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Con tre decisioni coeve – nn. 9, 10 e 11 del 27 maggio 2021 -, l’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato si è pronunciata sul tema della partecipazione alle gare pubbliche di Imprese coinvolte in una procedura concorsuale. L’Adunanza Plenaria sceglie la linea di stretta interpretazione, dettando severi limiti.

Introduzione

Il 27 maggio 2021 l’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato si è pronunciata con tre decisioni – le nn. 9, 10 e 11 – di ispirazione assai simile, sul complesso tema dell’accesso al mondo dei contratti pubblici per le imprese sottoposte a procedura concorsuale.

Il tema è quanto mai attuale in un contesto che, provenendo da una generalizzata situazione di crisi economica e finanziaria, si affaccia al mercato del recovery plan, che si preannuncia come un rilevante volano di ripresa, soprattutto per i lavori pubblici e le infrastrutture.

Ebbene, in questo panorama di attesa e preparazione, il Consiglio di Stato delinea alcuni importanti principi in tema di apertura al mercato per le imprese che si trovano in situazione di crisi.

Le riflessioni dell’Adunanza Plenaria ruotano intorno alla corretta interpretazione dell’art. 48 (commi 17 e ss.) e 110 del Codice dei contratti pubblici, nella versione precedente alle modifiche apportate dal d.lgs. n. 14/2019 (il “Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza“) in materia di agevolazione alla partecipazione alle gare pubbliche per le per le imprese in stato di crisi  – detta riforma, come noto, salvo ulteriori rinvii da parte del legislatore, entrerà in vigore dal 1° settembre 2021 -.

Dunque, non essendosi ancora data applicazione alle norme che – prudenzialmente ed ispirandosi al principio del favor partecipationis – avevano disegnato un ventaglio di opportunità per le imprese che si trovano in stato di crisi, ma non sono ancora coinvolte in una procedura liquidatoria, l’Adunanza Plenaria adotta una interpretazione restrittiva.

Nel bilanciamento fra il citato principio del favor partecipationis ed i principi di affidabilità e libera concorrenza, privilegia questi ultimi e stabilisce che le imprese che versano in stato di crisi non possono partecipare alle gare pubbliche.

Se l’impresa in crisi partecipa ad un’Associazione Temporanea di Imprese, essa non può essere sostituita da soggetti terzi, estranei alla compagine originaria.

Nel caso in cui, invece, l’impresa in crisi sia assoggettata alla procedura di concordato cd. “in bianco”, può partecipare alle gare pubbliche, ma  solo previo assenso del giudice e degli organi della procedura  concorsuale.

Le decisioni in esame non possono non lasciare il segno in un panorama generalizzato di crisi economica come quello attuale. In particolare, laddove si pensi che alla crisi post pandemica sta per seguire un ampio panorama di nuove gare pubbliche, agevolate dal Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza.

Leggendo le decisioni dell’Adunanza Plenaria in tale prospettiva, quindi, è opportuno analizzarne le motivazioni, anche per valutarne la portata in un prossimo futuro – cioè quando entrerà in vigore la riforma della legge fallimentare, di cui al richiamato d.lgs. n. 14/2019 -.

Vale premettere che l’attuale riflessione sarà limitata alla decisione n. 9 del 2021, in cui si tratta il tema della partecipazione alle gare pubbliche, di imprese in crisi in forma di Raggruppamento Temporaneo di Imprese – in particolare di una impresa che, dopo aver formalizzato la propria partecipazione presenta domanda di ammissione al cd. “concordato in bianco” e , solo dopo essersi aggiudicata la gara, ne informa la stazione appaltante.

La decisione in esame, come si vedrà immediatamente a seguire, affronta tematiche comuni alle altre due coeve decisioni.

Va detto, infatti, che il tema della partecipazione di imprese in concordato cd. “in bianco”, è esaminato funditus dalla decisione n. 11/2021 – che meriterebbe, perciò solo, un’analisi dedicata, che si sviluppi anche attraverso l’esame della giurisprudenza comunitaria in tema -.

La decisione n. 10/2021, invece, ha anch’essa ad oggetto la partecipazione di un RTI ad una procedura di gara, ma in questo caso una delle Imprese – la mandataria – era fallita e si chiedeva l’autorizzazione, alla stazione appaltante, a sostituirla con un’impresa del tutto estranea al RTI.

