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Il fenomeno delle a.t.i. “cd.” sovrabbondanti: alcune premesse.

Da tempo si discute del tema delle a.t.i. cosiddette “sovrabbondanti”, vale a dire della possibilità di limitare l’ammissione alla gara da parte di raggruppamenti temporanei composti da imprese le quali, singolarmente, avrebbero i requisiti necessari e sufficienti per partecipare alla gara, così come stabiliti dal bando per l’esecuzione dello specifico contratto.

Come noto, il raggruppamento temporaneo di imprese rintraccia le proprie finalità nel consentire la più ampia partecipazione alle gare pubbliche, estendendo la concorrenza a quei soggetti che, singolarmente considerati, non possiedono i requisiti imposti dalla lex specialis di gara e non possono pertanto competere per l’acquisizione di un determinato contratto pubblico. Si realizza dunque un fenomeno di cooperazione tra imprese che, attraverso una aggregazione temporanea, ampliano le proprie capacità di acquisire contratti, stimolando conseguentemente il confronto concorrenziale sul mercato di riferimento.

In altri termini, la ratio fondamentale dell’istituto è costantemente individuata nella sua capacità di ampliare il novero dei partecipanti alla gara, abbattendo le barriere costituite dai requisiti dimensionali e tecnico-finanziari di volta in volta fissati dalle stazioni appaltanti[1].

Stante tale finalità dell’istituto associativo, può sembrare (ed alle autorità antitrust è più volte sembrata) da essa divergente la formazione di un raggruppamento temporaneo i cui membri sono, da soli e singolarmente considerati, in grado di soddisfare ex se i requisiti finanziari e tecnici per partecipare alla gara: da qui il tema della valutazione circa la legittimità di clausole, inserite nei bandi di gara, che tendono ad escludere dalla partecipazione alle gare queste cosiddette a.t.i. “sovrabbondanti”.

Recentemente sul tema la VI Sezione del Consiglio di Stato, con l’ordinanza n. 351 dello scorso 18 gennaio 2011, ha rimesso alla valutazione della Adunanza Plenaria l’approfondimento, tra gli altri, di uno specifico profilo in tema di ammissibilità alla gara della a.t.i. “sovrabbondanti”. In particolare nella citata ordinanza di remissione, anche alla luce di alcune riflessioni espresse sul punto dalla Autorità Garante per la Concorrenza e per il Mercato e da una parte della giurisprudenza amministrativa, è stato richiesto alla Adunanza Plenaria “un approfondimento per valutare se sia il caso di pervenire ad un divieto generalizzato, pur in difetto di espressa previsione nell’art. 38 codice appalti, ovvero di riconoscere in capo alla stazione appaltante il potere di escludere dalla gara un’a.t.i. sovrabbondante che costituisca un palese artificio in danno della  concorrenza, eventualmente previa espressa previsione in tal senso nel bando di gara”.

La Adunanza Plenaria, con la sentenza n. 4 del 7 aprile 2011, per motivi procedurali ha omesso di statuire sul punto, avendo deciso su questioni preliminari e ritenute assorbite le ulteriori questioni prospettate dall’ordinanza di rinvio.

La mancata pronuncia nel merito non fa però venire meno l’interesse ad un approfondimento della questione, che rimane tuttora aperta.

Sulla legittimità delle clausole limitative alla partecipazione alla gara di ATI.

La maggiore spinta alla limitazione del fenomeno delle ATI “sovrabbondanti” proviene chiaramente dall’Autorità Garante per la Concorrenza ed il Mercato, che ha più volte sentito l’esigenza di esprimere alcune perplessità in merito al fenomeno dell’ammissione alla gara di imprese associate le quali avrebbero invece la possibilità di partecipare alla gara singolarmente considerate.

