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1. Premesse

Con l’entrata in vigore del decreto legislativo 18 aprile 2016, n. 50 (di seguito il “Nuovo Codice Appalti”) – pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale, Serie Generale n. 91 del 19 aprile 2016 – è stato revisionato il corpo normativo relativo ai contratti pubblici.

Il Nuovo Codice Appalti, oltre a rispondere alle esigenze di semplificazione e snellimento delle norme in materia, e di rispetto del divieto di gold plating, esigenze tutte dettate dalle direttive 2014/23/UE, 2014/24/UE e 2014/25/UE, è chiaramente incentrato sulla lotta alla corruzione: diverse sono, infatti, le disposizioni a sostegno della legalità, a cominciare dal potenziamento del ruolo dell’Autorità Nazionale Anti Corruzione (ANAC) e delle sue funzioni di vigilanza e di facilitazione allo scambio di informazioni tra stazioni appaltanti.

In quest’ottica con il Nuovo Codice Appalti hanno fatto il loro ingresso nella normativa della contrattualistica pubblica il rating di legalità e il rating di impresa.

Fra i principi indicati dalla Legge 28 gennaio 2016 n. 11 (delega al Governo per l’attuazione delle direttive 2014/23/UE, 2014/24/UE e 2014/25/UE del Parlamento europeo e del Consiglio del 26 febbraio 2014), a tale riguardo rilevano all’articolo 1:

  • « q) armonizzazione delle norme in materia di trasparenza, pubblicità, durata e tracciabilità delle procedure di gara e delle fasi ad essa prodromiche e successive, anche al fine di concorrere alla lotta alla corruzione, di evitare i conflitti d’interesse e di favorire la trasparenza nel settore degli appalti pubblici e dei contratti di concessione: [….] 5) prevedendo un sistema amministrativo, regolato sotto la direzione dell’ANAC, di penalità e premialità per la denuncia obbligatoria delle richieste estorsive e corruttive da parte delle imprese titolari di  appalti pubblici, comprese le imprese subappaltatrici e le imprese fornitrici di materiali, opere e servizi, prevedendo altresì uno specifico regime sanzionatorio nei casi di omessa o tardiva denuncia e individuando le norme del codice la cui violazione determina la comminazione  di sanzioni amministrative da parte dell’ANAC;»;
  • uu) revisione del vigente sistema di qualificazione degli operatori economici in base a criteri di omogeneità, trasparenza e verifica formale e sostanziale delle capacità realizzative, delle competenze tecniche e professionali, ivi comprese le risorse umane, organiche all’impresa, nonché delle attività effettivamente eseguite, introducendo, inoltre, misure di premialità, regolate da un’apposita disciplina generale fissata dall’ANAC con propria determinazione e connesse a criteri reputazionali basati su parametri oggettivi e misurabili e su accertamenti definitivi concernenti il rispetto dei tempi e dei costi nell’esecuzione dei contratti e la gestione dei contenziosi, nonché assicurando gli opportuni raccordi con la normativa vigente in materia di rating di legalità».

La rilevanza attribuita dal Nuovo Codice Appalti agli istituti del rating di legalità e del rating di impresa rappresenta il punto di arrivo della disciplina della cd. responsabilità “amministrativa” degli enti di cui al Decreto Legislativo 8 giugno 2001, n. 231 s.m.i. il quale ha sollecitato, non essendo previsto un obbligo in tal senso, gli enti alla prevenzione dei reati mediante l’adozione di modelli di autoregolamentazione e codici comportamentali che rilevano oggi come fattore di premialità rispetto al rating di legalità.

Inoltre, l’esigenza di contrastare la corruzione che inquina il settore degli appalti pubblici, ha contribuito ad introdurre l’obbligo per le amministrazioni/stazioni appaltanti di adottare meccanismi preventivi e, allo stesso tempo, la necessità che i soggetti privati destinatari di risorse pubbliche sotto qualsiasi forma (sovvenzioni/contributi o corrispettivi di un appalto), forniscano maggiori garanzie di legalità.

Il nuovo istituto del rating d’impresa si sovrappone peraltro, almeno parzialmente, al diverso e previgente istituto del rating di legalità, ragion per cui qui di seguito si delineerà una sintetica rassegna delle caratteristiche salienti di tali distinti strumenti di verifica della capacità, tecnica e morale, delle imprese che partecipano alle procedure di gara ad evidenza pubblica.

Fra le novità del D.Lgs. 50/2016 rileva la codificazione degli istituti del rating di legalità e del rating di impresa il quale si sovrappone, almeno parzialmente, al primo.