La decisione dell’Adunanza Plenaria n. 9 del 27 maggio 2021: struttura generale

Il Consiglio di Stato si trova ad esaminare una serie di questioni deferite dalla V Sezione, che si innestano su una peculiare fattispecie.

Nell’ambito di una gara pubblica per la costruzione di un penitenziario in Romagna, l’aggiudicazione veniva effettuata a favore di un RTI, composto da due società; la seconda classificata impugnava tale atto, riuscendo vittoriosa innanzi al giudice di merito.

In particolare, la sentenza di primo grado accertava la violazione dell’art. 80, comma 5, lett. b) del Codice dei contratti pubblici, poiché la mandante del RTI aggiudicatario aveva presentato, in corso di gara, domanda di concordato con riserva, ai sensi dell’art. 161, comma 6, L.Fall. e sul presupposto che, in presenza di tale fattispecie, è preclusa la partecipazione a gare pubbliche.

A tale vizio, comunque insanabile, si aggiungeva poi la violazione dell’art. 80, comma 5 bis, del medesimo d.lgs. n. 50/2016, poiché la mandante aveva comunicato tale suo status, alla stazione appaltante, con colpevole ritardo.

A questo punto, l’impresa mandante impugnava la sentenza innanzi al Consiglio di Stato, precisando che la prima comunicazione alla stazione appaltante, in ordine al deposito del ricorso ex art. 161, comma 6, L. Fall., risaliva al febbraio 2019 mentre il piano e la proposta di concordato con riserva erano stati depositati presso il tribunale fallimentare solo nel successivo mese di settembre 2019 e che, soprattutto, il tribunale aveva autorizzato la stipula del contratto di appalto nel successivo mese di dicembre.

Per la mandante, quindi, l’aggiudicazione era valida ed efficace giacché – a suo parere – non occorreva richiedere alcuna autorizzazione per la partecipazione alla gara, in quanto l’impresa era già “partecipante” al momento del deposito della domanda di concordato con riserva; inoltre, la sola presentazione della domanda di tale forma di concordato non determinerebbe ex se la perdita dei requisiti.

Il Consiglio di Stato, in accoglimento dell’istanza cautelare, sospende la sentenza di primo grado e, rilevata la necessità di una pronuncia dell’Adunanza Plenaria su alcune questioni, rimette la supremo Organo di giustizia amministrativa i seguenti quesiti: “a) Se la presentazione di un’istanza di concordato in bianco ex art. 161, comma 6, legge fallimentare (r.d. n. 267/1942) debba ritenersi causa di automatica esclusione dalle gare pubbliche, per perdita dei requisiti generali, ovvero se la presentazione di detta istanza non inibisca la partecipazione alle procedure per l’affidamento di commesse pubbliche, quanto meno nell’ipotesi in cui essa contenga una domanda prenotativa per la continuità aziendale; b) se la partecipazione alle gare pubbliche debba ritenersi atto di straordinaria amministrazione e, dunque, possa consentirsi alle imprese che abbiano presentato domanda di concordato preventivo c.d. in bianco la partecipazione alle stesse gare, soltanto previa autorizzazione giudiziale nei casi urgenti, ovvero se detta autorizzazione debba ritenersi mera condizione integrativa dell’efficacia dell’aggiudicazione; c) in quale fase della procedura di affidamento l’autorizzazione giudiziale di ammissione alla continuità aziendale debba intervenire onde ritenersi tempestiva ai fini della legittimità della partecipazione alla procedura e dell’aggiudicazione della gara; d) se le disposizioni normative di cui all’art. 48, commi 17, 18, 19 ter del d.lgs. n. 50/2016 debbano essere interpretate nel senso di consentire la sostituzione della mandante che abbia presentato ricorso di concordato preventivo c.d. in bianco ex art. 161, comma 6, cit. con altro operatore economico subentrante anche in fase di gara, ovvero se sia possibile soltanto la mera estromissione della mandante e, in questo caso, se l’esclusione del r.t.i. dalla gara possa essere evitata unicamente qualora la mandataria e le restanti imprese partecipanti al raggruppamento soddisfino in proprio i requisiti di partecipazione”.

Sostanzialmente, quindi, si chiede all’Adunanza Plenaria di determinare il perimetro di rilevanza – per così dire “ostativa” – della procedura di concordato “in bianco” nell’ambito della partecipazione ed esecuzione di un appalto pubblico e, in caso di ostativa, se sia possibile per il RTI concorrente sostituire l’impresa partecipante che versi in stato di crisi.

