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Premessa

Con il Decreto Legislativo n. 50 del 18 aprile 2016 (il “Codice”), è stato perfezionato l’iter di recepimento delle direttive comunitarie n. 23/2014/UE e n. 24/2014/UE, nel rispetto di quanto previsto dalla “Legge delega” (L. n. 11 del 28 gennaio 2016).

In particolare, il Codice, innovando rispetto al previgente D. Lgs. n. 163/2006 (il “vecchio Codice”), ha disciplinato le concessioni pubbliche che, così, trovano per la prima volta una sistemazione organica nell’ambito dell’ordinamento nazionale – così come per la prima volta erano state disciplinate dalla Direttiva n. 23/2014/UE in ambito comunitario.

In tale innovazione deve leggersi non soltanto l’esigenza normativa di razionalizzazione della materia, ma anche un  indiretto riconoscimento che l’istituto sta assumendo una importanza tale da meritare una dignità autonoma rispetto agli appalti, dei quali le concessioni sono sempre state considerate un ”di cui” normativo.

L’opera del legislatore si è basata non soltanto sulla trasposizione della Direttiva n. 23/2014/UE, ma anche su un attento riordino e semplificazione della giurisprudenza e della prassi che si erano formate in materia di concessioni pubbliche.

In questa breve sintesi non si affronteranno, in dettaglio, le problematiche afferenti l’aggiudicazione e l’esecuzione delle concessioni, ma si rifletterà sui tratti distintivi dell’istituto, attraverso l’analisi in parallelo della Direttiva n. 23/2014/UE, della Legge delega e del Codice; quest’ultimo letto anche alla luce del parere del Consiglio di Stato del 21 marzo 2016 e sulla scorta della ricognizione effettuata dal Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti nella “Tabella di concordanza relativa al decreto legislativo 18 aprile 2016, n. 50, recante: Attuazione delle direttive 2014/23/UE, 2014/24/UE e 2014/25/UE sull’aggiudicazione dei contratti di concessione, sugli appalti pubblici e sulle procedure d’appalto degli enti erogatori nei settori dell’acqua, dell’energia, dei trasporti e dei servizi postali, nonché per il riordino della disciplina vigente in materia di contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture”, pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale 19 aprile 2016, n. 91, in cui si da atto dei principi della Direttiva e della Legge delega recepiti dai vari articoli del Codice.

1. Le previsioni della Legge delega

Sin dalla Legge delega, a fronte della scarna disciplina contenuta nel D.Lgs. n. 163/2006 (il “”vecchio Codice”), che – sottraendo le concessioni per la gran parte all’ambito di applicazione del vecchio Codice, affidava l’evoluzione della materia principalmente all’elaborazione giurisprudenziale – si è imposta (art. 1, comma 1, lett. da hhh) a mmm) ) una armonizzazione e la semplificazione delle disposizioni vigenti, tale da dotare l’istituto materia di una disciplina organica.

In particolare, il legislatore delegato ha avuto il compito di disciplinare uniformemente le concessioni di cui all’art. 10 della Direttiva 2014/23/UE, cioè quelle afferenti i “settori speciali”.

Il Codice, quindi, nel disciplinare le concessioni, si è basato – oltre che sui principi generalissimi, applicabili a tutti i contratti pubblici, di apertura alla concorrenza ed alle piccole medie imprese, dell’innovazione tecnologica, della semplificazione, della sostenibilità e della trasparenza – anche a quelli, peculiari delle concessioni, del rispetto del piano economico e finanziario e dell’assunzione in capo al concessionario del c.d. “rischio operativo”.

Inoltre, è stata dettata una disciplina specifica in materia di affidamenti da parte dei soggetti pubblici e privati titolari di concessioni di lavori o di servizi pubblici – già esistenti o di nuova aggiudicazione – che sono tenuti ad affidare una quota pari all’80 per cento dei contratti di lavori, servizi e forniture relativi alle concessioni di importo superiore a 150.000 euro mediante procedura ad evidenza pubblica e, per la restante parte, possono eseguire lavori o servizi affidati tramite società in house per i soggetti pubblici ovvero da società direttamente o indirettamente controllate o collegate per i soggetti privati, ovvero tramite operatori individuati mediante procedure ad evidenza pubblica, anche di tipo semplificato.

Anche per tali affidamenti dei concessionari è prevista la verifica del rispetto delle disposizioni normative da parte dell’ANAC.

