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Premesse

La disciplina che informa il regime della circolazione delle quote o delle azioni del concessionario dei lavori pubblici lascia tutt’ora adito a contrastanti interpretazioni, in ragione di una formulazione dell’art. 156 del Codice dei Contratti – norma che governa la fattispecie – volutamente non stringente nel proprio carattere prescrittivo. 

Ingeneroso sarebbe puntare aprioristicamente il dito contro il legislatore, tacciando di imprecisione legiferativa, dal momento che la disciplina codicistisca di tale fenomenologia giuridica è frutto della necessità di individuare un compromesso tra una duplicità di principi di medesimo rango. 

A  fronte del generale principio di libera circolazione di beni e servizi e  segnatamente di libera circolazione dei diritti rappresentativi della  partecipazione al capitale di società, era importante stabilire quali fossero i limiti alla cedibilità delle  quote della società di progetto e concessionario pubblico, in un quadro di contemperamento di principi generali conformanti la fattispecie: la libertà imprenditoriale di cui la libera circolazione dei titoli ne è estrinsecazione ed il divieto di cessione del contratto pubblico, quale specchio del principio di immodificabilità soggettiva dell’aggiudicatario di un contratto pubblico.

Tale è la lente attraverso la quale deve esser letta la norma di cui al penultimo ed ultimo periodo del terzo comma dell’art. 156 D.Lgs 163/2006 (Codice dei contratti pubblici, di seguito “Codice”) secondo cui: “Il contratto di concessione stabilisce le modalità per l’eventuale cessione delle quote della società di progetto, fermo restando che i soci che hanno concorso a formare i requisiti per la qualificazione sono tenuti a partecipare alla società e a garantire, nei limiti di cui sopra, il buon adempimento degli obblighi del concessionario sino alla data di emissione del certificato di collaudo dell’opera. L’ingresso nel capitale sociale della società di progetto e lo smobilizzo delle partecipazioni da parte di banche e altri investitori istituzionali che non abbiano concorso a formare i requisiti per la qualificazione possono tuttavia avvenire in qualsiasi momento.”

2. Il quadro normativo

Al fine di poter trattare nel modo più completo ed esaustivo possibile il tema oggetto del presente contributo, pur senza la pretesa di conseguire in toto tale intento, appare opportuno, in via preliminare, fornire una visione complessiva del contesto giuridico-legale in cui si inserisce la disciplina della circolazione delle azioni o quote del concessionario di lavori pubblici. E’ utile spendere alcune considerazioni in ordine ai caratteri essenziali della disciplina legale della società di progetto.

Ai sensi dell’art. 156 del Codice la società di progetto è appunto una società all’uopo costituita, sotto forma di una società per azioni o a responsabilità limitata anche consortile, da parte dell’aggiudicatario di una gara indetta per l’affidamento di una concessione di lavori pubblici, con il precipuo compito di realizzare e/o gestire l’infrastruttura o il servizio di pubblica utilità oggetto dell’affidamento assentito.

Il bando può anche prevedere che la costituzione di tale società sia obbligatoria per l’aggiudicatario. In questo modo la nuova società di progetto così costituita diventa la concessionaria dei lavori pubblici oggetto della gara e subentra all’aggiudicatario in tutti i suoi rapporti con l’amministrazione concedente senza che ci sia bisogno di un’ulteriore autorizzazione o approvazione da parte della stessa.

La principale peculiarità di tale società risiede nella funzione cui essa è asservita, caratterizzata da uno specifico scopo: quello di poter sviluppare esclusivamente rapporti giuridici ed economici che siano destinati e funzionalmente collegati alla realizzazione del progetto, espressamente indicato nell’oggetto sociale.

La società di progetto diviene quindi “camera di compensazione” delle molteplici attività ed istanze necessarie per la realizzazione del progetto, strumento operativo verso cui si indirizza una canalizzazione dei flussi finanziari (attivi e passivi) dipendenti dal progetto, vincolandoli nella loro destinazione.