2. Il rating di legalità

L’obiettivo della normativa del RATING DI LEGALITÀ, istituto già introdotto con la legge 24 marzo 2012, n. 27 di conversione, con modificazioni, del decreto-legge 24 gennaio 2012 n. 1, fino ad ora è stato la creazione (tramite le misure stabilite dal Decreto 56 del 2014 dei Ministri dell’Economia e delle Finanze e dello Sviluppo Economico) di un percorso facilitato di accesso ai finanziamenti pubblici ed al credito bancario per quelle imprese che attuano politiche ispirate all’etica ed alla compliance legale.

Ai sensi dell’articolo 5-ter del decreto-legge 24 gennaio 2012 n. 1 convertito con modificazioni dalla legge 24 marzo 2012, n. 27, l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (AGCM) ha il compito di segnalare al Parlamento le modifiche normative necessarie a promuovere l’introduzione di principi etici nei comportamenti delle imprese; alla medesima AGCM è stato, inoltre, assegnato il compito di procedere all’elaborazione ed all’attribuzione alle imprese di un rating di legalità[1].

A tale riguardo si evidenzia, infatti, che l’ANAC, ex articolo 213 comma 7 del Nuovo Codice Appalti, ora collabora con l’AGCM «per la rilevazione di comportamenti aziendali meritevoli di valutazione al fine dell’attribuzione del “Rating di legalità” delle imprese di cui all’articolo 5-ter del decreto-legge 24 gennaio 2012, n. 1, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 marzo 2012, n. 27».

Le condizioni per accedere a maggior punteggio sono specificamente elencate nel Regolamento di attuazione del rating di legalità adottato dall’AGCM con delibera 14 novembre 2012, n. 24075, come modificato dalla delibera n. 24953 del 5 giugno 2014, dalla delibera n. 25017 del 17 luglio 2014 e dalla delibera n. 25207 del 4 dicembre 2014 e attualmente in fase di revisione.

Si evidenzia che il rating di legalità è accessibile solo dalle aziende operanti nel territorio nazionale ed iscritte nel registro delle imprese da almeno due anni che (da sole o in qualità di imprese appartenente ad un gruppo) abbiano un fatturato minimo di due milioni di euro nell’ultimo esercizio chiuso nell’anno precedente alla richiesta.

Il rating di legalità viene articolato in diversi range (da un minimo di una “stelletta” a un massimo di tre “stellette”) e l’attribuzione, effettuata su domanda dall’impresa, viene disposta dall’AGCM in base al possesso di determinati requisiti sulla base di dichiarazioni rese dalle imprese, che verranno successivamente verificate tramite controlli incrociati con i dati in possesso delle pubbliche amministrazioni interessate.

Per ottenere il punteggio minimo e indispensabile all’acquisizione del rating di legalità conseguendo una “stella” l’impresa deve poter attestare l’assenza di condanne penali a carico dell’imprenditore, del vertice aziendale e della persona giuridica (ex Decreto Legislativo 8 giugno 2001, n. 231 s.m.i.) nonché assenza di misure di prevenzione e cautelari; assenza di provvedimenti antimafia; assenza di condanne gravi in tema di antitrust; assenza di accertamenti definitivi in tema di violazione sulla sicurezza sui luoghi di lavoro; assenza di provvedimenti di revoca di finanziamenti pubblici; assenza di accertamenti definitivi di maggior reddito imponibile rispetto a quello dichiarato; effettuare pagamenti e transazioni finanziarie di ammontare superiore alla soglia di mille euro esclusivamente per il tramite di strumenti di pagamento tracciabili.

Il punteggio può giungere fino al massimo di tre stelle laddove l’impresa: adotti processi volti alla cooperazione dell’impresa con le Autorità a fini di contrasto della criminalità organizzata e di reati affini (adesione ai Protocolli di legalità, iscrizione nelle white list); si doti di sistemi di organizzazione e gestione volti alla prevenzione al proprio interno degli illeciti penali (modelli organizzativi ex D.Lgs. 231/2001, modelli anticorruzione, sistemi di tracciabilità dei pagamenti); faccia proprie forme di responsabilità sociale, ovvero aderisca a codici etici di autoregolamentazione.

Il rating di legalità ha durata di due anni dal rilascio ed è rinnovabile su richiesta: in caso di perdita di uno dei requisiti base (indispensabili per ottenere una “stelletta”) l’AGCM dispone la revoca del rating, mentre se vengono meno i requisiti grazie ai quali l’impresa aveva ottenuto un rating più alto, la medesima Autorità ridurrà il numero di stellette attribuite.

