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Premesse

Sul tema dei vincoli nascenti per il concorrente dalla presentazione dell’offerta si è soffermata, di recente, l’ANAC  (Deliberazione A.N.AC. 6/3/2019 n. 174).

Dalla disamina dell’Autorità emerge tutta la complessità della fase che, muovendo dalla aggiudicazione, precede la stipula del contratto, in cui al diritto, da un lato, dell’aggiudicatario di svincolarsi dall’offerta presentata, al ricorrere di determinate condizioni, si affianca, dall’altro, il potere della stazione appaltante, il cui esercizio talvolta è obbligatorio, di porre nel nulla l’intera procedura.

1.  La revocabilità dell’aggiudicazione

Ai sensi dell’art. 32 del D.Lgs. 50/2016 («Codice»), una volta divenuta efficace l’aggiudicazione, la stazione appaltante procede alla stipula del contratto nel termine di 60 giorni o nel diverso termine previsto dalla lex specialis[1].

L’avvenuta aggiudicazione non esclude, tuttavia, l’intervento successivo in autotutela della Stazione appaltante, con la revoca dell’aggiudicazione.

Prima del perfezionamento del contratto, infatti, l’aggiudicazione è pacificamente revocabile, mentre dopo la stipula viene in rilievo il diverso strumento del recesso[2].

In particolare, vi sono casi in cui la Stazione appaltante può o deve rifiutare la stipula del contratto (con revoca dell’aggiudicazione e – se ritenuto – l’affidamento del contratto al secondo concorrente in graduatoria):

  1. in presenza di circostanze che comportino una rivalutazione dell’interesse pubblico tale da giustificare l’esercizio di poteri di autotutela (è il caso dell’art. 32, comma 8:«fatto salvo l’esercizio dei poteri di autotutela nei casi consentiti dalle norme vigenti»);
  2. in caso di perdita dei requisiti generali e speciali da parte dell’aggiudicatario e negli altri casi in cui la revoca è imposta da norme di legge e costituisce «atto vincolato».

Occorre poi rammentare che il contratto, pur stipulato, può non avere esecuzione e non acquistare efficacia in quanto per legge:

  1. è sottoposto alla condizione sospensiva dell’esito positivo dell’eventuale approvazione e degli altri controlli previsti dalle norme proprie della stazione appaltante (art. 32 comma 12 del Codice);
  2. è soggetto all’eventuale approvazione dell’organo competente e agli altri controlli nel rispetto dei termini previsti dai singoli ordinamenti dell’amministrazione aggiudicatrice, decorrenti dal ricevimento del contratto approvato da parte dell’organo competente o di controllo. In mancanza, il termine è pari a 30 giorni; decorsi i termini previsti dai singoli ordinamenti o, in mancanza, quello di trenta giorni, il contratto si intende approvato (art. 33 del Codice).

2.  Il potere di autotutela della Stazione appaltante

In presenza di circostanze che comportino una rivalutazione dell’interesse pubblico la legge consente alla stazione appaltante l’esercizio di poteri di autotutela. Naturalmente non può trattarsi di un esercizio arbitrario ma si richiede l’effettiva esigenza di tutela di un pubblico interesse. La stipula del contratto pubblico risponde infatti ad un interesse dell’Amministrazione: ove quest’ultima decida – dopo aver espletato una gara pubblica – di non concludere il contratto con l’aggiudicatario, occorre tale decisione sia giustificata dalla esigenza di tutelare un interesse pubblico parimenti rilevante. La valutazione dell’interesse pubblico consiste in un apprezzamento discrezionale non sindacabile nel merito dal giudice amministrativo, salvo che non risulti viziato sul piano della legittimità per manifesta ingiustizia ed irragionevolezza.

In tutte le ipotesi di revoca, dunque, appare determinante la circostanza che il relativo provvedimento dia ragionevolmente conto delle motivazioni che hanno indotto l’amministrazione a mutare la propria precedente manifestazione di volontà, dovendo risultare in termini puntuali e specifici gli elementi di inidoneità che giustificano la mancata aggiudicazione allo scopo di rendere palesi i risultati dell’istruttoria e le modalità con le quali questa è stata condotta[3].

