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Il tema del ritardo con cui la P.A. provvede al pagamento dei corrispettivi inerenti all’esecuzione dei contratti pubblici, ormai da anni, costituisce una piaga del settore imprenditoriale italiano. Il sistema risente di una serie di intoppi legati soprattutto alla eccessiva burocrazia interna agli enti pubblici, nonchè alla lentezza con cui gli enti pubblici provvedono ad emettere dei certificati di buon esito e quindi alle tempistiche relative alle dilazioni di pagamento, facendo aumentare in maniera preoccupante la debitoria delle pubbliche amministrazioni nei confronti delle imprese. Queste ultime si trovano a gestire con grande affanno la mancanza di liquidità, aggravata altresì, dalle attuali difficoltà di accesso al credito bancario.

Naturalmente le difficoltà di cui sopra si estendono non solo al contraente privato, che si trova a sostenere un’attesa ingiustificata prima di ottenere i corrispettivi dovuti da parte dell’amministrazione appaltante, ma coinvolge anche altri componenti della filiera dell’appalto, come le imprese subappaltatrici e subfornitrici sulle quali i ritardi si ripercuotono nella stessa ed identica misura, creando altri indotti di mancato pagamento.

Di certo non si può affermare che la situazione in merito ai ritardati pagamenti sia effettivamente migliorata a seguito dei vincoli imposti dal patto di stabilità interno: spesso gli enti locali committenti, si trovano a dover decidere se pagare il debito maturato dall’appaltatore o non effettuare i pagamenti dovuti.

Uno strumento pianificato per porre rimedio a tale situazione è la certificazione del credito. Il D.L. 16/2012 ha sancito, però, il divieto di rilasciare la certificazione di cui sopra, a pena di nullità, da parte dei seguenti soggetti:

a) enti locali commissariati ai sensi dell’articolo 143 del testo unico di cui al decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267;

b) regioni sottoposte ai piani di rientro dai deficit sanitari.

Tale previsione, sembra circoscrivere l’operatività dell’istituto della certificazione dei crediti, escludendo alcuni settori già incancreniti dal sistema dei ritardati pagamenti.

In seguito all’introduzione di tale strumento, le Pubbliche Amministrazioni, si sono attivate nello stipulare una serie di convenzioni per l’apertura di linee di credito con alcune banche, concordando anticipazioni a condizioni vantaggiose. Le banche convenzionate, infatti, concedono l’anticipazione delle fatture una volta acquisita la certificazione del credito rilasciata dall’Ente. Affinché il credito sia certificabile, è necessario che quest’ultimo sia stato liquidato. La liquidazione è l’atto amministrativo che determina la somma certa e liquida da pagare nei limiti in cui essa rientri nelle risorse destinante alla copertura di spesa.

E’ prevista altresì la possibilità per i fornitori che vantano crediti nei confronti di enti locali e amministrazioni centrali, di collegarsi online alla piattaforma che dovrebbe essere messa a punto da Consip e sulla quale gli stessi enti potranno registrarsi. Attraverso la posta elettronica certificata, le imprese potranno inviere copia delle fatture non ancora pagate e, entro 60 giorni la Pubblica amministrazione risponderà, riconoscendo il credito oppure contestandolo.

Il tasto dolente della manovra anticrisi, proprio in materia di ritardati pagamenti, è rappresentato dall’inserimento nel testo del decreto semplificazioni, dell’emendamento relativo alla cessione dei crediti alle banche anche con la formula “pro-solvendo”.

Tale decreto, convertito in legge 44/2012, oltre a prevedere la modalità di cessione «pro soluto», (favorevole all’impresa perché la libera da ogni responsabilità), ha affiancato, anche la modalità «pro solvendo» che, di fatto non libera l’impresa dalla eventuale insolvenza del creditore. In sostanza, il rapporto per le aziende, nel caso di «pro solvendo», resta aperto perché il soggetto che cede il suo credito alla banca si trova ad essere responsabile per l’eventuale inadempimento della pubblica amministrazione. Anche nel caso in cui le regole del patto di stabilità interno impedissero alle amministrazioni di pagare, infatti, le imprese potrebbero trovarsi nella condizione di dover  rispondere degli inadempimenti.

Alla luce di questo intervento ci si chiede quanto tale manovra sia effettivamente in grado di aiutare le imprese a superare questo particolare momento di penuria di liquidità e, soprattutto, se questo sia lo strumento più idoneo a perseguire tal fine. Non solo, tali operazioni non si svolgeranno, di certo, senza costi per le imprese, atteso che, nella prassi commerciale, la cessione del credito pro soluto avviene, per un importo inferiore a quello nominale del credito stesso. La liquidità che viene resa disponibile, viene considerata ai fini della fissazione del prezzo di cessione dei crediti, a cui si aggiungono, i rischi dell’effettivo recupero del credito. Certo con l’applicazione della formula “pro-solvendo”, i rischi di inadempienza contrattuale ricadranno comunque sui fornitori creditori, per i quali al danno di non vedere recuperato il loro credito (seppur certificato), si aggiungerebbe la beffa di diventare potenziali debitori nei confronti dell’istituto di credito.

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Avv. Giuseppe Croce
Avvocato specializzato in materia di diritto civile e amministrativo, esperto in materia di appalti pubblici
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