In più occasioni l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato ha auspicato che le stazioni appaltanti, pur nel silenzio della legge, limitino la possibilità di associarsi in a.t.i. da parte di due o più imprese che singolarmente sarebbero in grado di soddisfare i  requisiti finanziari e tecnici per poter partecipare alla gara. Ciò  perché l’a.t.i., proprio in quanto strumento di collaborazione tra le imprese, può facilmente prestarsi ad un uso restrittivo della  concorrenza, attuale o potenziale, tra le imprese stesse, esito certamente non desiderato dall’amministrazione appaltante, né tanto meno voluto dal legislatore comunitario e nazionale, stante la valenza di principio fondamentale che la tutela della concorrenza ha sia nel Trattato CE, sia nella nostra Costituzione.

La sensibilità riscontata nelle segnalazioni dell’Autorità Antitrust circa i fenomeni collusivi travestiti da a.t.i. per la partecipazione alle gare pubbliche, ha parallelamente sollecitato alcuni interventi giurisprudenziali, principalmente circoscritti al fenomeno delle intese restrittive della concorrenza.

In linea di principio la circostanza che le a.t.i. e i consorzi siano frutto di negozi  giuridici tipizzati non esclude, secondo i giudici amministrativi, la loro contrarietà al diritto della concorrenza, allorquando risulti che la causa concreta del vincolo associativo temporaneo sia illecita, in quanto volta a contrassegnare un assetto contrario a  norme imperative.

E’ invece consolidato l’orientamento, che trae origine della neutralità dell’istituto civilistico del mandato circa il rispetto della libera concorrenza delle aggregazioni ed associazioni tra imprese, secondo cui è necessario indagare in merito alla concreta fattispecie, al fine di individuare potenziali profili anticoncorrenziali, non essendo sufficiente, ad esempio, la mera quota di mercato detenuta dai membri ovvero la mera soddisfazione dei requisiti di gara da parte dei singoli membri dell’a.t.i. (Consiglio di Stato, sez. V, 2 ottobre 2009 n. 6002; Consiglio di Stato, sez. VI, 20 febbraio 2008 n. 588)

In altri termini, si è talvolta ricollegata la illegittimità della partecipazione in a.t.i. cd. “sovrabbondante” alla dimostrazione o alla dimostrabilità di un intento collusivo; così è stata ad es. ritenuta illecita, sul piano del diritto di concorrenza, la costituzione ex ante di a.t.i. a prescindere da ogni esigenza reale rispetto ai requisiti previsti dai bandi di gara, che si inserisca in un  più complesso contesto collusivo caratterizzato dall’esistenza di intese a monte rappresentate da accordi puntuali e  “macroaggregazioni” aventi quale loro oggetto esplicito la disciplina del comportamento delle imprese per fini anticoncorrenziali più che per la finalità sinergica volta al miglioramento dell’offerta[2].

Tale orientamento, per quanto suggestivo e coerente con le indicazioni delle autorità antitrust, non consente però di affermare pacificamente la legittimità di una clausola generalizzata che consenta automaticamente di limitare la partecipazione alle gare di imprese raggruppate che avrebbero singolarmente i requisiti di capacità richiesti dal bando.

Osta a tale pacifica conclusione l’attuale mancanza di una norma positiva di diritto che, all’interno del Codice dei Contratti Pubblici, preveda tale possibilità. A contrario può evidentemente valere l’opposta considerazione che tale possibilità non è espressamente esclusa da alcuna norma positiva, e dunque può ritenersi consentita (secondo un approccio interpretativo di stampo anglosassone, bensì in contrasto col noto brocardo “Ubi lex voluit dixit, ubi noluit tacuit”). 

Oltre all’interessante spunto interpretativo prospettato dalla citata ordinanza di remissione del Consiglio di Stato n. 351/2011 (purtroppo non risolto dall’Adunanza Plenaria), si può considerare che un intervento normativo sul punto v’è stato in tempi molto recenti.

Si fa riferimento al Regolamento attuativo dell’art. 23-bis della legge n. 133/2008 in tema di affidamento di servizi pubblici, nel quale è contenuta una chiara disposizione che consente agli enti affidanti la facoltà di porre un limite alle a.t.i. “sovrabbondanti”.

