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1. La controversia

Con lettera di invito, il Tribunale di Bergamo invitava alcune società specializzate in sistemi informatici a partecipare alla procedura indetta per l’individuazione del soggetto incaricato di assicurare l’informatizzazione delle procedure concorsuali ed esecutive. In particolare, l’incarico riguardava lo sviluppo e manutenzione del sito Internet del Tribunale e la pubblicità delle aste immobiliari e mobiliari, mediante un sistema utilizzabile da tutti gli interessati (giudici, avvocati, acquirenti e creditori). La lettera di invito faceva riferimento sia allo sviluppo e alla manutenzione del sito Internet del Tribunale sia alla pubblicità delle aste immobiliari e mobiliari, precisando che il soggetto incaricato avrebbe dovuto occuparsi di entrambe queste attività, senza tuttavia poter vantare automaticamente un diritto alla gestione della pubblicità nelle singole procedure. Entrambi i servizi non prevedevano oneri economici in capo all’Amministrazione aggiudicatrice, bensì obblighi remunerativi in capo ai soli creditori procedenti, nonché alle curatele fallimentari.

La lettera di invito faceva riferimento sia allo sviluppo e alla manutenzione del sito Internet del Tribunale sia alla pubblicità delle aste immobiliari e mobiliari, precisando che il soggetto incaricato avrebbe dovuto occuparsi di entrambe queste attività, senza tuttavia poter vantare automaticamente un diritto alla gestione della pubblicità nelle singole procedure.

Le offerte dei primi due classificati assicuravano la gratuità delle prestazioni rese al Tribunale nell’ambito della gestione del sito Internet e indicavano, poi, i costi della pubblicità delle aste a carico dei creditori procedenti e delle curatele fallimentari: le singole prestazioni tariffate riguardavano la pubblicazione degli avvisi su quotidiani locali e su giornali specializzati, l’utilizzo della free press locale e dell’attività di postal target nelle cassette delle abitazioni vicine all’immobile in vendita, la trasmissione di annunci sulle televisioni locali e sui canali specializzati delle televisioni nazionali, nonché l’inserimento di video nei siti Internet delle predette televisioni.

Si aggiudicava i suddetti servizi un Gruppo frutto di un contratto di rete tra cinque diverse imprese avente nella sua catena di controllo interno anche un Trust.

Nel Protocollo d’intesa siglato dal Tribunale e dall’aggiudicatario non vi erano riferimenti diretti alla gestione della pubblicità delle aste, a parte l’obbligo per il gestore di fornire assistenza e formazione ai professionisti e al personale giudiziario relativamente alla pubblicità delle procedure concorsuali ed esecutive. Il collegamento tra la gestione (gratuita) del sito Internet del Tribunale e la gestione (onerosa) della pubblicità delle aste era stato però sottolineato dal presidente della Seconda Sezione civile nella circolare inviata a tutti i magistrati incaricati delle procedure concorsuali ed esecutive nonché ai curatori fallimentari e ai professionisti delegati alle vendite.

Nella suddetta circolare si affermava in particolare quanto segue:

(a) il protocollo di intesa costituisce uno strumento di attuazione del processo civile telematico, obbligatorio per le procedure concorsuali ed esecutive;

(b) il rapporto di collaborazione regolato dal protocollo di intesa non ha alcuna scadenza temporale ma può essere risolto da ciascuna delle parti mediante semplice comunicazione con un preavviso di 60 giorni;

(c) il gestore del sito Internet del Tribunale si propone come intermediario della pubblicità delle aste ai sensi dell’art. 490 cpc, offrendo un pacchetto pubblicitario con apposite tariffe;

(d) il giudice dell’esecuzione e i giudici delegati alle procedure concorsuali sono liberi di scegliere se affidare o meno al Gruppo la gestione della pubblicità delle aste, sulla base delle tariffe proposte, e possono quindi individuare anche un diverso intermediario “fermo restando che è opportuno garantire la coerenza e complessiva efficienza del sistema degli adempimenti pubblicitari”;

