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1. Premessa

Al centro della questione sugli affidamenti dei servizi legali vi è un acceso dibattito dall’Autorità Nazionale Anticorruzione (di seguito anche “Autorità” ovvero “ANAC”) e il Consiglio Nazionale Forense (di seguito anche “CNF”).

Il CNF, nella seduta del 15 dicembre 2017, ha adottato ed espresso, in qualità di stakeholder, un Parere sullo Schema di “Linee guida per l’affidamento dei servizi legali” (di seguito “Linee guida” o “Schema”) dell’ANAC ed in relazione all’art. 17, comma 1, lett. d), del d.lgs. 18 aprile 2016, n. 50 (di seguito solo “Codice”). L’ANAC, nell’ambito della già avviata consultazione online, infatti, aveva inviato al CNF – su espresso invito dell’Adunanza della Commissione speciale del Consiglio di Stato (con Parere interlocutorio 6.10.2017, n. 2109) – lo Schema, al fine di acquisire il relativo parere dal CNF, quale ente pubblico di rappresentanza istituzionale dell’avvocatura italiana ed in considerazione della natura fiduciaria, anche se non esclusiva, dei servizi legali e del divieto di goldplating. Il tutto al fine ultimo di acquisire il Parere definitivo dell’Adunanza della Commissione speciale del Consiglio di Stato che, ad oggi, non è stato ancora adottato.

2. La disciplina vigente

La disciplina vigente è dettata, a livello nazionale, dal nuovo Codice dei contratti pubblici e, per la precisione:

  • dall’articolo 17, comma 1, lett d), che menziona alcune specifiche ipotesi di esclusione di applicazione del Codice;
  • dal combinato disposto dell’allegato IX al Codice e degli artt. 140 e ss., che include i “servizi legali nella misura in cui non siano esclusi a norma dell’art. 17, comma 1, lett d)”: si tratta dei servizi “diversi” da quelli disciplinati dal medesimo art. 17.

L’art. 17, comma 1, esclude che il Codice sia applicabile ad alcune fattispecie e, tra di esse, appunto la lettera d) contiene il seguente elenco: “d)… uno qualsiasi dei seguenti servizi legali:

1) rappresentanza legale di un cliente da parte di un avvocato ai sensi dell’articolo 1 della legge 9 febbraio 1982, n. 31, e successive modificazioni:

1.1) in un arbitrato o in una conciliazione tenuti in uno Stato membro dell’UE, un Paese terzo o dinanzi a un’istanza arbitrale o conciliativa internazionale;

1.2) in procedimenti giudiziari dinanzi a organi giurisdizionali o autorità pubbliche di uno Stato membro dell’unione europea o un Paese terzo o dinanzi a organi giurisdizionali o istituzioni internazionali;

2) consulenza legale fornita in preparazione di uno dei procedimenti di cui al punto 1), o qualora vi sia un indizio concreto e una probabilità elevata che la questione su cui verte la consulenza divenga oggetto del procedimento, sempre che la consulenza sia fornita da un avvocato ai sensi dell’articolo 1 della legge 9 febbraio 1982, n. 31, e successive modificazioni;

3) servizi di certificazione e autenticazione di documenti che devono essere prestati da notai;

4) servizi legali prestati da fiduciari o tutori designati o altri servizi legali i cui fornitori sono designati da un organo giurisdizionale dello Stato o sono designati per legge per svolgere specifici compiti sotto la vigilanza di detti organi giurisdizionali;

5) altri servizi legali che sono connessi, anche occasionalmente, all’esercizio dei pubblici poteri;”.

Come rammentato dal CNF, in funzione dell’interpretazione proposta dall’ANAC, l’art. 4 del Codice, intitolato ai “Principi relativi all’affidamento di contratti pubblici esclusi”, stabilisce che: “L’affidamento dei contratti pubblici aventi ad oggetto lavori, servizi e forniture, dei contratti attivi, esclusi, in tutto o in parte, dall’ambito di applicazione oggettiva del presente codice, avviene nel rispetto dei principi di economicità, efficacia, imparzialità, parità di trattamento, trasparenza, proporzionalità, pubblicità, tutela dell’ambiente ed efficienza energetica”.

