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Premesse

Con la pronuncia n. 3580 dello scorso 5 luglio il Consiglio di Stato interviene su uno degli aspetti più problematici inerenti la materia  dei contratti pubblici, quello della proroga e del rinnovo.

Secondo il Consiglio di Stato è legittimo il rinnovo del contratto di appalto purché tale facoltà sia prevista ab origine, sia espressa e sia adeguatamente motivata.

La pronuncia, sebbene non isolata, “ridimensiona” il consolidato orientamento del Consiglio di Stato sul punto, con l’effetto di allargare lo spettro entro cui è possibile ricorrere ai predetti istituti, al contempo suscitando perplessità tra gli operatori, consapevoli dei ben più rigidi criteri adottati in materia dal giudice contabile e dall’A.V.C.P..

1. Il caso di specie

La vicenda ha origine dal ricorso presentato da una società che non era risultata aggiudicataria relativamente ad una procedura ad evidenza pubblica (affidamento del servizio di brokeraggio assicurativo) tenutasi qualche anno prima. Essendo prossima la scadenza triennale del contratto stipulato dalla impresa invece aggiudicataria, la società in questione ha manifestato il proprio interesse a partecipare a nuova gara. L’Amministrazione affidante tuttavia, anziché procedere al nuovo affidamento con gara, optava, secondo quanto previsto dal capitolato originario, per il rinnovo del contratto[1].

In primo grado il Tribunale di Trento (sentenza n. 22/2013) accoglieva il ricorso, annullando la determinazione di rinnovo contrattuale adottata dall’Amministrazione affidante.

2. La decisione del Consiglio di Stato

Le conclusioni del giudice di primo grado risultano travolte dall’intervento del Consiglio di Stato.

Sotto il profilo normativo, la questione che si pone all’attenzione del Collegio concerne la legittimità del rinnovo contrattuale, senza gara, in favore del medesimo contraente.

Secondo il Supremo Giudice amministrativo il rinnovo espresso dei contratti è legittimo in quanto non è precluso né dall’art. 23 L. 18.4.2005, n. 62 (“legge comunitaria 2004”), né dall’art. 57 D.Lgs. 12 aprile 2006, n. 163 (“Codice”) e neppure dai principi comunitari consolidati in materia di contratti pubblici.

Difatti – si legge nella sentenza in commento – l’art. 23 cit., che modifica l’art. 6, comma 2, L. 24 dicembre 1993, n. 537, il quale, nella prima parte, espressamente vieta il rinnovo tacito dei contratti scaduti per la fornitura di beni e servizi, prevede che il contratto scaduto può essere prorogato per il tempo necessario all’indizione di nuova gara, anche in assenza della previsione espressa di proroga contenuta negli atti di gara, purché nei detti limiti[2].

L’iter logico seguito dal Consiglio di Stato risulta confermato sul piano normativo anche dall’art. 57, comma 7, del Codice, che vieta esclusivamente il rinnovo dei contratti che avvenga in via tacita, considerato correttamente dalla giurisprudenza alla stregua di una forma di trattativa privata al di fuori dei casi consentiti dall’ordinamento comunitario.

La ratio di tali divieti giace nella finalità di scongiurare affidamenti reiterati allo stesso soggetto, in elusione al principio di concorrenza, che più di ogni altro garantisce la scelta del miglior contraente, sia sotto il profilo della qualificazione tecnica dell’operatore, che della convenienza economica del contratto.

Tale volontà legislativa non deve ritenersi in alcun modo violata “… allorché la possibilità della “proroga” contrattuale sia resa nota ai concorrenti sin dall’inizio delle operazioni di gara, cosicché ognuno possa formulare le proprie offerte in considerazione della durata eventuale del contratto, nessuna lesione dell’interesse pubblico alla scelta del miglior contraente è possibile riscontrare, né alcuna lesione dell’interesse generale alla libera concorrenza, essendo la fattispecie del tutto analoga, dal punto di vista della tutela della concorrenza, a quella nella quale si troverebbero le parti contraenti nell’ipotesi in cui l’azienda avesse operato, ab initio, una scelta “secca” per la più lunga durata del contratto (sei anni, anziché tre più tre)”.