All’ANAC spetterà, inoltre, il compito di dare concreta attuazione – tramite l’emanazione delle linee guida – alle disposizioni normative, nonché quello di armonizzare le disposizioni del Codice e con il panorama normativo: in particolare, con le norme inerenti gli affidamenti dei servizi pubblici locali e con quelle afferenti le società a partecipazione pubblica – cioè i Decreti legislativi attuativi della c.d. “Riforma Madìa”, già annunciati e di prossima emanazione -.

Si vedrà che il Codice ha formalmente recepito tali principi, salva ovviamente la scelta di non disciplinare le concessioni idriche, elettriche e nel settore dell’energia che – come ricorda il Consiglio di Stato nel parere del 21 marzo 2016, emesso a commento della (allora) bozza del Codice – Trattasi di scelta, occorre ricordare, che rientra nella facoltà e quindi nella responsabilità del Governo; tuttavia, non può che segnalarsi, rinviando a quanto più ampiamente esposto nella parte generale, che l’omessa attuazione di parte della delega non può essere in prosieguo rimediata in sede di decreti correttivi, che possono solo apportare modifiche e correzioni alle disposizioni che hanno già attuato la delega, non operare un’attuazione ex novo di parti di delega non originariamente attuate.

Dunque, il parere del Consiglio di Stato sembra aver già posto una evidente criticità in ordine alle future problematiche di coordinamento della disciplina codicistica delle concessioni con quella “speciale” relativa ai predetti settori idrico, elettrico ed energetico, definiti dallo stesso Governo come “nodali” ai fini dello sviluppo del Paese, tanto da meritare una regolamentazione ad hoc (in quanto sevizi pubblici locali) nell’ambito più ampio della riforma dell’Amministrazione. 

Infine, la Legge delega impone l’introduzione di clausole sociali per la stabilità del personale impiegato e per la salvaguardia delle professionalità … prevedendo, per le concessioni già in essere, un periodo transitorio di adeguamento non superiore a ventiquattro mesi ed escludendo dal predetto obbligo unicamente le concessioni in essere o di nuova aggiudicazione affidate con la formula della finanza di progetto e le concessioni in essere o di nuova aggiudicazione affidate con procedure di gara ad evidenza pubblica.

2. Il nuovo Codice: principi ispiratori e tecnica normativa

Le disposizioni che regolano le concessioni, quindi, sono inserite nella parte III del Codice e riprendono in gran parte quelle contenute nella Direttiva 2014/23/UE, anche per quanto concerne la struttura della norma; infatti, gli articoli dal 164 al 169 disciplinano l’istituto della concessione in generale, illustrandone i tratti distintivi, quelli dal 170 al 173 i requisiti e le garanzie procedurali, dal 174 al 178 la fase esecutiva e dal 179 al 191 codificano le varie forme di partenariato pubblico-privato concludendo, poi, con gli articoli 192 e 193 dedicati alle società in house.

Il D.Lgs. n. 50/2016, ottemperando alla delega normativa, ha avuto senza dubbio il pregio di disciplinare in maniera più dettagliata – rispetto al vecchio Codice –, ma ancora sintetica, l’istituto delle concessioni.

Non tutte, però, giacché – come si diceva commentando la Legge delega – non sono disciplinate le concessioni di servizi nell’ambito dei c.d. “settori speciali” (come indicato dall’art. 169, comma 9), che continuano ad attendere una disciplina organica (probabilmente tramite i decreti attuativi della c.d. “riforma Madìa”), che consenta di porli a confronto con le usuali concessioni.

Il Consiglio di Stato commenta  … [ciò] comporta, all’evidenza, tutta una serie di verifiche di compatibilità, di problemi di coordinamento e di adattamento della disciplina nazionale, che per la prima volta si trova a dover attuare una disciplina organica a livello europeo.

La direttiva 2014/23 si muove col dichiarato intento di creare un quadro giuridico idoneo, equilibrato ma anche sufficientemente flessibile, tale da facilitare la più ampia diffusione dell’istituto concessorio, una volta acquisita la consapevolezza che i contratti di concessione rappresentano importanti strumenti nello sviluppo strutturale a lungo termine di infrastrutture e servizi strategici, in quanto concorrono al miglioramento dei livelli di concorrenza nel mercato interno, consentendo di beneficiare delle competenze del settore privato e contribuendo a conseguire innovazione ed efficienza, anche nell’uso dei fondi pubblici (cfr. 1° e 3° considerando).