Si sottolinea la circostanza che l’Ordinanza di rimessione si soffermi anche sulla fase esecutiva, giacché ci si chiede come il tema del concordato in bianco possa impattare sull’affidabilità dell’impresa durante la fase di esecuzione dell’appalto. Infatti – sembra opinare la Sezione rimettente -, se il concordato in bianco è una procedura che vede coinvolti sia il giudice che gli Organi fallimentari in una valutazione sull’affidabilità complessiva dell’impresa, tale da consentirne il prosieguo dell’attività, come è possibile che la stazione appaltante possa obiettare che, invece, l’impresa non è affidabile?

E, più in generale, se il concordato in bianco è uno strumento reso disponibile dal legislatore per cercare di sollevare un’impresa che versi in uno stato temporaneo di crisi – ma che comunque dia prova di una “solidità” tale da consentirle di proseguire l’esercizio – non apparirebbe dissonante, rispetto a tale ratio, una sua esclusione dalle gare pubbliche? 

Forse per tali motivi, che sembrano trapelare anche dalla motivazione del provvedimento di sospensione cautelare, l’Ordinanza di rimessione sembra propendere per una soluzione “pro-partecipativa” e, in una parola, “sostanzialistica”.

Tale orientamento, peraltro, sembra promanare armonicamente dal “Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza” – ancorché quest’ultimo non abbia ancora acquistato efficacia in relazione alle disposizioni in materia di contratti pubblici.

Analisi dell’istituto del concordato in bianco: la centralità della normativa fallimentare

L’Adunanza Plenaria – che si è pronunciata in tempi assai ridotti (l’Ordinanza di rimessione è la n. 309 dell’8 gennaio 2021) – ammette, effettivamente, che il legislatore nel corso del tempo ha mutato gradualmente la sua iniziale posizione di antinomia tra partecipazione alle gare pubbliche e procedure concorsuali.

Osserva, infatti, l’Adunanza Plenaria che “se tradizionalmente … la sottoposizione dell’impresa al fallimento o a procedure similari è sempre stata una causa ostativa o di impedimento a partecipare alle gare, a partire dal d.l. 83/2012 che modificava l’art. 38 del Codice dei contratti del 2006 si è aperta per così dire una breccia, che ha riguardato proprio il concordato preventivo con continuità aziendale. Si tratta, questa, di una variante del concordato preventivo, procedura concorsuale che, a differenza in particolare del fallimento, ha sempre avuto una finalità “recuperatoria” … L’evoluzione del diritto concorsuale italiano, quale registratasi soprattutto a partire dalle riforme del 2005-2006 attraverso una profonda revisione dell’impianto della legge fallimentare, nel quadro di una riscoperta e di un forte potenziamento delle procedure finalizzate al recupero del valore dell’impresa e alla continuazione dell’azienda, privilegiando soluzioni della crisi concordate con i creditori, ha visto, con il ricordato d.l. 83/2012 che ha aggiunto l’art. 186 bis alla legge del 1942, l’ingresso nel nostro sistema del concordato con continuità aziendale, finalizzato ad assicurare il ritorno in bonis dell’imprenditore e la prosecuzione dell’attività d’impresa da parte dello stesso. Sin dal suo primo apparire, il nesso tra concordato con continuità e contratti pubblici è stato molto forte, sul presupposto che, nella generalità dei casi e in un mercato dove gli appalti aggiudicati dalle pubbliche amministrazioni occupano uno spazio considerevole, fossero funzionali, per non dire del tutto necessari, al perseguimento dell’obiettivo del recupero di valore dell’impresa sia la continuazione dei contratti pubblici già in corso, sia la partecipazione a procedure di assegnazione di nuovi contratti pubblici con la possibilità, quindi, di aggiudicarsi nuove commesse … Di questo nesso così stretto il legislatore del 2012 si era mostrato subito consapevole … “.