I presupposti del valido esercizio dello ius poenitendi sono definiti dall’art. 21 quinquies L. 241/1990 (legge espressamente richiamata come applicabile dal Codice, all’art. 30) – con formule alquanto generali – e consistono nella sopravvenienza di motivi di interesse pubblico, nel mutamento della situazione di fatto (imprevedibile al momento dell’adozione del provvedimento) e in una rinnovata (e diversa) valutazione dell’interesse pubblico originario (tranne che per i provvedimenti autorizzatori o attributivi di vantaggi economici)[4].

La revoca può dipendere dal comportamento dell’aggiudicatario ovvero della stazione appaltante.

BOX: «In presenza di circostanze che comportino una rivalutazione dell’interesse pubblico, la legge consente alla stazione appaltante la revoca dell’aggiudicazione in autotutela, anche, in taluni casi, a contratto già stipulato.» 

2.1 Revoca per fatto dell’aggiudicatario

Tra i sopravvenuti motivi di pubblico interesse ben possono rientrare anche comportamenti scorretti dell’aggiudicatario che si siano manifestati successivamente all’aggiudicazione definitiva. Per individuare i casi di legittimo esercizio del potere di revoca da parte della Stazione appaltante appare utile richiamare l’interpretazione fornita dall’Anac e dalla giurisprudenza, che riconoscono tale legittimità ogniqualvolta la condotta dell’aggiudicatario non fornisca garanzie di affidabilità, come, a titolo esemplificativo:

  • qualora l’affidatario, a fronte di richieste documentali ricevute, non collabori alla stipula del contratto (ad esempio, ometta di consegnare alla stazione appaltante la documentazione necessaria per la stipula nei termini previsti)[5];
  • emergano elementi illeciti con riguardo alla condotta dell’aggiudicatario in relazione alla gara stessa (avvisi di garanzia etc.);
  • il mancato assolvimento agli obblighi contributivi emerso successivamente all’aggiudicazione (Cons. Stato, 12/6/2017, n. 2804);
  • il rifiuto dell’aggiudicatario di stipulare il contratto prima che fossero modificate talune clausole contenute nel capitolato di gara (Cons. Stato, 11 luglio 2016, n. 3054);
  • la violazione delle clausole dei Protocolli di legalità (Cons. Stato, 20/1/2015, n. 143).

Queste circostanze sono ritenute valide a motivare il provvedimento di decadenza della aggiudicazione, non solo per l’impossibilità per l’amministrazione di procedere ad un’ulteriore dilatazione dei tempi per stipulare il contratto e conseguentemente non fornire i relativi servizi alla collettività, ma anche per la possibile dimostrazione, nel comportamento dell’impresa, di una dubbia affidabilità dell’operatore economico, anche ai fini dell’esecuzione contrattuale. Difatti la revoca, la particolare connotazione di «revoca – sanzione», poiché la caducazione degli effetti del provvedimento è giustificata da condotte scorrette del privato beneficiario di precedente provvedimento favorevole dell’amministrazione (Cons. Stato, 11/1/2018, n. 120).

Il potere di annullamento in autotutela del provvedimento amministrativo, nel preminente interesse pubblico al ripristino della legalità dell’azione amministrativa da parte della stessa Stazione appaltante, sussiste anche dopo l’aggiudicazione della gara ed anche nel caso in cui sia intervenuta la stipulazione del contratto con conseguente inefficacia di quest’ultimo (Consiglio di Stato sez. V 1/4/2019 n. 2123; 22/03/2017, n. 1310).

In questi casi la giurisprudenza esclude del tutto la spettanza di un qualsiasi indennizzo all’«ex» aggiudicatario in quanto è evidente che la revoca in autotutela derivi proprio da comportamenti colpevoli (Cons. Stato 17/3/2010 n. 1554).

«Il diritto all’indennizzo per l’aggiudicatario non sussiste se la revoca dell’aggiudicazione sia stata determinata da fatti allo stesso imputabili.»  

2.2 Revoca per fatto della stazione appaltante – diritto all’indennizzo

Di regola, la revoca dell’aggiudicazione che comporti pregiudizi in danno dei soggetti direttamente interessati determina l’obbligo dell’amministrazione di provvedere al loro indennizzo, salvo che la stessa sia dovuta a comportamenti colpevoli del privato, come sopra visto.