Il Giudice amministrativo ammette dunque la legittimità del ricorso all’istituto del rinnovo esclusivamente in presenza di talune condizioni: il rinnovo contrattuale è consentito se la predetta clausola, alle medesime condizioni e per un tempo predeterminato e limitato, sia prevista ab origine negli atti di gara e venga esercitata in modo espresso e con adeguata motivazione.

Ed invero la previsione negli atti di gara della facoltà di proroga fa sì che tale clausola sia conosciuta e accettata da tutti i concorrenti, formando oggetto del complesso delle regole sulle quali si era tenuto il confronto concorrenziale, nel rispetto dei principi di trasparenza e pubblicità, e si era proceduto alla formulazione delle offerte da parte dei singoli concorrenti, i quali, quindi, hanno tenuto conto, nel far ciò, della possibilità del prolungamento della durata del contratto.

L’inserimento della clausola di rinnovo consente all’Amministrazione di continuare il rapporto contrattuale con un soggetto del quale è già comprovata l’idoneità tecnica e la capacità economica.

La conferma delle “medesime condizioni” previste dal contratto originario e l’assenza di rinegoziazione delle clausole contrattuali, del resto, relegano il rinnovo nell’ambito di una mera procrastinazione della efficacia del contratto stesso (per un tempo pari a quello iniziale) senza che possa configurarsi un nuovo affidamento in senso sostanziale, né alcuna soluzione di continuità sulla durata del contratto originario, il quale costituisce l’unica fonte negoziale che regola il rapporto unitario[3].

In questo quadro la determina di rinnovo si appalesa come esercizio legittimo da parte dell’Ente pubblico della facoltà prevista al riguardo dalla normativa di gara.

Al contempo, la determina in questione reca espressa motivazione circa le ragioni a fondamento della scelta di procedere al rinnovo contrattuale (nel caso di specie, la valutazione positiva dell’attività svolta dal broker, per volume e qualità, nel triennio precedente, e le ragioni di convenienza connesse alla prosecuzione del rapporto alle medesime condizioni contrattuali in essere con il preesistente affidatario).

Ancora, la proroga nel caso di specie è contenuta nella durata, nel pieno rispetto di quanto previsto al riguardo dalla lex specialis.

La ricostruzione proposta dal Consiglio di Stato non si pone in contrasto neppure con l’interesse pubblico poiché “… la soluzione di operare un frazionamento della durata del contratto (con riserva espressa di optare per il suo prolungamento eventuale, nei termini anzidetti) meglio risponde all’interesse pubblico, poiché consente di rivalutare la convenienza del rapporto dopo un primo periodo di attività, alla scadenza contrattuale, sulla base dei risultati ottenuti, senza un vincolo di lungo periodo, ed eventualmente, se ritenuta non conveniente la prosecuzione del rapporto, lascia libera l’Amministrazione di reperire sul mercato condizioni migliori.”.

Un ulteriore supporto normativo è inoltre rinvenuto, dalla pronuncia in oggetto, nel disposto di cui all’art. 29 del Codice[4], disciplinante il calcolo del valore stimato degli appalti e dei servizi pubblici. Ai sensi di tale norma, nel suddetto calcolo, occorre tener conto infatti di qualsiasi forma di opzione o rinnovo del contratto (di cui si assumerebbe pertanto la legittimità).

3. I precedenti orientamenti

La sentenza in commento pone chiarezza nel panorama giurisprudenziale formatosi sul punto.

Il Consiglio di Stato ridimensiona infatti la portata del principio generale di non rinnovabilità – espressa o tacita – dei contratti pubblici, introdotto dall’art. 23 L. 18.4.2005, n. 62 (Disposizioni per l’adempimento di obblighi derivanti dall’appartenenza dell’Italia alle Comunità europee. Legge comunitaria 2004), concedendo agli operatori la possibilità di disporre di un periodo ben maggiore entro cui prolungare l’efficacia e la validità del contratto pubblico, alla sola condizione che di tale facoltà sia stata fatta espressa menzione nella lex specialis.