Particolarmente importanti sono i vantaggi derivanti all’impresa che decide di farsi “quotare”:

a) preferenza in graduatoria;

b) attribuzione di punteggio aggiuntivo;

c) riserva di quota delle risorse finanziarie allocate.

L’importanza dell’ottenimento del rating di legalità, però, non è solo da ritrovarsi nelle anzidette, seppur rilevanti, facilitazioni ma va colta nella collocazione della propria posizione sul mercato a fronte di concorrenti che rientrassero nell’ambito della quotazione: oggi il rating di legalità diventa parametro di cui tener conto in sede di accertamento dei requisiti reputazionali alla base del RATING DI IMPRESA O RATING REPUTAZIONALE di cui all’articolo 83 comma 10 del Nuovo Codice Appalti ed assume specifica valenza  quale criterio rilevante ai fini sia della riduzione dell’importo della garanzia da prestare per la partecipazione alle gare sia della valutazione dell’offerta in sede di aggiudicazione dell’appalto:

  • l’articolo 93 (“Garanzie per la partecipazione alla procedura”) del Nuovo Codice Appalti al comma 7 prevede che, nei contratti di servizi e forniture, l’importo della garanzia e del suo eventuale rinnovo è ridotto del 30% (non cumulabile, tuttavia, con le altre riduzioni indicate nel medesimo comma) «per gli operatori economici in possesso [inter alia] del rating di legalità» ;
  • l’articolo 95 (“Criteri di aggiudicazione dell’appalto”) del Nuovo Codice Appalti dispone al comma 13 che, compatibilmente con il diritto dell’Unione europea e con i principi di parità di trattamento, non discriminazione, trasparenza e proporzionalità, le amministrazioni aggiudicatrici indicano nel bando di gara «i criteri premiali che intendono applicare alla valutazione dell’offerta in relazione al maggior rating di legalità dell’offerente». Sul punto, pertanto, il legislatore ha raccolto l’invito formulato dal Consiglio di Stato il quale, nel Parere 1 aprile 2016, n. 855 reso dalla Commissione speciale del Consiglio di Stato sullo schema di Codice dei contratti pubblici, rispetto all’originaria versione del codice approvata il 3 marzo 2016 in cui il rating di legalità era contemplato fra gli elementi che potevano contribuire a comporre il criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa (OEPV), aveva osservato «valuterà il Governo se sia congruo  aver contemplato il c.d. ‘rating di legalità’ fra gli elementi che contribuiscono a comporre il criterio dell’OEPV. Infatti, si tratta di un elemento che attiene alla sfera soggettiva dell’impresa (la cui valenza è limitata all’ammissione alla gara), sicché non sembra che lo stesso possa essere utilizzato anche ai fini valutativi».

Oggi il rating di legalità diventa parametro di cui tener conto in sede di accertamento dei requisiti reputazionali alla base del rating di impresa ai fini della qualificazione delle imprese

3. Il nuovo rating di impresa

Come previsto dal comma 7 del citato articolo 213 del Nuovo Codice Appalti, il rating di legalità concorre anche alla determinazione del rating di impresa, di matrice anglosassone, introdotto dall’articolo 83, comma 10 del medesimo Nuovo Codice Appalti.

Il nuovo istituto del rating d’impresa si sovrappone, dunque, almeno parzialmente, al previgente istituto del rating di legalità, anche se i due istituti non possono che essere in parte convergenti in quanto rappresentano strumenti di verifica della capacità, tecnica e morale, delle imprese che partecipano alle procedure di gara.

Ai sensi dell’articolo 83, comma 10[2] del Nuovo Codice Appalti è istituito presso l’ANAC, che ne cura la gestione, il sistema del rating di impresa e delle relative penalità e premialità, da applicarsi ai soli fini della qualificazione delle imprese, per il quale l’ANAC rilascia apposita certificazione.

Secondo l’articolo 83, comma 10 del Codice Appalti il rating di impresa si applica, dunque, al fine della qualificazione delle imprese, che deve essere intesa in senso ampio come valutazione della capacità delle imprese di poter accedere alla gara.

Con riferimento al sistema unico di qualificazione degli esecutori di lavori pubblici, inoltre, l’articolo 84 del Nuovo Codice Appalti al comma 4 dispone che la qualificazione è affidata:

  • agli organismi di diritto privato autorizzati dall’ANAC (SOA) che per i lavori di importo superiore ai 150 mila euro attestano, inter alia, «d) il possesso di certificazione del rating di impresa, rilasciata dall’ANAC ai sensi dell’articolo 83, comma 10»;
  • alle stazioni appaltanti  per i lavori di importo inferiore a tale soglia e per i servizi e le forniture.

