la responsabilità civile verso i terzi e i prestatori d’opera (che riguarda anche la stipula di polizze per la copertura della responsabilità civile verso terzi degli esercenti le professioni sanitarie di cui si avvalgano, ma non già dei sanitari “liberi professionisti”, ai sensi del comma 2 dello stesso art. 10, per i quali trova applicazione l’art. 3 innanzi citato), stabilisce, anzitutto, che la “garanzia assicurativa deve prevedere una operatività temporale anche per gli eventi accaduti nei dieci anni antecedenti la conclusione del contratto assicurativo, purché denunciati all’impresa di assicurazione durante la vigenza temporale della polizza”. La norma prevede, poi, che, in caso di “cessazione definitiva dell’attività professionale per qualsiasi causa”, la garanzia debba contemplare “un periodo di ultrattività della copertura per le richieste di risarcimento presentate per la prima volta entro i dieci anni successivi e riferite a fatti generatori della responsabilità verificatisi nel periodo di efficacia della polizza, incluso il periodo di retroattività della copertura”. Una tale ultrattività “è estesa agli eredi e non è assoggettabile alla clausola di disdetta”.

E’ evidente che il meccanismo presupposto dall’art. 11 in esame non sia quello legato al “fatto accaduto durante il tempo dell’assicurazione” di cui al primo comma dell’art. 1917 c.c., non avendo altrimenti ragion d’essere la previsione, al tempo stesso, di un periodo di retroattività e uno di ultrattività della copertura, sebbene, poi, la norma, in base alla sua formulazione letterale, evochi, per la copertura retroattiva, lo schema della deeming clause, innanzi richiamata, facendo riferimento alla sola “denuncia” dell’evento alla compagnia di assicurazione.

Il comma 5 dell’art. 3 del d.l. n. 138 del 2011 (convertito, con modificazioni, dalla legge n. 148 del 2011), novellato nel 2017, riguarda invece l’obbligo di “stipulare idonea assicurazione” posto a carico dell’esercente una libera professione in relazione ai rischi da questa derivanti.

Ferma la libertà contrattuale delle parti, le condizioni generali di polizza “prevedono l’offerta di un periodo di ultrattività della copertura per le richieste di risarcimento presentate per la prima volta entro i dieci anni successivi e riferite a fatti generatori della responsabilità verificatisi nel periodo di operatività della copertura”.

La previsione è, poi, resa applicabile “alle polizze assicurative in corso di validità alla data di entrata in vigore della presente disposizione”. Nel caso dell’illustrato comma 5, sembra evidente, quindi, che il meccanismo prefigurato sia quello di una clausola claims made su cui si viene ad innestare una sunset clause.

Non può non rammentarsi, infine, che, sulla scia dell’originario art. 3, comma 5, del d.l. n. 138 del 2011 (convertito, con modificazioni, dalla legge n. 148 del 2011) e del correlato art. 5 del d.P.R. 7 agosto 2012, n. 137, l’art. 12, comma 1, della legge 31 dicembre 2012, n. 247, sul nuovo ordinamento della professione forense, ha imposto agli avvocati analogo espresso obbligo di assicurazione per la responsabilità civile, demandando (comma 5) al Ministro della giustizia la previsione, e l’aggiornamento, delle condizioni essenziali e dei massimali minimi di polizza.

Ne è scaturito il d.m. 22 settembre 2016, il cui art. 2, rubricato “Efficacia nel tempo della copertura assicurativa”, ha stabilito, in linea con il sistema claims made (con variante sunset clause), che la “assicurazione deve prevedere, anche a favore degli eredi, una retroattività illimitata e un’ultrattività almeno decennale per gli avvocati che cessano l’attività nel periodo di vigenza della polizza”, con esclusione, in capo all’assicuratore, della facoltà di recesso dal contratto “a seguito della denuncia di un sinistro o del suo risarcimento, nel corso di durata dello stesso o del periodo di ultrattività”.

Da ultimo merita ricordare anche l’intervento legislativo sulla polizza del tecnico asseveratore per il super bonus 110%.

Così nella LEGGE 17 luglio 2020, n. 77, art 119 comma 14:

Ferma restando l’applicazione delle sanzioni penali ove il fatto costituisca reato, ai soggetti che rilasciano attestazioni e asseverazioni infedeli si applica la sanzione amministrativa pecuniaria da euro 2.000 a euro 15.000 per ciascuna attestazione o asseverazione infedele resa.

