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1. La questio

Con bando pubblicato sulla G.U.C.E., la Terme di Santa Cesarea  S.p.A. in qualità di stazione appaltante indiceva una procedura aperta avente ad oggetto l’affidamento, secondo il criterio del prezzo più basso, dei lavori di ristrutturazione e riqualificazione di un immobile di proprietà di un ente locale, per un “nuovo” complesso termale (“Nuovo Complesso Termale di Santa Cesarea Terme”) già concesso in godimento gratuito alla Terme di Santa Cesarea  S.p.A. da parte del proprietario Comune di Santa Cesarea.

Le risorse utilizzate ai fini dell’appalto in questione derivavano dalle agevolazioni finanziarie concesse alla Terme di Santa Cesarea S.p.A. da parte del Ministero delle Attività Produttive nell’ambito di un procedimento di programmazione negoziata.

La gara, all’esito di un contenzioso giudiziario instaurato da uno dei partecipanti contro la sua esclusione dalla procedura, veniva aggiudicata ad un’ATI composta da tre SRL; tuttavia nelle more del giudizio amministrativo che ha interessato la gara in questione, la Procura della Repubblica disponeva il sequestro dell’immobile da riqualificare.

Successivamente il Ministero dello Sviluppo Economico sospendeva in via cautelare l’iter procedimentale relativo alle agevolazioni finanziarie richieste dalla stazione appaltante e, conseguentemente, quest’ultima preso atto che per effetto del sequestro giudiziario del nuovo complesso termale era stato impossibile dare esecuzione ai lavori di riqualificazione, deliberava di rinunciare all’investimento e di risolvere il contratto stipulato con il Comune di Santa Cesarea avente ad oggetto la concessione in godimento dell’immobile termale. In conseguenza di ciò, il Ministero dello Sviluppo Economico prendeva atto della rinuncia della società all’investimento sull’immobile del Nuovo Centro Termale ed annunciava la formalizzazione di una richiesta di de-finanziamento al CIPE.

La stazione appaltante in seguito deliberava di revocare tutti gli atti e i provvedimenti del procedimento di gara relativo all’affidamento dei lavori di ristrutturazione e riqualificazione.

L’aggiudicataria ATI si era dunque rivolta al TAR Puglia per chiedere la condanna della stazione appaltante al risarcimento del danno derivante dall’intervenuta autotutela.

Il TAR Puglia aveva accolto in parte il ricorso riconoscendo soltanto alcune delle voci risarcitorie reclamate dalla ricorrente; l’ATI di conseguenza si rivolgeva al Consiglio di Stato.

Il Consiglio di Stato si è pronunciato in merito al risarcimento danni subito da un ATI partecipante ad una gara a seguito di annullamento in autotutela della procedura di affidamento di lavori per il venire meno delle risorse finanziarie necessarie al finanziamento dell’appalto.

2. Gli istituti

Di “responsabilità precontrattuale della pubblica amministrazione” possiamo parlare in due sensi ben diversi.

Vi è in primo luogo una responsabilità precontrattuale spuria (o in senso lato o prenegoziale), con la quale si designa l’obbligazione risarcitoria avente ad oggetto i danni cagionati dall’adozione di provvedimenti illegittimi nel corso della serie procedimentale di evidenza pubblica. Trattasi di una responsabilità da lesione di interessi legittimi connessa alle trattative precontrattuali ma diversa dalla violazione del canone di buona fede nel corso degli atti prenegoziali: una responsabilità contrattuale sul piano cronologico ma non sul versante ontologico. La Pubblica Amministrazione si presenta, in definitiva, come una cattiva autorità che abusa del suo potere e non come un cattivo contraente che lede i canoni privatistici posti dalla normativa di diritto comune.

Con la responsabilità precontrattuale pura (o in senso stretto o in senso ontologico) designiamo, invece, quella che discende dalla trasgressione dei canoni comportamentali di matrice privatistica posti dagli artt. 1337 e 1338 c.c.[1]; in questo caso il soggetto pubblico non adotta provvedimenti illegittimi ma tiene comportamenti illeciti. Oggetto di denuncia non sono cioè gli atti formali, ex se perfettamente legittimi, ma la condotta illecita.