La revoca per fatto dell’amministrazione può essere legittima (ossia esercitata in presenza dei presupposti di legge di cui all’art. 21bis cit.) oppure illegittima.

La legittimità o meno della revoca – secondo i più recenti orientamenti – non è più elemento scriminante ai fini della responsabilità della stazione appaltante.

In altri termini, anche nei casi di revoca esercitata legittimamente, la stazione appaltante può essere chiamata a indennizzare il concorrente leso, in quanto l’indennizzo è fondato sul legittimo affidamento riposto dall’aggiudicatario in ordine alla conclusione della gara con la stipula del contratto[6].

Nel caso in cui il provvedimento di revoca sia però illegittimo, ossia disposto senza l’esistenza dei necessari presupposti, l’operatore economico direttamente interessato potrà presentare dinanzi al Giudice amministrativo (la giurisdizione è esclusiva), in aggiunta alla domanda di indennizzo, anche una richiesta di risarcimento (rilevando non solo il danno emergente ma anche il lucro cessante)[7].

Tale responsabilità può derivare non solo da comportamenti anteriori al bando, ma anche da qualsiasi comportamento successivo che risulti contrario, all’esito di una verifica da condurre necessariamente in concreto, ai doveri di correttezza e buona fede. Con recente orientamento il Consiglio di stato ha riconosciuto la responsabilità contrattuale dell’Amministrazione revocante anche prima e indipendentemente della aggiudicazione definitiva (Adunanza plenaria 4/5/2018 n. 5). Ad avviso dell’Adunanza plenaria, l’attuale portata del dovere di correttezza è oggi tale da prescindere dall’esistenza di una formale “trattativa” e, a maggior ragione, dall’ulteriore requisito che tale trattativa abbia raggiunto un livello così avanzato da generare una fondata aspettativa in ordine alla conclusione del contratto.

Ciò che il dovere di correttezza mira a tutelare non è, infatti, la conclusione del contratto, ma la libertà di autodeterminazione negoziale: tant’è che, secondo un consolidato orientamento giurisprudenziale, il relativo danno risarcibile non è mai commisurato alle utilità che sarebbero derivate dal contratto sfumato, ma al c.d. interesse negativo (l’interesse appunto a non subire indebite interferenze nell’esercizio della libertà negoziale) o, eventualmente, in casi particolari, al c.d. interesse positivo virtuale (la differenza tra l’utilità economica ricavabile dal contratto effettivamente concluso e il diverso più e più vantaggioso contratto che sarebbe stato concluso in assenza dell’altrui scorrettezza). 

«Con recente orientamento, il Consiglio di stato ha riconosciuto la responsabilità dell’Amministrazione revocante e il diritto all’indennizzo per il concorrente anche prima e indipendentemente della aggiudicazione definitiva (Ad. pl.  4/5/2018 n. 5).» 

In particolare, ai fini dell’indennizzo in favore del concorrente/aggiudicatario occorre che:

  • il comportamento complessivamente tenuto dall’Amministrazione durante il corso delle trattative e della formazione del contratto risulti oggettivamente contrario ai doveri di correttezza e di lealtà e buona fede nelle trattative e nella conclusione del contratto ai sensi dell’art. 1337 c.c. (Cons. Stato, 7/2/2012, n. 662);
    • che tale oggettiva violazione dei doveri di correttezza sia anche soggettivamente imputabile all’amministrazione, in termini di colpa o dolo;
    • che vi sia affidamento incolpevole dell’aggiudicatario inteso come «buona fede soggettiva» circa l’esistenza di un presupposto su cui ha fondato la scelta di compiere conseguenti attività economicamente onerose (Consiglio di Stato, Sez. V, 11 giugno 2018, n. 3602); non può considerarsi incolpevole l’affidamento che deriva dalla mancata conoscenza della norma imperativa violata);
    • che il privato provi sia il danno-evento (la lesione della libertà di autodeterminazione negoziale), sia il danno-conseguenza (le perdite economiche subite a causa delle scelte negoziali illecitamente condizionate), sia i relativi rapporti di causalità fra tali danni e la condotta scorretta che si imputa all’amministrazione.