(e) qualora il Gruppo aggiudicatario “ritenesse non soddisfacente il suo complessivo coinvolgimento nelle procedure di vendita coattiva”, sarà libero di recedere dal rapporto e di interrompere i servizi erogati, previo avviso di 60 giorni;

(f) le formalità pubblicitarie che, se ritenute opportune, dovranno essere inserite nelle ordinanze ex art. 490 cpc (o comunque dovranno essere rispettate dai curatori nelle vendite ex art. 107 comma 1 della legge fallimentare) riprendono (e integrano per i beni di particolare rilevanza) quelle indicate nell’offerta del Gruppo aggiudicatario.

L’esito della predetta selezione è stato impugnato, per quel che qui rileva, sotto il profilo:

(i) della violazione dei principi nazionali e comunitari in materia di procedure a evidenza pubblica (mancanza del requisito della collegialità per quanto riguarda le operazioni della commissione tecnica; mancanza del capitolato speciale e del capitolato tecnico, e conseguente indeterminatezza delle regole di gara; mancanza dei criteri di aggiudicazione e conseguente violazione dei principi di imparzialità e trasparenza; violazione della procedura descritta nella lettera di invito; violazione della clausola di stand still);

(ii) della violazione dell’art. 38 co. 1, lett. d) del Dlgs. 12 aprile 2006 n. 163 e dell’art. 17 comma 3 della legge 19 marzo 1990 n. 55, in quanto il Gruppo aggiudicatario, secondo tale prospettazione, implicava una forma di intestazione fiduciaria, come evidenziato dalla presenza di un trust nella catena di controllo e dal regime fiscale di favore dei Paesi in cui hanno sede i soggetti controllanti.

A sua volta, il Gruppo aggiudicatario proponeva ricorso incidentale, prospettando in estrema sintesi, anche, l’inammissibilità del ricorso principale, in quanto privo dell’oggetto del contendere, ossia della presenza di una concessione di servizi.

2. La decisione del T.A.R. Brescia.

2.1. Sulla natura amministrativa della pubblicità delle aste.

Il  Collegio fin dalle prime battute della sentenza sottolinea il carattere complesso dell’accordo intercorso tra il Tribunale e il Gruppo aggiudicatario, formalizzato con un protocollo di intesa, essendo l’oggetto costituito da prestazioni che, considerate a se stanti, formerebbero un normale appalto di servizi, ma essendo direttamente o indirettamente serventi rispetto alla funzione giurisdizionale, con oneri a carico di coloro che si avvalgono di tale funzione, sono meglio inquadrabili nello schema della concessione di servizi.

In particolare, rientrano tra i servizi del codice dei contratti pubblici:

  1. la gestione del sito Internet del Tribunale (v. Dlgs. 163/2006 all. II-A, categoria 7, Servizi informatici e affini),
  2. la messa a disposizione di personale destinato ai compiti di informatizzazione e assistenza (v. Dlgs. 163/2006 all. II-B, categoria 22, Servizi di collocamento e reperimento di personale),
  3. e anche la gestione della pubblicità delle aste (v. Dlgs. 163/2006 all. II-A, categoria 13, Servizi pubblicitari).

Rientrano tra i servizi del Codice dei contratti pubblici la gestione del sito Internet di un Tribunale, la messa a disposizione di personale destinato ai compiti d’informatizzazione ed assistenza, ed anche la gestione della pubblicità delle aste.

L’ago della bilancia che fa propendere per lo schema della concessione di servizi, secondo il T.A.R., è il tipo di collegamento che si stabilisce tra la gestione della pubblicità e le altre prestazioni. Mentre queste ultime sono certe e gratuite per il Tribunale, la gestione della pubblicità delle aste è onerosa per i creditori procedenti e le curatele fallimentari, che ne sono i committenti e i beneficiari, ed è anche incerta, in quanto mediata da un provvedimento del giudice dell’esecuzione.