Il comma 3 lett. d) del D.P.R. n. 168/2010 consente infatti alle stazioni appaltanti di “prevedere l’esclusione di forme di aggregazione o di collaborazione tra soggetti che possiedono singolarmente i requisiti tecnici ed economici di partecipazione alla gara, qualora, in relazione alla prestazione oggetto del servizio, l’aggregazione o la collaborazione sia idonea a produrre effetti restrittivi della concorrenza sulla base di un’oggettiva e motivata analisi che tenga conto di struttura, dimensione e numero degli operatori del mercato di riferimento”.

L’intervento normativo di rango secondario appena menzionato prende, in tutta evidenza, le mosse dalle considerazioni dianzi rammentate circa i profili potenzialmente anticoncorrenziali di alcune figure di associazione temporanea qualificabili, nei termini sopra visti, come “sovrabbondanti”.

La codificazione di tale principio in una norma settoriale rende, nel suddetto settore legittima la facoltà generalizzata per gli enti affidanti i servizi pubblici di imporre limiti circa la partecipazione di a.t.i. “sovrabbondanti”, al fine di consentire il più ampio e reale confronto concorrenziale ed al contempo contrastare fenomeni potenzialmente collusivi ed anticoncorrenziali che, in una lettura comunitariamente orientata, risulta essere il fine ultimo delle norme relative agli affidamenti pubblici nonche’ di quelle che specificamente prevedono il fenomeno delle aggregazioni temporanee tra imprese.

La norma fa peraltro esplicito riferimento alla “idoneità” a produrre effetti restrittivi della concorrenza, dimostrata con una “oggettiva e motivata analisi” che tenga conto delle caratteristiche del mercato di riferimento; dimostrazione purtroppo non agevole nella pratica.

Si tratta in buona sostanza di considerazioni analoghe a quelle svolte da parte della giurisprudenza amministrativa, la quale ha osservato che ove una norma del bando o del capitolato non precludae in modo specifico (come invece è necessario stante la tassatività delle cause di esclusione) la partecipazione alla gara delle associazioni temporanee composte da imprese in possesso, ciascuna, dei requisiti tecnici ed economici prescritti dal bando, e considerato che un divieto siffatto non vige nell’ordinamento settoriale, occorre che sia specificamente dimostrata una concreta situazione anticoncorrenziale[3].

Quanto sinora osservato conduce peraltro a concludere che, pur essendo stato auspicato da alcuni autorevoli organi che sia percorribile l’ipotesi che la stazione appaltante limiti la partecipazione alle gare pubbliche a soggetti che singolarmente possiedono i requisiti di gara e che pertanto potrebbero concorrere singolarmente per un confronto concorrenziale più stringente, non esiste allo stato un esplicito appiglio normativo nel ramo degli appalti pubblici di lavori, servizi e forniture (con l’esclusione, come visto, del settore delle public utilities), cui agganciare una causa escludente di tale tenore generalizzato.

Il rischio, non escludibile a priori, è quello di una eventuale impugnativa e conseguente dichiarazione di illegittimità in via giurisdizionale del bando che rechi una clausola del genere, non supportata da concreti riferimenti alla sussistenza di finalità anticoncorrenziali.

Viceversa, pur ritenendosi in linea di principio legittimo e conforme al diritto della concorrenza l’inserimento nella lex specialis di gara di siffatte clausole limitative della partecipazione da parte di a.t.i. “sovrabbondanti”, può auspicarsi che, de iure condendo, venga estesa per via normativa (integrazioni al Codice o Regolamento dei Contratti Pubblici) o giurisprudenziale (Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato), una facoltà generale per le stazioni appaltanti simile a quella prevista nel campo degli affidamenti dei servizi pubblici dal D.P.R. 168/2010, al fine di sgombrare il campo da eventuali rischi o reticenze applicative.

Novità in tema di modificazione soggettiva dell’offerente

Alcuni spunti di interesse sono offerti dalla recente giurisprudenza in tema in tema di deroghe e temperamento del principio di immodificabilità soggettiva del raggruppamento di concorrenti.