Come si è anticipato, il combinato disposto di cui all’allegato IX e degli articoli 140 e ss. del Codice, riferendosi appunto ai “servizi legali nella misura in cui non siano esclusi a norma dell’art. 17, comma 1, lett. d)”, detta per questi servizi un regime procedimentale di evidenza pubblica semplificato finalizzato all’affidamento del servizio.

Si tratta di disposizioni che costituiscono il recepimento di altrettante disposizioni del pacchetto di direttive comunitarie del 2014 e, in particolare, della direttiva 2014/24/UE dedicata agli appalti affidati nei settori ordinari e della direttiva 2014/25/UE dedicata ai c.d. settori speciali.

Le direttive del 2014 delineano un quadro giuridico più puntuale di quello che era presente nelle direttive precedenti del 2004, posto che in quest’ultime i c.d. servizi legali erano considerati solo negli allegati recanti l’elenco dei servizi per i quali era previsto un regime semplificato per il procedimento di c.d. evidenza pubblica (cfr. All. Il-B). Mentre le direttive del 2014 introducono una netta divisione, collocando (i) da un lato le prestazioni che per talune caratteristiche sono del tutto esclusi dal campo di applicazione della direttiva; (ii) e, dall’altro, gli “altri” servizi legali, per i cui affidamenti, se riferibili ad una specifica soglia quantitativa meritevole di attenzione, è invece ribadita l’obbligatorietà di un procedimento amministrativo di selezione dell’affidatario, pur se con delle regole notevolmente semplificate.

Sicché il Legislatore europeo con le Direttive del 2014, per la prima volta, chiarisce che vi sono alcuni servizi legali che sono del tutto estranei alla disciplina sulla c.d. evidenza pubblica comunitaria. Tali servizi esclusi dagli obblighi procedimentali sono previsti dall’art. 10 della direttiva 2014/24/UE e dall’art. 21 della direttiva 2014/25/UE e corrispondono alle categorie riprese in diritto interno nell’art. 17, comma 1, lett. d), del Codice. Il che è ben spiegato dal considerando 25 della direttiva 2014/24/UE.

3. Lo Schema di Linee guida dell’ANAC

Nello Schema, l’Autorità ritiene che dalla disciplina testé descritta si debba trarre una regola innovativa per l’ordinamento: l’eliminazione della distinzione tra la categoria di incarichi sottoposti alla disciplina procedimentale di gara ed la categoria invece esente.

Si finisce dunque per indicare alle P.A. che intendano affidare ad avvocati gli incarichi previsti dall’art. 17, comma 1, lett. d) cit. – e dunque anche quelli di natura giudiziale e pre-giudiziale – un vero e proprio procedimento comparativo di gara. Anche gli incarichi dichiarati esenti dall’applicazione del codice, infatti, secondo l’Autorità, “non possano essere affidati come se si trattasse di un incarico intuitu personae, in cui è sufficiente dimostrare il rispetto dei principi generali dell’azione amministrativa, dovendo invece seguire alcune regole minime, espresse dai principi generali individuati dal richiamato art. 4″.

Il punto cruciale – come evidenziato dal CNF – è proprio nel citato passaggio dello schema di Linee guida, “perché qui si segna la distanza tra due scenari profondamente diversi”:

  1. una situazione in cui la P.A., nel conferire un incarico ad un avvocato, debba osservare solo i principi generali dell’azione amministrativa, potendo effettuare comunque una scelta diretta e fiduciaria dell’avvocato medesimo;
  2. ed una situazione nella quale invece debba essere avviato un vero e proprio procedimento di gara, imperniato sul principio di par condicio dei partecipanti, nel quale si prevede la pubblicazione di un bando/avviso ad offrire, una verifica dei requisiti di partecipazione previsti dall’articolo 80 del d. Igs. n. 50 del 2016, ed un giudizio di terzietà portato a compimento dalla stazione appaltante mediante la valutazione comparativa delle offerte.

L’adozione di quest’ultimo modello – si badi secondo l’ANAC – non sarebbe il frutto eventuale di una libera scelta che, in singole vicende, la P.A. ritenga in ogni caso di fare, bensì un vero e proprio obbligo presidiato da norme di diritto pubblico.