Con peculiare riferimento al concordato in bianco, poi, si ricorda che “allo stesso anno, il 2012, risale anche, mutuato dall’esperienza nordamericana, la prima previsione del concordato in bianco o con riserva, introdotto all’art. 161, comma 6, con il quale l’imprenditore può depositare un ricorso contenente una domanda di concordato, avente comunque un contenuto minimo, riservandosi di procrastinare di sessanta o centoventi giorni la presentazione del piano e della proposta di concordato, così da anticipare i tempi dell’emersione della crisi, ma avendo uno spazio maggiore per elaborare una via d’uscita dalla stessa, e nel frattempo beneficiare degli effetti “protettivi”  … il concordato in bianco o con riserva … ha conosciuto sin dai primi mesi di applicazione un significativo successo ricevendo, anche per questo improvviso e largo utilizzo … Il legislatore è quindi presto tornato sull’art. 161, comma 6, con alcuni correttivi significativi, il principale dei quali è consistito nel prevedere la possibilità che il tribunale … nomini subito un commissario giudiziale affinché vigili sull’impresa nel tempo …”.

A questo punto, corre obbligo osservare che il percorso del Codice dei contratti pubblici e quello della Legge Fallimentare sembrano non avanzare più in sincronia e coordinamento, infatti: “anticipando quel che si osserverà a breve, mentre le disposizioni della legge fallimentare, rilevanti ai fini della presente decisione (artt. 161 e 186 bis), dal 2013 in poi si sono stabilizzate e da ultimo sono state trasfuse nel codice della crisi d’impresa del 2019 (non ancora in vigore, per queste parti), sono cambiate invece, più volte come si vedrà, quelle del codice dei contratti del 2016 racchiuse negli articoli 80, comma 5, lett. b) e 110, il che ha reso il coordinamento tra le prime e le seconde sicuramente meno agevole.”.

Il Consiglio di Stato, poi, a fronte della tesi propugnata dall’Ordinanza di rimessione, rammenta che, all’opposto, “l’indirizzo restrittivo, che conduce all’esclusione in via automatica dalla procedura di gara (Cons. St., VI n. 3984/2019, sez. III n. 5966/2018), muove dalla duplice premessa che con la domanda di concordato in bianco il debitore riconosca il venir meno dei propri requisiti di affidabilità e che la partecipazione alla gara sia un atto di straordinaria amministrazione, autorizzabile a mente dell’art. 161, comma 6, solo se urgente, per poi sottolineare l’incertezza e la fluidità della fase che si apre a seguito della domanda in bianco o con riserva, il che renderebbe tale fattispecie non comparabile con quella del concordato con continuità aziendale in senso proprio, il solo caso peraltro contemplato dall’art. 80, comma 5, lett. b) quale ragione di eccezione alla veduta regola che, in omaggio alla tradizione della contrattualistica pubblica nazionale, dispone altrimenti l’esclusione dell’operatore che si trovi in stato di insolvenza o di crisi, giudicandolo inaffidabile.”.

La soluzione dei quesiti, quindi, si può trarre solo dopo aver osservato e conciliato l’andamento, ormai parallelo e non sempre coordinato, delle norme in materia di contratti pubblici e di quelle relative alle procedure fallimentari.

Sul fronte degli appalti pubblici – ricorda il Collegio – si è sempre privilegiata l’ottica della stazione appaltante che, in presenza di uno stato di crisi delle imprese, si preoccupava dell’affidabilità dell’appaltatore e, soprattutto, della continuità delle prestazioni. In ragione di ciò, “l’ordinamento risponde con delle norme di ordine pubblico poste a tutela della stazione appaltante e improntate non da oggi (si è già citato, tra gli altri, l’art. 15 della l. 57/1962) ad una regola di esclusione obbligatoria ed automatica.”.

Tale “modello” appare non pienamente coerente sul piano del diritto comunitario, poiché le “Direttive appalti” che si sono succedute nel tempo – a partire dalla prima, la n. 305 del 1971, sino all’ultima, la n. 24 del 2014 -, pur contemplando (quest’ultima all’art. 57.4, lett. b) il fallimento e le altre procedure concorsuali tra i possibili motivi di esclusione, e quindi riconoscendone certamente la rilevanza nell’ambito dei requisiti di partecipazione a garanzia dell’integrità degli operatori economici, hanno tuttavia sempre rimesso agli stati membri e alle loro amministrazioni aggiudicatrici la scelta se e come (verrebbe da dire, quanto) escludere i concorrenti che si trovano in tali situazioni, al pari di quanto previsto per le ipotesi di grave illecito o errore professionale.