Il principio risulta codificato all’art. 37 comma 9 del D.Lgs. 163/2006, a mente del quale “è vietata qualsiasi modificazione alla composizione dei raggruppamenti temporanei e dei consorzi ordinari di concorrenti rispetto a quella risultante dall’impegno presentato in sede di offerta”.

Tradizionalmente si ritiene che tale principio di immodificabilità subisca un’applicazione rigorosa e tassativa successivamente alla presentazione dell’offerta, mentre ammetta deroghe e temperamenti nelle fasi procedurali precedenti la cristallizzazione dell’offerta ai fini dell’aggiudicazione.

Per fattispecie liminari la legge ammette, ad esempio, la possibilità, in caso di procedure ristrette o negoziate, che imprese invitate singolarmente possano poi presentare l’offerta come capogruppo di a.t.i. (art. 37, comma 12 del D.Lgs. 163/06 e s.m.i.) ovvero la diversa ipotesi della cd. cooptazione ex art. 95, comma 4, D.p.r. n. 554/1999 (oggi art. 92 comma 5 del D.P.R. 207/2010).

La derogabilità del principio in esame – quindi la modificabilità dell’a.t.i. – trova, tuttavia, nel disposto normativo un ineliminabile limite di ordine temporale, così come confermato dalla giurisprudenza consolidata sul punto: tale limite coincide con la fase della presentazione dell’offerta, la quale “cristallizza” la composizione del soggetto partecipante alla gara, precludendone l’ulteriore modificazione.

Viceversa, poiché con la fase di prequalifica non si consuma il potere di valutazione dei requisiti da parte della stazione appaltante, risulta legittima, previo vaglio dei requisiti, l’eventuale integrazione di un soggetto terzo in fase di presentazione dell’offerta, in un raggruppamento già prequalificato[4].

In questo senso può ritenersi ormai pacificamente ammessa, alla luce del costante orientamento giurisprudenziale, la possibilità di modificare la composizione interna dell’a.t.i., consentendo al raggruppamento di associare altre imprese qualificate anche per categorie e importi diversi da quelli richiesti dal bando, ovvero consentendo il recesso di una delle imprese dall’a.t.i., o addirittura l’aggregazione di un soggetto terzo al raggruppamento non previamente prequalificatosi (è ad esempio il caso della cooptazione).

Numerose pronunce fanno riferimento al seguente principio: “la disciplina vigente si limita a richiedere che alla presentazione dell’offerta siano ammesse imprese già selezionate nella fase di prequalificazione, ma non impedisce a queste ultime di associarsi temporaneamente in vista della gara, posto che l’A.T.I. non estingue la soggettività delle imprese già qualificate e che, quindi, il raggruppamento non può definirsi quale soggetto diverso da quelli invita.t.i. […] Da tali disposizioni [gli artt. 13 comma 5-bis della L. n. 109/1994, oggi trasfuso nell’art. 37 comma 9 D. Lgs. n. 163/2006, nonché l’art. 93 comma 2 del D.P.R. n. 554/1999, n.d.r.] emerge come il legislatore abbia inteso favorire il fenomeno del raggruppamento di imprese e individuare la presentazione dell’offerta come momento della procedura, da cui scatta il divieto di modificabilità soggettiva della composizione dei partecipanti. Tutte le citate disposizioni fanno riferimento all’offerta, che è cosa diversa dalla richiesta di invito, senza ricollegare in alcun modo il principio di immodificabilità soggettiva alla fase della prequalificazione in caso di procedura ristretta. In presenza di disposizioni espresse che non consentono la modifica della composizione dei partecipanti dopo l’offerta e in assenza di analogo divieto per la fase della prequalificazione, deve escludersi che si possa pervenire in via pretoria ad un divieto, non sancito dal legislatore. Tale considerazione è di per sé sufficiente per sostenere la tesi dell’ammissibilità della riunione di imprese prequalificatesi separatamente” [5].