La responsabilità precontrattuale cd. pura discende dalla trasgressione dei canoni comportamentali di matrice privatistica posti dagli artt. 1337 e 1338 c.c.; in questo caso il soggetto pubblico non adotta provvedimenti illegittimi ma tiene comportamenti illeciti: oggetto di denuncia non sono cioè gli atti formali, ex se perfettamente legittimi, ma la condotta illecita della Pubblica Amministrazione.

A questo punto occorre dare conto del dibattito giurisprudenziale e dottrinario sorto in merito all’ammissibilità di tale seconda ipotesi di responsabilità.

In un primo momento la giurisprudenza riduceva la responsabilità precontrattuale della Pubblica Amministrazione in ambiti molto ristretti, coincidenti con quella parte di attività precontrattuale ritenuta strettamente privatistica; tuttavia alcune pronunce hanno mostrato la tendenza a far rientrare la responsabilità dell’Amministrazione nell’ambito del paradigma contrattuale. Secondo questa impostazione, il rapporto fra Pubblica Amministrazione e soggetto titolare di un interesse legittimo pretensivo sarebbe analogo a quello che presuppone la responsabilità precontrattuale.

Fino agli anni ’70 del secolo scorso si riteneva che i principi della culpa in contrahendo non potessero essere estesi anche alla Pubblica Amministrazione sia perché vigeva una presunzione di correttezza relativa al comportamento dei soggetti pubblici, sia perché era considerato inammissibile un sindacato del giudice ordinario sulle scelte discrezionali della Pubblica Amministrazione, sia perché non era ipotizzabile un affidamento meritevole di tutela del privato relativo alla stipula del contratto data la matrice pubblicistica cui è sottoposta tutta l’attività contrattuale dei soggetti pubblici. In particolare, secondo l’orientamento tradizionale della giurisprudenza di legittimità della Corte di Cassazione nelle procedure ad evidenza pubblica, e precisamente nella fase della gara strumentale alla scelta del contraente, l’Amministrazione non poteva incorrere in responsabilità precontrattuale ai sensi dell’art. 1337 c.c. per violazione del dovere di buona fede e correttezza nelle trattative, ciò in quanto la fase della gara non è idonea a configurare l’esistenza di “trattative” tra l’Amministrazione e l’aspirante alla stipula del contratto che è titolare esclusivamente di un interesse legittimo al corretto esercizio del potere di scelta (cfr. Cass. Civ. S.U., 6 ottobre 1993 n. 9892).

Tale orientamento perse vigore grazie al recepimento dell’insegnamento di quella dottrina secondo cui ai fini della responsabilità precontrattuale ciò che si chiede al giudice non è di valutare se il soggetto amministrativo si sia condotto da corretto amministratore ma se si sia condotto da corretto contraente.

La svolta si ebbe con alcune pronunce delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione, le quali specificarono che la discrezionalità amministrativa si esaurisce quando la Pubblica Amministrazione agisce utilizzando lo strumento negoziale: in particolare, secondo i giudici di legittimità, il giudice ordinario, se chiamato a sindacare l’operato dell’Amministrazione nella fase delle trattative, è chiamato a valutare se il soggetto pubblico si è comportato da corretto contraente e non da corretto amministratore.

Una volta riconosciuta la soggezione della Pubblica Amministrazione ai principi di correttezza e buona fede nel corso delle trattative contrattuali, la culpa in contrahendo è stata ammessa in ipotesi concrete.

Per quanto riguarda le ipotesi di scelta del contraente fuori dalla trattativa privata, la giurisprudenza civile ha distinto i casi in cui l’illecito fosse stato commesso prima o dopo l’aggiudicazione.

A riguardo la responsabilità precontrattuale è stata esclusa in caso di condotte poste in essere nella fase pubblicistica antecedente all’aggiudicazione, poiché in tale fase il privato non ha ancora assunto la qualità di futuro contraente ma è solo titolare di un interesse legittimo.

In un secondo momento l’art. 1137 c.c. è stato, invece, ritenuto applicabile nel caso di condotte scorrette poste in essere dall’Amministrazione dopo l’aggiudicazione: ciò in quanto la scelta di un vincitore fra tutti i concorrenti consente di individuare un soggetto specifico con cui la Pubblica Amministrazione si rapporta per perfezionare il contratto.

