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L’istituto dell’accesso civico generalizzato è stato introdotto dal d.lgs. 33/2013 al fine di consentire a qualsiasi soggetto, indipendentemente dalla propria qualificazione, l’accesso a dati, documenti e informazioni detenuti dalle pubbliche amministrazioni, ulteriori rispetto a quelli per i quali le amministrazioni sono già tenute a rispettare l’obbligo di pubblicazione ai sensi del d.lgs. 33/2013. L’istituto, ha la peculiarità di non richiedere particolari requisiti per il suo esercizio, al quale sono legittimati tutti i soggetti, indipendentemente da un interesse giuridico da tutelare.

I casi di diniego sono previsti dalla medesima normativa non solo per evitare un pregiudizio concreto alla tutela di uno degli interessi pubblici di cui all’articolo 5, comma 2, ma anche per evitare un pregiudizio concreto alla tutela di interessi privati quali la protezione dei dati personali; la libertà e la segretezza della corrispondenza; gli interessi economici e commerciali di una persona fisica o giuridica, ivi compresi la proprietà intellettuale, il diritto d’autore e i segreti commerciali.

Tuttavia tale diritto, è escluso nei casi in cui si debbano tutelare segreti di Stato e negli altri casi di divieti di accesso o divulgazione previsti dalla legge, ivi compresi i casi in cui l’accesso è subordinato dalla disciplina vigente al rispetto di specifiche condizioni, modalità o limiti, inclusi quelli di cui all’articolo 24, comma 1, della legge n. 241 del 1990.

Sull’argomento il Tar Emilia Romagna – Parma, sez. I, con sentenza del 18 luglio 2018, n. 197, ha ritenuto opportuno precisare che il diritto di accesso civico generalizzato incontri il suo limite di applicazione nelle procedure ad evidenza pubblica. Nel caso in particolare, l’oggetto della richiesta riguardava la documentazione di gara nel suo complesso, compreso il contratto stipulato e ulteriori atti attinenti la fase esecutiva dell’affidamento. Di fronte a tale richiesta l’amministrazione ha negato l’accesso agli atti richiesti in quanto rientranti nella casistica di cui al comma 3 dell’art. 5-bis del D.Lgs. 33/2013.

Nella ricostruzione effettuata dal Tribunale, l’oggetto della richiesta rientrerebbe tra i casi di disapplicazione dell’istituto oggetto di contestazione, infatti, gli atti contemplati dalla disciplina contenuta nell’art. 53 del d.lgs. n. 50/2016 devono ritenersi rientranti in un caso di esclusione della disciplina dell’accesso civico ai sensi del comma 3 dell’art. 5-bis su richiamato. “Si tratta  dei  cosiddetti casi di “esclusione assoluta”, nei quali cioè l’amministrazione che detiene i documenti richiesti non conserva alcuna possibilità di comparazione discrezionale degli interessi coinvolti.”

Secondo il Tar Emiliano non è dunque da ritenersi infondata né illegittimamente motivata la tesi esposta dall’amministrazione che ha negato la richiesta di accesso agli atti, suffragando la propria scelta ritenendo il caso di specie rientrante in un caso di esclusione assoluta dall’esercizio di tale diritto.

Alla stessa conclusione sembra essere pervenuto anche il Tar Lazio – Roma con sentenza n. 425/19, secondo il quale, infatti, ai sensi dell’articolo 5-bis, comma 3, del D.lgs. n. 33 del 2013 l’accesso civico generalizzato è escluso, anche nei casi «in cui l’accesso è subordinato dalla disciplina vigente al rispetto di specifiche condizioni, modalità o limiti, inclusi quelli di cui all’articolo 24, comma 1, della legge n. 241 del 1990». Ad avviso del Tar Lazio, dunque, il divieto di accesso generalizzato in questo specifico ambito disciplinare sarebbe giustificato in quanto, «il diritto di accesso agli atti delle procedure di affidamento e di esecuzione dei contratti pubblici, ivi comprese le candidature e le offerte, è disciplinato dagli articoli 22 e seguenti della legge 7 agosto 1990, n. 241».

Diversamente invece, il Tar Lombardia, Milano, sez. IV, 11 gennaio 2019, n. 45 ha ritenuto, che il c.d. accesso civico non possa non applicarsi ai procedimenti di appalto delle pubbliche amministrazioni di cui al vigente D.Lgs. 50/2016, non condividendone la causa ostativa nella disciplina ad hoc prevista dalla legge 241/90.

Sulla base delle suddette considerazioni il Tar Lombardia non ha giustificato il diniego dell’amministrazione, fondato sul mero richiamo al già citato comma 2 dell’art. 5 bis, considerato altresì che non avrebbe preventivamente interpellato le due imprese interessate alla domanda di accesso civico, né valutato l’istanza proposta in via subordinata dalla parte istante, volta anche soltanto ad un accesso parziale, vale a dire limitato alle sole parti delle offerte non concretamente coperte da segreto.

In altri termini, la motivazione del diniego è risultata lacunosa laddove si è limitata ad un mero richiamo alla norma preclusiva dell’ostensione, senza fare riferimenti precisi alle circostanze fattuali e giuridiche del caso in particolare che potessero eventualmente impedire l’ostensione degli atti richiesti.

Proprio per tali motivazioni il Tar Lombardia ha ritenuto opportuno onerare l’amministrazione di una nuova valutazione dell’accesso, anche di quello civico, stavolta provvedendo ad interpellare le imprese interessate e anche a prendere in considerazione una successiva valutazione di un rilascio anche parziale, degli atti oggetto di richiesta di accesso, ovviamente tutelando le esigenze di riservatezza ai sensi del comma 2 dell’art. 5 bis sopra citato oppure dell’art. 24 della legge 241/1990.

Ovvio che nel descritto quadro giurisprudenziale, l’applicazione di questo istituto ne esce abbastanza confusa in quanto il tentativo del legislatore di improntare alla trasparenza l’operato delle amministrazioni pubbliche, in particolare in materia di appalti, non deve far ritenere superati i limiti previsti da una disciplina istituita ad hoc in una materia speciale e distinta dalle restanti attività che fanno capo alle Amministrazioni. 

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Avv. Giuseppe Croce
Avvocato specializzato in materia di diritto civile e amministrativo, esperto in materia di appalti pubblici
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