Da quanto sopra riportato emerge come l’attività interpretativa della giurisprudenza abbia in particolari ipotesi relativizzato il principio di immodificabilità soggettiva dei partecipanti alle procedure di affidamento dei contratti pubblici, sulla base di un approccio ermeneutico funzionale delle norme, precisando che il divieto mira ad impedire, nell’a.t.i., l’aggiunta in corso di gara di un’impresa ovvero la sostituzione di un’associata con altre nuove, ma non preclude ad esempio il recesso di un’impresa dall’associazione con conseguente intestazione della sua quota di partecipazione alla impresa o alle imprese rimanenti (ovviamente nel caso in cui quella o quelle che restino a farne parte risultino titolari, da sole, dei requisiti di partecipazione e di qualificazione). In tale ultima ipotesi non viene infatti frustrata la finalità delle norme, che è quella di assicurare alle amministrazioni aggiudicatrici la piena conoscenza e valutabilità ex ante dei soggetti che intendono contrarre con esse, onde consentire loro un tempestivo controllo preliminare e compiuto dei requisiti di partecipazione[6].

Il concreto atteggiarsi delle deroghe al principio di immodificabilità soggettiva dell’offerente nei termini come sopra descritti, viene però in parte scardinato dall’ipotesi della partecipazione di una a.t.i. cd. “sovrabbondante”, potendo profilarsi l’ipotesi di una variazione alla compagine del concorrente anche successivamente alla presentazione dell’offerta, attraverso il legittimo recesso di uno dei componenti, sul presupposto che detto mutamento non ingeneri una carenza dei requisiti per l’esecuzione del contratto, essendo i requisiti “abbondantemente” posseduti.

Spiega infatti la sopra citata ordinanza n. 351/2010 del Consiglio di Stato che “Si è ritenuto infatti che il rigore di detta disposizione [ndr.: art. 37 comma 9 del D.Lgs. 163/2006] andrebbe temperato in ragione dello scopo che persegue, che è quello di  consentire alla stazione appaltante, in primo luogo, di verificare  il possesso dei requisiti da parte dei soggetti che partecipano alla  gara e, correlativamente, di precludere modificazioni soggettive,  sopraggiunte ai controlli, e dunque, in grado di porre nel nulla le  suddette verifiche. Le uniche modifiche soggettive elusive del  dettato legislativo sarebbero dunque quelle che portano all’aggiunta o alla sostituzione delle imprese partecipanti e non anche quelle che conducono al recesso di una delle imprese del raggruppamento, in tal caso, infatti, le esigenze succitate non sarebbero frustrate poiché l’amministrazione, al momento del mutamento soggettivo, ha già provveduto a verificare i requisiti di capacità e di moralità  dell’impresa o delle imprese che restano, sicché i rischi che il  divieto mira ad impedire non possono verificarsi (Cons. St., sez.  VI, 13 maggio 2009 n. 2964)[7].

In sintesi, il caso di un recesso di uno dei membri dell’a.t.i. non risulterebbe elusivo della ratio della norma che presiede alla immodificabilità soggettiva, poiché “l’amministrazione, al momento del mutamento soggettivo, ha già provveduto a verificare i requisiti di capacità e di moralità  dell’impresa o delle imprese che restano” e, quindi, non verrebbero in tale ipotesi frustrate le esigenze derivantie dalla necessaria effettività del possesso dei requisiti.

D’altro verso, un approccio così permissivo è stato anche contrassegnato da alcuni distinguo, specificatamente nell’ipotesi che il recesso sia volto ad evitare una sanzione di esclusione dalla gara per difetto dei requisiti in capo al componente dell’a.t.i. che viene meno per effetto dell’operazione riduttiva.