I soggetti di cui al primo periodo stipulano una polizza di assicurazione della responsabilità civile, con massimale adeguato al numero delle attestazioni o asseverazioni rilasciate e agli importi degli interventi oggetto delle predette attestazioni o asseverazioni e, comunque, non inferiore a 500.000 euro, al fine di garantire ai propri clienti e al bilancio dello Stato il risarcimento dei danni eventualmente provocati dall’attività prestata.

La non veridicità delle attestazioni o asseverazioni comporta la decadenza dal beneficio.

Si applicano le disposizioni della legge 24 novembre 1981, n. 689.

L’organo addetto al controllo sull’osservanza della presente disposizione ai sensi dell’articolo 14 della legge 24 novembre 1981, n. 689, è individuato nel Ministero dello sviluppo economico.

Con la legge di bilancio 2021 viene altresì aggiunto che “L’obbligo di sottoscrizione della polizza si considera rispettato qualora i soggetti che rilasciano attestazioni e asseverazioni abbiano già sottoscritto una polizza assicurativa per danni derivanti da attività professionale ai sensi dell’articolo 5 del regolamento di cui al decreto del Presidente della Repubblica 7 agosto 2012, n. 137, purché questa: a) non preveda esclusioni relative ad attività di asseverazione; b) preveda un massimale non inferiore a 500.000 euro, specifico per il rischio di asseverazione di cui al presente comma, da integrare a cura del professionista ove si renda necessario; c) garantisca, se in operatività di claims made, un’ultrattività pari ad almeno cinque anni in caso di cessazione di attività e una retroattività pari anch’essa ad almeno cinque anni a garanzia di asseverazioni effettuate negli anni precedenti.

In alternativa il professionista può optare per una polizza dedicata alle attività di cui al presente articolo con un massimale adeguato al numero delle attestazioni o asseverazioni rilasciate e agli importi degli interventi oggetto delle predette attestazioni o asseverazioni e, comunque, non inferiore a 500.000 euro, senza interferenze con la polizza di responsabilità civile di cui alla lettera a)”.

Gli assicurati, considerati parte debole del rapporto contrattuale, hanno un importante alleato: la Corte di Cassazione

Mettiamo ora in evidenza alcuni aspetti che la Corte di Cassazione a Sezioni Unite (sentenza   numero 22437 del 24 settembre 2018), ritiene fondamentali.

– La scelta è stata delle Compagnie di Assicurazione

Le clausole claims made, affermatesi – in estrema sintesi – come risposta all’aumento dei costi per indennizzo generato dall’espansione, qualitativa e quantitativa, della tutela risarcitoria, in particolar modo nell’area dei rischi c.d. lungo-latenti, ossia dei danni da prodotti difettosi, quelli ambientali e quelli da responsabilità professionale (segnatamente, in ambito di responsabilità sanitaria).

Di qui, per l’appunto l’esigenza, avvertita dalle imprese di assicurazione, di circoscrivere l’operatività della assicurazione ai soli sinistri “reclamati” durante la vigenza del contratto, così da consentire alla compagnia “di conoscere con precisione sino a quando sarà tenuta a manlevare il garantito e ad appostare in bilancio le somme necessarie per far fronte ai relativi esborsi”, con evidente ulteriore agevolazione nel calcolo del premio assicurativo.

– La responsabilità precontrattuale dell’assicuratore

La violazione di tali obblighi nella fase precontrattuale (artt. 1337 e 1338 c.c.) potrà assumere rilievo anche in ipotesi di contratto validamente concluso, allorquando si accerti che la parte onerata abbia omesso, nella fase delle trattative, informazioni rilevanti che avrebbero altrimenti, con un giudizio probabilistico, indotto ad una diversa conformazione del contratto stesso (Cass., 23 marzo 2016, n. 5762). Tanto a prescindere dalla eventualità stessa che la condotta scorretta abbia potuto dar luogo ad un vizio del consenso (art. 1427 c.c.), con tutte le relative conseguenze anche in termini di annullabilità del contratto ovvero di ristoro dei danni nell’ipotesi di dolo incidente (art. 1440 c.c.).