In questo senso, il legislatore nazionale è chiamato ad ampliare il proprio orizzonte, finora limitato a discipline di settore, fatto salvo quanto (unicamente) finora era stato previsto nell’abrogando codice dei contratti di cui al d.lgs. n. 163/2006 dove, all’art. 30, in tema di concessioni di servizi, si prevedeva, al contempo, una clausola generale di esclusione di applicazione del codice ed una sintetica disciplina di principio residuale.

Gli elementi distintivi delle concessioni, secondo il Codice, consistono nel trasferimento al concessionario del rischio operativo, nella necessità di mantenere l’equilibro economico-finanziario, nella rigida regolazione degli eventi modificativi, con lo sguardo orientato al contenimento dei costi per la stazione appaltante.

Per il resto, si conferma laconicamente che esse sono “contratti a titolo oneroso” e devono essere “redatti in forma scritta”; in tal caso, il legislatore sembra non abbia voluto avventurarsi a risolvere la disputa formatasi nella precedente giurisprudenza, relativa all’efficacia della concessione vista – dagli opposti orientamenti – come “contratto” o come “atto amministrativo”.

La bontà di questa scelta, che elimina le polemiche è sostenuta dal Consiglio di Stato, che ricorda, quanto all’aspetto definitorio delle concessioni, anche la direttiva 23, come quelle sugli appalti, si pone, anzitutto, lo scopo di precisare il proprio ambito di applicazione, soprattutto dal punto di vista oggettivo (allineandosi, per quello soggettivo, alle altre due direttive), riprendendo, invero, nozioni già sperimentate con le direttive 17 e 18 del 2004.

Si tratta, dunque, di un contratto che segue gli schemi degli appalti di lavori e di servizi, con la caratteristica, però, che il corrispettivo consiste unicamente nel diritto di gestire i lavori (o i servizi), o in tale diritto accompagnato da un prezzo, e con l’ulteriore precisazione che l’aggiudicazione di una concessione di lavori o di servizi comporta il trasferimento al concessionario di un rischio operativo (art. 5, punto 1, commi 1 e 2, direttiva 23).

Per quanto attiene la fase preparatoria della gara e la procedura di aggiudicazione, si pongono in evidenza i principi della massima trasparenza (evidente soprattutto nella disciplina degli eventi modificativi), dell’apertura alla concorrenza e della tutela delle micro, piccole e medie imprese; inoltre, alcuni elementi volti a premiare l’innovazione tecnologica e le offerte eco-sostenibili (in particolare, per quanto concerne le norme afferenti i requisiti di partecipazione).

Il legislatore, in questo caso, preferisce non discostarsi dal passato e, quindi, definisce due tipologie di concessione: quella di lavori e quella di servizi.

Ciascuna tipologia viene aggiudicata – rispettivamente – sulla base di requisiti propri degli esecutori di lavori e di servizi; per quanto concerne la “concessione mista”, di cui all’art. 169 del Codice, essa aggiudicata come concessione di servizi o di lavori, a seconda della prevalenza dell’una o dell’altra tipologia di attività.

Altra scelta di semplificazione da parte del Codice è stata, ancora una volta, quella di dettare una disciplina generale per gli appalti, includendo anche obblighi di trasparenza, semplificazione, sostenibilità, innovazione tecnologica, trasparenza procedurale, tutela della concorrenza, “trasportandoli” anche nel settore delle concessioni e – per il resto – di escludere le concessioni dall’ambito di applicazione del Codice, salvo quanto stabilito dalle specifiche norme di riferimento.

Un esempio di tale rinvio si trova nell’art. 164, comma 2 che prevede l’applicabilità alle concessioni delle disposizioni contenute nella parte I e II del Codice,  per quanto compatibili, relativamente ai principi generali, alle esclusioni, alle modalità e alle procedure di affidamento, alle modalità di pubblicazione e redazione dei bandi e degli avvisi, ai requisiti generali e speciali e ai motivi di esclusione, ai criteri di aggiudicazione, alle modalità di comunicazione ai candidati e agli offerenti, ai requisiti di qualificazione degli operatori economici, ai termini di ricezione delle domande di partecipazione alla concessione e delle offerte, alle modalità di esecuzione.