E’ stato infatti precisato che la soluzione della legittimità del recesso in qualsiasi momento di un membro dell’a.t.i. (purché permangano i requisiti di partecipazione) è consentita “purché la modifica della compagine soggettiva in senso riduttivo avvenga per esigenze organizzative proprie dell’a.t.i. o consorzio, e non invece per eludere la legge di gara e, in particolare, per evitare una sanzione di esclusione dalla gara per difetto dei requisiti in capo al componente dell’a.t.i. che viene meno per effetto dell’operazione riduttiva”[8].

L’altalenante giurisprudenza sopra ricordata lascia ancora margini di incertezza in capo alle stazioni appaltanti circa la corretta applicazione del principio di cui all’art. 37 comma 9 Codice dei Contratti Pubblici, potendosi prevedere successivi sviluppi che rimettano in discussione il principio dell’ammissibilità di modifiche della compagine organizzativa del concorrente in corso di gara, in caso di permanenza dei requisiti di partecipazione in capo ai residui componenti del raggruppamento temporaneo di imprese, ovvero alla legittimità dell’inserimento nel bando di una clausola volta all’esclusione dalla partecipazione alla gara per quei soggetti che, pur in possesso singolarmente dei requisiti, si associno per presentare offerta.


[1] Autorità Garante per la Concorrenza e per il Mercato – AS251 del 7 febbraio 2003 – AS251 – BANDI PREDISPOSTI DALLA CONCESSIONARIA SERVIZI INFORMATICI PUBBLICI – CONSIP S.P.A.: “La ratio fondamentale dell’istituto dell’ATI è da individuarsi nella sua capacità di ampliare il novero dei partecipanti, abbattendo le barriere costituite dai requisiti dimensionali e tecnico-finanziari di volta in volta fissati dalle stazioni appaltanti. Questa ratio esalta le potenzialità del RTI quale strumento idoneo ad accentuare il confronto concorrenziale in gara, consentendo alla Pubblica Amministrazione di selezionare l’offerta migliore, in termini economici e tecnici, tra quelle presentate da una platea più ampia di imprese.

Tenuto conto, pertanto, della ratio anti-monopolistica e pro-concorrenziale del RTI, volta ad ampliare il novero degli offerenti ed accentuare, per tale via, il confronto concorrenziale in sede di gara, appare legittimo che le stazioni appaltanti, e nella fattispecie CONSIP, pur nel silenzio della legge, limitino la possibilità di associarsi in RTI da parte di

due o più imprese che singolarmente sarebbero in grado di soddisfare i requisiti finanziari e tecnici per poter partecipare alla gara. D’altra parte, l’imposizione di limiti al ricorso all’istituto del RTI è conforme alla stessa ragion d’essere della gara, che è quella di garantire che la fornitura pubblica abbia luogo alle condizioni che emergono come risultato di un confronto concorrenziale tra una pluralità di fornitori alternativi.

Solo in presenza di esigenze eccezionali dell’amministrazione – che andrebbero debitamente motivate nel bando, in modo da esplicitare le ragioni per cui, nella specie, il raggruppamento delle imprese singolarmente idonee a prendere

parte alla gara può avere di per sé una valenza per così dire “virtuosa” – potrebbe ammettersi, in via del tutto straordinaria, il raggruppamento anche tra imprese che singolarmente possiedono i requisiti richiesti dal bando. Al di

fuori di queste ipotesi, tale previsione del RTI sarebbe contraria alla ratio dell’istituto”.

[2] Consiglio di Stato, sez. VI, 9 aprile 2009 n.  2203: “Non è dunque l’a.t.i. in sé ad essere illecita, ma l’inserirsi di tale istituto in un contesto di elementi di fatto che denotano i fini illeciti perseguiti con uno strumento, quello dell’a.t.i., in sé lecito. Il Collegio non ignora che questo Consesso ha di recente affermato che la disciplina vigente non vieta ad imprese già selezionate nella fase di prequalificazione, e dunque già di per sé in possesso dei requisiti di partecipazione, di associarsi temporaneamente in vista della gara, e che pertanto un’a.t.i. sovradimensionata non è di per sé illecita (Cons. St., sez. VI, 20 febbraio 2008 n. 588), ma tale affermazione è stata fatta al fine dell’ammissibilità della partecipazione di un’a.t.i. siffatta a gara di appalto, senza alcuna presa di posizione, sul piano concorrenziale, se un’a.t.i. siffatta costituisca, o meno, intesa restrittiva della concorrenza o effetto di una siffatta intesa.”