In tal modo risulta confermato l’orientamento secondo cui il rinnovo o la proroga di contratti pubblici sono ammessi solo entro alcuni limiti, in assenza dei quali la proroga o il rinnovo in questione sono da equipararsi ad un affidamento senza gara, illegittimo e meritevole di annullamento[5]. In particolare, tali limiti sono stati correttamente delineato dal condivisibile orientamento giurisprudenziale secondo cui la deroga alla regola del divieto di proroga del contratto scaduto, anche se prevista nella lex specialis, sia esercitabile solo per un periodo predeterminato e con adeguata motivazione, che dia conto degli elementi che conducono a disattendere il principio generale (sentenza 24.11.2011, n. 6194).

La sentenza in commento chiarisce, invece, che i precedenti orientamenti contrari (sentenza 7.4.2011 n. 2151) riguardano la diversa ipotesi del rinnovo tacito del contratto, vietato dall’art. 57, comma 7, del Codice, in quanto rappresenta una forma di trattativa privata al di fuori dei casi ammessi dal diritto comunitario[6].

Sembrano superati infine gli orientamenti più restrittivi secondo cui “Alla previsione contenuta nell’art. 23 della legge n. 62/2005, “deve assegnarsi una valenza generale ed una portata preclusiva di opzioni ermeneutiche ed applicative di altre disposizioni dell’ordinamento che si risolvono, di fatto, nell’elusione del divieto di rinnovazione dei contratti pubblici” (Consiglio di Stato del 31.10.2006, n. 6462; dell’8.7.2008, n. 3391, e dell’11.5.2009, n. 2882).

4. Orientamenti della giurisprudenza contabile e dell’AVCP

Il tema del rinnovo dei contratti d’appalto rimane oggetto di diverse pronunce restrittive della Corte dei conti e dell’AVCP. Tali pronunce si fondano sull’abrogazione – da parte dell’art. 23 cit. – dell’art. 6, comma 2, L. 24 dicembre 1993, n. 537, che regolava l’istituto del rinnovo espresso dei contratti pubblici[7]

Il Giudice contabile si è, in particolare, occupato di applicare il regime generale del divieto di rinnovo contrattuale all’affidamento di servizi specificamente regolato dal TUEL. Nel caso del servizio di tesoreria si è così vietato il rinnovo contrattuale: e infatti il citato art. 23 L. 62/2005, abrogando in via espressa l’art. 6 L. n. 537/93, vieterebbe agli enti locali di procedere al rinnovo dei contratti di tesoreria, sia per quelli ancora da stipulare, sia per quelli in corso, a prescindere dall’eventuale convenienza economica o dell’interesse pubblico al rinnovo. Ciò in via prevalente rispetto alle previsioni del TUEL[8].

Tale norma avrebbe introdotto per via legislativa un’eccezionale “proroga tecnica” di contratti ormai non più rinnovabili, al fine di consentire, in determinate condizioni e per un limitato periodo di tempo, l’espletamento delle nuove gare, ormai divenute obbligatorie; secondo la Corte, il divieto di rinnovo ex art. 23 cit. avrebbe una valenza generalizzata (conforme è l’A.V.C.P., Delibera n. 21/2011)[9].

Tale divieto, secondo il Giudice contabile e l’A.V.C.P., sarebbe stato recepito anche dal Codice dei Contratti, con la sola eccezione prevista, all’art. 57, comma 5, lett. b), per la “ripetizione di servizi analoghi. Tale istituto è tuttavia diverso dal rinnovo in quanto costituisce un’ipotesi eccezionale, ove, al ricorrere di esigenze già previste e manifestate dalle parti contraenti, in sede di affidamento del contratto originario, il legislatore consente, sulla base di un criterio di continuità funzionale, una nuova e distinta aggiudicazione di servizi, purché rientranti in un unico progetto di base e purché sia rispettato l’ambito temporale massimo fissato per poter avvalersi di tale opportunità, ossia un triennio dalla stipula del precedente contratto (C. Conti, Sez. Centrale, Delibera n. 9/2012/PREV)[10].