La dottrina non ha mancato di mostrarsi critica rispetto a questi orientamenti della giurisprudenza civile in relazione alla responsabilità contrattuale. In particolare si è sostenuto che proprio attraverso la responsabilità precontrattuale si sarebbe potuto intaccare l’irresponsabilità delle stazioni appaltanti durante le procedure di gara. Si è proposto, infatti, di attribuire agli atti della procedura di evidenza pubblica anche una valenza privatistica.

Il giudice amministrativo si è mostrato sensibile alle critiche della dottrina, arrivando ad affermare che la rottura delle trattative senza motivi idonei a giustificarla costituisce per l’Amministrazione fonte di responsabilità precontrattuale in quanto la sua discrezionalità nell’individuazione del contraente e nella successiva conclusione dell’accordo incontra il limite invalicabile della buona fede e nella tutela dell’affidamento ingenerato nel privato con l’inizio delle trattative (cfr. TAR Lombardia, sez. III, 31 luglio 2000 n. 5130). Sul tema si è espresso anche il Consiglio di Stato (cfr. Cons. Stato, sez. VI, 1 marzo 2005 n. 816; TAR Lazio, Roma, sez. III, 10 settembre 2007 n. 8761) secondo cui nella fase precedente alla conclusione del contratto, le parti, e quindi anche la Pubblica Amministrazione, hanno in ogni momento la piena facoltà di recedere dalle trattative, non sussistendo quindi un obbligo legale a contrarre (come previsto dall’art. 2932 c.c.). Di conseguenza, anche l’autorità che nel corso delle trattative si comporta in mala fede ex art. 1337 c.c. incorre nella responsabilità precontrattuale, in particolare nel caso in cui la stessa receda senza giustificato motivo dalle trattative giunte ad un tale punto da ingenerare nella controparte il ragionevole affidamento alla stipulazione del contratto.

Il giudice amministrativo ha, inoltre, superato la posizione della giurisprudenza civile e ha riconosciuto la responsabilità precontrattuale anche nel caso di un comportamento dell’Amministrazione contrario ai canoni della buona fede e della correttezza nelle trattative parallele, come pure nel caso in cui sia già stata espletata una procedura di evidenza pubblica.

Ipotesi tipica di applicazione di questa tesi è quella della revoca degli atti di gara posta in essere dalla stazione appaltante nell’esercizio del potere di autotutela.

Il ritiro in autotutela di un atto amministrativo, generalmente, costituisce una facoltà ampiamente discrezionale nell’esercizio della quale l’Amministrazione procedente deve tenere conto non solo dell’interesse pubblico alla rimozione degli effetti prodotti dall’atto illegittimo o inopportuno, ma anche della situazione di affidamento ingeneratasi nei privati che abbiano beneficiato di tale illegittimità o inopportunità.

Nelle procedure ad evidenza pubblica per l’aggiudicazione dei contratti pubblici vige il principio dell’autotutela decisoria che consente all’Amministrazione di riesaminare, annullare e rettificare gli atti invalidi.

Sulla base di giurisprudenza costante l’Amministrazione può revocare d’ufficio o non approvare l’aggiudicazione con atto successivo adeguatamente motivato mediante il richiamo ad un preciso e concreto interesse pubblico; essa, infatti, una volta indetta una procedura di gara, non è vincolata a concluderla con l’aggiudicazione del contratto, se a ciò si oppongono gravi motivi di ordine pubblico.