Vi sono quindi alcuni degli elementi caratteristici delle concessioni di servizi, di cui all’art. 30 comma 2 del Dlgs. 163/2006 e s.m.i.. E, cioè,:

  1. il collegamento con una funzione pubblica, nello specifico giurisdizionale;
  2. una platea di destinatari delle prestazioni diversa dall’autorità pubblica che stipula il contratto;
  3. una componente di rischio, che qui consiste non solo nella necessità di ottenere la remunerazione dai terzi ma anche nella circostanza che i singoli incarichi relativi alla pubblicità delle aste devono essere conferiti dai giudici dell’esecuzione (o dai curatori nelle vendite ex art. 107 comma 1 della legge fallimentare).

Di diverso avviso le difese del Ministero e del Gruppo aggiudicatario, secondo cui le varie prestazioni non costituiscono invece un rapporto unitario, dato che, da una parte, vi sarebbe la gestione del sito Internet, gratuita e quindi quanto tale  esclusa dall’obbligo di gara e, dall’altra, la gestione della pubblicità delle aste, disposta, volta per volta, da un provvedimento del giudice dell’esecuzione e quindi schermata dalla funzione giurisdizionale.

Nel confutare tale tesi il T.A.R. precisa come, nel caso di specie, la separazione tra le due tipologie di prestazioni sia solo apparente. Il Tribunale di Bergamo ha infatti un significativo interesse a conservare la gestione gratuita del sito Internet, che è economicamente conveniente per il Gruppo solo a condizione di essere affiancata dalla gestione della pubblicità delle aste.

In questo quadro, i riferimenti al pacchetto pubblicitario del Gruppo aggiudicatario, alla facoltà di recesso prevista dal protocollo di intesa e alla necessità di garantire la coerenza e l’efficienza del sistema degli adempimenti pubblicitari rendono evidente il sottostante sinallagma, che i singoli giudici dell’esecuzione non possono ignorare, avendo la necessità di garantire il regolare svolgimento delle aste e di non compromettere l’informatizzazione delle procedure esecutive. Ancora più marcato è poi il vincolo per i curatori responsabili delle vendite ex art. 107 comma 1 della legge fallimentare, che devono attenersi alle forme di pubblicità ritenute congrue dal Tribunale.

In altri termini, la selezione svolta dal Tribunale ha avuto come scopo l’individuazione di un soggetto affidabile, sia come gestore del sito Internet sia come gestore della pubblicità delle aste.

Con tale soggetto il Tribunale ha costituito e avviato un rapporto di reciproca convenienza, con oneri sostenuti dai beneficiari delle procedure esecutive, ossia dai creditori procedenti e dalle curatele fallimentari. Tutto ciò ha la sostanza di un procedimento a evidenza pubblica[1], finalizzato ad attivare una concessione di servizi, con la particolarità che tale concessione è servente rispetto alla funzione giurisdizionale. Sicché la selezione del contraente si colloca a monte dei provvedimenti dei giudici dell’esecuzione e non perde la sua natura amministrativa per il solo fatto di confluire, parcellizzata, nelle singole ordinanze. Con l’ulteriore conseguenza che la componente amministrativa dei provvedimenti giurisdizionali rimane regolata dai canoni dell’evidenza pubblica.

Nel caso delle concessioni di servizi è principio da tempo stabilito nell’ordinamento comunitario quello secondo cui sono vietati gli affidamenti diretti ed è necessario garantire trasparenza e parità di trattamento nella scelta dei concessionari[2].

Il riconoscimento di una componente amministrativa, sottoposta ai principi dell’evidenza pubblica, all’interno dei provvedimenti giurisdizionali non contraddice né il potere di direzione delle procedure esecutive assegnato al giudice, né il principio secondo cui il giudice è soggetto soltanto alla legge.

