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Premesse

La Corte di Cassazione, a Sezioni Unite, nel tracciare i confini della giurisdizione ordinaria rispetto a quella amministrativa, chiarisce i presupposti che giustificano la tutela del cd. affidamento incolpevole riposto dal privato nell’atto amministrativo poi dichiarato illegittimo.

La questione di giurisdizione risolta dalla Corte con l’ordinanza 4 settembre 2015, n. 17586 diventa dunque occasione per affrontare il tema del risarcimento dei danni subiti dal privato a seguito dell’annullamento, per via giurisdizionale, di una concessione di lavori pubblici.

Il fine ultimo della pronuncia resta però quello di porre fine allo scontro tra le giurisdizioni in relazione alla esatta individuazione dei confini tra l’attività della pubblica amministrazione posta in essere attraverso l’esercizio, anche mediato, del potere amministrativo e quella posta in essere in carenza di potere, giungendo sul punto ad un superamento dell’orientamento espresso nelle note ordinanze del 2011.

1. Il fatto

La vicenda sottoposta all’esame della Suprema Corte riguarda una società, in liquidazione, concessionaria della realizzazione e successiva gestione di un porto turistico. La società in questione ricorreva dinanzi al Tribunale ordinario di Genova al fine di ottenere il risarcimento dei danni derivati dall’annullamento – disposto precedentemente dal Consiglio di Stato – della detta concessione e degli atti amministrativi ad essa presupposti. La società difatti aveva subito la perdita, oltre che della titolarità della concessione, delle opere già realizzate in forza della stessa sulle aree demaniali oggetto della medesima concessione e delle altre realizzate su altre aree che le erano state messe a disposizione per la realizzazione di lavori di interesse pubblico.

La predetta concessione era stata ritenuta viziata dal Consiglio di Stato “di riflesso”, ossia in quanto viziati si ritenevano essere gli atti amministrativi presupposti, relativi all’iter amministrativo che aveva portato al rilascio dell’atto concessorio.

L’azione di risarcimento proposta dalla società veniva quindi rivolta non solo contro l’ente concedente ma anche contro le pubbliche amministrazioni coinvolte nei procedimenti amministrativi che avevano riguardato gli aspetti urbanistici ed edilizi, paesaggistici ed ambientali, nonché demaniali, della realizzazione dell’opera, i quali, secondo la sentenza del Consiglio di Stato, dovevano ritenersi responsabili delle illegittimità che avevano portato all’annullamento della concessione.

Il fondamento dell’azione veniva individuato dall’attrice nel legittimo affidamento riposto nella legittimità negli atti amministrativi in questione, che avrebbero incolpevolmente indotto la società a sostenere notevoli spese per la realizzazione dell’opera nel ragionevole convincimento della piena validità della concessone e della sua prosecuzione fino alla scadenza prevista, nonché nella prospettiva di trarre dalla gestione dell’opera profitto.

Le amministrazioni convenute eccepivano in primis il difetto di giurisdizione del giudice ordinario in favore della giurisdizione del giudice amministrativo sicché la società attrice proponeva ricorso preventivo per regolamento di giurisdizione dinanzi alla Corte di Cassazione, ai sensi dell’articolo 41 c.p.c., chiedendo la dichiarazione della giurisdizione del giudice ordinario.

2. La questione di giurisdizione

Il legislatore ha inteso unificare la tutela dinanzi al giudice amministrativo, concentrando dinanzi allo stesso sia poteri di annullamento dell’atto illegittimo che la tutela risarcitoria: l’art. 7 del codice del processo amministrativo (“c.p.a.”) afferma difatti la concentrazione in capo al giudice amministrativo di ogni forma di tutela degli interessi legittimi e, nelle materie indicate dalla legge, dei diritti soggettivi[1].

Al contempo, nell’attuale ordinamento la tutela risarcitoria spettante al privato nei confronti della pubblica amministrazione per danni derivanti da provvedimento amministrativo ha carattere autonomo (non implica cioè la previa impugnazione dell’atto amministrativo lesivo) ed è disciplinata all’art. 30 del codice del processo amministrativo (“c.p.a.”)[2].