A ben vedere tali orientamenti, pur riconoscendo in via di principio il carattere “generale” del divieto del rinnovo contrattuale, non escludono il ricorso alla proroga del contratto (comunque ammesso in via di eccezione[11]) e in tal senso non si pongono in totale contrasto rispetto al recente intervento del Consiglio di Stato, che nella pronuncia qui in commento abbandona ogni distinzione tra i due istituti[12].


[1] Nel caso di specie la proroga era stata prevista ab origine dall’art. 2 del Capitolato speciale, che così disponeva: “la durata del servizio è di tre anni dalla data fissata in sede di assegnazione, con facoltà per l’Amministrazione di rinnovarlo per un ulteriore triennio”.

[2] Ai sensi di tale norma, “2. I contratti per acquisti e forniture di beni e servizi, già scaduti o che vengano a scadere nei sei mesi successivi alla data di entrata in vigore della presente legge, possono essere prorogati per il tempo necessario alla stipula dei nuovi contratti a seguito di espletamento di gare ad evidenza pubblica a condizione che la proroga non superi comunque i sei mesi e che il bando di gara venga pubblicato entro e non oltre novanta giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge.”.

[3] V. Fischione, Ambiti di ammissibilità del rinnovo del contratto, www.giustamm.it.

[4] L’articolo in parola, recante “Metodi di calcolo del valore stimato dei contratti pubblici (artt. 9 e 56, direttiva 2004/18; art. 17, direttiva 2004/17; art. 2, d.lgs. n. 358/1992; art. 4, d.lgs. n. 157/1995; art. 9, d.lgs. n.158/1995), testualmente prevede che 1. Il calcolo del valore stimato degli appalti pubblici e delle concessioni di lavori o servizi pubblici è basato sull’importo totale pagabile al netto dell’IVA, valutato dalle stazioni appaltanti. Questo calcolo tiene conto dell’importo massimo stimato, ivi compresa qualsiasi forma di opzione o rinnovo del contratto.”.

[5] La pronuncia riprende in questa parte le precedenti sentenze del 16.3.2009, n. 1555, del 16 febbraio 2010, n. 850; del 27 aprile 2012, n. 2459. In particolare, secondo la nota sentenza n. 850/2010 All’affidamento senza una procedura competitiva deve essere equiparato il caso in cui ad un affidamento con gara segua, dopo la sua scadenza, un regime di proroga diretta che non trovi fondamento nel diritto comunitario.

Infatti le proroghe dei contratti affidati con gara sono consentite se già previste ab origine, e comunque entro termini determinati.

Una volta che il contratto scada e si proceda ad una sua proroga senza che essa sia prevista ab origine, o oltre i limiti temporali consentiti, la proroga è da equiparare ad un affidamento senza gara.”.

[6] Sul punto si era pronunciato il Consiglio di Stato, Sezione V, con la sentenza del 7 aprile 2011 n. 2151. Il caso in oggetto riguardava la proroga di concessioni minerarie ventennali.

[7] La previsione normativa citata è stata infatti oggetto di una procedura di infrazione da parte della Commissione europea (n. 2110/2003), poiché consentiva alle stazioni appaltanti di affidare, in modo diretto e senza procedura concorsuale, nuovi appalti di servizi e forniture, in violazione dei diritto comunitario. Di conseguenza, l’art. 23 L. n. 62/2005 cit. ne ha disposto l’abrogazione, sancendo il divieto generalizzato di proroghe o rinnovi taciti o espressi.