Sotto entrambi i profili è stato dunque rilevato che quando i provvedimenti giurisdizionali hanno la sostanza di affidamenti di servizi o di concessioni di servizi ed il potere del giudice deve conformarsi alle medesime regole applicabili alle stazioni appaltanti, che sono di rango legislativo e normalmente di derivazione comunitaria. In altri termini, l’ordinamento nel suo complesso deve operare in modo coerente, sia che l’affidamento trovi origine nell’attività dell’amministrazione sia che derivi da una decisione giurisdizionale.

Pertanto, secondo il T.A.R. Brescia, non solo è possibile, ma è necessario che il gestore della pubblicità delle aste sia individuato con le garanzie di una gara trasparente e non discriminatoria. Questo vale allorquando, come nel caso in esame, il Tribunale intenda stabilire con un particolare soggetto un rapporto esteso nel tempo. In mancanza di tale rapporto, l’assenza di discriminazione è assicurata tramite il principio di rotazione (richiamato dall’art. 57 comma 6 del Dlgs. 163/2006 per le procedure negoziate senza previa pubblicazione di un bando), che ogni singolo giudice applica nei propri provvedimenti.

È da prediligersi, nel caso de quo, la tesi della configurabilità di una concessione di servizi: la presenza di uno stretto collegamento strumentale tra i servizi informatici da svolgere e la funzione giurisdizionale pubblica, la destinazione del servizio a una vasta platea di soggetti diversi dall’amministrazione; la presenza del rischio a carico del solo concessionario -il quale sarà esposto agli eventuali inadempimenti dei creditori e delle curatele, senza poter rivalersi sull’amministrazione- fanno deporre in maniera inequivocabile verso la qualifica della procedura come volta alla concessione di un servizio pubblico.

2.2 Sulla procedura di gara

Ciò stabilito, il T.A.R. Brescia ha accertato l’illegittimità della scelta del contraente, non essendo avvenuta nel rispetto dei principi dell’evidenza pubblica.

Trattandosi di una concessione di servizi, non erano applicabili integralmente le disposizioni del codice dei contratti pubblici, ma erano comunque necessarie alcune garanzie (v. art. 30 comma 3 del Dlgs. 163/2006), e in particolare:

  1. la predisposizione di un bando e di un disciplinare di gara,
  2. la preventiva definizione dei criteri di attribuzione del punteggio,
  3. e lo svolgimento di un contraddittorio con il concorrente interessato prima dell’esclusione dell’offerta.

Mentre, nel caso in esame il confronto tra le varie offerte è risultato invece eccessivamente informale, come emerge dalla mancanza delle predette garanzie e dalla genericità dei verbali delle riunioni della commissione tecnica.

L’eccesso di informalità ha compromesso la possibilità di presentare offerte in un quadro di regole chiaro, con la conseguente illegittimità del risultato del confronto.

Né d’altra parte alle lacune del procedimento di scelta del contraente è possibile rimediare a posteriori mediante il principio di rotazione (nella pubblicità delle aste) lasciando però integro per un tempo indefinito il protocollo di intesa tra il Tribunale e il Gruppo aggiudicatario. Nel caso in esame, in realtà, le ordinanze dei giudici dell’esecuzione non possono garantire un’effettiva e sistematica rotazione, perché, come accertato dal T.A.R., esiste una precisa convenienza per il Tribunale (indubbiamente basata su ragioni di interesse pubblico, quali l’informatizzazione gratuita del processo dell’esecuzione e l’omogeneità della pubblicità delle aste) a privilegiare il rapporto con un unico gestore. Non basta evidentemente a soddisfare il requisito della rotazione l’attribuzione occasionale di incarichi ad altri soggetti, o alla stessa ricorrente, in quanto rimarrebbe la sproporzione tra l’utilità concessa a uno e quella concessa a tutti gli altri. La rotazione presuppone invece che ogni soggetto idoneo e interessato possa avere un affidamento in condizioni di parità con i concorrenti, sia per quanto riguarda la tempistica sia relativamente al valore economico delle prestazioni.