– Gli obblighi dell’assicuratore

Sul piano della fase prodromica alla conclusione del contratto secondo il modello della claims made, gli obblighi informativi sul relativo contenuto devono essere assolti dall’impresa assicurativa o dai suoi intermediari in modo trasparente e mirato alla tutela effettiva dell’altro contraente, nell’ottica di far conseguire all’assicurato una copertura assicurativa il più possibile aderente alle sue esigenze.

– La determinazione del premio di polizza

L’analisi dell’assetto sinallagmatico del contratto assicurativo rappresenta un veicolo utile per apprezzare se, effettivamente, ne sia realizzata la funzione pratica, quale assicurazione adeguata allo scopo (tale da superare le criticità innanzi ricordate: § 17), là dove l’emersione di un disequilibrio palese di detto assetto si presta ad essere interpretato come sintomo di carenza della causa in concreto dell’operazione economica. Ciò in quanto, come già affermato da questa Corte, la determinazione del premio di polizza assume valore determinante ai fini dell’individuazione del tipo e del limite del rischio assicurato, onde possa reputarsi in concreto rispettato l’equilibrio sinallagmatico tra le reciproche prestazioni.

– Equilibrio fra rischio e premio di polizza

Non è, dunque, questione di garantire, e sindacare perciò, l’equilibrio economico delle prestazioni, che è profilo rimesso esclusivamente all’autonomia contrattuale, ma occorre indagare, con la lente del principio di buona fede contrattuale, se lo scopo pratico del regolamento negoziale “on claims made basis” presenti un arbitrario squilibrio giuridico tra rischio assicurato e premio, giacché, nel contratto di assicurazioni contro i danni, la corrispettività si fonda in base ad una relazione oggettiva e coerente con il rischio assicurato, attraverso criteri di calcolo attuariale.

– Facoltà di recesso: Clausola abusiva

Quanto, infine, alla fase dinamica del rapporto assicurativo “on claims made basis“, si colloca su un piano di assoluta criticità – come del resto fatto palese, in guisa di ricognizione della prassi esistente, dalla normativa di settore innanzi richiamata (§ 10) – la clausola che attribuisce all’assicuratore la facoltà di recesso dal contratto al verificarsi del sinistro compreso nei rischi assicurati, la cui abusività si rivela tale in ragione della frustrazione dell’alea del contratto, che si viene a parametrare sul termine ultimo di durata della copertura assicurativa, rispetto alla quale i premi stessi sono calcolati e corrisposti.

Di qui, il vulnus destrutturante la funzionalità del contratto, non emendabile con la liberazione dell’assicurato dal versamento della parte dei premi residui.

– Il ruolo del giudice

Il regolamento contrattuale dovrà, quindi, modularsi, nell’assicurazione della responsabilità professionale, anzitutto in ragione della disciplina legale di base, che esprime un carattere imperativo, per essere non solo inderogabile in pejus, ma posta a tutela di interessi anche di natura pubblicistica, ossia la tutela del terzo danneggiato, che disvela il valore sociale dell’assicurazione.

Ne deriva che lo iato tra il primo e la seconda [per aver la stipulazione ignorato e/o violato quanto dalla legge disposto, come esito al quale può approdarsi alla luce, soprattutto (ma non solo), dell’indagine sull’equilibrio sinallagmatico anzidetto] comporterà la nullità del contratto, ai sensi dell’art. 1418 c.c. A tanto il giudice potrà porre rimedio, per garantire l’equo contemperamento degli interessi delle parti e prevenire o reprimere l’abuso del diritto (Cass., S.U., n. 9140 del 2016, citata), in forza della norma di cui al secondo comma dell’art. 1419 c.c., così da integrare lo statuto negoziale (non già tramite il modello della c.d. loss occurence di cui all’art. 1917, primo comma, c.c., bensì) attingendo quanto necessario per ripristinare in modo coerente l’equilibrio dell’assetto vulnerato dalle indicazioni reperibili dalla stessa regolamentazione legislativa. Regolamentazione che, per la sua imperatività, viene a somministrare delle “regole di struttura”, siccome orientate a rendere il contratto idoneo allo scopo, tenuto conto anzitutto delle esigenze dell’assicurato, oltre che delle ricordate istanze sociali.

Successivamente a questa importante sentenza, in altre occasioni, sempre il massimo giudice civile è intervenuto a favore degli assicurati.