In virtù della costituzione di tale società, si attua una separazione societaria del patrimonio degli operatori economici che hanno concorso a fornire i requisiti per l’aggiudicazione della concessione e che in concreto realizzeranno i lavori e gestiranno l’opera, da quello della stessa società di progetto, “scatola vuota” a volte priva di dipendenti. In tal modo si concretizza quel c.d. ring fencing, il cui scopo è quello di mantenere distinta l’operazione economico-finanziaria finalizzata alla realizzazione del progetto dalla responsabilità patrimoniale personale dei singoli soci del veicolo societario. Sotto altra ottica, ciò permette, inoltre, di fornire la garanzia principe prestata in favore dei finanziatori del veicolo societario, attraverso la sottoscrizione di specifici impegni assunti dal concessionario con la stipula di appositi documenti finanziari, cioè quella che i ricavi ottenuti dalla gestione del progetto saranno devoluti prioritariamente al rimborso dei finanziamenti erogati dai finanziatori dell’opera.

Pertanto, se da un lato il veicolo societario si atteggia a strumento giuridico utile per la realizzazione di una operazione economico fianziaria secondo le logiche del project financing, dall’altro, l’SPV è pur sempre un concessionario di lavori pubblici, soggetto titolare di un contratto pubblico, selezionato tramite procedura ad evidenza pubblica, dotato di specifici requisiti di idoneità per eseguire i lavori necessari per la realizzazione dell’opera (e la sua successiva gestione).

E’ proprio tale veste “pubblicistica” che giustifica i limiti alla libera alienabilità delle quote societarie del veicolo previsti dalla legge; è dunque l’affidamento pubblico di cui è portatore che permette la deroga ai principi generali di rango civilistico posti dal terzo comma dell’art. 156 del Codice dei Contratti, in coerenza col principio di specialità che governa il Codice dei Contratti Pubblici, rispetto aL Codice Civile (Art. 2 CCP).   

3. L’istituto come delineato nella prassi

Come evidenziato in premessa, il penultimo periodo del terzo comma disciplina la cessione delle quote della società, ai sensi del quale il contratto di concessione ne stabilisce le modalità. Sono posti però alcuni limiti al riguardo dalla norma in esame. Infatti i soci che hanno concorso a formare i requisiti per la qualificazione devono in ogni caso continuare a partecipare nella società e “garantire, nei limiti di cui sopra, il buon adempimento degli obblighi del concessionario fino alla data di emissione del certificato di collaudo dell’opera.” Infine, l’ultimo comma dell’art. 156 del Codice stabilisce che le banche e altri investitori istituzionali che non hanno concorso a formare i requisiti per la qualificazione possono entrare nel capitale sociale della società o smobilitare le partecipazioni in qualunque momento.

E’ necessario premettere che sul tema non si è ancora consolidata una interpretazione di rango giurisprudenziale, si rintracciano invece alcuni pareri emanati da parte della dell’Autorità per la Vigilanza sui Contratti Pubblici di Lavori, Servizi e Forniture.

Nella deliberazione del 19 novembre 2009 (AG – 32/09), con riferimento alla cessione delle quote della società di progetto, l’Autorità  spiega che uno degli aspetti primari su cui occorre indagare è l’identificazione, a contrario, della categoria dei soci cui è consentito alienare liberamente le proprie azioni anche prima dell’emissione del certificato di collaudo dell’opera, dal momento che l’art. 156 del Codice,vieta espressamente ai soci che hanno concorso a formare i requisiti per la qualificazione (i c.d. soci qualificanti) a cedere le proprie partecipazioni prima di tale data, mentre le banche e gli altri investitori istituzionali possono fare ingresso nel capitale della società in qualunque momento.

La ragione dell’accostamento tra soci minori e istituti finanziari trova fondamento nella circostanza, invero del tutto indimostrata, che i soci minori facciano parte della compagine della società di progetto al solo fine, al pari delle banche, di fornire le fonti di finanziamento essenziali per poter realizzare il progetto.