2.3 Sul problema dell’intestazione fiduciaria: quadro giuridico e valutazioni del T.A.R. Brescia

Come si è accennato, uno dei temi della controversia riguarda la presunta violazione del divieto di intestazione fiduciaria di cui all’art. 38 co. 1, lett. d) del Dlgs. 12 aprile 2006 n. 163 e dell’art. 17, co. 3, della legge 55/90, a causa della composizione del Gruppo aggiudicatari e della presenza di un trust nella catena di controllo e dal regime fiscale di favore dei Paesi in cui hanno sede i soggetti controllanti.

Nel caso di specie il Gruppo aggiudicatario è stato costituito a seguito della sottoscrizione di un contratto di rete[3] stipulato da cinque società. Tre delle predette società sono controllate dalle altre due. La catena di controllo conduce, tra l’altro, ad una società il cui socio unico è un trustee di un Trust costituito e regolato dalla legge del Jersey.

Il divieto di intestazione fiduciaria[4] stabilito dall’art. 38 co. 1, lett.) d del D.lgs. 163/2006 e dall’art. 17 co. 3 della legge 55/1990, come ha osservato il Collegio, intende prevenire infiltrazioni criminali nei soggetti che assumono la posizione di contraenti dell’amministrazione. Infatti, la “ratio” del citato divieto va ricercata nella finalità di prevenzione del fenomeno di infiltrazioni occulte delle organizzazioni malavitose nell’esecuzione degli appalti in virtù della quale è vietata la partecipazione alle gare pubbliche di società fiduciarie che non siano autorizzate ai sensi della legge 23 novembre 1939, n. 1966. In altri termini, ciò che la norma mira ad evitare è che la stazione appaltante perda il controllo del “vero” imprenditore che ha partecipato alla gara.

Si ricorda che sulle società fiduciarie autorizzate grava, comunque, l’obbligo di comunicare all’amministrazione committente o concedente, prima della stipula del contratto o della convenzione, la propria composizione societaria (cfr. Consiglio Stato, sez. V, 18 gennaio 2011, n. 264).

L’intestazione fiduciaria si concreta in un rapporto di tipo privatistico attraverso il quale un soggetto gestisce un determinato affare/bene/impresa per conto di altro soggetto, senza che si abbia all’esterno evidenza di tale rapporto sottostante (l’archetipo di tale rapporto può rinvenirsi nella negotiorum gestio)[5].

Con riguardo all’istituto del Trust, va rammentato che con la Convenzione dell’AIA del 1° luglio 1985[6] sono stati individuati i principi comuni applicabili al Trust, istituto di origine anglosassone ma da tempo adottato anche da ordinamenti di altri Paesi.

Ai sensi dell’art. 2 della predetta Convenzione, “per trust si intendono i rapporti giuridici istituiti da una persona, il disponente, con atto tra vivi o mortis causa, qualora dei beni siano stati posti sotto il controllo di un trustee, nell’interesse di un beneficiario o per un fine determinato”.

Dunque, il disponente istituisce il trust con un atto pubblico, con cui egli conferisce in un fondo (c.d. “fondo in trust”) beni e diritti (c.d. “beni in trust”)[7] che sono bensì intestati a un trustee (o ad un altro soggetto per conto del trustee), ma che, per effetto della loro “segregazione” (un profilo strutturale del trust), formano una massa distinta dal suo patrimonio personale, non diventandone parte neppure per un momento. Il disponente deve aver cura di individuare la finalità e la durata del trust, il suo beneficiario, la legge regolatrice applicabile (in questo momento necessariamente straniera e verosimilmente anglosassone), i poteri e i compensi del trustee, come anche i suoi doveri e responsabilità, l’obbligo del rendiconto verso il trust e verso i terzi, la nomina di un eventuale guardiano (una sorta di “controllore” dell’esatto adempimento degli obblighi da parte del trustee), che può essere anche lo stesso disponente, e quant’altro necessario per un compiuto regolamento, inclusa l’eventuale facoltà per quest’ultimo di nominare al ricorrere di certe condizioni un altro e diverso trustee, evidentemente in possesso anch’egli, ove il trust sia funzionale a una data attività, di tutti i requisiti professionali.