[8] Significativa al riguardo è la sentenza della Corte dei conti Veneto (Deliberazione n. 215/2009). Il caso all’attenzione della Corte dei conti del Veneto aveva ad oggetto il possibile contrasto tra quanto previsto dall’art. 210, comma 1, del TUEL (Testo unico delle leggi sull’ordinamento degli enti locali) relativamente al servizio di tesoreria e il citato art. 23 L. n. 62/2005. L’art. 210 (Affidamento del servizio di tesoreria) del TUEL prevede in particolare che:

“1. L’affidamento del servizio viene effettuato mediante le procedure ad evidenza pubblica stabilite nel regolamento di contabilità di ciascun ente, con modalità che rispettino i principi della concorrenza. Qualora ricorrano le condizioni di legge, l’ente può procedere, per non più di una volta, al rinnovo del contratto di tesoreria nei confronti del medesimo soggetto. (…)”.

Cfr. Ilenia Filippetti, Il divieto di rinnovo dei contratti d’appalto secondo la Corte dei conti, www.appaltiecontratti.it.

[9] “L’argomento sostenuto dal Comune.., secondo cui il servizio di tesoreria e cassa sarebbe escluso dal divieto generalizzato di rinnovo o proroga previsto dal Codice dei contratti, non appare condivisibile.”.

[10] V. art. 57 Procedura negoziata senza previa pubblicazione di un bando di gara: “Nei contratti pubblici relativi a lavori e negli appalti pubblici relativi a servizi, la procedura del presente articolo é, inoltre, consentita: … b) per nuovi servizi consistenti nella ripetizione di servizi analoghi già affidati all’operatore economico aggiudicatario del contratto iniziale dalla medesima stazione appaltante, a condizione che tali servizi siano conformi a un progetto di base e che tale progetto sia stato oggetto di un primo contratto aggiudicato secondo una procedura aperta o ristretta; in questa ipotesi la possibilità del ricorso alla procedura negoziata senza bando é consentita solo nei tre anni successivi alla stipulazione del contratto iniziale e deve essere indicata nel bando del contratto originario; l’importo complessivo stimato dei servizi successivi é computato per la determinazione del valore globale del contratto, ai fini delle soglie di cui all’articolo 28.”.

[11] Si veda al riguardo la delibera dell’A.V.C.P. n. 6, Adunanza del 20.2.2013 che, dopo aver vietato il rinnovo contrattuale, con riguardo alla possibilità di proroga afferma che: “..non è in linea con la normativa vigente prevedere nella lex specialis, un’opzione di  proroga, alla scadenza del contratto, come alternativa ordinaria alla procedura  di evidenza pubblica non motivata da speciali circostanze .. la proroga – oggetto di numerose pronunce da parte della giustizia amministrativa – è un istituto assolutamente eccezionale ed, in quanto tale, è possibile ricorrervi solo per cause determinate da fattori che comunque non coinvolgono la responsabilità dell’amministrazione aggiudicatrice. Al di fuori dei casi  strettamente previsti dalla legge (art. 23, legge n. 62/2005) la proroga dei contratti pubblici costituisce una violazione dei principi enunciati  all’articolo 2 del decreto lgs. 163/2006 e, in particolare, della libera  concorrenza, parità di trattamento, non discriminazione e trasparenza. La  proroga, nella sua accezione tecnica, ha carattere di temporaneità e di  strumento atto esclusivamente ad assicurare il passaggio da un regime  contrattuale ad un altro. Una volta scaduto un contratto, quindi, l’amministrazione, qualora abbia ancora necessità di avvalersi dello stesso tipo di prestazione, deve effettuare una nuova gara (Cons. di Stato n. 3391/2008).”.

[12] In epoca più risalente, invece, il Giudice amministrativo (Sez. V 31 dicembre 2003, n. 9302) evidenziava come “la proroga sposta  in avanti il solo termine di scadenza del rapporto, mentre il rinnovo del contratto comporta una nuova negoziazione con il medesimo soggetto, ossia un  rinnovato esercizio dell’autonomia negoziale”.

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Questo articolo è stato scritto da...

Francesca Scura
Avv. Francesca Scura
Avvocato amministrativista, esperto in contrattualistica pubblica
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