Secondo ANAC:

  1. si dovrebbe attribuire al diritto europeo il superamento della situazione che sia era determinata nel diritto vivente e nella prassi, in considerazione del fatto che sarebbe ormai definitivamente “superata” la distinzione tra il contratto d’opera professionale e l’appalto, con l’attrazione di tutte le prestazioni rese dall’avvocato in questo secondo ambito;
  2. la necessità di leggere l’art. 17 in combinato disposto con l’art. 4 del Codice, il quale stabilisce che anche i contratti esclusi dal codice restano comunque sottoposti ad alcuni principi generali, dalla cui applicazione, in via derivata, discenderebbe l’assoggettamento ad una serie di regole che formano, nella sostanza, un classico procedimento di gara per la selezione del contraente della P.A.

4. La posizione del CNF

Il CNF non condividendo l’impostazione adottata dalle Linee Guida in commento ha ritenuto di concludere, sulla base di un’articolata disamina di cui si riporterà una sintesi nel prosieguo, che in conformità alle direttive 2014/24/UE e 2014/25/UE ed alla disciplina contenuta nel Codice, i servizi legali elencati all’art. 17, comma 1, lett. d), del medesimo Codice possono essere affidati dalle amministrazioni aggiudicatrici in via diretta, secondo l’intuitus personae e su base fiduciaria, e nel rispetto dei principi generali che sempre guidano l’azione amministrativa, mentre gli altri servizi legali, ai sensi del combinato disposto dell’allegato IX al Codice e degli artt. 140 e ss., devono essere affidati mediante un procedimento comparativo di evidenza pubblica semplificato nei termini e secondo i presupposti identificati da tali ultime disposizioni. Il che è coerente con quanto sottolineato il giudice amministrativo in una recentissima decisione (TAR Puglia, sez. Il, sentenza 11 dicembre 2017, n. 1289), confermando la posizione del Consiglio di Stato espressa nella sentenza n. 2730 del 2012.

Sicché in un’ottica di collaborazione istituzionale, il CNF ha auspicato che i rilievi espressi nel proprio Parere possano essere oggetto di adeguata considerazione da parte dell’Autorità al fine dell’adozione di una versione definitiva delle Linee guida coerente con il quadro normativo conferente, e utile a favorire il buon andamento dell’azione amministrativa, in conformità all’art. 97 della Costituzione.

5. Le ragioni del dissenso del CNF

Il CNF nel proprio Parere ha sottolineato la particolare dimensione processuale dell’attività dell’avvocato. L’avvocato chiamato alla rappresentanza del suo assistito opera in quel campo che consiste nella amministrazione della giustizia e che rimane profondamente distinto da quello che invece è interessato dall’esecuzione di un appalto. L’avvocato che assume la rappresentanza in giudizio dà vita, insieme al giudice, al processo, concorre alla tutela dei diritti, contribuisce ineliminabilmente a dar vita allo Stato di diritto. Questo non può non distinguerlo da un appaltatore, in Italia così come negli altri Stati membri dell’Unione Europea, e, in verità, ne specifica le funzioni anche nell’ambito del contratto d’opera professionale. Di tal ché:

  1. nei casi di difesa in giudizio il contratto di patrocinio non è un comune contratto d’opera professionale, perché contiene uno specialissimo potere di rappresentanza che ne enfatizza il profilo fiduciario, in uno con quello che concerne i poteri esclusivi di svolgimento dell’attività processuale, nonché i doveri e la responsabilità del difensore;
  2. l’attività del difensore munito del patrocinio si svolge in un contesto del tutto diverso sia da quello che riguarda sia il contratto di appalto sia, in verità, da quello che riguarda il contratto d’opera professionale di per sé, ed essa, attuando valori primari dell’ordinamento, garantisce la protezione di diritti costituzionali fondamentali.

Il CNF in particolare non ha ritenuto condivisibile il primo dei due passaggi cruciali delle Linee guida “quello con cui si attribuisce al diritto europeo e, segnatamente, alla direttiva 2014/24/UE e 2014/25/UE il superamento della distinzione stabilizzatasi nel diritto interno nel recente passato tra contratto d’opera professionale e appalto e le relative ricadute”, posto che:

  1. appare lontano dal tenore e dallo spirito delle direttive del 2014;
  2. non sembra esatto l’assunto secondo il quale proprio quegli incarichi che il Consiglio di Stato nella sentenza n. 2370 del 2012 riportava nell’ambito della facoltà di scelta fiduciaria e personale debbano oggi, e per volontà del diritto europeo, essere assoggettati a un regime più formale e imperniato addirittura su altrettanti procedimenti di gara.

