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Nell’espletamento delle funzioni di commissario, di Rup, di concorrente o partecipante all’atto della predisposizione di un’offerta, ma più in generale nel segmento procedimentale della gara d’appalto, come per ogni ambito della vita comune, la possibilità dell’errore procedurale e/o valutativo è dietro l’angolo. Talvolta l’incidenza dell’errore sulla risultanza finale è di modesta incidenza e pertanto trascurabile, talaltra il suo peso specifico rileva a tal punto da rendere indeterminata un’offerta, incomprensibile una valutazione, o più in generale, ingiustificata una decisione.

Alcune pronunce dell’ultimo periodo, ci portano a riflettere proprio sul concetto di errore e sui limiti entro cui muoversi per rimediare ad esso, senza cadere nell’illegittimità o peggio ancora nell’illegalità penalmente rilevante di una condotta. Il Consiglio di Stato, sez. III, con la sentenza n. 5711 del 28.09.2020, trattando di riesame dell’offerta e di riunione della commissione per la valutazione della stessa, ha chiarito che: “Quanto alla nuova riunione della Commissione, ritiene il Collegio di condividere l’interpretazione seguita dal primo giudice e riproposta dalla parti appellate. Si tratta, nella specie, evidentemente dell’esercizio dello specifico potere di riesame che spetta alla Commissione giudicatrice, organo di natura prettamente tecnica, di esame e valutazione delle offerte formulate dai concorrenti nell’ambito di una specifica gara. La sua attività si esaurisce soltanto con l’approvazione del suo operato da parte dei competenti organi dell’Amministrazione appaltante, mediante l’adozione del provvedimento di aggiudicazione. Fino a questo momento la Commissione conserva il potere di riesaminare l’operato al fine di emendarlo da eventuali errori.”

Concetto ben chiaro, che evidentemente non imbriglia o limita l’operato della commissione, ed in linea con quanto le stesse Linee guida n. 5 dell’ANAC dedicata proprio a “Criteri di scelta dei commissari di gara e di iscrizione degli esperti nell’Albo nazionale obbligatorio dei componenti delle commissioni giudicatrici”, ove si ribadisce che nella valutazione dell’offerta tecnica la commissione di gara opera in piena autonomia rispetto  alla stazione appaltante e deve valutare il contenuto dell’offerta secondo i criteri motivazionali presenti nei documenti di gara. Le stazioni appaltanti assicurano gli strumenti di ausilio ai commissari di gara per risolvere questioni di tipo amministrativo al fine di non determinare interferenze nel processo di valutazione delle offerte.

Restando ancora in tema di operato della Commissione e di errori nei giudizi, al limite del concetto di erroneo utilizzo della metodologia valutativa del metodo del confronto a coppie, si richiama la sentenza TAR Genova, 28.09.2020 n. 661, in essa si legge: “Orbene, nel caso di specie, l’assoluta e totale uniformità di ogni valutazione quanto alla preferenza ed al suo grado, che si ripete indefettibilmente per tutti i parametri di valutazione, appare, in relazione alle numerose variabili potenziali costituite dal numero dei commissari (5), dei coefficienti (6), dei criteri di valutazione (4) e delle offerte (5), il frutto di un previo concerto tra i commissari circa il modus procedendi, contrario a quello chiaramente predicato dal disciplinare di gara. Ciò che integra sicura spia dell’eccesso di potere, sotto il profilo del cattivo uso della discrezionalità amministrativa e della falsa applicazione delle disposizioni del disciplinare di gara sui criteri di valutazione dell’offerta tecnica, che in un primo tempo doveva essere effettuata autonomamente da ciascun commissario, e, soltanto dopo, essere trasformata in una media e riparametrata sulla base della media massima. L’assoluta identità di tutte le valutazioni effettuate dai singoli  commissari per tutti i criteri di valutazione – identità che è pacifica e non contestata – non può certo definirsi una contingente coincidenza, ma denota piuttosto il perseguimento dell’unanimità su ogni singola valutazione, laddove la commissione non doveva invece operare – quantomeno in prima battuta – quale organo collegiale, richiedendo la legge di gara che i coefficienti fossero attribuiti dai singoli commissari secondo il loro personale giudizio, per essere – soltanto successivamente – trasformati in una “media”. E’ noto che, per costante giurisprudenza, nell’ambito del criterio di aggiudicazione dell’offerta economicamente più vantaggiosa, le valutazioni della commissione giudicatrice circa l’attribuzione dei punteggi ai diversi elementi dell’offerta tecnica sono espressione di discrezionalità tecnica. Tale discrezionalità non è peraltro completamente insensibile al sindacato (estrinseco) del giudice amministrativo, quante volte non risulti esercitata in linea con i criteri predefiniti dalla lex specialis di gara, o presenti inattendibilità o macroscopiche irrazionalità ed incongruenze.