Dunque, il giudice comunitario “non contempla un’uniformità di applicazione delle cause di esclusione che esso prevede a livello dell’Unione, in quanto gli Stati membri hanno la facoltà di non applicare affatto tali cause di esclusione o di inserirle nella normativa nazionale con un grado di rigore che potrebbe variare a seconda dei casi, in funzione di considerazioni di ordine giuridico, economico o sociale prevalenti a livello nazionale. In tale ambito, gli Stati membri hanno il potere di attenuare o di rendere più flessibili i criteri stabiliti da tale disposizione” (Corte di giustizia 28 marzo 2019, causa C-101/18).

In altre parole, le norme comunitarie in materia di appalti pubblici, lasciano al legislatore nazionale la facoltà/necessità di graduare gli effetti della crisi di impresa, in relazione alla partecipazione alle gare pubbliche, ben consapevoli che elidere totalmente tale partecipazione potrebbe comportare – da un lato – un sostanziale “appiattimento” del favor partecipationis e, dall’altro, una forte (e forse, non pienamente giustificabile) limitazione dell’accesso al mercato, in contrasto con gli obiettivi euro-unitari.

Siccome il legislatore nazionale ha, nel tempo, graduato le misure per il contenimento e la risoluzione della crisi di impresa, a maggior ragione a tale graduazione dovrebbe seguire un attento – e solidale – adeguamento delle norme in materia di accesso delle imprese in crisi al mercato degli appalti pubblici, in modo da consentire la partecipazione a quelle che possono effettivamente fare fronte alle obbligazioni, e così valorizzare il principio dello sviluppo dei mercati europei e delle imprese, proprio tramite la leva dei contratti pubblici.

L’Adunanza Plenaria ricorda, ancora, che “nel fare uso del proprio margine di scelta il legislatore italiano, ancora nel 2016, ha optato per un criterio binario: per cui la regola è e rimane l’esclusione obbligatoria e automatica per l’operatore in stato di fallimento, liquidazione coatta, concordato preventivo, mentre l’eccezione è ammessa per l’ipotesi di concordato con continuità aziendale.

Poiché il legislatore del codice dei contratti ha riferito testualmente il motivo di esclusione anche agli operatori nei cui riguardi sia in corso un procedimento per la dichiarazione di fallimento, o per le altre situazioni, si è fatta strada negli interpreti l’idea che l’eccezione andasse declinata unicamente in favore degli operatori che fossero già stati ammessi al concordato con continuità aziendale. Un’idea rafforzata dalla lettura dell’art. 110, comma 3  … e dove per l’impresa che ha presentato domanda di concordato in bianco o con riserva si dice(va) solo che “può eseguire i contratti già stipulati”.”.

Si conviene, tuttavia, che portare alle estreme conseguenze tale considerazione, non solo condurrebbe al sicuro insuccesso dell’istituto ma contrasterebbe frontalmente con quanto si è sempre letto, in questi anni, all’art. 186 bis, comma 4, dove – come già sottolineato – si dice chiaramente che tra il deposito della domanda e il decreto di apertura della procedura la partecipazione alle gare pubbliche è possibile purché sia autorizzata dal tribunale, acquisito il parere del commissario giudiziale, se nominato (un ulteriore indice, in favore della possibilità di partecipare alle gare anche prima dell’ammissione al concordato, si ricava inoltre dall’art. 5 del DM 31.1.2015 in tema di regolarità contributiva).

Non solo, ma l’Adunanza Plenaria conviene anche sulla constatazione del progressivo riavvicinamento – soprattutto per effetto del d.lgs. n. 14/2019 – della ratio ispiratrice della Legge Fallimentare e del Codice dei Contratti Pubblici, il che porterebbe a valorizzare la tesi pro-partecipazione.

Ma su questo punto, a parere del Collegio, sembra dirimente la giurisprudenza in materia di concordato in bianco – in particolare la sentenza della Cassazione, sez. I,  n. 14713/2019, ove in merito a tale istituto e nello specifico alla domanda con riserva di ammissione al concordato, si afferma: “con il ricorso di cui all’art. 161, comma 6, della legge fallimentare l’imprenditore presenta la domanda di concordato preventivo, “e non già un ricorso di portata diversa e più circoscritta”, e come “il procedimento innescato dalla domanda con riserva non è un primo procedimento distinto (e antecedente) rispetto a quello, ordinario, che si apre solo con la presentazione della proposta, del piano e della documentazione, ma costituisce un segmento dell’unico procedimento che rileva, articolato in due fasi per così dire interne” (Cass. sez. I n. 14713/2019, nel senso che il cosiddetto preconcordato costituisce una mera opzione di sviluppo del concordato, in cui l’imprenditore ha già assunto la qualità di debitore concordatario ed è già sottoposto ad un regime di controllo giudiziale, v., altresì,.Cass., sez. I, n. 7117/2020).”.