Il diritto europeo ha, infatti, isolato proprio gli incarichi di assistenza in giudizio, quelli di assistenza comunque collegata o collegabile a un giudizio e quelli connessi all’esercizio di pubblici poteri, allo scopo di escluderli completamente dall’applicazione della disciplina sugli appalti e, segnatamente, dai procedimenti di evidenza pubblica (artt. 10 della direttiva 2014/24/UE e 21 della direttiva 2014/25/UE cit.).

Il CNF ha dunque affermato che le direttive del 2014 sono più “liberali” delle precedenti a proposito dei servizi legali e che le direttive del 2014 si saldano col “diritto vivente” italiano.

Secondo il CNF l’assetto voluto nel 2014 dal legislatore europeo:

  • per un verso, segna una novità rispetto al passato in senso più “liberale” e meno restrittivo: in passato la disciplina europea si limitava a menzionare i servizi legali tra gli appalti sottoposti ad un regime di evidenza pubblica semplificato, senza aggiungere radicali esclusioni per altre tipologie di servizi legali, il che avrebbe potuto far sorgere allora (e non oggi) dei dubbi. Tali dubbi sono stati superati, dato che la giurisprudenza nazionale e la prassi hanno ritenuto che, in ogni caso, i rapporti professionali imperniati sull’intuitus personae – e, tra essi, soprattutto quelli legati alla rappresentanza in giudizio – dovessero essere considerati “altra cosa” rispetto a tali servizi legali menzionati nella vecchia direttiva del 2004 e quindi svincolati dagli obblighi dei procedimenti di gara e unicamente attratti nell’ambito dell’osservanza dei principi generali di ogni azione amministrativa. Nel dettare la nuova disciplina il legislatore europeo ha chiarito il fatto che alcuni rapporti tra amministrazione ed avvocato sono indelebilmente contrassegnati da intuitus personae e dal tratto fiduciario, sicché sono necessariamente aperti alla scelta diretta e non possono essere irrigiditi nell’insieme di regole che compongono i procedimenti ad evidenza pubblica (anche nella forma più semplificata che di essi si possa immaginare). Il che è espressamente detto nel considerando 25 cit.: “… Tali servizi legali dovrebbero pertanto essere esclusi dall’ambito di applicazione della presente direttiva”.
  • e, per altro verso, si spiega con delle evidenti ragioni che si saldano con la prassi seguita nel diritto italiano sino ad oggi: si è voluto escludere dai procedimenti di gara obbligatori grosso modo i medesimi “servizi legali” che il diritto vivente aveva già esentato dall’evidenza pubblica stessa. Il diritto europeo non ha inteso “superare” la distinzione che nell’esperienza italiana –comune agli altri Stati membri – aveva distinto tra facoltà di scelta fiduciaria e diretta per gli incarichi di difesa e rappresentanza in giudizio, da un lato, e l’obbligo di un procedimento di gara per gli altri incarichi, dall’altro lato. Anzi, se si guardano le categorie che le direttive hanno voluto escludere dal campo dell’evidenza pubblica (difesa in giudizio, assistenza collegata a tale difesa e assistenza connessa direttamente all’esercizio di poteri pubblici), emerge una sintonia evidente con gli orientamenti già fatti propri dal Consiglio di Stato nel 2012. La rappresentanza in giudizio, il rapporto di mandato, la potenziale proiezione processuale di una certa attività legale sono ciò che fa di una prestazione qualcosa di infungibile, di personale e strettamente fiduciario, di non predeterminabile, di non confrontabile sulla base di giudizi comparativi né tantomeno di formule matematiche.

Pertanto, la lettura delle direttive e la fedele trasposizione fatta nell’art. 17 più volte citato ha indotto il CNF a non condividere l’affermazione delle Linee guida dell’ANAC, secondo cui il diritto europeo avrebbe reso oggi non più “attuale” la distinzione di diritto interno tra contratto d’opera e appalto e le relative ricadute sul regime di scelta dell’avvocato. Anzi, sembra proprio che la conclusione debba essere opposta: le direttive hanno, pur se con parole lievemente diverse, voluto confermare questa distinzione e il contenuto sostanziale della disciplina connessavi. Il CNF d’altra parte ha escluso che la nozione comunitaria di appalto nelle direttive del 2014 giustifichi il superamento del diritto vivente.

