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1. Premessa

La tematica del rinnovo dei contratti pubblici – e del contiguo istituto della proroga – è stata oggetto nel tempo di differenti interventi normativi, interpretati in modo non univoco da parte della giurisprudenza e della dottrina. Di più: a fronte di una volontà del legislatore di restringere al massimo, se non a cancellare del tutto, le suddette fattispecie, vi è sempre stata una tendenza da parte della prassi, supportata da una parte della dottrina e da certa giurisprudenza, a resistere a tale volontà e far sopravvivere nella pratica concreta tali istituti, anche ai limiti dell’illegittimità.

Nella trattazione che segue, esamineremo come, sin da prima dell’entrata in vigore del Codice dei contratti ormai abrogato, il D. Lgs. n. 163/2006, l’istituto del rinnovo era praticamente stato bandito dall’ordinamento. La normativa comunitaria è infatti chiarissima nel considerare illegittime, perchè lesive della concorrenza, tutte le forme di rinnovo sia tacite che espresse, laddove ci si trovi in concreto in presenza di un nuovo contratto che richiederebbe una nuova gara. Il Codice dei contratti ormai abrogato recepiva la normativa comunitaria ma, a dire il vero, lasciava aperto qualche spiraglio interpretativo, tanto che dottrina e giurisprudenza hanno a lungo discusso sull’ambito di operatività degli istituti del rinnovo e della proroga nell’ordinamento italiano.

La spinta della prassi a ritenere comunque ammissibile una qualche forma di rinnovo, perchè conveniente per le stazioni appaltanti, ha addirittura portato a proporre, in sede di stesura del nuovo Codice degli appalti pubblici, una norma, il comma 12 dell’art. 106, non conservato però – come vedremo meglio in seguito – nella versione definitiva del Codice, che introduceva una forma di rinnovo contrattuale in gran parte contraria ai principi comunitari. 

L’istituto del rinnovo dei contratti pubblici ha subito alterne vicende a seguito di differenti interventi normativi susseguitisi nel tempo. A fronte di una volontà del legislatore, soprattutto comunitario, di volerne limitare al massimo l’applicabilità, vi è una spinta della prassi a volerlo conservare con discreti margini di discrezionalità nell’utilizzo.

2. Differenza tra proroga e rinnovo

Prima di affrontare nel dettaglio le differenti vicende normative occorse agli istituti del rinnovo e della proroga dei contratti pubblici, pare opportuno rammentare le definizioni di tali istituti, date dalla migliore dottrina e giurisprudenza. Per quanto concerne la proroga, essa deve essere intesa quale mera prosecuzione dell’efficacia del rapporto contrattuale. In altre parole, il contratto originario resta in piedi immutato salvo che per il termine di scadenza che viene spostato in avanti, mediante un patto accessorio al contratto d’appalto medesimo. La proroga comporta pertanto una mera ultrattività degli effetti del contratto e può essere “contrattuale” o “tecnica”.

La proroga contrattuale è quella prevista ab origine nel bando di gara e nel successivo contratto. Ha lo scopo di consentire alla stazione appaltante, nell’ambito di contratti potenzialmente di lunga durata, di valutare medio termine l’affidabilità e l’efficienza del contraente, così da lasciarsi aperta la possibilità di confermarlo (attivando la proroga) o di avviare una nuova gara per la scelta di un nuovo contraente in caso di scarsa soddisfazione nei confronti del medesimo.

La proroga tecnica, invece, è quella ammessa – in via eccezionale e per brevi periodi – per garantire la continuità delle prestazioni contrattuali nelle more della conclusione delle procedure per la scelta del nuovo contraente, laddove il ritardo di tale conclusione non sia imputabile alla stazione appaltante.

Il rinnovo, al contrario della proroga, comporta una modifica del contratto originario, oltre che nella durata, almeno in un altro elemento (parte delle prestazioni, prezzo, ecc.) Ci si trova dinanzi ad un contratto distinto rispetto da quello iniziale pur se stipulato tra le stesse parti.

Una forma particolare di rinnovo, che richiede una nuova rinegoziazione, è la ripetizione di servizi analoghi, specificamente disciplinata, come vedremo, sia nel vecchio Codice che nel nuovo.