Nel caso di specie, l’operato della commissione concreta – a parere del collegio – una palese incongruenza rispetto al corretto modus procedendi prescritto dalla lex specialis di gara, ciò che colora le valutazioni effettuate dell’eccesso di potere, che costituisce il tipico vizio della discrezionalità amministrativa (cfr., in fattispecie analoga, T.A.R Liguria, II, 4.3.2019, n. 171; nello stesso senso cfr. Cons. di St., III, 15.11.2018, n. 6439, in una fattispecie in cui l’identità delle valutazioni non era neppure totale). Né rileva che, nel verbale n. 13, sia stato indicato che ognuno dei componenti della commissione abbia “autonomamente esaminato la documentazione delle offerte tecniche presentate”, non potendo l’autonomia dell’esame della documentazione essere equiparata all’autonoma espressione di una valutazione, che è ciò che richiedeva il disciplinare di gara.

Mentre, uscendo un attimo dal momento valutativo dell’offerta e volgendo lo sguardo al momento preliminare dell’affidamento, interessante risulta anche la pronuncia resa dal Consiglio di Stato, sez. III, 28.09.2020 n. 5634, la quale trattando dell’errore connesso alla correttezza nella determinazione del valore del servizio da porre a base di gara ha rammentato che: Come affermato dalla giurisprudenza, è necessario che la determinazione della base d’asta sia effettuata dalla stazione appaltante facendo riferimento a criteri verificabili ed acquisendo attendibili elementi di conoscenza, al fine di scongiurare il rischio di una base d’asta arbitraria perché manifestamente sproporzionata, con conseguente alterazione della concorrenza (cfr. C.d.S., Sez. III, 24 settembre 2019, n. 6355, e 10 maggio 2017, n. 2168; Sez. V, 28 agosto 2017, n. 4081). Va rimarcato, sul punto, come nel nuovo Codice degli appalti le stazioni appaltanti debbano garantire la qualità delle prestazioni, non solo nella fase di scelta del contraente (v. art. 97 del d.lgs. 50/2016 in tema di esclusione delle offerte anormalmente basse), ma anche nella fase di predisposizione dei parametri della gara (v. art. 30, comma 1). Orbene, questa Sezione ha già avuto modo di richiamare l’indirizzo della prevalente giurisprudenza amministrativa, al quale si ritiene anche in questa sede di aderire, secondo cui la determinazione del prezzo posto a base d’asta non può prescindere da una verifica della reale congruità in relazione alle prestazioni e ai costi per l’esecuzione del servizio, comprese le condizioni di lavoro che consentano ai concorrenti la presentazione di una proposta concreta e realistica, a rischio, in caso contrario, sia di carenze di effettività delle offerte e di efficacia dell’azione della Pubblica Amministrazione, sia di alterazioni della concorrenza tra imprese: profili tutti giudizialmente scrutinabili (C.d.S., Sez. III, n. 6355/2019, cit.). Si è affermato, al riguardo, che in un giudizio avverso il bando di gara “la misura del prezzo a base d’asta non implica una mera scelta di convenienza e opportunità, ma una valutazione alla stregua di cognizioni tecniche (…..) sulla quale è possibile il sindacato del giudice amministrativo, con la precisazione che tale sindacato è limitato ai casi di complessiva inattendibilità delle operazioni e valutazioni tecniche operate dall’amministrazione, alla illogicità manifesta, alla disparità di trattamento”, non essendo consentito al giudice di giungere egli stesso alla determinazione del prezzo congruo (T.A.R. Sardegna, Cagliari, Sez. I, 18 ottobre 2011, n. 992). Sono state richiamate in argomento anche le linee guida espresse dall’A.N.A.C. con deliberazione n. 32 del 20 gennaio 2016, le quali, sebbene attinenti all’affidamento di servizi ad Enti del terzo settore ed alle cooperative sociali, contengono al parag. 11 un’indicazione di principio, lì dove affermano che “le stazioni appaltanti, nella determinazione dell’importo a base di gara per l’affidamento dei servizi, non possono limitarsi ad una generica e sintetica indicazione del corrispettivo, ma devono indicare con accuratezza e analiticità i singoli elementi che compongono la prestazione e il loro valore. Le stesse devono procedere già in fase di programmazione alla stima del fabbisogno effettivo in termini di numero di ore di lavoro/interventi/prestazioni e alla predeterminazione del costo complessivo di ciascuna prestazione”. Da ultimo, si è sottolineato che “la correttezza della determinazione della base d’asta con attinenza alla situazione di mercato rileva ai fini dell’utilizzazione di tutto il potenziale differenziale previsto per il prezzo nell’ambito delle gare da aggiudicarsi con il criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa, al fine di evitare uno svuotamento di efficacia sostanziale della componente economica dell’offerta (cfr. Cons. Stato, V, 7 giugno 2017, n. 2739, 22 marzo 2016, n. 1186, 15 luglio 2013, n. 3802, 31 marzo 2012, n. 1899)” (C.d.S., Sez. III, n. 6533/2019, cit.).

L’analisi rapidissima delle pronunce innanzi indicate, certamente non esaurisce la disamina del tema che si pone nel panorama giurisprudenziale, come certamente ampio e complesso, ma mutuando una frase celebre dello scrittore statunitense Kurt Vonnegut: “Un passo indietro, dopo aver fatto una strada sbagliata, è un passo nella giusta direzione.”

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Redazione MediAppalti
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