  • Quanto al secondo passaggio centrale delle Linee guida, che tocca più direttamente l’interpretazione del diritto interno ed è basato sulla predetta “saldatura” interpretativa tra l’art. 17, comma 1, lett. d) e l’art. 4 del Codice, il CNF ha osservato che l’art. 17 reca solo la volontà di escludere dall’applicazione del Codice gli affidamenti dei servizi legali nei casi in cui è più marcato il carattere fiduciario dell’attività svolta dall’avvocato (difesa e rappresentanza in giudizio, attività a questa ultima connesse, assistenza connessa all’esercizio di pubblici poteri). Pertanto solo il collegamento con l’art. 4 che, secondo l’ANAC, condurrebbe a delineare e ad imporre un procedimento di evidenza pubblica proprio anche di questa categoria di contratti. Ma a ben vedere l’art. 4 sottopone i contratti esclusi dal campo di applicazione del codice soltanto ai seguenti principi generali: “principi di economicità, efficacia, imparzialità, parità di trattamento, trasparenza, proporzionalità, pubblicità, tutela dell’ambiente ed efficienza energetica”.
  • Ebbene secondo l’ANAC, l’efficacia di questo combinato disposto sarebbe tale che gli incarichi ad avvocati che pure sono esclusi dal codice “non possano essere affidati come se si trattasse di un incarico intuitu personae, in cui è sufficiente dimostrare il rispetto dei principi generali dell’azione amministrativa”, ossia non possono essere più trattati così come il Consiglio di Stato aveva ritenuto ne 2012. I detti principi generali esprimerebbero infatti alcune “regole minime” ritenute vincolanti. Tali regole, sebbene definite “minime”, sono in realtà tali da formare un corpus di norme procedimentali che tracciano una vera e propria gara, che parte da un “avviso pubblico”, si snoda attraverso “offerte” fatte da “concorrenti” in par condicio che devono possedere altrettanti “requisiti di partecipazione”, sino ad una “valutazione comparativa” ed alla “aggiudicazione”.
  • Sennonché questa interpretazione,  secondo il CNF, oltre a non combaciare con le origini dell’art. 4 e col suo tenore letterale confrontato con l’art. 27 del d.lgs. 163/2006 non persuade per altre ragioni, vuoi sul piano letterale vuoi sul piano teleologico e finisce per porsi, in realtà, in contrasto con la stessa fonte primaria costituita dal combinato disposto degli artt. 17 e 4 del Codice. In particolare, il CNF, dopo un’attenta riflessione sulle radici della disciplina di “principi” per i contratti esclusi dal Codice, ha fermamente osservato che le origini ed i lavori preparatori dell’art. 4 non confortano una interpretazione che aumenti rispetto al diritto vivente gli oneri procedimentali per incarichi come quelli elencati nell’art. 17, comma 1, lett. d). E ciò perché:
  1. l’art. 4 – da cui l’ANAC ritiene di poter trarre un vincolo procedimentale innovativo e restrittivo per gli incarichi disciplinati dall’art. 17, comma 1, lett. d), i quali corrispondono a quelli che in diritto vivente erano, a loro volta, già considerati esenti dai procedimenti ad evidenza pubblica – è la norma che sostituisce l’art. 27 del precedente codice di cui al d.lgs. 163/2006, a sua volta ispirato ad alcuni precedenti di diritto europeo;
  2. durante la vigenza dell’art. 27 del precedente codice, non si riteneva di dover assoggettare gli incarichi ad avvocati corrispondenti a quelli oggi disciplinati dall’art. 17, comma 1, lett. d) ad un vincolo procedimentale così restrittivo;
  3. la disciplina dell’art. 4, che sostituisce l’art. 27, è meno restrittiva e più “liberale” di quella contenuta nell’art. 27.

Queste circostanze fanno dubitare della fondatezza della lettura che le Linee guida propongono in merito all’effetto precettivo dell’art. 4 rispetto agli incarichi disciplinati dall’art. 17, comma 1, lett. d), in quanto, pur partendo da una nuova scelta legislativa meno “intensa” in punto di oneri procedimentali rispetto alla norma previgente, approdano a un assetto addirittura molto più “oneroso” di quello richiesto da quest’ultima.