Sempre l’art. 164 precisa che, ai fini dell’aggiudicazione delle concessioni, le si applicano, per quanto compatibili, le disposizioni di cui alla parte I e II del Codice relative a: i) principi generali, ii) cause di esclusione, iii) modalità e procedure di affidamento, iv) modalità di pubblicazione, comunicazione ai candidati e redazione dei bandi e degli avvisi, v) requisiti generali e speciali, vi) criteri di aggiudicazione, vii) requisiti di qualificazione degli operatori economici, viii) termini di ricezione delle domande di partecipazione alla concessione e delle offerte, ix) modalità di esecuzione. L’obiettivo, espressamente palesato dal Codice, è quello di garantire un elevato livello di qualità, sicurezza ed accessibilità, la parità di trattamento e la promozione dell’accesso universale e dei diritti dell’utenza nei servizi pubblici; oltre a ciò, verrebbe da aggiungere anche l’esigenza di semplificazione e di armonizzazione delle procedure di aggiudicazione.

Questa scelta in ordine alla tecnica normativa non ha suscitato il consenso del Consiglio di Stato che, nel commentare l’art. 164, dopo aver riconosciuto che esso è in linea con i principi della direttiva … prende atto del rinvio ed osserva che … in effetti la direttiva concessioni è in molte parti pressoché identica a quella relativa ai settori ordinari, ma nello schema di decreto di recepimento non sono rari difetti di coordinamento, come si vedrà, su temi piuttosto delicati.

Ma un rinvio così ampio può provocare qualche disallineamento; e così … al comma 1, anzitutto, deve segnalarsi un errore di trasposizione in ordine all’ambito soggettivo di applicazione, rispetto all’art. 1 della direttiva 23 … la condizione che i lavori o servizi siano destinati ad una delle attività di cui all’allegato II, riguarda, ovviamente, i soli “enti aggiudicatori”, non anche le “amministrazioni aggiudicatrici”. … La trasposizione della direttiva contenuta nel … articolo, così formulata, sembra … circoscrivere l’ambito applicativo alle sole amministrazioni aggiudicatrici (oltre che agli enti aggiudicatori) che aggiudichino concessioni nei settori speciali.

Conseguentemente, l’allegato II va riferito, nel titolo, ai soli enti aggiudicatori, espungendo dal titolo le amministrazioni aggiudicatrici.

Inoltre, il Collegio puntualmente rileva che il Codice non affronta il tema dei servizi di interesse economico generale che, pertanto, sfuggono al Codice – nonostante gli auspici della Legge delega – e si collocano già all’orizzonte come le principali criticità che bisognerà affrontare con i provvedimenti normativi allo studio del Governo che – tuttavia – sconteranno tutte le problematiche in cui incorre la lex specialis allorché deve confrontarsi con la lex generalis:

Così, il Consiglio di Stato chiarisce la portata delle proprie osservazioni e avverte quanto alla “libertà” di istituire servizi di interesse economico generale, vale la pena di considerare che non si tratta di una libertà assoluta, atteso che l’istituzione di detti servizi comporta comunque una riduzione dell’ambito del mercato, in virtù anche dei diritti esclusivi e speciali, che essa di solito comporta. Permane, pertanto, il controllo della Commissione sull’istituzione … del servizio e, in sede nazionale, la necessità di osservare il principio di sussidiarietà orizzontale …

Non compete, pertanto al codice sciogliere l’opzione tra il mercato e il non mercato, anche se sulla base della direttiva appare chiaro che, a valle, ove un servizio economico di interesse generale non sia lasciato al mercato, ma riservato al potere pubblico, trovano applicazione le regole, finalmente organiche, della concessione di servizi pubblici.

E’ importante notare come la disciplina delle concessioni si innesti in un contesto giuridico europeo di “libertà”, libertà di scelta delle modalità di gestione per l’esecuzione di lavori e la fornitura di servizi, al fine di garantire un elevato livello di qualità, sicurezza e accessibilità, la parità di trattamento e la promozione dell’accesso universale e dei diritti dell’utenza nei servizi pubblici (considerando n. 5 e art. 2 direttiva 23, trasposto 162 nell’art. 166 del codice), ma anche libertà di istituire servizi di interesse economico generale e servizi non economici di interesse generale (considerando n. 6).

Il diritto europeo non impone, dunque, che i servizi di interesse economico generale siano necessariamente affidati a terzi.