Passiamo ora ad esaminare l’excursus normativo dell’istituto del rinnovo. 

3. Il rinnovo contrattuale nella disciplina antecedente al vecchio Codice

Fino al 1993 era ammesso il rinnovo dei contratti pubblici, anche tacito. L’art. 6 della L. n. 537, però, intervenne in merito[1] per sopprimere tale eventualità. Tale norma, particolarmente sofferta, venne modificata subito dopo, nel 1994, dall’art. 44 della L. n. 724 che, confermando quanto previsto dal citato art. 6, soggiungeva che <<entro tre mesi dalla scadenza dei contratti, le amministrazioni accertano la sussistenza di ragioni di convenienza e di pubblico interesse per la rinnovazione dei contratti medesimi e, ove verificata detta sussistenza, comunicano al contraente la volontà di procedere alla rinnovazione>>.

Di fatto il legislatore espungeva dall’ordinamento il rinnovo tacito ma ammetteva quello espresso. La procedura prevista per quest’ultimo era però in contrasto con le disposizioni comunitarie in materia. Dopo un decennio di dibattiti giurisprudenziali e dottrinali sul tema, il legislatore non potè che riconoscere l’insanabilità di tale contrasto e tentò di eliminarlo attraverso l’art. 23, comma 1 della L. n. 62/2005, che sopprimeva l’ultimo periodo del comma 2 dell’art. 6 della citata L. n. 537/1993.

La volontà del legislatore era chiara: occorreva eliminare dall’ordinamento il rinnovo espresso, come disciplinato sino a quel momento dalla legge del 1993, per adeguare l’ordinamento italiano a quello comunitario. L’unico istituto assimilabile al rinnovo, riconosciuto e ammesso dal legislatore comunitario,restava la ripetizione di servizi analoghi.

La proroga è una mera prosecuzione della durata del rapporto contrattuale, comportante l’ultrattività degli effetti del contratto originario. Il rinnovo è un nuovo contratto che nasce da una modifica del contratto originario, oltre che nella durata, almeno in un altro elemento. 

4. Il rinnovo contrattuale nel vecchio Codice dei contratti

Subito dopo la novella del 2005 è intervenuto il Codice dei contratti pubblici, approvato con il D. Lgs. n. 163/2006, ora abrogato.

A dire il vero, il vecchio Codice ha aperto qualche spiraglio a favore dei fautori della tesi della compatibilità dell’istituto del rinnovo espresso con l’ordinamento vigente.

Infatti, pur avendo abrogato interamente l’art. 6, comma 2 della citata L. n. 537/1993, il D. Lgs. n. 163/2006 conteneva alcune disposizioni, per così dire, equivoche. Una era sicuramente l’art. 29, il quale, nello stabilire che il calcolo del valore stimato degli appalti dovesse basarsi sull’importo pagabile al netto dell’IVA, precisava che tale calcolo doveva tener conto dell’importo massimo stimato <<ivi compresa qualsiasi forma di opzione o rinnovo del contratto>>. In tal modo, parte della dottrina e giurisprudenza poterono affermare che il rinnovo espresso avesse ancora diritto di cittadinanza nel nostro ordinamento.

Altra norma di riferimento per i fautori della suddetta tesi era l’art. 57 del vecchio Codice, il quale, oltre a disciplinare la ripetizione di servizi analoghi quale ipotesi di procedura negoziata senza previa pubblicazione del bando di gara, ribadiva il divieto di rinnovo tacito dei contratti, in tal modo implicitamente ammettendo – secondo alcuni – la legittimità dei rinnovi espressi.

L’Autorità di vigilanza dei contratti pubblici ha sostenuto in più occasioni[2] la tesi secondo cui l’istituto del rinnovo (espresso, s’intende) non sia estraneo alla disciplina degli appalti. Secondo l’Autorità, infatti, l’art. 23 della L. n. 62/2005 non ha introdotto un divieto generalizzato di ricorso al rinnovo espresso tout court ma solamente al rinnovo meramente contrattuale, da intendersi come facoltà da esercitarsi entro tre mesi dalla scadenza del contratto secondo il letterale disposto dell’ultimo periodo dell’art. 6, comma 2, L. n. 537/1993, l’unico realmente oggetto di abrogazione da parte del citato art. 23.