Con riferimento al danno oggetto di indennizzo (e quindi alla revoca legittima), lo stesso va parametrato al solo “danno emergente” e non anche al c.d. «danno da perdita di chance» o «lucro cessante» come previsto dal comma 1-bis del sopra richiamato articolo 21-quinquies (Cons. Stato, sez. V, 5 maggio 2016 n.1797). Ciò in quanto si tratta di un rimedio posto a protezione di interessi lesi da atti legittimi dell’amministrazione e dunque leciti. Conseguentemente con esso non possono essere reintegrate tutte le conseguenze patrimoniali negative risentite dai relativi destinatari ma si opera un bilanciamento rimesso all’equo componimento delle parti interessate o, in caso di disaccordo, al giudice amministrativo. Rilevano, in questo contesto, ai fini dell’indennizzo le spese inutilmente sopportate per partecipare alla gara dall’operatore economico che ha subito la revoca.

Il danno, ad ogni modo, impossibile da determinare nel preciso ammontare, può essere stabilito in via forfettaria ed equitativa dal Giudice amministrativo, in misura percentuale rispetto alle spese sostenute dal concorrente per i “costi vivi” affrontati per la predisposizione dell’offerta e la partecipazione alla gara.

Nel caso di richiesta risarcitoria (revoca illegittima), invece, tale quantificazione si estende, previo accertamento di tipo probatorio, a tutto il pregiudizio interamente subito, ovvero relativo al danno emergente ed al lucro cessante, derivante dall’illegittima violazione della sfera giuridico patrimoniale del soggetto leso. I giudici arrivano in questi casi a disporre la reintegrazione in forma specifica, mediante la declaratoria dell’inefficacia del contratto eventualmente stipulato con il secondo in graduatoria.

Guardando alla casistica giurisprudenziale, a titolo esemplificativo, si riportano i seguenti casi di revoca ritenuta legittima:

(i) sopravvenuta impossibilità di avvalersi della prestazione dell’altra parte;

(ii) carenza originaria o sopravvenuta della copertura finanziaria;

(iii) revoca per sopravvenuta non corrispondenza dell’appalto alle esigenze dell’amministrazione;

(iv) sopravvenuta non convenienza economica dell’appalto

(v) revoca per inidoneità della prestazione descritta nella lex specialis a soddisfare le esigenze contrattuali che hanno determinato l’avvio della procedura[8].

Queste circostanze sono considerate una valida ragione per disporre la revoca dell’affidamento di un appalto pubblico, anche all’indomani della stipula di quest’ultimo e, quindi, a fortiori lo è, allorquando il contratto non sia stato ancora concluso, posto che l’aggiudicazione definitiva non equivale ad accettazione dell’offerta[9].

3. La revoca come atto vincolato. La perdita dei requisiti da parte dell’aggiudicatario/contraente

Nel caso di perdita dei requisiti, la revoca della aggiudicazione (e il rifiuto di stipula del contratto) da parte della stazione appaltante non rappresenta esercizio del potere di autotutela decisoria – che, come visto, è discrezionale e orientato al perseguimento dell’interesse pubblico -, ma attività amministrativa vincolata, essendo vietata dalla legge la conclusione di contratti di appalto con operatori economici privi dei requisiti.

Il mancato esercizio del potere, vincolato, legittimerebbe chi vi abbia interesse ad agire contro la stazione appaltante per violazione dell’obbligo di provvedere. Pertanto, qualora, illegittimamente, sia stato stipulato un contratto di appalto con un operatore economico privo dei requisiti per contrarre con la Pubblica Amministrazione, è consentito, a chi vi abbia interesse e sia legittimato a contestare la stipulazione, agire in giudizio per chiedere l’accertamento della illegittimità del comportamento della pubblica amministrazione, collegato al mancato esercizio del potere di dichiarare la decadenza dell’aggiudicatario, per ottenere dal giudice amministrativo l’inefficacia del contratto eventualmente stipulato (in questo senso TAR Lazio, sez. I quater 25/2/2019 n. 2547; TAR Campania, Napoli, sez, IV, n. 3809/2018, confermata dal Consiglio di Stato, sez. V, con sentenza n. 946/2019)[10].

In questi casi si deve escludere la spettanza di un qualsiasi indennizzo all’«ex» aggiudicatario in quanto la revoca in autotutela derivi proprio da comportamenti colpevoli.