3. Focus sugli elementi distintivi delle concessioni, secondo il Codice

Gli elementi distintivi delle concessioni, secondo il Codice, consistono nel trasferimento al concessionario del rischio operativo, nella necessità di mantenere l’equilibro economico-finanziario, nella rigida regolazione degli eventi modificativi, con lo sguardo orientato al contenimento dei costi per la stazione appaltante. Su tali aspetti, il parere del Consiglio di Stato del 21 marzo 2016 rileva che proprio l’assunzione del rischio è la caratteristica precipua delle concessioni, idonea a differenziarle dagli appalti, giacché il rischio operativo del concessionario va ben al di là, ed è qualitativamente differente, da quello sopportato da un normale appaltatore.

4. Il rischio operativo

Il “rischio operativo” (art. 3, comma 1, lett. zz) del Codice) è  il rischio legato alla gestione dei lavori o dei servizi sul lato della domanda o sul lato dell’offerta o di entrambi, trasferito al concessionario, che lo assume effettivamente allorché – in condizioni operative normali – egli è esposto alle fluttuazioni del mercato e non gli è garantito il recupero degli investimenti effettuati o dei costi sostenuti per la gestione dei lavori o dei servizi oggetto della concessione.

Nei contratti di concessione la maggior parte dei ricavi di gestione del concessionario proviene dalla vendita dei servizi resi al mercato: il trasferimento al concessionario del rischio operativo comporta la possibilità che, in condizioni operative normali, le variazioni relative ai costi e ai ricavi oggetto della concessione incidano sull’equilibrio del piano economico finanziario ed incidano significativamente sul valore attuale netto dell’insieme degli investimenti, dei costi e dei ricavi del concessionario.

Sulla centralità di tale concetto – rispetto all’essenza stessa della concessione – si è speso anche il parere del Consiglio di Stato il quale non ha mancato di mettere in correlazione il rischio operativo ed il rischio di disponibilità.

Osserva il Collegio che in mancanza, dunque, del trasferimento del rischio “operativo”, come ricorda la Corte di giustizia UE, il contratto dovrebbe essere definito come “di appalto”, almeno per quel che concerne la fase di aggiudicazione, ma non mancano, come è noto, delicate questioni interpretative, non solo sotto l’aspetto qualitativo, in ordine a tale trasferimento.

Sotto il profilo qualitativo, la direttiva precisa che deve trattarsi di un rischio “sul lato della domanda o sul lato dell’offerta, o entrambi” (art. 5, n. 1), comma 2). Ed il considerando n. 20 precisa ulteriormente che tale rischio “dovrebbe derivare da fattori al di fuori del controllo delle parti”.

Il che se è conciliabile con il rischio della domanda, che dipende da comportamenti di soggetti terzi (fruitori del servizio), lo è di meno con il rischio dell’offerta, dato che la medesima è resa dallo stesso concessionario. Sicché deve ritenersi che in tal caso le componenti del rischio riguardino essenzialmente elementi che sono al di fuori del controllo dell’operatore privato, come l’andamento dei costi (anche finanziari) che dipendono puramente dalle oscillazioni del mercato, e quindi, come tali, sono estranei al dominio delle parti.

Seguendo tale orientamento, il Consiglio di Stato traccia la linea di congiunzione anche, sotto il profilo della logica imprenditoriale, tra le concessioni e le c.d. ”opere fredde” ed apre la strada alla migliore comprensione di quel gruppo di norme (artt. 165, 167 e 168) che disciplinano la durata ed il riequilibrio delle concessioni, nonché agli artt. dal 174 al 176 che regolano l’esecuzione e gli eventi modificativi della concessione.

Difficilmente può aver rilievo, anche nell’ambito del rischio dell’offerta, il c.d. rischio di disponibilità, tipico delle concessioni associate alle opere c.d. fredde (ed ai relativi servizi, avvinti dalla stessa logica), ovvero le opere che sono prive della capacità di generare reddito attraverso la fruizione da parte dei terzi, e che, risultando legato alla capacità da parte del concessionario di erogare le prestazioni contrattuali pattuite, sia per volume che per standard di qualità, sarebbe legato alla performance dello stesso concessionario, la cui rilevanza, come accennato, sembrerebbe esclusa dalla direttiva.