Tradizionalmente, il presupposto per ricorrere a tale azione risarcitoria è che vi sia spendita, anche solo mediata, di potere amministrativo. L’orientamento imperante considera cioè soggetta a tale giurisdizione ogni pretesa che sia ancorata all’esercizio del potere amministrativo, in presenza dunque di atti o fatti (provvedimenti, atti, accordi o comportamenti) che siano riconducibili, anche mediatamente, all’esercizio di tale potere, posti in essere dalle pubbliche amministrazioni e dai soggetti equiparati ad essa.

In mancanza troverebbe spazio la giurisdizione ordinaria.

La questione problematica ha da sempre riguardato la specifica fattispecie del danno derivante al privato dall’annullamento del provvedimento favorevole, per via giurisdizionale.

Tale ipotesi si differenzia infatti dal caso del danno derivante dalla revoca in via di autotutela del provvedimento favorevole, ipotesi in cui si è ritenuta senza troppi dubbi la giurisdizione amministrativa in quanto nell’ipotesi di legittimo affidamento ingenerato da un provvedimento poi travolto da un successivo atto della amministrazione ciò che viene sempre in rilievo è l’esercizio di un potere pubblico; in tali ipotesi l’art. 21 quinquies, L. 7.8.1990, n. 241 prevede una forma di tutela di tipo patrimoniale in favore del privato leso e la giurisdizione è attribuita al giudice amministrativo in via esclusiva (art. 133, co. 1, lett. a), c.p.a..

Al riguardo, nel 2011, la Corte di Cassazione, a Sezioni Unite, chiariva che:

  • sussiste giurisdizione amministrativa esclusiva solo quando il danno sia conseguenza immediata e diretta dell’atto amministrativo (che in tal caso deve essere impugnato nei termini all’uopo previsti dal c.p.a.); tra questi rientrerebbe il caso dell’atto di revoca in autotutela del provvedimento favorevole al privato;
  • la domanda risarcitoria formulata dal soggetto destinatario del provvedimento amministrativo favorevole, successivamente annullato dal giudice, non sarebbe invece collegata all’esercizio, neppure mediato, del potere amministrativo per cui la giurisdizione spetterebbe al giudice ordinario[3].

Quest’ultimo punto aveva suscitato notevoli perplessità in dottrina in quanto il provvedimento favorevole, benché annullato, è comunque espressione del potere pubblico e coerentemente la lesione da esso derivante dovrebbe essere ricondotta, almeno nelle materie di giurisdizione esclusiva, alla cognizione del giudice amministrativo: tanto più se esso ha già conosciuto in sede cognitoria della sua legittimità[4].

Nel giudizio di cui all’ordinanza in esame le amministrazioni convenute tengono conto dei suesposti principi, ritenendo che l’oggetto della causa sarebbe per l’appunto “inerente le conseguenze risarcitorie del cattivo esercizio del potere amministrativo sub specie, tra l’altro, di mancata indizione della necessaria procedura di evidenza pubblica“. Difatti la concessione – secondo questa prospettazione – sarebbe stata annullata dal Consiglio di Stato proprio in quanto affidata direttamente senza l’esperimento di alcuna evidenza pubblica (nel caso di specie, di c.d. project financing). Di conseguenza la giurisdizione del giudice amministrativo sulla controversia discenderebbe – secondo le amministrazioni statali – dall’articolo 7 del c.p.a. ed inoltre la concentrazione della tutela anche risarcitoria dinanzi a quel giudice sarebbe giustificata – in ragione della configurabilità di un vero e proprio project financing – in forza della disciplina comunitaria di cui alla direttiva 89/665/CEE del Consiglio in materia di aggiudicazione degli appalti pubblici. Si osserva inoltre che la situazione in cui si trova il soggetto già beneficiato dall’attività’ amministrativa della p.a., attività poi demolita, sia di interesse legittimo e non di diritto soggettivo.