Il T.A.R. Brescia ha anzitutto osservato che le norme di cui all’art. 38 co. 1, lett. d) del D.lgs. 163/2006 e dall’art. 17 co. 3 della L. 55/1990 non hanno finalità di tipo tributario, e dunque non vietano la partecipazione alle gare in conseguenza del regime fiscale del Paese in cui ha sede la società controllante.

D’altra parte ha giudicato che anche se una catena di controllo societario allungata può rendere più opaco il centro di comando essa non è assimilabile a un’intestazione fiduciaria, essendo comunque ricostruibili tutti i rapporti tra i diversi livelli del gruppo.

Con riguardo più in particolare alle cause di incompatibilità, il T.A.R. ha ritenuto di poter condividere la soluzione prospettata dall’Ufficio Legislativo del Ministero della Giustizia (resa nel parere prot. n. 4/1-392 dell’8 maggio 2014, in atti si presume), secondo cui i requisiti di onorabilità dei gestori dei siti Internet dedicati alla pubblicità delle aste – che in base all’art. 3 del DM Giustizia 31 ottobre 2006 devono sussistere in capo ai soci delle società di persone e agli amministratori delle società di capitali – vanno accertati solo con riferimento alla società effettivamente incaricata di gestire il sito, senza risalire ai soci e agli amministratori delle società controllanti. Le cause di incompatibilità non devono infatti essere estese in assenza di una precisa disposizione normativa. Se la norma menziona in modo espresso solo le persone fisiche direttamente investite della funzione pubblica (o dei compiti serventi alla funzione pubblica), bisogna riconoscere in questo un sufficiente livello di tutela degli interessi pubblici, e rimane preclusa la possibilità di effettuare integrazioni in via interpretativa.

Per quanto riguarda il trust, il Collegio ha osservato che si tratta di uno schema negoziale con alcuni caratteri minimi (disponente, trustee, patrimonio separato intestato al trustee o ad altro soggetto per conto del trustee, beneficiario o scopo determinato), che può avere in concreto plurime applicazioni e contenuti estremamente diversificati, rimessi all’autonomia delle parti. L’utilizzo del trust per regolare i rapporti privatistici è del tutto legittimo, e non può in alcun modo giustificare la presunzione di un accordo in frode alla legge italiana o in contrasto con l’ordine pubblico, neppure quando il disponente scelga di assoggettare il trust alla legge di un altro Paese. Eventuali abusi del diritto, finalizzati al raggiungimento di fini illeciti, devono essere puntualmente dimostrati.

Pur essendo vero che in astratto le norme speciali potrebbero impedire il raggiungimento di alcuni effetti del trust, così come avviene per altri strumenti giuridici, a tutela di determinati interessi pubblici (in particolare in campo tributario), una simile limitazione non è però rinvenibile nella materia degli appalti e delle concessioni di servizi, dove al contrario vige il principio della libertà delle forme organizzative, per favorire la massima apertura alla concorrenza (v. C. Giust. Sez. IV 18 dicembre 2007 C-357/06, Frigerio, punti 20-21; C.Giust. Sez. IV 23 dicembre 2009 C-305/08, Conisma, punto 39).

Sebbene in astratto le norme speciali potrebbero impedire il raggiungimento di alcuni effetti del trust, così come avviene per altri strumenti giuridici, a tutela di determinati interessi pubblici, una simile limitazione non è però rinvenibile nella materia degli appalti e delle concessioni di servizi, dove al contrario vige il principio della libertà delle forme organizzative, per favorire la massima apertura alla concorrenza

3. Conclusioni

È principio immanente poiché da tempo stabilito nell’ordinamento comunitario e pienamente acquisito e scolpito dalla giurisprudenza interna quello secondo cui sono vietati gli affidamenti diretti, essendo necessario garantire un’effettiva concorrenza, nonché la trasparenza e la parità di trattamento nella scelta dei concessionari.