Dunque, in virtù di tali rilievi l’Adunanza Plenaria perviene alla conclusione che la presentazione della domanda di concordato in bianco non possa considerarsi ex se come causa automatica di perdita dei requisiti – e quindi di esclusione -, tale da inibire la partecipazione alle gare pubbliche. Seguendo l’opposta interpretazione, infatti, ne verrebbe frustrata sia la lettera dell’art. 186 bis, sia la stessa funzione prenotativa e protettiva dell’istituto del concordato con riserva.

La risposta al primo quesito, quindi, aderisce alla interpretazione sostanzialistica e collega strettamente la funzione dell’istituto alla concreta possibilità dell’impresa di adempiere alle obbligazioni – in pratica demandando tale apprezzamento al giudice fallimentare ed agli organi della procedura concorsuale -.

Prendendo le mosse da tale inquadramento, il Consiglio di Stato prosegue con l’analisi degli altri quesiti che, a questo punto, trovano una risposta facilmente intuibile.

Questa conclusione, che subordina la partecipazione alle procedure di gara al prudente apprezzamento del tribunale, vale sia per l’ipotesi che l’impresa abbia già assunto la qualità di debitore concordatario nel momento in cui è indetta la (nuova) procedura ad evidenza pubblica, che per il caso in cui, all’inverso, la domanda di concordato segua temporalmente quella già presentata di partecipazione alla gara. In questo senso la formula “partecipazione a procedure di affidamento di contratti pubblici”, contenuta nell’art. 186 bis, comma 4 (e da ultimo all’art. 110, comma 4, del codice dei contratti), deve essere letta nel suo significato più pieno e più coerente con quella esigenza di controllo giudiziale ab initio che, realizzandosi sin dal momento in cui si costituisce il rapporto processuale con il giudice fallimentare, rappresenta il punto di equilibrio tra la tutela del debitore e quella dei terzi.”

E, con riguardo al momento in cui l’autorizzazione del giudice fallimentare per partecipare alla gara, ex art. 186 bis L. Fall., debba intervenire nell’ambito della procedura concorsuale l’Adunanza Plenaria non ha dubbi: “la centralità e l’importanza che riveste l’autorizzazione del giudice fallimentare, ai fini della partecipazione alla gara, conducono a ritenere che il rilascio e il deposito di tale autorizzazione debbano intervenire prima che il procedimento dell’evidenza pubblica abbia termine e, dunque, prima che sia formalizzata da parte della stazione appaltante la scelta del miglior offerente attraverso l’atto di aggiudicazione. Si tratta di una posizione … che già è stata fatta propria dalla giurisprudenza più recente di questo Consiglio (Cons. St, sez. V n. 1328/2020), alla quale si è richiamata anche l’ANAC (delibera n. 362/2020), e che ha il pregio di individuare un limite temporale definito, (più) idoneo ad assicurare l’ordinato svolgimento della procedura di gara.”.

Ai fini della stipula del contratto, deve essere presente necessariamente l’autorizzazione, per consentire la stabilità del negozio giuridico. 

Valorizzando l’aspetto “prenotativo e anticipatorio” dell’istituto, si precisa, poi, che Per il provvedimento di effettiva ammissione alla procedura – che senz’altro richiede una più complessa elaborazione – si può attendere …

Dalle considerazioni che precedono si ricava l’orientamento del Collegio anche con riguardo alle tempistiche delle comunicazioni da effettuare alla stazione appaltante: se l’impresa presenti una istanza di accesso al concordato durante la gara, essa dovrà chiedere al tribunale di essere autorizzata a proseguire nella procedura e, “sebbene la legge non indichi un termine ad hoc per la presentazione di una tale istanza di autorizzazione, è del tutto ragionevole ritenere che, secondo un elementare canone di buona fede in senso oggettivo, l’istanza debba essere presentata senza indugio, anche per acquisire quanto prima l’autorizzazione ed essere … nella condizione utile di poterla trasmettere alla stazione appaltante con la procedura ad evidenza pubblica ancora in corso.”.