3. La decisione della Corte

Con l’ordinanza dello scorso 4 settembre n. 17586, le Sezioni Unite statuiscono – nonostante l’intervento del codice del processo amministrativo – la sussistenza della giurisdizione ordinaria con riferimento alle ipotesi in cui:

i) il risarcimento del danno da affidamento incolpevole venga fatto valere a seguito di annullamento in sede giurisdizionale divenuto definitivo del provvedimento favorevole per il privato,

ii) il risarcimento del danno da affidamento incolpevole discenda da provvedimento che sia annullato d’ufficio da parte della p.a. tramite un successivo provvedimento di annullamento in autotutela, che, dopo essere stato emesso, si sia consolidato per mancata impugnazione oppure a seguito di rigetto del relativo ricorso in sede giurisdizionale del beneficiario.

Con riguardo a tale ultima ipotesi, la Corte pertanto supera i precedenti orientamenti (di cui alla ordinanza della Cassazione, n. 6594 del 2011) ritenendo che in tale caso il danno al privato non deriva dal provvedimento amministrativo in se considerato: il provvedimento favorevole (nel caso di specie la concessione di project financing senza gara) “risulta emesso certamente in modo ingiusto, ma non dal punto di vista del privato che l’aveva richiesto, nei cui riguardi nessun danno evento si e’ dunque verificato e, pertanto, nessuna fattispecie di illecito si configura perché non v’e’ lesione della sua situazione giuridica soggettiva.”; la Corte motiva sostenendo che “… è vero che il privato che chiede alla pubblica amministrazione un provvedimento facendo valere l’interesse pretensivo ad ottenerlo confida nello svolgimento dell’attivita’ della p.a. in modo legittimo, ma tale svolgimento, oltre ad essere immanente nella stessa funzione della giurisdizione riguarda il modo in cui la sua situazione giuridica che e’ certamente di interesse legittimo dev’essere considerata ed esaminata dal giudice adito (modo che, del resto, egli nella prospettazione con cui ha chiesto il provvedimento può, peraltro, anche avere dedotto erroneamente) e non individua il contenuto e l’oggetto della situazione giuridica fatta valere. Contenuto ed oggetto che sono espressi invece dall’interesse positivo ad ottenere il provvedimento, sicché l’oggetto della situazione di interesse pretensivo non si puo’ identificare nella postulazione a che si provveda legittimamente dall’Amministrazione, ma si deve identificare nella richiesta che si provveda dando positiva soddisfazione a quell’interesse.”

Dal punto di vista del privato, dunque, fino a che non sopravvenga il provvedimento giurisdizionale o di autotutela che, sul presupposto della sua illegittimità disponga la rimozione del provvedimento richiesto, tale illegittimità e’ del tutto irrilevante in termini di efficacia lesiva e dunque il relativo interesse legittimo del privato stesso non si può dire leso, di modo che non si può configurare alcun danno ingiusto alla stregua dell’articolo 2043 c.c..

Il privato, infatti, si e’ visto attribuire la situazione di vantaggio richiesta con l’invocazione del chiesto provvedimento positivo ed ha visto dunque riconosciuto e soddisfatto il suo interesse per come lo aveva prospettato e non si può dire che, per effetto dell’illegittimità del relativo riconoscimento, cioè per effetto dell’esercizio illegittimo del potere della p.a., egli abbia subito un danno ingiusto per lesione della sua situazione di interesse legittimo.

La Corte ridefinisce allora la nozione di “interesse legittimo pretensivo” quale “situazione che ha come contenuto non già la pretesa a che l’amministrazione provveda legittimamente, ma che provveda legittimamente in vista di un provvedimento positivo”. Difatti, non bisogna confondere – ammonisce la Corte – il dovere della p.a. di provvedere legittimamente sull’istanza del privato (che è il principio di legalità dell’azione amministrativa) con la situazione soggettiva di interesse legittimo pretensivo.

Ebbene, ciò che il privato denuncia nel giudizio in esame è, difatti, in realtà, la lesione di una situazione di diritto soggettivo rappresentata dalla conservazione dell’integrità del suo patrimonio non già di interesse legittimo.

In quest’ottica non rileva tanto l’illegittimità in se dell’agire della p.a. bensì il dato di fatto dell’avere, il privato ricorrente, sopportato perdite e/o mancati guadagni a causa di tale agire, dovendo provare quindi le circostanze e le modalità concrete che attestino l’idoneità a determinare l’affidamento.