Le ragioni per le quali l’art. 4 non impone un procedimento di evidenza pubblica per l’affidamento dei servizi legali di cui all’art. 17, comma 1, lett. d) risiedono dunque nella genesi della disposizione di cui all’art. 4. Il richiamo ai principi, ivi contenuto, intende evocare nel nostro caso proprio (e soltanto) il rispetto dei principi generali dell’azione amministrativa senza mettere in discussione la facoltà di affidamento diretto intuitu personae.

Del resto, era questa la posizione espressa dal Consiglio di Stato nel precedente del n. 2730 del 2012: la circostanza che fosse legittimo l’affidamento diretto non escludeva affatto la contemporanea applicazione di tali principi generali, restando “… inteso che l’attività di selezione del difensore dell’ente pubblico, pur non soggiacendo all’obbligo di espletamento di una procedura comparativa di stampo concorsuale, è soggetta ai principi generali dell’azione amministrativa in materia di imparzialità, trasparenza e adeguata motivazione onde rendere possibile la decifrazione della congruità della scelta fiduciaria posta in atto rispetto al bisogno di difesa da appagare”.

Il richiamo ai principi certamente esiste, ma esso è perfettamente compatibile col rispetto delle regole generali dell’azione amministrativa. Il fatto che non sia imposta una gara come modello di scelta dell’avvocato non esclude ovviamente che la p.a. debba fare una scelta oculata, in linea ad esempio con i principi di efficienza, efficacia ed economicità, e dandone conto con apposita motivazione. L’acquisizione del curriculum dell’avvocato e l’indicazione del perché ad esso ci si rivolge sono peraltro anche presidi di trasparenza amministrativa, per certi aspetti persino superiori a quelli assicurati dalla gara, per quanto semplificata essa sia. Non si vede perché, dunque, i “principi” richiamati dall’art. 4 debbano essere una cosa diversa, al punto tale da stilare un modello di gara non esente da complicazioni.

D’altra parte, il codice dei contratti pubblici, in perfetta aderenza alle direttive del 2014, ha introdotto una distinzione tra due regimi diversi: (i) i servizi legali previsti dall’art. 17, comma 1, lett. d), sono esclusi tout court dall’applicazione del Codice; (ii) gli altri servizi legali, invece, per effetto del combinato disposto tra l’allegato IX e gli artt. 140, 141 e 142, sono sottoposti ad un procedimento di gara semplificato.

Ebbene, questa distinzione sembra assottigliarsi sino forse a sfumare del tutto nella proposta fatta dallo schema di Linee guida, perché anche la prima categoria di servizi legali viene attratta in un procedimento di gara vincolante e molto articolato e questo per via di un’interpretazione per così dire forzata dell’art. 4 del Codice.

L’interpretazione dell’art. 4 proposta dallo Schema non tiene conto della diversità di tenore dell’art. 4 rispetto all’art. 27 del precedente codice e già tale circostanza è un elemento significativo per inficiarne l’attendibilità. E se pure si potesse assumere che tra le righe dell’art. 4 sia incluso il rinvio alla comparazione di almeno cinque preventivi, nondimeno sarebbe da ricordare che tale passaggio era comunque richiesto dal medesimo art. 27 solo se “compatibile con l’oggetto del contratto”.

Alla compatibilità della comparazione “a gara” con l’oggetto del contratto di patrocinio legale, in verità, l’ANAC non dedica particolari considerazioni, restando ferma all’affermazione di esordio, secondo la quale la distinzione tra contratto d’opera intellettuale e appalto deve ritenersi ormai “superata”.

L’interpretazione proposta dall’ANAC, nell’imporre la celebrazione di un procedimento di gara anche per l’affidamento degli incarichi previsti dall’art. 17, comma 1, lett. d), non combacia, si è già detto, col contenuto delle direttive del 2014.

Queste ultime, come si è visto, per tali incarichi hanno nettamente escluso l’applicazione dell’impianto normativo della c.d. evidenza pubblica, motivando proprio in base all’inadeguatezza e incompatibilità delle norme previste per l’aggiudicazione degli appalti.