Ciò, per tutelare il principio di buona fede nell’ambito dei rapporti con la stazione appaltante; quest’ultima, infatti, trattandosi di un’informazione rilevante, ancorché la domanda di concordato sia pubblicata nel registro delle imprese e sia quindi in linea di principio conoscibile … qualora fosse omessa tale informazione valuterà la stazione appaltante l’incidenza di una condotta reticente.

Tale giudizio, però, dovrà essere reso sempre con idoneo apprezzamento e di adeguata motivazione, senza automatismi espulsivi, in ossequio all’art. 80, comma 5, lett. c-bis, anziché lett. f-bis e – come già affermato   dalla decisione dell’Adunanza Plenaria n. 16/2020.

La risposta al quarto quesito

Infine, per rispondere al quarto quesito, il Collegio esamina l’art. 48, commi 17 e 18 d.lgs. n. 50/2016 che, in deroga alla regola generale dell’immodificabilità della composizione del raggruppamento temporaneo (di cui all’art. 48, comma 9 d.lgs. n. 50/2016), consente al RTI di modificare la propria composizione, ove alcune delle imprese coinvolte siano sottoposte ad una procedura concorsuale.

La regola dell’immodificabilità del RTI risponde alla duplice esigenza di i) evitare, da un lato, che la stazione appaltante si trovi ad aggiudicare la gara e a stipulare il contratto con un soggetto, del quale non abbia potuto verificare i requisiti, generali o speciali, di partecipazione, in conseguenza di modifiche della composizione del raggruppamento e ii) dall’altro di tutelare la par condicio dei partecipanti alla gara.

Inoltre – sempre in forza dei medesimi principi -, il comma 19 prevede la possibilità di effettuare ulteriori modifiche soggettive alla duplice condizione che i) le imprese rimanenti abbiano i requisiti sufficienti e ii) che la modifica non sia finalizzata ad eludere la mancanza di un requisito di partecipazione alla gara. Su queste previsioni, dettate per la fase dell’esecuzione e che privilegiano l’interesse alla conservazione del rapporto in funzione della più celere esecuzione dell’opera o del servizio o della consegna della fornitura, si innesta il comma 19-ter dell’art. 48 … che ha esteso espressamente la possibilità di modifica soggettiva per le ragioni indicate dai commi 17, 18 e 19 anche in corso di gara.

Per rispondere compiutamente al quesito, l’Adunanza Plenaria cita e conferma il proprio precedente n. 8/2012, che andava nel senso di non precludere in assoluto la modifica soggettiva, ma di ammetterla solo laddove questa operi “in riduzione” – non “in aggiunta”, né “in sostituzione” -, cioè quando riguardi una rimodulazione interna alle imprese del Raggruppamento e non comporti alcuna “addizione” di “nuove” imprese dall’esterno “e comunque sempre che non sia finalizzata ad eludere i controlli in ordine al possesso dei requisiti (AP n, di recente Cons. St., V, n. 1379/2020 e n. 1031/2018).”.

Tale ricostruzione, secondo l’Adunanza Plenaria, si ispira direttamente alle Direttive euro-unitarie in materia di appalti – che trattano della sostituzione solo in fase di esecuzione e non contemplano tale opportunità per la fase di partecipazione alla gara -.

La Direttiva n. 24/2014/UE contempla talune ipotesi di sostituzione all’art. 72 in tale fase e nel Considerando n. 110, già ricordato dallo stesso Collegio rimettente, precisa che «in linea con i principi di parità di trattamento e di trasparenza, l’aggiudicatario non dovrebbe essere sostituito da un altro operatore economico, ad esempio in caso di cessazione dell’appalto a motivo di carenze nell’esecuzione, senza riaprire l’appalto alla concorrenza» e «tuttavia, in corso d’esecuzione del contratto, in particolare qualora sia stato aggiudicato a più di un’impresa, l’aggiudicatario dell’appalto dovrebbe poter subire talune modifiche strutturali dovute, ad esempio, a riorganizzazioni puramente interne, incorporazioni, fusioni e acquisizioni oppure insolvenza», sicché «tali modifiche strutturali non dovrebbero automaticamente richiedere nuove procedure di appalto per tutti gli appalti pubblici eseguiti da tale offerente».”.

Per colmare il vuoto normativo per quanto concerne la fase di gara, il Collegio valorizza il collegamento fra la fase esecutiva e quella di partecipazione, tratteggiando la seconda quale anticipatoria – in senso giuridico, oltre che logico – della prima. 