Il sistema è connesso a requisiti reputazionali valutati sulla base di indici qualitativi e quantitativi, oggettivi e misurabili, nonché sulla base di accertamenti definitivi che esprimono la capacità strutturale e di affidabilità dell’impresa. La ratio della norma è quella di evitare che il sistema reputazionale possa essere influenzato da valutazioni discrezionali delle stazioni appaltanti con il rischio di generare contenzioso e di provocare alterazioni dovute a fenomeni di collusione tra operatori economici e stazioni appaltanti.

Come specifica l’articolo 83 comma 1 del Nuovo Codice Appalti, i requisiti reputazionali alla base del rating di impresa tengono conto, in particolare, del rating di legalità rilevato dall’ANAC in collaborazione con l’AGCM nonché dei precedenti comportamentali dell’impresa, con riferimento al rispetto dei tempi e dei costi nell’esecuzione dei contratti, all’incidenza del contenzioso sia in sede di partecipazione alle procedure di gara che in fase di esecuzione del contratto nonché della regolarità contributiva; il rating di impresa è, dunque, connesso a requisiti reputazionali valutati sulla base di indici qualitativi e quantitativi, oggettivi e misurabili, nonché sulla base di accertamenti definitivi che esprimono la capacità strutturale e di affidabilità dell’impresa.

Come detto, il rating di impresa dovrà essere applicato ai soli fini della qualificazione delle imprese: ne consegue che tale rating non potrà essere oggetto di valutazione ai fini dell’attribuzione di punteggi connessi al criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa. La ratio di tale scelta del legislatore italiano risiede nella necessità di attenersi agli standard imposti a livello europeo: secondo orientamento consolidato della Corte di Giustizia dell’UE[3], infatti, la distinzione tra criteri d’idoneità/dell’offerente di natura strettamente soggettiva, e criteri di aggiudicazione/dell’offerta di tipo prettamente oggettivo, è rigorosa; e la verifica di idoneità degli offerenti deve essere effettuato dall’amministrazione in conformità ai criteri di capacità economica, finanziaria e tecnica, fissati in sede normativa.

In base alle regole europee, dunque, tra i criteri di valutazione dell’offerta devono esserci solo elementi oggettivi e dunque legati esclusivamente alla proposta tecnico-economica, elaborata dai concorrenti alla gara.

L’attenzione ad evitare ipotesi di commistione fra i requisiti soggettivi di partecipazione alla gara e gli elementi oggettivi di valutazione dell’offerta in ambito nazionale è stata stigmatizzata oltre che dalla giurisprudenza amministrativa[4] anche dalla circolare della Presidenza del Consiglio dei Ministri – Dipartimento per le Politiche Comunitarie 1 marzo 2007 (recante “Principi da applicare, da parte delle stazioni appaltanti, nella scelta dei criteri di selezione e di aggiudicazione di un appalto pubblico di servizi“, pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale n. 111 del 15 maggio 2007) ad avviso della quale la stazione appaltante, nell’individuare i punteggi da attribuire nel caso di aggiudicazione dell’offerta economicamente più vantaggiosa, non deve confondere i requisiti soggettivi di partecipazione alla gara con gli elementi oggettivi di valutazione dell’offerta[5].

Un’analoga questione si era posta anni fa in merito alla possibilità di concedere punteggi aggiuntivi alle imprese dotate di certificazione di qualità. La questione è stata più volte affrontata dal Giudice Amministrativo arrivando fino alla Corte di Giustizia dell’UE. L’Autorità di vigilanza dei contratti pubblici (Avcp ora confluita nell’ANAC) nella determinazione n. 7/2012 a tale riguardo ha evidenziato che «Occorre ponderare con molta attenzione i criteri di valutazione previsti nel bando che devono essere sempre elaborati dalla stazione appaltante con riferimento all’offerta (e non all’azienda in quanto tale) ed il peso attribuito non deve, comunque, assumere un rilievo eccessivo. Il principio generale che presiede all’applicazione del divieto in esame (affermato da copiosa giurisprudenza e ribadito dalla Circolare del Consiglio dei Ministri 1/03/2007) esige, infatti, la distinzione tra requisiti di natura soggettiva, richiesti ai concorrenti per partecipare alle gare e criteri oggettivi, applicati per la valutazione e la selezione delle offerte. In altre parole, i requisiti soggettivi dell’offerente attengono alle capacità economiche, finanziarie e tecniche di cui agli artt. 41 e 42 del D.Lgs. 163/2006, mentre l’offerta deve essere valutata sulla base del proprio contenuto qualitativo, direttamente attinente all’oggetto dell’appalto (art. 83 del D.Lgs. 163/2006) e con la netta esclusione, in questa fase, delle qualità soggettive dei concorrenti».