Ad avviso della dottrina maggioritaria, condivisa dalla stessa Autorità, non essendoci un divieto espresso da parte del legislatore, i soci non qualificanti dovrebbero poter cedere in tutto o in parte le proprie partecipazioni in qualsiasi momento, a meno che non ci sia una diversa previsione contrattuale nella convenzione di concessione.

Di converso, è l’obbligo imposto ai soci qualificanti di restare nella compagine societaria per tutta la durata dell’esecuzione dei lavori sino all’emissione del certificato di collaudo che funge da garanzia di buono e tempestivo adempimento delle obbligazioni nascenti dalla concessione.

Un secondo punto su cui l’Autorità si è interrogata è quello relativo alla eventuale possibilità per i soci qualificanti di alienare una parte delle loro quote di partecipazione, anche prima dell’emissione del certificato di collaudo.

La formulazione letterale della norma, in effetti, lascia ampi spazi ermeneutici sul punto.  

Secondo una parte della dottrina, poiché il principio generale della libera circolazione dei titoli rappresentativi della partecipazione al capitale sociale può essere derogato solo in presenza di una norma speciale che espressamente vieti l’esercizio di tale diritto, ipotesi non riscontrabile alla luce della lettera dell’art. 156 del Codice, i soci qualificanti dovrebbero essere in grado di ridurre le loro quote anche prima del collaudo, purché continuino a detenere una partecipazione al capitale, seppur minima. Per un diverso orientamento dottrinale, quello condiviso dall’Avcp, il vincolo di inalienabilità delle partecipazioni dei soci qualificanti deve ritenersi assoluto.

Tale opinio rintraccia la ratio di tale assoluto divieto nel dovere di garantire l’assiduo impegno nella buona riuscita del progetto da parte di coloro che hanno permesso al concorrente di divenire concessionario in virtù dell’expertise e requisiti selezionati dall’ente concedente a seguito di confronto concorrenziale. E’ evidente che tale esigenza, in disparte ogni valutazione in merito alla lesione della par condicio cumcurrentium, risulterebbe frustrata se fosse possibile per i soci qualificanti mantenere una partecipazione solo minima al capitale della società, in spregio del principio di immodificablità soggettiva dell’aggiudicatario e di incedibilità del contratto pubblico.

Tuttavia potrebbe presentarsi l’eventualità in cui uno o più soci qualificanti, possessori di una quota rilevante della società di progetto, siano affidatari dell’esecuzione di una parte dei lavori, che risulti inferiore alla loro propria quota di partecipazione.

Dal momento che la ratio del divieto di cessione delle quote è quella di assicurare la presenza costante dei requisiti necessari per la corretta esecuzione dei lavori affidati, in una simile situazione – asserisce l’Autorità – si potrebbe pensare che il socio, seppur qualificante, possa cedere le proprie partecipazioni anche prima del collaudo, ma solo per la parte eccedente la porzione dei lavori che deve eseguire e, conseguentemente, dei requisiti da garantire in favore del concessionario.

4. L’ipotesi della cessione del ramo d’azienda

Assume rilevanza anche la deliberazione dell’Avcp del 24 ottobre 2012 (AG 20/12) in cui l’Autorità si esprime in ordine alla possibilità di derogare al divieto di cessione delle quote di una società di progetto prima dell’emissione del certificato del collaudo, nel caso in cui tale alienazione sia connessa alla cessione di un ramo d’azienda. Prima di entrare nel merito della questione sottoposta alla sua attenzione, l’Autorità fa notare che in base a due sue precedenti  deliberazioni, quella del 17 gennaio 2007 n. 4 e la sopra analizzata AG 32/09, si ritiene violato il divieto di cessione delle quote di partecipazione da parte dei soci qualificanti solo in caso di alienazione integrale, mentre una mera riduzione della quota sarebbe astrattamente percorribile.  