Soltanto questa specifica fattispecie, a parere dell’ex AVCP, era contraria ai principi comunitari e non anche il rinnovo previsto ab origine dal bando di gara, il cui valore complessivo stimato comprendesse anche l’importo dell’eventuale rinnovo. In tal caso, infatti, i principi comunitari di tutela della concorrenza, par condicio e partecipazione erano salvaguardati, posto che si doveva aver riguardo all’importo complessivo dell’appalto, ivi compresi eventuali rinnovi, sia al fine di verificare l’eventuale superamento delle soglie comunitarie – e quindi la conseguente scelta della procedura da seguire -, sia ai fini della pubblicità da dare all’appalto medesimo. Inoltre, tutti gli operatori economici erano posti in pari condizioni nel conoscere il possibile sviluppo temporale ed economico dell’appalto e quindi le sue reali potenzialità e convenienza[3].

Parte della dottrina e della giurisprudenza hanno sostenuto la legittimità di tale tipo di rinnovo, in particolare per gli appalti di forniture, agganciandosi all’art. 29 del Codice di cui si è detto sopra, nonché, per alcuni, rifacendosi al generale principio dell’autonomia di diritto privato secondo cui le stazioni appaltanti e i contraenti possono – entro certi limiti – derogare alla normativa sugli appalti.

Per i servizi, in verità, si è ritenuta applicabile la fattispecie della ripetizione di servizi analoghi, ex art. 57 del vecchio Codice, invero più restrittiva perchè richiedente una serie più ampia di presupposti[4].

In tal caso, infatti, erano necessarie alcune condizioni aggiuntive: oltre al fatto che il valore iniziale dell’appalto dovesse essere comprensivo anche dell’importo previsto per le ripetizioni, occorreva altresì che l’affidamento delle ripetizioni al medesimo contraente seguisse ad una precedente procedura aperta o ristretta, intervenisse entro tre anni dal primo contratto e avesse ad oggetto servizi analoghi a quelli oggetto del contratto originario.

In merito, è significativo il fatto che, per quanto privo di potere vincolante, anche lo schema del bando–tipo approvato dall’ANAC prevedesse, in termini facoltativi, la possibilità per la stazione appaltante di introdurrenel bando, l’opzione di rinnovo del contratto[5].

Il vecchio Codice prevedeva poi espressamente – all’art. 125 – la c.d. proroga tecnica per le acquisizioni in economia, disponendo che il ricorso all’acquisizione in economia era consentito, tra l’altro, nell’ipotesi di <<prestazioni periodiche di servizi, forniture, a seguito della scadenza dei relativi contratti, nelle more dello svolgimento delle ordinarie procedure di scelta del contraente, nella misura strettamente necessaria>>.

Con riferimento alla proroga, in vigenza del vecchio Codice era considerata certamente ammissibile la proroga tecnica, intesa come un inevitabile ed imprevedibile prolungamento – per periodi brevi – del contratto originario, laddove la stazione appaltante non avesse ancora concluso la procedura per il nuovo affidamento di quel determinato servizio o fornitura, per cause non ascrivibili alla sua responsabilità.

Il riferimento normativo era, oltre al citato art. 125 per le acquisizioni in economia, il più generale principio di continuità amministrativa desumibile dall’art. 97 della Costituzione, che impone alle pubbliche amministrazioni di assicurare l’erogazione di dati servizi senza soluzione di continuità[6].

Non era invece ritenuta ammissibile la proroga contrattuale strictu sensu, intesa come la facoltà esercitata dalla stazione appaltante di prorogare l’efficacia di un contratto prima della sua scadenza. Invero, la giurisprudenza si è talvolta pronunciata in senso favorevole alla legittimità di proroghe contrattuali laddove però la relativa opzione fosse stata prevista nel bando di gara e la stazione appaltante avesse dato puntuale motivazione delle ragioni ad essa sottese[7].

In vigenza del vecchio Codice, secondo l’ex AVCP, l’art. 23 della L. n. 62/2005 non aveva introdotto un generale divieto di ricorso al rinnovo espresso ma solamente al rinnovo meramente contrattuale, inteso come facoltà da esercitarsi entro tre mesi dalla scadenza del contratto.