La fattispecie costitutiva del danno ingiusto ai sensi dell’articolo 2043 risulta così derivare – secondo la Corte – “dalla lesione della integrità del patrimonio del beneficiario, riconducibile ad una fattispecie complessa, rappresentata dall’essere stato il provvedimento favorevole emesso illegittimamente, dall’essere stato l’agire della p.a. nella sua adozione, in ragione delle circostanza concrete, determinativo di affidamento incolpevole, dall’essere stato il provvedimento illegittimo rimosso in modo ormai indiscutibile.”.

Il danno subito dal privato in caso di provvedimento favorevole, oggetto di successivo annullamento in via di autotutela ovvero in via giurisdizionale, deve essere fatto valere dinanzi al giudice ordinario ai sensi dell’art. 2043 c.c., non venendo in rilievo una controversia relativa all’esercizio del potere amministrativo.

Da quanto sopra deriva che il danno subito dal privato in tali ipotesi deve essere fatto valere dinanzi al giudice ordinario ai sensi dell’art. 2043 c.c. nell’ambito della più complessa fattispecie della tutela dell’affidamento.

In conclusione, anche nell’assetto normativo scaturito dal codice del processo amministrativo, non è dunque possibile ritenere che l’azione di risarcimento danni per affidamento incolpevole del beneficiario del provvedimento amministrativo emesso illegittimamente e poi rimosso per annullamento in autotutela divenuto definitivo o per annullamento in sede giurisdizionale possa spettare alla giurisdizione amministrativa in forza della norma dell’articolo 7, comma 4, del codice, cioè nel presupposto che si tratti di una controversia relativa al risarcimento del danno per la lesione di un interesse legittimo.

Al contempo, va esclusa la giurisdizione amministrativa esclusiva di cui all’articolo 133, comma 1, lettera b) ed f) del codice del processo amministrativo (in materia di concessione di costruzione di opera su bene demaniale e nel contempo di concessione di gestione del pubblico servizio) poiché non si tratta di una controversia relativa all’esercizio del potere amministrativo.

Non v’e’, cioè, secondo la Corte, questione sul modo illegittimo in cui il potere era stato esercitato tramite il provvedimento favorevole annullato, “perché su di esso un dissidio, una controversia, fra privato e p.a. non v’e’ più, giacché l’annullamento giurisdizionale o in autotutela ha già accertato quel modo di essere del precedente esercizio del potere, tanto che ne ha fatto venire meno il risultato provvedimentale.”.

4. La tutela dell’affidamento incolpevole

Una volta chiarita la questione di giurisdizione in favore del giudice ordinario, la Suprema Corte si sofferma sulla fattispecie dell’affidamento incolpevole come autonoma causa di danno al privato: al riguardo assume rilievo la prova che il comportamento tenuto dalla p.a. sia stato oggettivamente idoneo a determinare l’affidamento.

Il danno derivante da affidamento incolpevole deve essere specificamente dimostrato allegando  le ragioni per cui l’agire della pubblica amministrazione concedente abbia avuto efficacia causale dell’affidamento, ed anzi di un affidamento incolpevole, nel beneficiario, sì da indurlo a compiere attività ed a sopportare costi incidenti sul suo patrimonio proprio nel positivo convincimento della legittimità del provvedimento.

Per la prova del danno può ritenersi sufficiente la mera circostanza che la p.a. abbia agito illegittimamente (nel caso di specie, omettendo il ricorso alla procedura di project financing).

Il privato deve infatti dedurre e allegare le ragioni per cui l’agire della pubblica amministrazione concedente abbia avuto efficacia causale dell’affidamento, ed anzi di un affidamento incolpevole, nel beneficiario, sì da indurlo a compiere attività ed a sopportare costi incidenti sul suo patrimonio proprio nel positivo convincimento della legittimità del provvedimento.

Al contempo, ai fini risarcitori, non basta dimostrare che si e’ stati beneficiari del provvedimento favorevole illegittimo per individuare la fattispecie costitutiva del diritto risarcitorio di cui trattasi, essendo necessario un quid pluris.