Questa Adunanza plenaria, di recente, ha chiarito che anche la fase esecutiva del contratto pubblico non è una “terra di nessuno”, indifferente all’interesse pubblico e a quello privato degli altri operatori che hanno preso parte al confronto concorrenziale, e che «l’attuazione in concreto dell’offerta risultata migliore, all’esito della gara, e l’adempimento delle connesse prestazioni dell’appaltatore o del concessionario devono […] essere lo specchio fedele di quanto risultato all’esito di un corretto confronto in sede di gara, perché altrimenti sarebbe facile aggirare in sede di esecuzione proprio le regole del buon andamento, della trasparenza e, non da ultimo, della concorrenza, formalmente seguite nella fase pubblicistica anteriore e prodromica all’aggiudicazione» (Ad. plen. n. 10/2020). Si può quindi fondatamente ritenere che la deroga all’immodificabilità soggettiva dell’appaltatore costituito in raggruppamento, tale da evitare in fase esecutiva la riapertura dell’appalto alla concorrenza e, dunque, l’indizione di una nuova gara, sia solo quella dovuta, in detta fase, a modifiche strutturali interne allo stesso raggruppamento, senza l’addizione di nuovi soggetti … tuttavia senza incidere sulla capacità complessiva dello stesso raggruppamento di riorganizzarsi internamente, con una diversa distribuzione di diversi compiti e ruoli (tra mandante e mandataria o tra i soli mandanti), in modo da garantire l’esecuzione dell’appalto anche prescindendo dall’apporto del componente del raggruppamento ormai impossibilitato ad eseguire le prestazioni o, addirittura, non più esistente nel mondo giuridico (perché, ad esempio, incorporato od estinto)”.

In conclusione, quindi, “a maggior ragione si impone che nella fase della procedura di gara il soggetto che ha preso parte ad essa, presentando l’offerta, non sia diverso da quello che viene valutato dalla stazione appaltante e che, infine, si aggiudica la gara, non essendo ammissibile, sul piano del diritto UE, che proprio la fase pubblicistica, deputata alla scelta del miglior offerente, sia quella in cui attraverso la modifica soggettiva e l’addizione di un soggetto esterno alla gara si aggiri il principio della concorrenza e si ammetta in corso di gara un soggetto diverso da quello che ha presentato l’offerta.”.

Nel decidere, quindi, per l’immodificabilità “per addizione” del RTI, l’Adunanza Plenaria richiama la sentenza della Corte di Giustizia del 24 maggio 2016, nella causa C-396/14, in cui la modifica “per riduzione” della composizione di un RTI è stata interpretata come una violazione dei principio generali ed immanenti di trasparenza e di parità di trattamento, giacché “la procedura di gara assume il carattere di strumento di scelta non solo dell’offerta migliore, ma anche del contraente più affidabile, come è stato acutamente notato in dottrina, e il principio di immodificabilità soggettiva risponde ad esigenze di sicurezza giuridica per la stazione appaltante”.

In conclusione, quindi, la risposta al quarto quesito legge come endiadi la fase di partecipazione ed esecuzione – poiché animate dagli stessi principi generali – e, traendo spunto dai limi imposti alla sostituzione in fase di esecuzione afferma – anche per la fase di partecipazione alla gara – che è consentita “la sostituzione del mandante di un raggruppamento temporaneo di imprese, che abbia presentato domanda di concordato in bianco o con riserva a norma dell’art. 161, comma 6, l. fall, e non sia stata utilmente autorizzato dal tribunale fallimentare a partecipare a tale gara, solo se tale sostituzione possa realizzarsi attraverso la mera estromissione del mandante, senza quindi che sia consentita l’aggiunta di un soggetto esterno al raggruppamento; l’evento che conduce alla sostituzione interna, ammessa nei limiti anzidetti, deve essere portato dal raggruppamento a conoscenza della stazione appaltante, laddove questa non ne abbia già avuto o acquisito notizia, per consentirle, secondo un principio di c.d. sostituibilità procedimentalizzata a tutela della trasparenza e della concorrenza, di assegnare al raggruppamento un congruo termine per la riorganizzazione del proprio assetto interno tale da poter riprendere correttamente, e rapidamente, la propria partecipazione alla gara.”.

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Avv. Emanuela Pellicciotti
Esperta in infrastrutture e contratti pubblici
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