5. Il rinnovo nel nuovo Codice: differenze tra lo schema approvato dal Consiglio dei Ministri ed il testo definitivo. L’intervento del Consiglio di Stato

Con l’avvento del nuovo Codice, l’istituto del rinnovo affronta un’altra stagione caratterizzata da nuovi contrasti interpretativi.

Il D. Lgs. n. 50/2016,infatti, tratta la tematica in esame principalmente all’art. 106; una disposizione, per la verità, di difficile lettura perchè costituita da un guazzabuglio di norme differenti che avrebbero meritato una trattazione in articoli distinti.

L’art. 106, rubricato <<modifica dei contratti durante il periodo di efficacia>>, disciplina in primo luogo le varianti in corso d’opera, ma anche la proroga, il rinnovo – che, a guardar bene, non rientra in una ipotesi di modifica del contratto durante il suo periodo di efficacia ma, al più, successivamente alla scadenza del contratto originario – e finanche la responsabilità del progettista.

Invero, per limitarci ad esaminare l’argomento che ci interessa in questa sede, va precisato che la prima versione del Codice, ossia lo Schema di decreto legislativo licenziato dal Governo il 5 marzo 2016 per essere sottoposto a parere parlamentare, prevedeva un comma 12 che nella versione definitiva del Codice è sparito.

Più precisamente, il comma 12 del testo provvisorio così recitava: <<Il contratto di appalto può essere, nei casi in cui sia stato previsto nei documenti di gara, rinnovato per una sola volta, per una durata ed un importo non superiori a quelli del contratto originario. A tal fine, le parti stipulano un nuovo contratto, accessorio al contratto originario, di conferma o di modifica delle parti non più attuali, nonché per la disciplina del prezzo e della durata>>.

Come è evidente, la norma in questione presentava alcuni profili di palese inconciliabilità con le direttive comunitarie[8]nonchè con altre disposizioni del Codice medesimo.

In particolare, pur se la norma imponeva che il rinnovo dovesse essere previsto negli atti di gara, non stabiliva che del valore dell’eventuale rinnovo si dovesse tener conto all’inizio della procedura di gara nell’ambito della quantificazione dell’importo complessivo stimato dell’appalto, come invece impone la normativa comunitaria per far sì che la stazione appaltante valuti correttamente l’eventuale superamento delle soglie e scelga conseguentemente la corretta procedura applicabile nonché rispetti i relativi obblighi di pubblicità.

La disposizione in questione si poneva poi in palese contrasto con altra disposizione del medesimo testo normativo – l’art. 63, comma 5 – che prevede la ripetizione di lavori o servizi analoghi e che stabilisce che tale procedura possa essere <<utilizzata per nuovi lavori o servizi consistenti nella ripetizione di lavori o servizi analoghi, già affidati all’operatore economico aggiudicatario dell’appalto iniziale dalle medesime amministrazioni aggiudicatrici, a condizione che tali lavori o servizi siano conformi al progetto a base di gara e che tale progetto sia stato oggetto di un primo appalto aggiudicato secondo una procedura di cui all’articolo 59, comma 1. Il progetto a base di gara indica l’entità di eventuali lavori o servizi complementari e le condizioni alle quali essi verranno aggiudicati. La possibilità di avvalersi della procedura prevista dal presente articolo è indicata sin dall’avvio del confronto competitivo nella prima operazione e l’importo totale previsto per la prosecuzione dei lavori o della prestazione dei servizi è computato per la determinazione del valore globale dell’appalto, ai fini dell’applicazione delle soglie di cui all’articolo 35, comma 1. Il ricorso a questa procedura è limitato al triennio successivo alla stipulazione del contratto dell’appalto iniziale>>.

Si trattava di due norme in palese contrasto tra loro. In primo luogo, il rinnovo di cui al comma 12 dell’art. 106 non doveva necessariamente essere preceduto da una procedura aperta o ristretta, avente ad oggetto il progetto di lavori o servizi alla base della ripetizione. Ancora, nel comma in questione non si imponeva di tener conto del valore del rinnovo nel valore complessivo stimato dell’appalto. Infine, la ripetizione di lavori o servizi analoghi poteva essere disposta in un arco temporale di tre anni dalla stipula del contratto iniziale, previsione non ammessa per il rinnovo espresso di cui al comma 12 dell’art. 106.