3.1 Rifiuto legittimo – Vincolatività dell’offerta

L’offerta è vincolante solo per il periodo indicato nel bando o nell’invito e, in caso di mancata indicazione, per 180 giorni dalla scadenza del termine per la sua presentazione.

Secondo la consolidata giurisprudenza l’art. 32, comma 4, del Codice tutela l’offerente perché limita la vincolatività dell’offerta entro un  lasso di tempo entro il quale si presume che la stessa conservi la propria remuneratività e decorso il quale l’offerente può ritenersi sciolto dall’offerta  presentata[11].

L’aggiudicatario ha quindi il diritto di sciogliersi legittimamente da ogni vincolo e rifiutare di stipulare o recedere dal contratto:

1) se la stipulazione del contratto non avviene nel predetto termine (60 gg. o diverso temine previsto dalla lex specialis);

2)    se il controllo previsto dall’art. 33 di regolarità formale previsto dall’ordinamento della stazione appaltante non avviene nel termine ivi previsto (in questo caso è richiesto atto notificato alla stazione appaltante).

L’esercizio di tale diritto potestativo, in assenza del quale l’offerta conserva la propria efficacia, deve avvenire attraverso una univoca manifestazione di volontà in tal senso da parte dell’interessato. La ratio della norma ha condotto la giurisprudenza a ritenere che, decorsi i 180 giorni o il diverso termine fissato nella lex specialis, il concorrente può validamente svincolarsi dalla propria offerta senza soggiacere  ad un onere di motivazione o ad un termine per l’esercizio di tale diritto potestativo[12].

All’aggiudicatario non spetta alcun indennizzo, salvo il rimborso delle spese contrattuali documentate (fermo restando il rimborso delle spese sostenute in caso di anticipata esecuzione del contratto in via d’urgenza) e al contempo lo stesso non incorrerà in nessuna sanzione per la mancata tipula del contratto.

Tuttavia, alcuni rilevanti orientamenti giurisprudenziali hanno riconosciuto il diritto all’indennizzo in favore del privato nel caso di rifiuto a stipulare giustificato da condotta “colpevole” della stazione appaltante nonché – ove l’aggiudicatario intenda conseguire il contratto – la possibilità di ricorrere avverso il silenzio innanzi al giudice amministrativo ovvero di impugnare in sede di giurisdizione generale di legittimità innanzi a detto giudice eventuali atti di autotutela.

E’ possibile, invero, considerare vincolante l’offerta per l’aggiudicatario per il suddetto limitato termine dalla comunicazione dell’aggiudicazione, ma ciò ovviamente se le condizioni della gara siano rimaste immutate, nel senso che il legislatore, nel disciplinare tale fase, ha considerato una ordinaria procedura selettiva che si sia svolta nel periodo di tempo di efficacia della cauzione provvisoria (180 giorni ovvero altro termine previsto nel bando), essendo l’intera disciplina legislativa orientata a regolare la fase fisiologica del procedimento e non tenendo in considerazione, né disciplinando, le conseguenze delle patologie e degli interventi giudiziari condizionanti il termine di conclusione della procedura ad evidenza pubblica.

Una ipotesi di rifiuto legittimo alla stipula è stata poi ravvisata dal Consiglio di Stato (sentenza n. 2630/2018) nel caso di una società aggiudicataria di un appalto di servizi che era stata sanzionata con la revoca dell’aggiudicazione, l’escussione della cauzione provvisoria e la segnalazione all’ANAC, per essersi rifiutata di stipulare un contratto che prevedeva l’esecuzione del servizio secondo modalità diverse da quelle previste nella lex specialis (per un periodo di tempo non coincidente con quello indicato nel bando e per il quale la stessa aggiudicataria aveva presentato la propria offerta economica).

Il Consiglio di Stato ha ritenuto che le vicende che possono incidere temporalmente sull’avvio successivo dell’esecuzione del contratto (e quindi la sua stipula) rispetto ai termini previsti dal bando ed il conseguente slittamento in avanti nel tempo della durata contrattuale, fatta esclusione delle ipotesi in cui i ritardi siano effettivamente ed esclusivamente imputabili al comportamento del concorrente, non giustificano l’imposizione della modifica della durata del contratto rispetto a quanto previsto nella lex specialis, imponendo unilateralmente alla stazione appaltante di ridurre la durata contrattuale per un periodo corrispondente al tempo ormai trascorso e potendo, semmai, dare luogo all’avvio di una nuova trattativa con l’aggiudicatario, nel rispetto delle regole fissate dall’art. 57 d.lgs. 163/2006 (potendosi al più considerare l’ipotesi della ripetizione di servizi analoghi di cui all’art. 57, comma 5, lett. b), d.lgs. 163/2006).