Del resto l’applicazione del modello concessorio alle c.d. opere fredde (il privato che le realizza e gestisce fornisce direttamente servizi all’amministrazione traendo la propria remunerazione da pagamenti effettuati dalla stessa: per es. nei casi di carceri o ospedali) ha destato, non da oggi, serie perplessità, dato che l’ambito naturale dell’istituto è certamente costituito dalle c.d. opere calde, ovvero da quelle dotate di intrinseca capacità di generare reddito attraverso ricavi di utenza (modello autostrade, gas, parcheggi), ovvero, al più, da quelle c.d. tiepide, categoria intermedia per la quale, non essendo sufficienti i ricavi di utenza a ripianare interamente le risorse impiegate, risulta necessario un contributo pubblico per la fattibilità finanziaria (modello impianti sportivi e, per i servizi, trasporto pubblico locale).

In questo passaggio logico, si innesta – trovando la sua regolamentazione e, insieme, la sua “causa” giuridica – anche il modello del partenariato pubblico-privato, soprattutto le sue forme storicamente più “impopolari”, quali la locazione finanziaria di opere pubbliche o di pubblica utilità (ora disciplinata dall’art. 187), il contratto di disponibilità (art. 188), la cessione di immobili in cambio di opere (art. 191), ma anche un istituto di recentissima creazione quale il baratto amministrativo (art. 190).

Le forme di partenariato, fortemente incentivate e rivalutate dalla Direttiva n. 23/2014/UE vengono riproposte – quasi in ordine decrescente di “gradimento” – a ricordare che l’istituto della concessione può assumere non soltanto la disciplina standard del Codice, ma anche forme più adatte ai singoli lavori o servizi da realizzarsi, in modo tale da trovare “una forma (contrattuale) per tutte le esigenze”.

Il Consiglio di Stato prosegue, infatti, la sua analisi ricordando che tuttavia, non vi sono elementi per affermare che, in base alla direttiva, il modello della concessione non si applichi anche alle opere fredde (ed ai servizi dello stesso tipo), per le quali, a differenza delle opere calde (dove viene prevalentemente in rilievo il rischio della domanda, e dunque il rischio sul versante dei ricavi, come nel caso dell’esempio – non infrequente – della sovrastima dei flussi di traffico da parte di concessionari autostradali), viene in rilievo prevalentemente il rischio dell’offerta, e quindi anzitutto quello sul versante dei costi (cfr., al riguardo, anche l’art.165 del codice).

Dal punto di vista quantitativo, e quindi dell’entità del rischio operativo, la direttiva 23 lascia margini ai legislatori nazionali e pone dei limiti, essenzialmente in termini negativi, ammettendo che una parte del rischio possa rimanere a carico dell’amministrazione aggiudicatrice o dell’ente aggiudicatore e risultando esclusi espressamente solo i casi in cui il rischio sia eliminato del tutto (considerando nn. 18 e 19).

In definitiva la “componente rischio” deve essere effettivamente sussistente, ancorché proporzionalmente ridotta, come emerge dal recepimento nazionale recato dall’art. 165, comma 2, secondo cui “l’eventuale riconoscimento del prezzo, sommato al valore di eventuali garanzie pubbliche o di ulteriori meccanismi di finanziamento a carico della pubblica amministrazione, non può essere superiore al cinquanta per cento del costo dell’investimento complessivo, comprensivo di eventuali oneri finanziari”.

5. Il riequilibrio economico e finanziario

Altro elemento distintivo della concessione, come disciplinata dal Codice, è il principio dell’equilibrio economico-finanziario, tale per cui – fermo restando il rischio operativo in capo al concessionario- quest’ultimo possa comunque elaborare un piano di sviluppo della concessione che sia redditizio.

L’“equilibrio economico e finanziario” (art. 3, comma 1, lett. fff) ) è la contemporanea presenza delle condizioni di convenienza economica (cioè, la capacità del progetto di creare valore nell’arco dell’efficacia del contratto e di generare un livello di redditività adeguato per il capitale investito) e sostenibilità finanziaria (cioè, la capacità del progetto di generare flussi di cassa sufficienti a garantire il rimborso del finanziamento).

L’equilibrio economico finanziario rappresenta il presupposto per la corretta allocazione dei rischi; ai fini del raggiungimento del predetto equilibrio, in sede di gara l’amministrazione aggiudicatrice può stabilire anche un prezzo consistente in un contributo pubblico ovvero nella cessione di beni immobili che, se funzionale al mantenimento dell’equilibrio economico-finanziario, può essere riconosciuto mediante diritti di godimento su beni immobili stessi.