Si evidenzia, infine, che la distinzione dei requisiti di natura soggettiva e oggettiva è stata sancita, da ultimo, dalla direttiva 2014/24/UE del 26 febbraio 2014 sugli appalti pubblici in cui il legislatore europeo ha sostanzialmente aperto alla possibilità di utilizzare i criteri reputazionali come criteri di selezione degli offerenti ma non come criteri volti ad assegnare loro una premialità ai fini dell’aggiudicazione. In particolare:

  • il considerando 101 prevede che «Le amministrazioni aggiudicatrici dovrebbero continuare ad avere la possibilità di escludere operatori economici che si sono dimostrati inaffidabili, per esempio a causa di violazioni di obblighi ambientali o sociali, comprese le norme in materia di accessibilità per le persone con disabilità, o di altre forme di grave violazione dei doveri professionali, come le violazioni di norme in materia di concorrenza o di diritti di proprietà intellettuale. È opportuno chiarire che una grave violazione dei doveri professionali può mettere in discussione l’integrità di un operatore economico e dunque rendere quest’ultimo inidoneo ad ottenere l’aggiudicazione di un appalto pubblico indipendentemente dal fatto che abbia per il resto la capacità tecnica ed economica per l’esecuzione dell’appalto. … le amministrazioni aggiudicatrici dovrebbero anche mantenere la facoltà di ritenere che vi sia stata grave violazione dei doveri professionali qualora, prima che sia stata presa una decisione definitiva e vincolante sulla presenza di motivi di esclusione obbligatori, possano dimostrare con qualsiasi mezzo idoneo che l’operatore economico ha violato i suoi obblighi, inclusi quelli relativi al pagamento di imposte o contributi previdenziali, salvo disposizioni contrarie del diritto nazionale. Dovrebbero anche poter escludere candidati o offerenti che in occasione dell’esecuzione di precedenti appalti pubblici hanno messo in evidenza notevoli mancanze per quanto riguarda obblighi sostanziali, per esempio mancata fornitura o esecuzione, carenze significative del prodotto o servizio fornito che lo rendono inutilizzabile per lo scopo previsto o comportamenti scorretti che danno adito a seri dubbi sull’affidabilità dell’operatore economico. …». La direttiva, dunque, ipotizza che una valutazione negativa di un operatore economico dimostratosi inaffidabile o inadempiente in occasione dell’esecuzione di un precedente appalto possa portare all’esclusione dello stesso da una procedura di gara;
  • articolo 57 (“Motivi di esclusione”): «4. Le amministrazioni aggiudicatrici possono escludere, oppure gli Stati membri possono chiedere alle amministrazioni aggiudicatrici di escludere dalla partecipazione alla procedura d’appalto un operatore economico in una delle seguenti situazioni: … c) se l’amministrazione aggiudicatrice può dimostrare con mezzi adeguati che l’operatore economico si è reso colpevole di gravi illeciti professionali, il che rende dubbia la sua integrità; … g) se l’operatore economico ha evidenziato significative o persistenti carenze nell’esecuzione di un requisito sostanziale nel quadro di un precedente contratto di appalto pubblico, di un precedente contratto di appalto con un ente aggiudicatore o di un precedente contratto di concessione che hanno causato la cessazione anticipata di tale contratto precedente, un risarcimento danni o altre sanzioni comparabili; …».

Il sistema del rating di impresa, da applicarsi ai soli fini della qualificazione delle imprese, sistema è connesso a requisiti reputazionali valutati sulla base di indici qualitativi e quantitativi, oggettivi e misurabili, nonché sulla base di accertamenti definitivi che esprimono la capacità strutturale e di affidabilità dell’impresa.

4. Le linee guida dell’ANAC sul rating di impresa

Ai sensi dell’articolo 83 comma 10 del Nuovo Codice Appalti è l’ANAC che ha il compito di definire i requisiti reputazionali e i criteri di valutazione degli stessi, nonché le modalità di rilascio della certificazione attestante il rating di impresa «mediante linee guida adottate entro tre mesi dalla data di entrata in vigore del presente codice».

Al fine di adempiere alla predetta disposizione, il 10 giugno 2016 l’ANAC ha posto in consultazione (con richiesta di invio dei contributi da parte degli operatori interessati entro il 27 giugno 2016) il documento “Linee guida attuative del nuovo Codice degli Appalti Documento di consultazione – Criteri reputazionali per la qualificazione delle imprese”.