[3] Consiglio di Stato, sez. V 2 ottobre 2009 n. 6002: “Sotto altro aspetto va osservato che il diritto della concorrenza interno, che riproduce essenzialmente quello comunitario, è sì volto a contrastare le intese restrittive, le concentrazioni e l’abuso di posizione dominante, ma se e soltanto se, rispettivamente, le intese abbiano per oggetto o per effetto di impedire, restringere o falsare in maniera consistente il gioco della concorrenza all’interno del mercato nazionale o in una sua parte rilevante; se le concentrazioni comportino la costituzione o il rafforzamento di una posizione dominante sul mercato nazionale in modo da eliminare o ridurre in modo sostanziale e durevole la concorrenza e se, infine, della posizione dominante sia fatto abuso da parte di una o più imprese all’interno del mercato nazionale o in una sua parte rilevante (v., al riguardo, la legge n. 287 del 1990)”.

[4] Consiglio di Stato sez. VI, 10 novembre 2010 ord. n. 5141: “la disciplina di cui all’art. 37, comma 12, del d.lgs. n. 163/2006, non appare escludere la possibilità di presentare offerte in associazione – oltre che con imprese già prequalificate (situazione sulla quale si è, in fattispecie analoga, pronunciata la Sezione con decisione n. 588/2008 con la quale è stato superato il precedente, difforme orientamento di cui alla decisone n. 1267/2006) – anche con imprese terze, il controllo circa il possesso dei requisiti di partecipazione può avere corso anche a valle dell’acquisizione delle offerte stesse”.

[5] Sul punto si veda ex multis: TAR Liguria 9 gennaio 2009, n. 39; Consiglio di Stato, sez. V, 20 febbraio 2008, n. 588; idem, 18 settembre 2003, n. 5309; TAR Lombardia, sez. I, 9 febbraio 2007, n. 239.

[6] Cfr.: TAR Lazio, se. III, 25 agosto 2008 n. 7848; Consiglio di Stato, sez. V, 23 luglio 2007 n. 410.

[7] Orientamento confermato da Consiglio di Stato sez. VI 16/2/2010 n. 842: Tale orientamento da un lato, non penalizza la stazione appaltante, non creando incertezze, e dall’altro lato non penalizza le imprese, le cui dinamiche non di rado impongono modificazioni soggettive di consorzi e raggruppamenti, per ragioni che prescindono dalla singola gara, e che non possono precluderne la partecipazione se nessun nocumento ne deriva per la stazione appaltante. Né si verifica una violazione della par condicio dei concorrenti, perché non si tratta di introdurre nuovi soggetti in corsa, ma solo di consentire a taluno degli associati o consorziati il recesso, mediante utilizzo dei requisiti dei soggetti residui, già comunque posseduti. Tale soluzione va seguita purché la modifica della compagine soggettiva in senso riduttivo avvenga per esigenze organizzative proprie dell’a.t.i. o consorzio, e non invece per eludere la legge di gara e, in particolare, per evitare una sanzione di esclusione dalla gara per difetto dei requisiti in capo al componente dell’a.t.i. che viene meno per effetto dell’operazione riduttiva. Nel caso di specie, a seguito di una modifica del Consorzio, sono venuti meno alcuni consorziati originariamente indicati. I residui consorziati avevano comunque i requisiti di qualificazione per poter partecipare alla gara, e non risulta che l’operazione riduttiva sia stata fatta al fine di eludere la legge di gara, sicché il Consorzio non doveva essere escluso”.

[8] Consiglio di Stato sez. VI 16/2/2010 n. 842

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Massimiliano Lombardo
Avv. Massimiliano Lombardo
Esperto e docente in materia di appalti pubblici
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