La valutazione circa il possibile annullamento in autotutela di una procedura di gara rientra nella esclusiva potestà discrezionale della stazione appaltante, che è chiamata a decidere, secondo gli ordinari canoni della autotutela, laddove sussistano ragioni di opportunità e di interesse pubblico attuale e concreto. La potestà di agire in autotutela per revocare o annullare la documentazione di gara, infatti, come è noto, risiede nel principio costituzionale di buon andamento che impegna l’Amministrazione ad adottare atti per la migliore realizzazione del fine pubblico perseguito, nell’esigenza che l’azione amministrativa si adegui all’interesse pubblico, allorquando questo muti o vi sia una sua diversa valutazione, tale che l’Amministrazione, qualora decidesse di adottare un provvedimento in autotutela, lo dovrà fare fondando il proprio giudizio, non sulla mera esigenza di ripristino della legalità, ma dando conto, nella motivazione, della sussistenza di un interesse pubblico concreto ed attuale alla rimozione dell’atto

In termini generali, l’Amministrazione, nelle ipotesi in cui intenda revocare una gara, deve necessariamente porsi anche il problema degli affidamenti creati nei concorrenti, pena la violazione del canone di correttezza e l’obbligo di risarcire i danni conseguenti all’affidamento determinato (cfr. ex multis Consiglio di Stato, Sez. V, 11.12.2007, n. 6405).

Varia è la casistica esaminata in ambito giurisprudenziale con riferimento ad ipotesi di responsabilità precontrattuale della Pubblica Amministrazione dovuta ad atti di revoca della procedura di gara, fra le quali rientra anche il caso della revoca disposta dopo l’aggiudicazione per il venire meno delle risorse finanziarie necessarie al finanziamento dell’appalto oggetto della pronuncia del Consiglio di Stato, Sez. I, 01 febbraio 2013 n. 633.

L’Amministrazione, nelle ipotesi in cui intenda revocare una gara, deve necessariamente porsi anche il problema degli affidamenti creati nei concorrenti, pena la violazione del canone di correttezza e l’obbligo di risarcire i danni conseguenti all’affidamento determinato

3. La sentenza del Consiglio di Stato, Sez. I, 01 febbraio 2013 n. 633

Il Consiglio di Stato con la corposa sentenza in commento – in riforma alla sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale della Puglia-Lecce, Sezione III n. 2039/2011 – ritiene che, nel caso di specie, il comportamento complessivo tenuto della stazione appaltante, poi sfociato nella revoca degli atti di gara, integra un illecito precontrattuale, perché si pone in contrasto con le regole di buona fede e correttezza di cui all’art. 1337 c.c., riferite ad una Pubblica Amministrazione.

E’ ormai consolidata la configurabilità di una responsabilità precontrattuale anche della Pubblica Amministrazione, perché anche su di essa grava l’obbligo sancito dall’art. 1337 c.c. di comportarsi secondo buona fede durante lo svolgimento delle trattative.

Di conseguenza, se durante la fase formativa del contratto la Pubblica Amministrazione vìola quel dovere di lealtà e di correttezza, ponendo in essere comportamenti che non salvaguardano l’affidamento della controparte (anche colposamente, perché non occorre un particolare comportamento di malafede, né la prova dell’intenzione di arrecare pregiudizio all’altro contraente) in modo da sorprendere la sua fiducia sulla conclusione del contratto, essa risponde per responsabilità precontrattuale.

Per i giudici di Palazzo Spada in caso di responsabilità precontrattuale da ingiustificato recesso dalla trattativa, nel cui ambito si inquadra la vicenda oggetto del presente contenzioso, in cui viene messo in rilievo la revoca degli atti di gara da parte della stazione appaltante, il danno è commisurato non al c.d. interesse positivo (ovvero alle utilità economiche che il privato avrebbe tratto dall’esecuzione del contratto), ma al c.d. interesse negativo, da intendersi, appunto, come interesse a non essere coinvolto in trattative inutili, a non investire inutilmente tempo e risorse economiche partecipando a trattative (o, nel presente caso, a gare d’appalto) destinate poi a rivelarsi del tutto inutili a causa del recesso scorretto della controparte.

Ad avviso del Collegio i fatti che hanno portato alla revoca dell’aggiudicazione sono riconducibili ad un comportamento non diligente della stazione appaltante; una delle ragioni principali su cui si fonda il provvedimento di revoca è, infatti, il venire meno delle risorse finanziarie necessarie al finanziamento dei lavori. Di fronte, infatti, al procedimento penale iniziato dalla Procura della Repubblica per presunti illeciti consumati dalla stessa stazione appaltante, in occasione della richiesta di finanziamento pubblico per iniziare i lavori di ristrutturazione dell’immobile, la stessa stazione appaltante ha immediatamente rinunciato al finanziamento e, conseguentemente, ha disposto la revoca della gara.