In caso di riconoscimento di un prezzo o di un contributo o finanziamento pubblico, esso non può essere superiore al 30% del costo dell’investimento complessivo, comprensivo di eventuali oneri finanziari.

Esempi di equilibrio economico finanziario sono declinati nelle norme sul riequilibrio della concessione (art. 165), in quelle sulla durata della concessione (art. 168) e nelle disposizioni relative all’esecuzione (artt. 174 – 176).

L’art. 165, in osservanza al principio di riequilibrio prevede la regala generale per cui il verificarsi di fatti – non riconducibili al concessionario – che incidono sull’equilibrio del piano economico finanziario può comportare la revisione della concessione, mediante la rideterminazione delle condizioni di equilibrio; in tal caso, però, il riequilibrio deve garantire la permanenza del rischio operativo in capo all’operatore economico.

In caso di mancato accordo sul riequilibrio del piano economico finanziario, le parti possono recedere dal contratto e, in tal caso, al concessionario spetta il valore delle opere realizzate e degli oneri accessori, al netto degli ammortamenti e dei contributi pubblici.

La medesima norma spiega che tale principio presiede all’obiettivo della conservazione degli effetti della concessione ed, infatti, in merito dispone che nel caso di risoluzione, il concessionario non avrà diritto ad alcun rimborso delle spese sostenute, ivi incluse quelle relative alla progettazione definitiva. … Il bando di gara può altresì prevedere che in caso di parziale finanziamento del progetto e comunque per uno stralcio tecnicamente ed economicamente funzionale, il contratto di concessione rimanga efficace limitatamente alla parte che regola la realizzazione e la gestione del medesimo stralcio funzionale.

Sotto il profilo della durata, il principio del riequilibrio si manifesta – come laconicamente ricordato dall’art. 168 – nell’esigenza di consentire al concessionario di recuperare gli investimenti. Infatti la durata delle concessioni è determinata nel bando di gara, in funzione dei lavori o servizi richiesti al concessionario e non può essere superiore al periodo di tempo necessario al recupero degli investimenti da parte del concessionario, insieme ad una remunerazione del capitale investito, tenuto conto degli investimenti necessari risultanti dal piano economico-finanziario (sia quelli iniziali, sia quelli effettuati durante la concessione).

Nella giustapposizione dei due concetti di riequilibrio economico finanziario e di rischio operativo troviamo – come denominatore comune a disciplinare i due principi – il piano economico finanziario o, se si vuole, il “progetto” della concessione.

Questo documento è il cuore dell’istituto e racconta all’osservatore ciò che le parti si propongono di attuare e con quali mezzi e tempi.

Proprio per tale motivo il piano economico e finanziario è stato posto sotto speciale osservazione da parte del legislatore che – sia tra le condizioni di aggiudicazione, che con un sistema molto presente di garanzie – impone al concessionario di osservare puntualmente le scadenze e le previsioni contenute nel piano che ha formato oggetto dell’offerta tecnica valutata in sede di gara.

A mente di ciò, risulta assai facile comprendere la disciplina dell’esecuzione della concessione e – soprattutto – degli eventi modificativi che possono verificarsi durante questo periodo.

Senza pretesa di esaustività, si riassumeranno brevemente i punti salienti della disciplina, onde dimostrare che la centralità dell’offerta tecnica (e del piano economico e finanziario che ne è il cuore) è la pietra di paragone sulla base della quale il legislatore “misura” il principio del riequilibrio economico e finanziario.

Il Codice disciplina alcuni eventi che possono accadere in fase di esecuzione della concessione, modificandone gli originari termini contrattuali; tali eventi, si suddividono in “modifiche” e “varianti”.

Vi sono casi di modifica “automatica” delle condizioni di concessione, cioè senza necessità di una nuova procedura di aggiudicazione; in ogni caso, le modifiche devono essere pubblicate sulla GUUE.

La regola di fondo prevede che l’incremento di valore della concessione, a seguito delle modifiche, non può superare il 50% del valore di aggiudicazione.