Come indicato dalla medesima ANAC, la realizzazione e l’utilizzo del rating di impresa implicano la necessità di chiarire una serie di questioni in ordine ai seguenti elementi:

«1. l’algoritmo di calcolo del Rating di impresa e la connessa questione della penalità e premialità degli operatori economici;

2. l’individuazione degli indici reputazionali da utilizzare per il calcolo del Rating di impresa, evitando la sovrapposizione con altri elementi che già incidono sulla qualificazione delle imprese ovvero hanno rilevanza ai

sensi dell’art. 80 del Codice, quali cause di esclusione o che impediscono la qualificazione;

3. il flusso di dati che deve intercorrere tra le stazioni appaltanti e l’Osservatorio al fine di permettere all’Autorità di disporre delle informazioni necessarie per calcolare il Rating di impresa;

4. l’implementazione del sistema di penalità e premialità e l’eventuale necessità di un periodo di sperimentazione dello stesso».

Per quanto concerne i singoli requisiti reputazionali richiamati dall’articolo 83, comma 10 del Nuovo Codice Appalti si indicano:

1. indici espressivi della capacità strutturale dell’impresa;

2. il rispetto dei tempi e dei costi previsti per l’esecuzione;

3. l’incidenza del contenzioso sia in sede di partecipazione alle gare che di esecuzione dei contratti;

4. il rating di legalità rilevato dall’ANAC in collaborazione con l’AGCM;

5. la regolarità contributiva, compresi i versamenti alle casse edili, valutata con riferimento ai tre anni precedenti;

6. la presenza di misure sanzionatorie amministrative per i casi di omessa o tardiva denuncia obbligatoria delle richieste estorsive e corruttive da parte delle imprese titolari di contratti pubblici, comprese le imprese subappaltatrici e le imprese fornitrici di materiali, opere e servizi.

Come evidenziato dall’ANAC, poiché alcuni requisiti reputazionali che concorrono alla attribuzione del rating di impresa sono altresì elementi su cui si fondano alcune specifiche cause di esclusione di cui all’articolo 80 (capacità strutturale, regolarità contributiva, omessa o tardiva denuncia obbligatoria delle richieste estorsive e corruttive, gravi illeciti professionali, ecc.) o presentano correlazioni con altri istituti previsti dal Nuovo Codice Appalti, quali il criterio dell’OEPV (cfr. articolo 95, comma 13) e la valutazione di congruità dell’offerta (cfr articolo 97, comma 6), è necessario coordinare il sistema premiante con le cause di esclusione ed evitare che uno stesso elemento possa essere utilizzato più volte per valutare l’offerta o l’offerente.

Si pone in rilievo, in particolare, il meccanismo proposto dall’ANAC per l’attribuzione del rating di impresa, ovvero l’attribuzione di un unico punteggio finale in grado di sintetizzare una serie di voci. Si può arrivare a questa cifra attraverso la somma ponderata di vari elementi costitutivi o con una “patente a punti” che, partendo da un punteggio iniziale, pari a 100, sottrae punti in presenza di valutazioni negative legate a sanzioni, illeciti, inadempimenti contrattuali, numero di ritardi o sforamento dei costi, casi di irregolarità del Durc. Ad avviso dell’ANAC il sistema della patente a punti è preferibile perché mette tutte le imprese sullo stesso piano e non penalizza i nuovi operatori che intendano entrare nel mercato degli appalti pubblici.

Le nuove linee guida ANAC poste in consultazione propongono la “patente a punti”per l’attribuzione del rating di impresa

5. Conclusioni

Per valutare l’effettiva operatività del rating di impresa e la rilevanza del rating di legalità nell’ambito della nuova disciplina dei contratti pubblici occorrerà attendere la pubblicazione ufficiale delle Linee Guida dell’ANAC, che come detto, sono state poste in consultazione pubblica.

Considerata la prossima entrata in vigore della disciplina attuativa del sistema di qualificazione delle imprese, dunque, si ritiene opportuno sensibilizzare gli operatori economici ad avviare quanto prima un processo di verifica del possesso dei requisiti di accesso al rating di legalità e al rating di impresa.