Ciò non viene meno in presenza di un’attività non tipicamente amministrativa, poiché riconducibile a un diverso ed equivalente rilevante potere, quello giurisdizionale. L’esistenza di una componente amministrativa all’interno di un provvedimento giurisdizionale, infatti, è pienamente coerente con il principio di autonomia del giudice nel governo della procedura concorsuale o esecutiva, e non contraddittoria rispetto al caposaldo costituzionale della sua sottoposizione al solo dettato della legge.

Sicché, stabilita l’imprescindibile necessità del ricorso ai crismi dell’evidenza pubblica, il T.A.R. si è soffermato sull’utilizzabilità dello strumento del trust ai fini della partecipazione ad un appalto o ad una concessione.

La questione sottoposta al vaglio del T.A.R. Brescia concerne in ultima analisi la presunta assimilazione del Trust all’intestazione fiduciaria.

Come giudicato dal Tribunale amministrativo regionale le norme che vietano l’intestazione fiduciaria nel Codice dei contratti pubblici non possono avere alcun rilievo automatico, dovendo la loro applicazione essere collegata all’effettivo e concreto accertamento di abusi di diritto.

Il che comporta che l’uso dello strumento privatistico del Trust non deve essere interpretato come ontologicamente illegittimo. Esso, infatti, pur potendo astrattamente risultare incompatibile con diverse disposizioni speciali non può ritenersi a priori vietato ed incompatibile con le disposizioni di cui al Codice dei  contratti pubblici. Una simile conclusione infatti risulterebbe svilire completamente il principio della libertà delle forme organizzative, del favor partecipationis ed della concorrenza. Sicché l’utilizzo del Trust per regolare i rapporti privatistici è del tutto legittimo e da ciò pertanto non può farsi discendere alcuna presunzione di illiceità sub specie di un accordo in frode alla legge italiana o in contrasto con l’ordine pubblico, neppure allorquando il disponente scelga di assoggettare il Trust alla legge di un altro Paese.


[1] Cons. St., Sez. IV, 6 agosto 2013 n. 4140,punto 3.1.

[2] AI fini della certezza del diritto, il momento di emersione di questo principio può essere individuato in CGCE, Sez. VI , 7 dicembre 2000, in causa C-324/98, Telaustria, punto 60; in proposito, v. CGCE ,Sez. II, 17 luglio 2008, in causa C-347/06, ASM Brescia, punto 58.

[3] La normativa prevede e disciplina la rete sotto forma di strumento contrattuale di collaborazione e cooperazione tra imprenditori. Il comma 4-ter e ss. dell’art.3 del D.L. n. 5 del  2009, conv. in  Legge n.33 del 2009 e ss.mm.ii. prevede che: “Con il contratto di rete più imprenditori perseguono lo scopo di accrescere, individualmente e collettivamente, la propria capacità innovativa e la propria competitività sul mercato …”.

A tal fine gli imprenditori si impegnano a collaborare in forme e in ambiti predeterminati e attinenti all’esercizio delle proprie imprese sulla base di un programma comune, scambiandosi informazioni o prestazioni di natura industriale, commerciale, tecnica o tecnologica ed esercitando in comune una o più attività che rientrino nell’oggetto della propria impresa.  La rete nasce come strumento meramente contrattuale, ma se le parti contraenti vogliono creare con la rete un autonomo soggetto giuridico, altro e diverso rispetto alle imprese contraenti, possono far acquisire soggettività giuridica alla rete, definita “rete soggetto” per distinguerla dalla rete meramente contrattuale detta “rete contratto”. Il contratto di rete deve essere redatto per atto pubblico o per scrittura privata autenticata, ovvero per atto firmato digitalmente da ciascun imprenditore o legale rappresentante delle imprese aderenti con firme autenticate dal notaio o da altro pubblico ufficiale a ciò autorizzato ai sensi dell’art. 25 D.lgs. 82/2005 (Codice Amministrazione Digitale).