Le modifiche “automatiche” si realizzano quando: i) le modifiche erano espressamente previste nei documenti di gara, ii) per lavori o servizi supplementari da parte del concessionario originario che si sono resi necessari e non erano inclusi nella concessione iniziale, iii) nei casi in cui la stazione appaltante non poteva prevedere una modifica che, in seguito, si rivela necessaria e che, al contempo, non alteri la natura della concessione, iv) se un nuovo concessionario sostituisce quello a cui la stazione appaltante avevano inizialmente aggiudicato la concessione, v) se le modifiche non sono sostanziali.

Tali verifiche ed adempimenti non sono necessari nei casi in cui la modifica non ecceda la soglia di rilevanza comunitaria e, contemporaneamente, il 10% del valore della concessione iniziale; anche in tale evenienza, la modifica della concessione è automatica.

Al di fuori di tali casi, non si ha modifica automatica, ma occorre attivare la procedura – nella forma e sotto l’aspetto della pubblicità comune a quella degli appalti e, comunque, disciplinata dal contratto di concessione – per l’approvazione di una vera e propria variante.

Nei casi in cui la modifica di una concessione è sostanziale, occorre attivare una nuova procedura di aggiudicazione. La modifica è sostanziale quando altera considerevolmente gli elementi essenziali del contratto originariamente pattuito e, comunque, se i) introduce condizioni che, ove originariamente previste, avrebbero consentito l’ammissione di candidati diversi da quelli inizialmente selezionati o l’accettazione di un’offerta diversa, ii) se altera l’equilibrio economico della concessione a favore del concessionario in modo non previsto dalla concessione iniziale, iii) se estende notevolmente l’ambito di applicazione della concessione, iv) se un nuovo concessionario si sostituisce a quello aggiudicatario della concessione.

Il Codice disciplina anche la cessazione, la revoca ed il subentro del terzo nella concessione.

La concessione cessa i) se il concessionario si rivela privo dei requisiti morali di partecipazione, ovvero ii) nei casi in cui la concessione sia stata aggiudicata in violazione delle norme comunitarie, oppure iii) se l’oggetto viene stravolto a causa di una modifica.

Qualora la concessione sia risolta per inadempimento della amministrazione aggiudicatrice ovvero quest’ultima revochi la concessione per motivi di pubblico interesse spettano al concessionario: i) il valore delle opere realizzate più gli oneri accessori, al netto degli ammortamenti, ovvero, nel caso in cui l’opera non abbia ancora superato la fase di collaudo, i costi effettivamente sostenuti dal concessionario; ii) le penali e gli altri costi sostenuti o da sostenere in conseguenza della risoluzione; iii) un indennizzo a titolo di risarcimento del mancato guadagno pari al 10% del valore delle opere ancora da eseguire ovvero del valore attuale della parte del servizio pari ai costi monetari della gestione operativa previsti nel piano economico finanziario allegato alla concessione.

Per la revoca della concessione vale la medesima disciplina risarcitoria e l’efficacia della revoca è condizionata al pagamento del risarcimento da parte dell’amministrazione aggiudicatrice o dell’ente aggiudicatore.

Tali somme sono destinate prioritariamente al soddisfacimento dei crediti dei finanziatori del concessionario e dei titolari di titoli emessi dallo stesso e sono indisponibili per il concessionario medesimo, sino al completo soddisfacimento di detti crediti.

Qualora la concessione sia risolta per inadempimento del concessionario trova applicazione la disciplina civilistica, di cui all’art. 1453 cod. civ. Se si verifica un evento che comporta la risoluzione della concessione, la stazione appaltante comunica per iscritto al concessionario e agli enti finanziatori l’intenzione di risolvere il rapporto e questi ultimi, entro 90 giorni dal ricevimento della comunicazione, indicano un operatore economico, che subentri nella concessione, avente caratteristiche tecniche e finanziarie corrispondenti o analoghe a quelle previste nel bando di gara o negli atti in forza dei quali la concessione è stata affidata, con riguardo allo stato di avanzamento dell’oggetto della concessione alla data del subentro.

Infine, con riguardo al subentro dell’operatore economico, esso ha effetto dal momento in cui la stazione appaltante vi presta il consenso.

Diversamente, lo stesso operatore economico subentrante sostituirà il concessionario soltanto per il tempo necessario per l’espletamento di una nuova procedura di gara.

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Massimiliano Lombardo
Avv. Massimiliano Lombardo
Esperto e docente in materia di appalti pubblici
mediagraphic assistenza tecnico legale e soluzioni per l'innovazione p.a.