[1] Per maggiori informazioni è possibile consultare il seguente link al sito istituzionale dell’AGCM http://www.agcm.it/rating-di-legalita.html

[2] Articolo 83, comma 10 «È istituito presso l’ANAC, che ne cura la gestione, il sistema del rating di impresa e delle relative penalità e premialità, da applicarsi ai soli fini della qualificazione delle imprese, per il quale l’Autorità rilascia apposita certificazione. Il suddetto sistema è connesso a requisiti reputazionali valutati sulla base di indici qualitativi e quantitativi, oggettivi e misurabili, nonché sulla base di accertamenti definitivi che esprimono la capacità strutturale e di affidabilità dell’impresa. L’ANAC definisce i requisiti reputazionali e i criteri di valutazione degli stessi, nonché le modalità di rilascio della relativa certificazione, mediante linee guida adottate entro tre mesi dalla data di entrata in vigore del presente codice. Rientra, nell’ambito dell’attività di gestione del suddetto sistema la determinazione da parte di ANAC di misure sanzionatorie amministrative nei casi di omessa o tardiva denuncia obbligatoria delle richieste estorsive e corruttive da parte delle imprese titolari di contratti pubblici, comprese le imprese subappaltatrici e le imprese fornitrici di materiali, opere e servizi. I requisiti reputazionali alla base del rating di impresa di cui al presente comma tengono conto, in particolare, del rating di legalità rilevato dall’ANAC in collaborazione con l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato, ai sensi bell’articolo 213, comma 7, nonché dei precedenti comportamentali dell’impresa, con riferimento al rispetto dei tempi e dei costi nell’esecuzione dei contratti, all’incidenza del contenzioso sia in sede di partecipazione alle procedure di gara che in fase di esecuzione dei contratto. Tengono conto altresì della regolarità contributiva, ivi compresi, i versamenti alle Casse edili, valutata con riferimento ai tre anni precedenti».

[3] Il divieto di commistione tra requisiti di partecipazione e criteri di valutazione dell’offerta ha origini risalenti nella giurisprudenza comunitaria: la Corte di Giustizia ha più volte evidenziato la necessita di operare un’adeguata separazione tra la fase di selezione dell’offerente, da effettuare tramite criteri di idoneità o requisiti di partecipazione dalla fase di selezione dell’offerta, da operare tramite i criteri di aggiudicazione (cfr. ex multis, Corte di Giustizia, 24 gennaio 2008, C.532/06; 19 giugno 2003, C-315/01).

[4] Ex multis, Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 7 aprile 2009 n. 2147: con riferimento alla distinzione fra requisiti di ammissione delle domande e valutazione di merito il Consiglio di Stato evidenzia «Ed invero, la giurisprudenza domestica ha, più volte, censurato la commistione tra elementi soggettivi di qualificazione del concorrente ed elementi oggettivi attinenti alla qualità dell’offerta: cfr. Cons. Stato, sez. V, 15 giugno 2001, n. 3187. Così, in via esemplificativa, è stata censurata la previsione di un rilevante punteggio per elementi che nulla hanno a che vedere con il merito tecnico dell’offerta e che attengano, invece, all’esperienza professionale acquisita dal concorrente (es. curriculum, licenze o certificazioni di qualità ovvero servizi analoghi prestati in precedenza. Tali elementi, in quanto attinenti alla capacità del prestatore di eseguire i servizi oggetto dell’appalto, possono essere utilizzati unicamente ai fini della selezione dei concorrenti; l’esperienza, la competenza, le referenze, i lavori già realizzati, le risorse disponibili sono elementi che possono essere utilizzati come criteri di selezione e non devono essere presi in considerazione nel momento di valutazione dell’offerta): cfr. Cons. Stato, sez. V, 16 aprile 2003, n. 1993. La confusione fra i requisiti soggettivi di partecipazione alla gara e gli elementi oggettivi di valutazione dell’offerta è stata di recente stigmatizzata dalla circolare della Presidenza del Consiglio dei Ministri – Dipartimento per le Politiche Comunitarie 1 marzo 2007 (recante “Principi da applicare, da parte delle stazioni appaltanti, nella scelta dei criteri di selezione e di aggiudicazione di un appalto pubblico di servizi”) pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale n. 111 del 15 maggio 2007. Cfr. anche Autorità per la vigilanza sui contratti pubblici di lavori, servizi e forniture, deliberazione n. 209 del 27 giugno 2007, nella quale si evidenzia che in un precedente intervento dell’Autorità (deliberazione n. 30/2007) era stato precisato che la stazione appaltante, nell’individuare i punteggi da attribuire nel caso di aggiudicazione dell’offerta economicamente più vantaggiosa, non deve confondere i requisiti soggettivi di partecipazione alla gara, con gli elementi oggettivi di valutazione dell’offerta. La commistione predetta è stata efficacemente contrastata in sede giurisprudenziale. La Commissione Europea ha, infatti, più volte segnalato al Governo italiano casi nei quali stazioni appaltanti italiane, nel redigere i bandi di gara, hanno preso in considerazione, come criteri per individuare l’offerta economicamente più vantaggiosa, requisiti che attengono alla capacità tecnica del prestatore anziché alla qualità dell’offerta, in violazione della normativa comunitaria applicabile in materia. Orbene, per giurisprudenza costante della Corte di Giustizia, la distinzione tra criteri di idoneità, ovvero di “selezione dell’offerente”, e criteri di aggiudicazione e quindi di “selezione dell’offerta” è rigorosa: ed invero, l’accertamento dell’idoneità degli offerenti deve essere effettuato dall’amministrazione aggiudicatrice in conformità ai criteri di capacità economica, finanziaria e tecnica fissati in sede normativa, allo scopo di stabilire quali sono le referenze probanti o i mezzi di prova che possono prodursi per dimostrare la capacità finanziaria, economica e tecnica dei fornitori. Per quanto riguarda, invece, i criteri che possono essere utilizzati per l’aggiudicazione di un appalto pubblico, l’art. 53 della direttiva 2004/18/CEE stabilisce che le amministrazioni aggiudicatici possono scegliere tra il prezzo più basso o l’offerta economicamente più vantaggiosa. Quando l’aggiudicazione è a favore dell’offerta economicamente più vantaggiosa, possono essere utilizzati diversi criteri variabili, ma collegati sempre ed esclusivamente all’oggetto dell’appalto. La scelta, in tal caso, è limitata e può riguardare soltanto i criteri effettivamente volti ad individuare l’offerta economicamente più vantaggiosa e non quelli relativi alla capacità del prestatore (cfr. Corte di Giustizia CE, 20 settembre 1988, in causa n. 31/87, Beentjes; Corte di Giustizia CE, 19 giugno 2003, in causa n. C-315/01, GAT). L’offerta deve, invece, essere valutata in base a criteri che hanno una diretta connessione con l’oggetto dell’appalto e che servono a misurare il valore, ciò che esclude che si possa fare riferimento alle qualità soggettive dell’offerente; per alcune recenti applicazioni cfr. Corte di Giustizia CE, sez. I, 24 gennaio 2008, in causa n. C-532/06, Emm. G. Lianakis AE e Cons. Stato, sez. V, 4 marzo 2008, n. 912)».

Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 2 ottobre 2009 n. 6002: si legge «[…] dalla considerazione dell’esperienza maturata da una concorrente possono […] trarsi indici significativi della qualità delle prestazioni e dell’affidabilità dell’impresa, qualora tali aspetti non risultino preponderanti nella valutazione complessiva dell’offerta», con particolare riferimento a tutti quegli appalti di servizi in cui «l’offerta tecnica non si sostanzia in un progetto o in un prodotto, ma nella descrizione di un facere che può essere valutato unicamente sulla base di criteri quali-quantitativi, fra i quali ben può rientrare la considerazione della pregressa esperienza dell’operatore, come anche della solidità ed estensione della sua organizzazione di impresa» (cfr. Consiglio di Stato, Sez. IV, sentenza 25 novembre 2008 n. 5808).

[5] La Presidenza del Consiglio dei Ministri, al fine di prevenire l’apertura di procedure di infrazione da parte della Commissione ed eventuali controversie giudiziarie dinanzi alla Corte di Giustizia delle Comunità Europee, ha invitato le Amministrazioni interessate a valutare l’offerta economicamente più vantaggiosa esclusivamente sulla base di parametri che esprimano le modalità attraverso le quali il prestatore prevede di eseguire il servizio e non alla luce di elementi attinenti alla capacità dell’offerente; in altri termini, gli elementi che vengono utilizzati nella fase di selezione del prestatore non possono essere utilizzati anche come criteri di valutazione dell’offerta e, conseguentemente, di aggiudicazione della gara. Nel merito la Presidenza del Consiglio dei Ministri si è soffermata sulla distinzione della fase destinata all’accertamento dell’idoneità dei concorrenti, disciplinata dagli articoli che vanno dal n. 47 al n. 52 della direttiva 2004/18/CE del 31 marzo 2004 (oggi abrogata), rispetto a quella deputata alla valutazione delle offerte presentate, che deve avvenire sulla base dei parametri approntati dall’art. 53 della medesima direttiva al fine di individuare l’aggiudicatario della procedura di gara; in particolare, qualora la stazione appaltante opti per il criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa, possono essere utilizzati elementi attinenti all’oggetto dell’appalto, con l’esclusione, quindi, delle referenze concernenti servizi, forniture o lavori già eseguiti e della documentazione comprovante l’esperienza e le competenze acquisite, in quanto indispensabili nella fase di selezione delle imprese che potranno avere accesso alla fase successiva.

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Avv. Paola Cartolano
Esperta in materia di appalti pubblici
mediagraphic assistenza tecnico legale e soluzioni per l'innovazione p.a.