Si è così ritenuto che la condotta della Stazione Appaltante contrasti con le regole ed i principi della responsabilità precontrattuale e che tali principi – come affermato dalla Adunanza Plenaria n. 5/2018 – trovino applicazione in qualsiasi fase della procedura ad evidenza pubblica. In tale contesto è stato pertanto ritenuto giustificabile il rifiuto di stipulare il contratto da parte dell’aggiudicataria (e conseguentemente illegittima sia la revoca dell’aggiudicazione, che l’escussione della cauzione e la segnalazione all’Autorità di Vigilanza).

Un’ulteriore ipotesi di rifiuto legittimo è stata ravvisata della protratta inerzia e condotta dilatoria della P.A. nonostante si fosse in presenza di un giudicato da cui derivava l’obbligo dell’Amministrazione di aggiudicare e stipulare con la parte vittoriosa in giudizio. Infatti un conto è la conduzione di una trattativa contrattuale, da cui non deriva mai un obbligo di stipulare un contratto, ma solo l’obbligo del rispetto dei principi di buona fede (con conseguente responsabilità precontrattuale in caso di inosservanza), un conto è essere obbligati, in virtù di un giudicato, a procedere ad aggiudicazione e stipulazione(cfr. Cons. Stato VI 11 gennaio 2010 n. 20; Tar Calabria, Reggio Calabria, 22/11/2012, n. 695).

«Sussiste il diritto all’indennizzo in favore dell’aggiudicatario che rifiuti la stipula del contratto per protratta inerzia e condotta dilatoria della Stazione appaltante.» 

In questo caso è stato stabilito il diritto al risarcimento ex art. 2043 c.c.[13]. Tuttavia l’importo da risarcire è stato ridotto in quanto l’imprenditore normalmente diligente (cfr. art. 1227 Cod. civ.) non rimane inerte in caso di mancata aggiudicazione di un appalto, ma persegue occasioni contrattuali alternative, dalla cui esecuzione trae il relativo utile (Cons. Stato, sez. VI, n. 115/2012) e nel caso di specie non è stato dimostrato che l’impresa non ha percepito nulla dallo svolgimento di attività lucrative diverse.

La riduzione del risarcimento risponde anche ai principi di cui agli artt. 1227 comma 2 c.c. e 30 comma 3 codice del processo amministrativo, che dispongono che il risarcimento non è dovuto per i danni che si sarebbero potuti evitare usando l’ordinaria diligenza, anche attraverso l’esperimento degli strumenti di tutela previsti.

3.2 Rifiuto illegittimo

Per contro, negli altri casi, in virtù dell’art. 32, comma 8, e dell’art. 93 del Codice, l’aggiudicatario ha un obbligo ex lege di stipulare il contratto, la cui inosservanza è fonte di responsabilità contrattuale. Peraltro, il Codice prevede che la garanzia fornita dall’aggiudicatario copra proprio la mancata sottoscrizione del contratto «per fatto dell’affidatario», essendo svincolata automaticamente solo al momento della sottoscrizione del contratto medesimo.

E’ vero infatti che l’aggiudicazione non equivale ad accettazione dell’offerta e che il vincolo negoziale tra ente appaltante e aggiudicatario sorge solamente a seguito della stipula del contratto; ma è vero anche che lo stesso aggiudicatario, avendo presentato un’offerta irrevocabile, se rifiuta di addivenire alla stipula del contratto non adempie a un proprio obbligo derivante dall’irrevocabilità dell’offerta e di conseguenza commette un illecito, da cui discende l’obbligo di risarcire il danno subito dall’ente appaltante.

L’aggiudicatario definitivo che rifiuti la stipula del relativo contratto è quindi tenuto a risarcire il danno subito dall’ente appaltante in conseguenza di tale rifiuto (Cons. Stato 3755 del 31/8/2016).