In base alle medesime deliberazioni si ribadisce che la ratio del divieto in esame è quella di conservare l’interesse dell’amministrazione alla permanenza dei requisiti di qualificazione, che sono la principale assicurazione della buona e tempestiva esecuzione dell’opera pubblica, e ciò spiega anche l’aspetto temporale del divieto che è valido solo fino al collaudo.

Al riguardo si può osservare che il legislatore abbia trovato un cd. punto di caduta nel bilanciamento tra il principio della libera circolazione dei beni e l’interesse dell’amministrazione concedente alla corretta esecuzione, prescrivendo a tal scopo un divieto, che è però limitato sia sotto il profilo soggettivo, perché valido solo per alcune categorie di soci, sia sotto il profilo temporale, dal momento che esso opera solo fino all’emissione del certificato di collaudo, che, dimostrando il corretto adempimento del contratto, toglie rilevanza all’immodificabilità del socio qualificante.

Entrando poi nel merito della questione proposta dall’istante l’Autorità sottolinea che la disposizione del Codice pone dei limiti per la cessione delle quote societarie e non per quella del ramo d’azienda, regolata invece dall’art. 2558 c.c. Ai sensi di tale norma, in seguito alla cessione del ramo d’azienda il concessionario subentra automaticamente in tutti i contratti stipulati dal cedente per l’esercizio dell’impresa, ad eccezione di quelli di carattere strettamente personale. L’Autorità ricorda che i contratti cui fa riferimento la disposizione codicistica sono quelli sinallagmatici a prestazioni corrispettive in corso di esecuzione al momento della cessione, tra cui non vanno ricomprese i contratti associativi e nemmeno il contratto sociale. Ad avviso dell’Autorità da ciò deriva la conseguenza per cui in caso di cessione di un ramo d’azienda, dove è compresa anche l’opera di cui al progetto, da parte di soci di una società di progetto il cessionario non entrerebbe a far parte in modo automatico nella compagine societaria, ma affinché ciò avvenga, sarebbe in ogni caso necessario sottoscrivere uno specifico atto di cessione delle quote, nel rispetto delle modalità stabilite per la loro circolazione.

D’altro canto, poiché vigono dei limiti per quanto riguarda la cessione delle quote di una società di progetto, occorre considerare se e in che modo gli stessi operino qualora uno dei soci cedesse un ramo della sua azienda, che comprende anche la commessa pubblica per cui è stata creata la società di progetto. L’Autorità ha chiarito che, ferma restando la libera cedibilità delle quote in favore del cessionario del ramo d’azienda qualora l’alienante il pacchetto azionario del concessionario sia uno dei soci non qualificanti o altri soci finanziatori e investitori, in tale ipotesi appare consentito poter smobilizzare le quote di un socio qualificante.

Posto che la ratio del limite alla cedibilità delle quote nella società di progetto va individuata nello stabile mantenimento dell’assetto societario dei soci qualificanti, se il cessionario, sulla base dell’art. 76, comma 9 del D.P.R. n. 207/2010, si avvale dei requisiti in possesso del cedente socio di una società di progetto, la cogenza della ratio dell’art. 156, comma 3 del Codice verrebbe salvaguardata dal momento che l’insieme dei requisiti di qualificazione originari di cui era dotato l’aggiudicatario non verrebbe sostanzialmente modificato da tale operazione societaria.

Infatti, nonostante la cessione del ramo d’azienda comporti una successione a titolo particolare, essa tuttavia realizza il trasferimento al cessionario di tutto l’insieme dei rapporti attivi e passivi nei quali l’azienda o il suo ramo ceduto si concretizza (la giurisprudenza infatti ha descritto la fattispecie come cessione di una universitas, vedi Cons. Stato, Ad. Plen. 4 magio 2012, n. 5; Cass., 12 giugno 2007, n. 13765; Cass., 13 giugno 2006, n. 13676, Cass., 19 luglio 2000, n. 9460). Con la  cessione di azienda o di un suo ramo dunque si realizza una continuità della gestione imprenditoriale tra il periodo antecedente e successivo a tale vicenda[1].