La Corte è dunque chiara nel ritenere necessaria l’allegazione di “altri elementi idonei ad evidenziare, in concorso con l’emissione del provvedimento, la fattispecie determinativa del danno evento costituito dalla creazione dell’affidamento”, quali, a titolo esemplificativo:

  • elementi inerenti lo stesso contenuto del provvedimento poi riconosciuto illegittimo (tanto se essi siano stati rilevanti in funzione di tale riconoscimento, e dunque siano stati idonei ad integrare la controversia sull’esercizio del potere cui allude l’articolo 7 c.p.a., comma 1, che si sia svolta in sede giurisdizionale, oppure siano stati posti a base del potere di autotutela, quanto se essi non siano stati invece rilevanti in quelle sedi),
  • elementi estranei al diretto esercizio del potere dell’amministrazione espressosi con il provvedimento;
  • elementi pregressi relativi all’agire dell’amministrazione nelle fasi precedenti e/o successivi;
  • elementi derivanti da comportamenti dei terzi noti al beneficiario ed all’amministrazione, sia di elementi relativi alla situazione in cui si trovava lo stesso beneficiario o a fatti a lui noti.

Il sorgere del diritto al risarcimento del danno cagionato da affidamento incolpevole del beneficiario nel provvedimento favorevole non e’ dunque ricollegabile alla mera adozione di tale provvedimento ed al successivo riconoscimento della sua illegittimità, ma richiede elementi ulteriori, per cui quell’adozione si configura solo come uno degli elementi di quella fattispecie.

Principi analoghi aveva espresso la sentenza in tema di responsabilità precontrattuale della Pubblica Amministrazione definita non come responsabilità da provvedimento, ma come “responsabilità da comportamento” che presuppone la violazione dei doveri di correttezza e buona fede sicché non rileva la legittimità dell’esercizio della funzione pubblica cristallizzato nel provvedimento amministrativo di aggiudicazione o in altri provvedimenti successivi, ma la correttezza del comportamento complessivamente tenuto dall’Amministrazione[5].

Tali principi vanno senz’altro ad integrare la nutrita giurisprudenza in materia di tutela del legittimo affidamento, principio ritenuto come immanente nell’ordinamento e tradizionalmente ricollegato alla sussistenza di tre elementi: oggettivo, soggettivo e cronologico[6]. La tutela in parola è però esclusa laddove il privato non abbia agito con l’ordinaria diligenza: l’art. 1227 comma 2 del c.c. (riprodotto all’art. 30 comma 3 del Codice del processo amministrativo che regola il risarcimento per lesione di interessi legittimi) sancisce il principio di auto-responsabilità, per cui “Il risarcimento non è dovuto per i danni che il creditore avrebbe potuto evitare usando l’ordinaria diligenza[7].


[1] V. art. 7, secondo cui “Il principio di effettività è realizzato attraverso la concentrazione davanti al giudice amministrativo di ogni forma di tutela degli interessi legittimi e, nelle particolari materie indicate dalla legge, dei diritti soggettivi.”.

[2] Tale disposizione sottopone l’azione di risarcimento dinanzi al giudice amministrativo al rispetto del “… termine di decadenza di centoventi giorni decorrente dal giorno in cui il fatto si è verificato ovvero dalla conoscenza del provvedimento se il danno deriva direttamente da questo.”

[3] V. ordinanze nn. 6594, 6595, 6596 del 2011 e n. 10305 del 2013.

[4] Sandulli A., Il risarcimento del danno nei confronti delle pubbliche Amministrazioni: tra soluzione di vecchi problemi e nascita di nuove questioni, in www.giustiziaamministrativa.it .

[5] Corte di Cassazione sez. I 12/5/2015 n. 9636.

[6] Corte di giustizia Comunità Europea del 15/12/2015, C-148/2004; v. anche Caringella F., Manuale di diritto amministrativo, Dike, Roma, 2011.

[7] TAR Lombardia Brescia, sez. II, 17/8/2015 n. 1092

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Questo articolo è stato scritto da...

Francesca Scura
Avv. Francesca Scura
Avvocato amministrativista, esperto in contrattualistica pubblica
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