A titolo esemplificativo quando:

  • la scadenza del termine per la stipula è fatto non imputabile alla stazione appaltante, ma esclusivamente all’aggiudicatario che si è rifiutato di depositare la documentazione prescritta dalla lex specialis e di porre in essere le attività necessarie e prodromiche alla stipula;
  • manchi dei requisiti speciali oppure dei requisiti generali;
  • l’offerta tecnica sia palesemente incongruente rispetto alla realtà effettiva quale appurata all’esito dei controlli propedeutici alla stipula del contratto e che hanno impedito il perfezionamento dell’aggiudicazione definitiva;
  • la mancata comparizione per la sottoscrizione del contratto integra, in assenza di idonee ragioni giustificative.

La possibilità di incamerare la cauzione provvisoria in questo contesto assume carattere sanzionatorio, quale vera e propria clausola penale con liquidazione preventiva e forfettaria del danno subito dall’amministrazione per la mancata stipula del contratto.

Essa riguarda tutte le ipotesi di mancata sottoscrizione del contratto per fatto dell’affidatario, intendendosi per fatto dell’affidatario qualunque ostacolo alla stipulazione a lui riconducibile (Tar Lazio n. 7206/2017). La giurisprudenza è concorde nel ritenere, in questi casi, che l’esclusione dalla gara e l’escussione della cauzione sia possibile, anzi rappresenti atto dovuto quale effetto automatico di quella determinata infrazione e che l’Amministrazione difetti di facoltà di scelta in merito.

Si è altresì precisato che la stazione appaltante ha diritto di ottenere il risarcimento dell’intero danno subito, anche qualora lo stesso ecceda l’importo della cauzione provvisoria, agendo in giudizio per la quantificazione del «danno effettivo», tenendo conto dei «maggiori oneri economici» che la stessa deve sopportare a seguito dell’aggiudicazione e della conseguente conclusione del contratto con il secondo classificato, la cui offerta potrebbe recare condizioni economiche peggiorative magari rispetto a quella dell’originario aggiudicatario ovvero le spese di indizione di una nuova gara (in caso di unico partecipante).


[1] V. il comma 8 dell’art. 32: «Divenuta efficace l’aggiudicazione, e fatto salvo l’esercizio dei poteri di autotutela nei casi consentiti dalle norme vigenti, la stipulazione del contratto di appalto o di concessione ha luogo entro i successivi sessanta giorni, salvo diverso termine previsto nel bando o nell’invito ad offrire, ovvero l’ipotesi di differimento espressamente concordata con l’aggiudicatario. Se la stipulazione del contratto non avviene nel termine fissato, l’aggiudicatario può, mediante atto notificato alla stazione appaltante, sciogliersi da ogni vincolo o recedere dal contratto. All’aggiudicatario non spetta alcun indennizzo, salvo il rimborso delle spese contrattuali documentate …».

[2] Consiglio di stato, Adunanza Plenaria 29 giugno 2014, n. 14.

[3] Cfr. sentenze del Cons. di Stato, 11 giugno 2013, n. 3215; 20 aprile 2015, n. 1994; 10 agosto 2016, n. 3599.

[4] «1. Per sopravvenuti motivi di pubblico interesse ovvero nel caso di mutamento della situazione di fatto non prevedibile al momento dell’adozione del provvedimento o, salvo che per i provvedimenti di autorizzazione o di attribuzione di vantaggi economici, di nuova valutazione dell’interesse pubblico originario, il provvedimento amministrativo ad efficacia durevole può essere revocato da parte dell’organo che lo ha emanato ovvero da altro organo previsto dalla legge. La revoca determina la inidoneità del provvedimento revocato a produrre ulteriori effetti. Se la revoca comporta pregiudizi in danno dei soggetti direttamente interessati, l’amministrazione ha l’obbligo di provvedere al loro indennizzo.

1-bis. Ove la revoca di un atto amministrativo ad efficacia durevole o istantanea incida su rapporti negoziali, l’indennizzo liquidato dall’amministrazione agli interessati è parametrato al solo danno emergente e tiene conto sia dell’eventuale conoscenza o conoscibilità da parte dei contraenti della contrarietà dell’atto amministrativo oggetto di revoca all’interesse pubblico, sia dell’eventuale concorso dei contraenti o di altri soggetti all’erronea valutazione della compatibilità di tale atto con l’interesse pubblico».