Questa distonia, di per sé, potrebbe non determinare necessariamente una reazione dell’ordinamento dell’UE nei confronti della Repubblica italiana qualora quest’ultima avesse effettivamente deciso di orientarsi in questa più onerosa direzione. Esiste infatti la teorica possibilità che gli Stati membri scelgano la via di una “discriminazione a rovescio”, quando si detta una disciplina nazionale che si distacca dalle regole europee. In tali casi, quando non sia disatteso il livello di base di adeguamento richiesto dalla disciplina di diritto europeo e sempre che non sussista, per altro verso, l’adozione di misure che, proprio in quanto eccessive, siano in violazione del principio di proporzionalità (cfr., ad es., Corte di giustizia UE, 22 ottobre 2015 in causa C-425/14), la UE potrebbe non ravvisare in senso proprio una violazione del diritto comunitario.

Tuttavia, nel caso di specie questa diversità dalla disciplina di diritto comunitario, laddove impone dei procedimenti di evidenza pubblica anche agli incarichi previsti dall’art. 17, comma 1, lett. d), innovando il diritto vivente e la prassi sino ad oggi seguita, si scontrerebbe comunque contro il divieto di gold plating, stabilito dall’art. 1, comma 1, lettera a), della legge delega 28 gennaio 2016, n. 11, che ha posto il “divieto di introduzione o di mantenimento di livelli di regolazione superiori a quelli minimi richiesti dalle direttive, come definiti dall’art. 14, comma 24- ter e 24-quater, della legge 28 novembre 2005, n. 246”.

Nel caso in esame infatti la proposta delle Linee guida attribuisce un’interpretazione al combinato disposto degli artt. 17, comma 1, lett. d), e 4 del d. Igs. n. 50 del 2016 tale da introdurre livelli di regolazione superiori di quelli minimi. In verità, secondo il CNF, qui forse non vi sarebbe neppure quel caso di gold plating, di più complesso accertamento, nel quale emergano particolari oneri che possano essere eccedenti rispetto a quelli pur stabiliti nelle direttive, casi nei quali sussisterebbe comunque l’esigenza di misurare bene tale eccedenza. Infatti qui si registra l’inserimento di misure e procedimenti che le direttive stesse hanno voluto esplicitamente escludere. Oltretutto, è anche stato affermato che il divieto di gold plating deve operare “sia come indicazione per l’introduzione di una nuova disciplina, sia come regola di eliminazione di quella già esistente”: in questa vicenda, viceversa, si passerebbe addirittura da un recente passato nel quale questo tipo di vincoli non erano previsti ad una innovazione che inserisce la predetta disciplina procedimentale.

6. Conclusioni

Da quanto sopra emerge che lo Schema di Linee Guida predisposto da ANAC sia il frutto di un eccesso per così dire di regolazione il cui risultato finale rischia di tradursi in una sostanziale assimilazione dei procedimenti di scelta dei contraenti nei settori esclusi a quelli comuni.

L’interpretazione del combinato disposto degli artt. 17, comma 1, lett. d) e 4 citati si espone così a un duplice rilievo:

  • finisce per porre il Codice in una posizione di netta distonia con la legge delega a proposito del divieto di gold plating e quindi con l’art. 76 Cost., qualificandosi allora oltretutto come interpretazione non costituzionalmente orientata;
  • pone le medesime Linee guida in una condizione di contrasto con la fonte primaria, suscitando per altro verso dei problemi di conformità alla legge.

La posizione assunta dal Consiglio Nazionale Forense è netta e orientata non tanto a sindacare le modalità con cui ANAC ha declinato a livello procedimentale i principi dell’articolo 4. Ciò che infatti il CNF ha confutato, con una esegesi delle norme rigorosa ed articolata, è quella “saldatura interpretativa tra l’articolo 17, comma 1) lettera d) e l’articolo 4 del d.lgs. 50 del 2016” che secondo ANAC conduce a delineare ed a imporre un procedimento di evidenza pubblica proprio anche di questa categoria di contratti.

Il che, unitamente al carattere di soft law rivestito dalle Linee Guida, potrebbe comportare ad un vero e proprio revirement da parte dell’Autorità. È indubbio che giocherà un ruolo determinante il Parere demandato alla Commissione speciale del Consiglio di Stato, il quale fungerà da arbitro in questa querelle interpretativa e non solo. Sarà dunque interessante valutare in che modo il Consiglio di Stato valuterà l’intera vicenda avuto riguardo anche al ruolo di ANAC.

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Questo articolo è stato scritto da...

Avv. Adriana Presti
Avvocato amministrativista, esperto in contrattualistica pubblica
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