A dirimere tale insanabile discrasia ha pensato il Consiglio di Stato, il quale, in sede di parere reso sullo schema di decreto legislativo[9], ha sollecitato con forza la modifica della norma de qua rilevando che <<la disposizione di cui al primo periodo del comma 12 (relativa alla possibilità di rinnovare una sola volta i contratti d’appalto) oltre a sembrare decontestualizzata in quanto inserita nell’ambito di una disposizione concernente le modifiche dei contratti ancora in corso di efficacia, non è coerente con le direttive. In base al diritto europeo il rinnovo del contratto è consentito solo se rimane immodificato il suo contenuto (e ciò perchè sin ab origine, cioè sin dall’indizione della gara originaria, gli operatori economici devono essere in grado di valutare la convenienza della partecipazione e delle previsioni contrattuali). In altri termini, se vi è la modifica del contenuto del contratto vi è un nuovo contratto: e ciò comporta la necessità di una specifica gara. Non si può dunque prevedere che sia modificato il contratto “rinnovato”: vanno conseguentemente soppressi tutti i richiami alla possibilità di modificare il contenuto del contratto rinnovato>>.

Sul parere espresso dal Consiglio di Stato vale la pena soffermarsi per svolgere alcune riflessioni.

Ciò che il Supremo Collegio pare contestare non è tanto il rinnovo espresso in sé e per sé ma la modifica del contenuto del contratto originario. Non sembra, in altri termini, che il Consiglio di Stato intendesse demolire la previsione del rinnovo espresso nel suo complesso quanto piuttosto la possibilità per la stazione appaltante di modificare – anche arbitrariamente – il contenuto del contratto originario in fase di rinnovo, in tal modo dando vita di fatto ad un affidamento diretto senza gara e quindi in totale assenza di confronto concorrenziale, con tutto ciò che ne consegue in termini di violazione della concorrenza e della trasparenza.

Vero è che, probabilmente, il legislatore delegato, parlando di “modifiche alle parti non più attuali” intendesse riferirsi a modifiche certamente non sostanziali, relative a prestazioni non più necessarie, che non soddisfacevano più alcuna esigenza della stazione appaltante.

In ogni caso, in sede di approvazione del testo definitivo del Codice, il comma 12 sotto accusa è stato interamente espunto ed ogni tentativo di trovare una via interpretativa che lo conciliasse con il resto del Codice ha perso di importanza. 

Lo Schema provvisorio di Codice prevedeva una forma di rinnovo espresso, contemplata dal comma 12 dell’art. 106 che, nella versione definitiva del Codice, è sparita. Ciò a seguito del parere sostanzialmente negativo espresso dal Consiglio di Stato in sede consultiva.

6. L’attuale disciplina: il rinnovo e la proroga nel D. Lgs. n. 50/2016

Nel testo definitivo del nuovo Codice gli istituti del rinnovo e della proroga sono trattati, direttamente o indirettamente, in tre distinte disposizioni: l’art. 35, l’art. 63 e l’art. 106.

L’art. 35, comma 4, in analogia a quanto disposto dall’art. 29 del vecchio Codice, prevede che <<il calcolo del valore stimato di un appalto pubblico di lavori, servizi e forniture è basato sull’importo totale (…) tiene conto dell’importo massimo stimato, ivi compresa qualsiasi forma di eventuali opzioni o rinnovi del contratto esplicitamente stabiliti nei documenti di gara>>. A differenza della vecchia formulazione, nel nuovo Codice si afferma che la stazione appaltante debba quantificare l’importo complessivo stimato dell’appalto tenendo conto anche degli eventuali rinnovi, precisando che di tali rinnovi se ne debba dare previsione espressa nella lex specialis.

Sembrerebbe dunque che anche il D. Lgs. n. 50/2016 lasci la porta aperta alla possibilità di rinnovi espressi del contratto, purchè sia rispettata la duplice condizione della previsione esplicita dell’opzione di rinnovo nel bando di gara e che l’importo dell’eventuale rinnovo sia contemplato sin dall’inizio nell’importo totale stimato dell’appalto, ai fini della verifica del superamento delle soglie comunitarie e dell’adempimento dei relativi obblighi di pubblicità.