[5] «… sussiste in capo all’amministrazione la possibilità di esercitare il potere di autotutela e, per l’effetto, dichiarare la decadenza dell’aggiudicazione provvisoria qualora l’affidatario, a fronte di richieste documentali ricevute, non collabori alla stipula del contratto. Infatti, il procedimento di evidenza pubblica ha scopi e valenza ad effetti unitari, fino al momento della stipula del contratto, che non solo consentono – ma anzi impongono, nell’interesse pubblico, anche ai fini della revoca dell’aggiudicazione – la valutazione di tutte le circostanze e gli elementi concernenti il raggiungimento in concreto dell’obiettivo di scegliere l’operatore economico più serio ed affidabile per la più corretta e tempestiva esecuzione dell’appalto» (cfr. Cons. Stato, n. 3395 del 6/6/2014, Tar Sardegna, n. 526 del 2/7/2014).

[6] Consiglio di Stato, Sez. VI, 5/09/2011, n. 5002; Sez. V, 5 maggio 2016 n.1797 secondo cui vi sarebbe responsabilità dell’amministrazione “… che ha tenuto un comportamento contrario ai canoni di buona fede e correttezza soprattutto perché appena accortasi delle ragioni che consigliavano di procedere in via di autotutela mediante la revoca della già disposta aggiudicazione, non ha immediatamente ritirato i precedenti provvedimenti ma ha invece inutilmente prolungato lo svolgimento della gara, così inducendo le imprese concorrenti a confidare nella chance di conseguire l’appalto”.

[7] Nello svolgimento dell’attività autoritativa, in generale, l’amministrazione è infatti tenuta a rispettare, oltre alle norme di diritto pubblico (la cui violazione implica, di regola, l’invalidità del provvedimento e l’eventuale responsabilità da provvedimento per lesione dell’interesse legittimo), le norme generali dell’ordinamento civile che impongono di agire con lealtà e correttezza. Dalla violazione di tali norme può nascere una responsabilità da comportamento scorretto, che incide non sull’interesse legittimo, ma sul diritto soggettivo di autodeterminarsi liberamente nei rapporti negoziali, cioè sulla libertà di compiere le proprie scelte negoziali senza subire ingerenze illecite frutto dell’altrui scorrettezza.

[8] Fra le tante, Cons. Stato, 21/4/2016, n. 1599, 29/7/2015, n. 3748; 29/11/2016, n. 5026).

[9] Nei contratti pubblici, anche dopo l’intervento dell’aggiudicazione definitiva, non è precluso all’amministrazione appaltante di revocare l’aggiudicazione stessa, in presenza di un interesse pubblico individuato in concreto, che ben può consistere nella mancanza di risorse economiche idonee a sostenere la realizzazione dell’opera (TAR Napoli, 139/2018; Cons. Stato, n.4116/2012, n. 4809/2013;n. 6406/2014; n. 2013/2015; n. 1599/2016; TAR Campania, Napoli, n. 5875/2017; n. 2263/2010).

[10] Cfr. TAR Lazio Roma sez. I quater 25/2/2019 n. 2547;  Cons. Stato, Ad. Pl., 20 luglio 2015, n. 8.

[11]Da ultimo si veda la Deliberazione A.N.AC. 6/3/2019 n. 174.

[12] TAR Toscana, sez. I, 31 marzo 2017 n. 496.

[13] «... in tema di responsabilità extracontrattuale da fatto illecito, sulla somma riconosciuta al danneggiato a titolo di risarcimento occorre inoltre considerare anche il nocumento finanziario (lucro cessante) subito a causa della mancata tempestiva disponibilità della somma di denaro dovuta a titolo di risarcimento (somma che, se corrisposta per tempo, avrebbe potuto essere investita per lucrarne un vantaggio finanziario). Siffatto danno forfettariamente risarcibile a mezzo degli interessi al saggio legale, deve essere calcolato non sulla somma originaria, né sulla rivalutazione al momento della liquidazione, ma sulla somma originaria rivalutata anno per anno ovvero sulla somma originaria rivalutata in base ad un indice medio con la decorrenza già indicata, in linea con il fondamentale insegnamento di Cass. SS.UU. n. 1712/1995».

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Francesca Scura
Avv. Francesca Scura
Avvocato amministrativista, esperto in contrattualistica pubblica
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