Una diversa interpretazione della norma in esame, che contempli un divieto assoluto della cessione delle quote dei soci qualificanti di una società di progetto, rischierebbe di essere in contrasto non solo con il principio generale del nostro ordinamento della libera circolazione dei beni ma anche con la ratio stessa sottesa alla previsione dell’art. 156 del Codice. Infatti, da una parte, se il socio originariamente qualificante cedesse la propria azienda (o un ramo di essa) senza trasferire contemporaneamente le quote societarie ad essa afferenti, la società di progetto, pur mantenendo sostanzialmente invariato l’assetto societario, potrebbe restare priva dell’insieme di beni che erano destinati alla realizzazione dei lavori oggetto del contratto, e dall’altra, quello stesso socio, nonostante la sua posizione all’interno della società non risulti mutata, avrebbe, in conseguenza della cessione dell’azienda (o del suo ramo), ridotto il suo patrimonio e perciò anche la garanzia patrimoniale generica ad esso collegata, togliendo in tal modo anche una fonte di rassicurazione ai finanziatori del progetto e ad altri creditori.

5. Conclusioni

Quindi, attraverso la lettura dell’art. 156 del Codice e dell’interpretazione fornita dalle due pronunce sopra analizzate dell’Avcp sembra che si possa concludere che nell’ambito della concessione pubblica il divieto di cessione delle quote di una società di progetto possa intendersi come “relativo” anche con riferimento ai soci c.d. qualificanti di detta società, malleabile secondo le esigenze connesse alla singola fattispecie. 

Uno dei rari casi in cui la mancata puntuale indicazione di precisi limiti legislativi, come in premessa sottolineato, sia stato elemento foriero di duttilità dell’ordinamento giuridico, in materie lambite da più ambienti, tutt’altro che stagni, del diritto.

A parere di chi scrive, occorre mostrare la medesima duttilità in una differente ipotesi che, sembrerebbe, non è stata ancora oggetto di specifica valutazione da parte degli operatori del diritto.

Quid iuris se i concorrenti che hanno concorso a formare i requisiti di qualificazione abbiano usufruito della deroga ex lege di cui all’art. 95 del DPR 207/2010 secondo cui si può soddisfare il possesso dei requisiti del concessionario di lavori pubblici anche attraverso l’elevazione da un terzo al doppio dei requisiti economico-finanziari, in luogo del possesso delle SOA necessarie per la realizzazione dei lavori oggetto di concessione?

In tale ipotesi, è lecito chiedersi se appaia comunque  coerente il limite temporale di incedibilità delle quote sino all’emissione del certificato di collaudo imposto dalla legge, in un caso in cui dei soci costruttori non facciano parte della compagine societaria e che pertanto il concessionario pubblico sia costretto ad affidare a terzi?

Appare coerente il suddetto limite temporale laddove la garanzia della corretta e tempestiva realizzazione dell’opera consista (mediata attraverso i requisiti di qualificazione del concessionario ex art. 95 del DPR 207/2010) esclusivamente nella solidità patrimoniale dell’aggiudicatario, in assenza di un qualsiasi diretto possesso di proprie risorse imprenditoriali (i.e.: attestazioni SOA) per l’esecuzione dei lavori?

Anche in questo  caso, l’ampia formulazione della norma in commento, così come nel caso dell’ipotesi della cessione del ramo d’azienda, potrebbe permettere letture meno vincolistiche del principio di incedibilità delle quote del socio qualificante, più aderenti alla singola fattispecie oggetto di analisi.


[1] In ogni caso questo temperamento potrebbe operare fermo restando che l’originario socio qualificante continui a detenere nella società di progetto una quota di partecipazione per la parte eccedente la percentuale delle opere o servizi a lui affidati seppur inclusi nel ramo d’azienda ceduto.

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Questo articolo è stato scritto da...

Avv. Giuseppe Totino
Esperto in contratti pubblici
Dott.ssa Dal Sol Choi
Esperta in finanza di progetto
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