Ad avviso del Collegio, la stazione appaltante, anziché rinunciare al finanziamento e disporre la revoca degli atti di gara, avrebbe dovuto, visto che la gara ormai era stata bandita e aggiudicata (e, quindi, si configurava un ragionevole e fondato affidamento dell’aggiudicatario in ordine alla prossima conclusione del contratto), quanto meno adoperarsi attivamente per trovare soluzioni alternative, comunque “meno penalizzanti per gli interessi dell’aggiudicatario, in ipotesi anche verificando la ragionevole possibilità, prima di rinunciare unilateralmente al finanziamento già ottenuto, di reperire congruamente risorse finanziarie da altre fonti, onde dare comunque seguito ai lavori per i quali la gara era stata espletata”.

Per il Consiglio di Stato, tuttavia, nell’ambito della responsabilità precontrattuale il c.d. danno curriculare non è risarcibile, perché non attiene all’interesse negativo, ma, più propriamente, all’interesse positivo, derivando proprio dalla mancata esecuzione dell’appalto, non dall’inutilità della trattativa. Il c.d. danno curriculare può, infatti, essere definito come il pregiudizio subito dall’impresa a causa del mancato arricchimento del curriculum professionale per non poter indicare in esso l’avvenuta esecuzione dell’appalto.

il Collegio, dunque, ha riconosciuto alla ricorrente il risarcimento con riferimento alle seguenti voci:

  • c.d. costi vivi, pertanto delle spese sostenute per la predisposizione dell’offerta e la partecipazione alla gara nei limiti degli importi di cui riescano a provarne l’avvenuto pagamento;
  • danno emergente delle spese generali per il costo del personale e della struttura che avrebbero potuto essere destinate in altre attività;
  • lucro cessante per la perdita di chance contrattuale alternativa scaturente dalla rinuncia a concludere un altro contratto a causa l’affidamento ingenerato dall’aggiudicazione indebitamente ritirata dalla stazione appaltante.

Di contro tuttavia, essendo strettamente legato all’interesse positivo all’esecuzione del contratto, non è riconosciuto il risarcimento del danno curriculare, ovvero del danno economicamente valutabile, derivante all’impresa dalla mancata aggiudicazione dell’appalto, che ne riduce la competitività sul mercato e la possibilità di aggiudicarsi appalti futuri.

Scatta la responsabilità contrattuale della stazione appaltante quando i fatti che hanno portato alla revoca dell’aggiudicazione sono riconducibili ad un comportamento non diligente della stazione appaltante, come nel caso in cui una delle ragioni principali su cui si fonda il provvedimento di revoca è il venire meno delle risorse finanziarie necessarie al finanziamento dei lavori

3. Conclusioni

È ormai principio consolidato in giurisprudenza quello secondo cui nell’attività di scelta del contraente, l’Amministrazione, oltre alle norme dirette alla tutela dell’interesse pubblico, è vincolata al rispetto delle generali norme sulla correttezza proprie del diritto comune.

Diretto corollario di questo principio è che la responsabilità precontrattuale prescinde dalla legittimità del provvedimento con cui si revocano o annullano in autotutela gli atti di gara. E ciò in quanto i comportamenti che originano una forma di responsabilità precontrattuale gravano sul diritto soggettivo della controparte di poter compiere liberamente le proprie scelte negoziali senza subire intromissioni illegittime derivanti dagli errori altrui.


[1] Art. 1337 c.c. (Trattative e responsabilità precontrattuale) “Le parti, nello svolgimento delle trattative e nella formazione del contratto, devono comportarsi secondo buona fede”.

Art. 1338 c.c. (Conoscenza delle cause d’invalidità) “La parte che, conoscendo o dovendo conoscere l’esistenza di una causa di invalidità del contratto , non ne ha dato notizia all’altra parte è tenuta a risarcire il danno da questa risentito per avere confidato, senza sua colpa, nella validità del contratto”.

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Questo articolo è stato scritto da...

Avv. Paola Cartolano
Esperta in materia di appalti pubblici
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