[4] Con riferimento alla disciplina dettata dalla lettera d), comma 1, dell’art. 38 del Codice, la novella legislativa intervenuta ha sancito che “l’esclusione ha durata di un anno decorrente dall’accertamento definitivo della violazione e va comunque disposta se la violazione non è stata rimossa”. E’ stato, quindi, delimitato e circoscritto temporalmente ad un anno il periodo di rilevanza dell’accertamento definitivo della violazione del divieto di intestazione fiduciaria; è stato precisato che in ogni caso l’esclusione va disposta se la violazione del divieto in parola non sia stata rimossa. Viene così corretto un difetto della precedente formulazione che comminava un’interdizione sine die alla partecipazione alla gara la cui compatibilità con il principio di proporzionalità risultava alquanto dubbia.

A riguardo si osserva che l’espressione “accertamento definitivo della violazione” richiama l’ipotesi di accertamento definito con provvedimento amministrativo divenuto inoppugnabile.

Come emerge dalla disciplina del Regolamento per il controllo delle composizioni azionarie dei soggetti aggiudicatari di opere pubbliche e per il divieto delle intestazioni fiduciarie, i soggetti legittimati ad esercitare detto controllo sono le stesse amministrazioni aggiudicatrici o concedenti, pertanto l’anno di interdizione dovrebbe decorrere dal momento in cui diviene inoppugnabile il provvedimento dell’amministrazione aggiudicatrice/committente con cui è stata accertata la violazione dell’intestazione fiduciaria (v. Determinazione dell’allora AVCP, oggi, ANAC 16 maggio 2012, n. 1).

[5] L’acclarata intestazione fiduciaria, pertanto, comporta l’esclusione dalla partecipazione alle gare e la  preclusione alla stipulazione dei contratti.

Unica eccezione a tale causa di esclusione è l’ipotesi in cui l’intestazione fiduciaria riguardi società apposita mente autorizzate ai sensi della legge n. 1966/1939, le quali abbiano comunicato all’amministrazione l’identità dei fiducianti (cfr. Determinazione AVCP n. 1/201).

Per la configurazione dell’ipotesi in esame, non è necessario il trasferimento di beni dai fiducianti al soggetto fiduciario, essendo sufficiente che a quest’ultimo sia conferita, attraverso idonei strumenti negoziali, la legittimazione ad esercitare i diritti o le facoltà, necessari per la gestione dei beni, che possono rimanere formalmente in capo al fiduciante.

[6] Resa esecutiva in Italia con la L. 364 del 1989, entrata in vigore il 1 gennaio 1992.

[7] Tra i quali può essere annoverata anche una farmacia, come ha ritenuto il TAR Brescia in un’altra occasione (v. sentenza, Sez. II, 30 luglio 2014, n. 890, nella quale è stato statuito che: “E’ illegittimo il negato riconoscimento da parte di una ASL del trasferimento della titolarità di una farmacia mediante l’istituto del trust, costituito (e autorizzato dal Tribunale civile) a beneficio degli eredi del titolare, con affidamento della gestione a un trustee, che nello specifico è stato individuato nella società “Farmacia …”, fino al subentro dei suddetti eredi. L’istituto del trust, infatti, non è uno strumento elusivo della normativa in materia, bensì il mezzo per garantire la possibilità (riconosciuta dalla stessa legislazione in materia) del subentro generazionale nell’attività di famiglia in presenza di eredi ancora privi, a causa della loro età, dei requisiti richiesti dalla legge per subentrare nella gestione”).

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Questo articolo è stato scritto da...

Avv. Adriana Presti
Avvocato amministrativista, esperto in contrattualistica pubblica
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