L’art. 106, invece, nella sua formulazione definitiva, sembrerebbe ammettere solo l’istituto della proroga.

La ratio dell’inserimento di tale istituto nell’art. 106, che – come detto – contiene un insieme eterogeneo di norme, potrebbe essere ravvisata nel fatto che la proroga rappresenta una modifica contrattuale che, come le varianti, non comporta una nuova procedura di gara.

Il comma 11 infatti così recita: <<la durata del contratto può essere modificata esclusivamente per i contratti in corso di esecuzione se è prevista nel bando e nei documenti di gara una opzione di proroga. La proroga è limitata al tempo strettamente necessario alla conclusione delle procedure necessarie per l’individuazione di un nuovo contraente. In tal caso il contraente è tenuto all’esecuzione delle prestazioni previste nel contratto agli stessi prezzi, patti e condizioni o più favorevoli per la stazione appaltante>>.

La legittimità della proroga, intesa esclusivamente come modifica della durata di un contratto, quindi come ultrattività dei suoi effetti, sembrerebbe ammissibile soltanto in presenza di tre condizioni:

  1. il contratto originario deve essere ancora in corso di esecuzione. Se ne deduce che la stazione appaltante debba esercitare l’opzione di proroga prima che il contratto giunga a scadenza;
  2. la lex specialis deve espressamente contenere l’opzione di proroga. In tal modo è salvaguardato l’interesse generale della concorrenza, in quanto i concorrenti sono tutti al pari consapevoli della possibilità di una più lunga durata del contratto che mirano ad aggiudicarsi;
  3. la durata della proroga deve essere limitata al tempo strettamente necessario alla conclusione delle procedure volte all’individuazione del nuovo contraente.

Con riferimento alla terza condizione, la dottrina si è divisa, nel senso che, secondo alcuni, tale previsione comporta che nel nuovo Codice sia ammissibile esclusivamente la c.d. proroga tecnica, ovvero la proroga ammessa esclusivamente per garantire l’erogazione di un dato servizio senza soluzione di continuità nelle more della conclusione delle procedure ordinarie di scelta del nuovo contraente. In tal caso, ci si chiede se, in assenza di una previsione esplicita in tal senso, in vigenza del nuovo Codice, si debba interpretare l’ammissibilità della proroga tecnica in senso restrittivo, cioè limitandola ai soli casi in cui i ritardi nella conclusione delle procedure non siano imputabili alla stazione appaltante[10].

L’altro aspetto da esaminare è la durata massima di tale proroga, che andrebbe anch’essa predeterminata nella lex specialis. In assenza di specifica previsione in merito nel Codice, potrebbe ritenersi applicabile il termine di sei mesi, stabilito dall’ancora vigente art. 23, comma 2, della L. n. 62/2005.

Di sicuro, una novità introdotta dal D. Lgs. n. 50/2016 consiste nella necessaria previsione della proroga tecnica nei documenti di gara. A rigore, in assenza di tale esplicita clausola della lex specialis, la proroga tecnica non sarebbe applicabile.

Nel nuovo Codice parrebbe ammissibile soltanto la proroga tecnica in presenza di tre condizioni: il contratto originario deve essere ancora in corso di esecuzione, la lexspecialis deve espressamente contenere l’opzione di proroga e la sua durata deve essere limitata al tempo strettamente necessario alla conclusione delle procedure per la scelta del nuovo contraente.

Vi è invece chi legge la disposizione in esame – effettivamente priva di limiti restrittivi in fatto di durata massima della proroga e di specifici presupposti causali – come una implicita ammissibilità, nel vigente ordinamento, della proroga contrattuale. Inserire o meno nei documenti di gara un’opzione di proroga fa parte della strategia procedurale della stazione appaltante: l’Amministrazione è libera di prediligere un rapporto contrattuale di lunga durata ovvero uno di più breve durata, con facoltà di espandere il termine di scadenza del contratto medesimo in caso di gradimento del contraente originario e previa verifica del persistente interesse pubblico a proseguire il rapporto contrattuale alle condizioni in atto.