Ne riportiamo alcuni sunti

Cassazione civile, sez. Lavoro, ordinanza 1 marzo 2021, n. 5540:

Il principio di solidarietà sociale, in combinato contesto con la clausola di buona fede, consente al giudice di rilevare la nullità di una clausola che determini a carico di una delle parti un “significativo squilibrio dei diritti e obblighi contrattuali”, ove ciò sia necessario per garantire l’equo contemperamento degli interessi delle parti e prevenire o reprimere l’abuso del diritto ma, anche, alla successiva SS.UU. n. 22437 del 2018 sullo stesso tema, la quale, ribadito che “l’equilibrio economico delle prestazioni … è profilo rimesso esclusivamente all’autonomia contrattuale”, consente tuttavia di “indagare, con la lente del principio di buona fede contrattuale, se lo scopo pratico del regolamento negoziale” e cioè la sua “causa in concreto” presenti “un arbitrario squilibrio giuridico tra rischio assicurato e premio” (nelle cc.dd. clausole on claims made).

Cassazione civile, sez. III, ordinanza 25 febbraio 2021, n. 5259:

La Suprema Corte censura l’impugnata pronuncia della Corte d’Appello, la quale, dopo aver dichiarato nulla la clausola “claims made“, ha poi automaticamente applicato al contratto assicurativo il regime della “loss occurance” di cui all’art. 1917, comma 1, c.c., essendosi illegittimamente astenuta dall’integrare, come affermano le Sezioni Unite n. 22437 del 2018, lo statuto negoziale secondo il meccanismo previsto dall’art. 1419 c.c., ossia avendo omesso di riportare ad equilibrio ciò che le parti contraenti avevano effettivamente voluto e che non poteva certo essere ricondotto alla realizzazione di un differente programma, fondato su uno schema negoziale (quello proprio dell’art. 1917 c.c.) che le parti avevano voluto, invece, espressamente, emendare e modificare.

Il Giudice di merito non può, infatti, sostituire a un contratto assicurativo “claims made” un contratto tipico assicurativo della responsabilità civile, prevaricando la autonomia negoziale e venendo in tal modo a costituire ex novo il regolamento contrattuale che risulta pertanto essere fondato su di un accordo inesistente, venendo quindi illegittimamente ad incidere sulla stessa fonte genetica del rapporto obbligatorio.

Cassazione civile, sez. III, sentenza 23 aprile 2020, n. 8117:

Effettivamente, la decisione impugnata non è conforme ai principi di diritto enunciati da questa Corte, a Sezioni Unite, in ordine alla validità ed alla operatività delle clausole cd. claims made contenute nei contratti di assicurazione della responsabilità civile, secondo i quali «il modello di assicurazione della responsabilità civile con clausole “on claims made basis“, quale deroga convenzionale all’art. 1917, comma 1, c.c., consentita dall’art. 1932 c. c., è riconducibile al tipo dell’assicurazione contro i danni e, pertanto, non è soggetto al controllo di meritevolezza di cui all’art. 1322, comma 2, c.c., ma alla verifica, ai sensi dell’art. 1322, comma 1, c.c., della rispondenza della conformazione del tipo, operata attraverso l’adozione delle suddette clausole, ai limiti imposti dalla legge, da intendersi come l’ordinamento giuridico nella sua complessità, comprensivo delle norme di rango costituzionale e sovranazionale; tale indagine riguarda, innanzitutto, la causa concreta del contratto sotto il profilo della liceità e dell’adeguatezza dell’assetto sinallagmatico rispetto agli specifici interessi perseguiti dalle parti, ma non si arresta al momento della genesi del regolamento negoziale, investendo anche la fase precontrattuale (in cui occorre verificare l’osservanza, da parte dell’impresa assicurativa, degli obblighi di informazione sul contenuto delle “claims made“) e quella dell’attuazione del rapporto (come nel caso in cui nel regolamento contrattuale “on claims made basis” vengano inserite clausole abusive), con la conseguenza che la tutela invocabile dall’assicurato può esplicarsi, in termini di effettività, su diversi piani, con attivazione dei rimedi pertinenti ai profili di volta in volta implicati» (Cass., Sez. U, Sentenza n. 22437 del 24/09/2018, Rv. 650461 01; in precedenza, nel medesimo senso: Cass., Sez. U, Sentenza n. 9140 del 06/05/2016, Rv. 639703 01).

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Dott.ssa Sonia Lazzini
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