7. L’art. 63: il rinnovo come ripetizione di servizi o lavori analoghi

Per quanto concerne il rinnovo espresso, parrebbe che il nuovo Codice contempli esclusivamente l’ipotesi della ripetizione di servizi (o lavori) analoghi. L’attuale art. 63, comma 5, infatti, ricopiando quasi pedissequamente il vecchio art. 57, comma 5, lett. b) del D. Lgs. n. 163/2006 di cui si è detto in precedenza, prevede la possibilità di affidare al contraente originario nuovi servizi, analoghi a quelli del contratto principale, a conclusione di una procedura negoziata senza previa pubblicazione di un bando di gara.

Si tratta, come in passato, di servizi nuovi, la cui esecuzione, al momento dell’indizione della gara originaria, era prevista solo come mera eventualità perché, a quell’epoca, il relativo bisogno non sussisteva. E’ per questa ragione che la stazione appaltante non li assegna direttamente all’esito della procedura di gara ma si riserva la facoltà di farlo nel triennio successivo al contratto originario. Il carattere puramente eventuale di tali servizi analoghi giustifica il fatto che il loro importo sia preso in considerazione ab origine solo per la quantificazione del valore complessivo dell’appalto, ai fini della verifica del superamento delle soglie comunitarie e, conseguentemente, per la scelta della procedura da scegliere e per gli obblighi di pubblicità da rispettare e non anche ai fini dei requisiti di partecipazione alla gara originaria o per il calcolo della cauzione provvisoria dovuta.

Si tratta comunque di un nuovo contratto che segue ad una rinegoziazione tra le medesime parti del contratto originario.

Le condizioni richieste dal nuovo Codice per ammettere la ripetizione di servizi analoghi sono quelle già note: oltre al fatto che il valore iniziale dell’appalto deve comprendere l’importo previsto per le ripetizioni, l’affidamento delle ripetizioni al medesimo contraente deve seguire ad una precedente procedura aperta o ristretta, intervenire entro tre anni dalla stipula del primo contratto e avere ad oggetto, come detto, servizi analoghi a quelli oggetto del contratto originario.

In più, rispetto alla vecchia formulazione, vanno rimarcate alcune novità: il nuovo Codice estende la disciplina della ripetizione dei servizi analoghi anche alla categoria dei lavori e definisce meglio i lavori o servizi oggetto della ripetizione: gli stessi devono essere conformi al progetto a base di gara oggetto del primo appalto aggiudicato con procedura ad evidenza pubblica, come precisato nella nuova formulazione della norma.

Resta da chiedersi quale spazio possa rimanere per l’ipotesi del rinnovo espresso tout court. Probabilmente nessuno, posto che nel D. Lgs. n. 50/2016 non è rinvenibile una norma analoga a quella contenuta nel vecchio art. 57, comma 7, la quale, nel precisare il divieto di rinnovo tacito dei contratti, pareva implicitamente ammettere la legittimità di quelli espressi.

Ci si potrebbe comunque appigliare alla generale (rectius, generica) previsione dell’art. 35 di cui si è detto sopra o a quanto disposto dall’art. 106, comma 1, lett. a) che ammette in generale le modifiche contrattuali che siano state <<previste nei documenti di gara iniziali in clausole chiare, precise e inequivocabili>>[11].

Vero è che tale seconda tesi appare piuttosto forzata e basata su un’interpretazione estensiva di una norma che, per la sua natura eccezionale, dovrebbe essere di stretta interpretazione.

E’ senza dubbio auspicabile un intervento chiarificatore dell’ANAC sul punto. In mancanza, occorrerà attendere che si formi un orientamento giurisprudenziale che definisca – si spera in modo univoco – la via interpretativa da seguire.

Nel nuovo Codice, il rinnovo assume la forma della ripetizione dei servizi o lavori analoghi. Non sembra residuare alcuno spazio per ritenere ammissibile il rinnovo espresso tout court, vista l’assenza di una norma similare al vecchio comma 7 dell’art. 57 che, nel precisare il divieto di rinnovo tacito dei contratti, pareva implicitamente ammettere la legittimità di quelli espressi.


[1]Art. 6, comma 2, L.n. 537/1993: <<E’ vietato il rinnovo tacito dei contratti delle pubbliche amministrazioni per la fornitura di beni e servizi, ivi compresi quelli affidati in concessione a soggetti iscritti in appositi albi. I contratti stipulati in violazione del predetto divieto sono nulli>>. 

[2]Pareri n. 183/2007 e n. 242/2008.

[3]Si veda Deliberazione ex AVCP n. 6/2013 e parere n. 38/13 del 24.07.2013.

[4] Art. 57, comma 5, lett. b), D. Lgs. n. 163/2006: <<Nei contratti pubblici relativi a lavori e negli appalti pubblici relativi a servizi, la procedura del presente articolo è, inoltre, consentita: (…) b) per nuovi servizi consistenti nella ripetizione di servizi analoghi già affidati all’operatore economico aggiudicatario del contratto iniziale dalla medesima stazione appaltante, a condizione che tali servizi siano conformi a un progetto di base e che tale progetto sia stato oggetto di un primo contratto aggiudicato secondo una procedura aperta o ristretta; in questa ipotesi la possibilità del ricorso alla procedura negoziata senza bando è consentita solo nei tre anni successivi alla stipulazione del contratto iniziale e deve essere indicata nel bando del contratto originario; l’importo complessivo stimato dei servizi successivi è computato per la determinazione del valore globale del contratto, ai fini delle soglie di cui all’articolo 28.

[5] Nello schema di bando-tipo ANAC per gli appalti di servizi e forniture, posto in consultazione nel mese di maggio 2015, è presentela dicitura facoltativa riportante l’opzione di rinnovo: <<1.5 Alla scadenza del contratto, la stazione appaltante si riserva la facoltà di rinnovarlo, alle medesime condizioni, per un ulteriore periodo di…[mesi/anni…] per l’importo, IVA esclusa, pari a € …[in cifre]…, …(euro… [in lettere]…)…. La richiesta di rinnovo del contratto alla scadenza avverrà mediante lettera raccomandata con avviso di ricevimento o posta elettronica certificata almeno …. [indicare i giorni] prima del termine finale del contratto originario>>.

[6] Così ex AVCP deliberazione n. 86 del 06.10.2011.

[7]Cons. Stato Sez. VI 24.11.2011, n. 6194; Cons. Stato Sez. III, 07.05.2015, n. 2288.

[8] In particolare la Direttiva n. 2014/14/UE.

[9] Parere n. 855 del 1° aprile 2016.

[10]E’ interessante in merito la posizione espressa dall’ANAC, prima dell’entrata in vigore del nuovo Codice, con il comunicato del Presidente del 4 novembre 2015. In esso, l’Autorità esamina gli esiti di un’indagine eseguita sull’utilizzo improprio delle proroghe/rinnovi di contratti pubblici ed evidenzia come l’elevato numero di proroghe tecniche disposte dalle stazioni appaltanti per una durata abnorme fa desumere che la proroga tecnica <<non è piùuno strumento di “transizione” per qualche  mese di ritardo determinato da fatti imprevedibili, ma diventa ammortizzatore  pluriennale di palesi inefficienze di programmazione e gestione del processo di  individuazione del nuovo assegnatario.Quanto sopra evidenziato sull’uso improprio delle proroghe, può assumere profili di illegittimità e di danno erariale, allorquando le amministrazioni interessate non dimostrino di aver attivato tutti quegli strumenti organizzativi\amministrativi necessari ad evitare il generale e tassativo divieto di proroga dei contratti in corso e le correlate distorsioni del mercato>>. 

[11] Vi è chi ha letto un sostegno alla tesi dell’ammissibilità dei rinnovi tout court nel nostro ordinamento nel Comunicato del Presidente ANAC del 11.05.2016, laddove questo prevede che si applichi la previgente disciplina, tra l’altro, agli affidamenti aggiudicati prima dell’entrata in vigore del nuovo Codice, per i quali siano disposti <<il rinnovo del contratto o modifiche contrattuali derivanti da rinnovi già previsti nei bandi di gara; (…) ripetizione di servizi analoghi; proroghe tecniche – purché limitate al tempo strettamente necessario per l’aggiudicazione della nuova gara>>.

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Dott.ssa Alessandra Verde
Referendaria consiliare presso il Consiglio regionale della Sardegna
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