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1. Il potere di autotutela della Pubblica Amministrazione

Al fine di inquadrare al meglio, in modo sistematico, l’esercizio del potere di revoca dell’aggiudicazione nell’ambito delle pubbliche gare, è opportuno svolgere una breve – e non esaustiva – ricognizione delle norme che disciplinano il cosiddetto potere di autotutela della Pubblica Amministrazione.

Il potere di autotutela della Pubblica Amministrazione rientra tra i poteri discrezionali attribuiti a quest’ultima dall’ordinamento, disciplinato dagli articoli 21 ter, 21 quinquies e 21 nonies della legge 241/1990 (legge sul procedimento amministrativo), e consiste nella facoltà riconosciuta in favore della PA di sospendere l’efficacia dei suoi atti o di ritirare un atto da essa stessa emanato (atto valido ed efficace) sia su iniziativa propria che su richiesta del privato interessato che abbia adeguatamente motivato la propria richiesta. Ciò al fine di eliminare dal “mondo giuridico”, in maniera rapida ed efficace, i danni che un atto viziato e pregiudizievole degli interessi, pubblici e privati, sicuramente provocherebbe, senza che il singolo debba per forza ricorrere alla tutela giurisdizionale.

Il potere di autotutela serve ad eliminare dal “mondo giuridico”, in maniera rapida ed efficace, i danni che un atto viziato e pregiudizievole degli interessi, pubblici e privati, sicuramente provocherebbe, senza che il singolo debba per forza ricorrere alla tutela giurisdizionale

Accanto a quella appena descritta, qualificata in dottrina quale autotutela “decisoria”, si affianca la cosiddetta autotutela esecutiva, posta in essere al fine di mantenere in vita atti amministrativi ormai scaduti o confermare altri atti altrimenti inefficaci (c.d. “conservazione” e “convalescenza” degli atti amministrativi).

In entrambe le ipotesi, pertanto, ci si trova dinanzi all’esercizio di un potere discrezionale della PA chiamata a valutare il requisito dell’attualità dell’interesse pubblico alla rimozione degli effetti del provvedimento originario. Soltanto che, nel primo caso il presupposto deve ravvisarsi nell’illegittimità originaria dell’atto in relazione al decorso del tempo; mentre nel caso della revoca, viene in rilievo la possibilità per la PA di procedere ad una modificazione di un rapporto precedentemente creato attraverso l’emanazione di un provvedimento amministrativo. Inoltre, mentre l’annullamento “guarda al passato”, nel senso che costituisce un rimedio volto alla rimozione di un errore commesso nell’esercizio della funzione di primo grado e, quindi, opera in una logica essenzialmente correttiva dell’azione pubblica; la revoca assume una funzione più propriamente adeguatrice, intesa in termini di attualizzazione delle modalità di perseguimento dell’interesse pubblico specifico di cui occorre seguire la costante dinamica evolutiva.

Il fatto che la legge qualifichi tale potere come una facoltà implica di conseguenza che, in caso di silenzio serbato dalla Pubblica Amministrazione a seguito di proposta di ritiro di un atto amministrativo inoltrata dal privato, quest’ultimo non possa promuovere azione avverso il silenzio ex art. 2 legge sopra citata, mentre potrà al contrario essere impugnato dagli interessati il provvedimento che disponga il ritiro dell’atto in via di autotutela.

Soggetto attivo titolare di tale potere è la stessa Pubblica Amministrazione che ha provveduto ad emanare l’atto. I provvedimenti adottati in via di autotutela sono recettizi, ossia è necessario portare gli stessi a conoscenza dei privati interessati affinché possano espletare piena efficacia.

La giurisprudenza consolidatasi negli anni (cfr., ex multis, Cons. di Stato, n. 6507 del 18 Dicembre 2012) ha tuttavia stabilito che il potere di autotutela debba essere esercitato in presenza di determinati presupposti, ed in particolare Stabilisce il Supremo Consiglio che, al fine della sua attivazione, debbano sussistere “gravi ragioni, cioè circostanze tali da rendere quanto meno inopportuno che un provvedimento emanato, non inficiato da vizi macroscopici o facilmente riconoscibili, continui a svolgere i propri effetti per evitare che questi possano definitivamente alterare e compromettere il substrato fattuale sul quale incide“.

L’impiego del termine “gravi motivi” implica inoltre il riferimento ad altri fondamentali principi del nostro ordinamento regolanti l’azione amministrativa, ed in particolare quelli di adeguatezza e proporzionalità. Un atto è adeguato se idoneo al perseguimento del pubblico interesse; è proporzionale se, raggiungendo lo scopo, imponga il minor sacrificio possibile nei confronti del privato.

2. Indennizzo e risarcimento del danno

Premesso quanto precede, la revoca dell’aggiudicazione è un provvedimento unilaterale adottato dalla Stazione Appaltante dopo l’aggiudicazione della gara, ma prima della stipula del contratto d’appalto. Una volta stipulato il contratto d’appalto i provvedimenti che hanno l’effetto di farne cessare l’efficacia sono infatti il recesso o risoluzione anticipata.

La revoca dei provvedimenti amministrativi è disciplinata, come abbiamo appena visto, dall’art.21-quinquies della legge n. 241 del 1990 (e introdotta dall’art.14 della legge n.15 del 2005), e si configura come uno strumento di autotutela per la Stazione Appaltante finalizzato alla rimozione, con efficacia ex nunc, ossia non retroattiva, di un atto ad efficacia durevole, in esito a una nuova e diversa valutazione dell’interesse pubblico alla conservazione della sua efficacia.

In concreto la revoca dell’aggiudicazione ha l’effetto di annullare la validità di una proposta di aggiudicazione o di un’aggiudicazione efficace.

La revoca dei provvedimenti amministrativi è disciplinata dall’art.21-quinquies della legge n. 241 del 1990 (e introdotta dall’art.14 della legge n.15 del 2005), e si configura come uno strumento di autotutela per la Stazione Appaltante finalizzato alla rimozione, con efficacia ex nunc, ossia non retroattiva, di un atto ad efficacia durevole, in esito a una nuova e diversa valutazione dell’interesse pubblico alla conservazione della sua efficacia.  

I presupposti del valido esercizio del provvedimento di revoca sono definiti dall’art. 21-quinquies (come modificato dall’art. 25, comma 1, lett. b-ter, d.l. n. 133 del 2014) e consistono nella sopravvenienza di motivi di interesse pubblico, nel mutamento della situazione di fatto e in una rinnovata e diversa valutazione dell’interesse pubblico originario.

Nel caso di revoca dell’aggiudicazione legittima i soggetti direttamente interessati possono presentare domanda di indennizzo per revoca dell’atto di aggiudicazione. Pertanto l’operatore economico che avrà subito gli effetti pregiudizievoli di una revoca dell’aggiudicazione ha diritto ad un indennizzo da parte della Stazione Appaltante.

Nel caso in cui il provvedimento di revoca dell’aggiudicazione sia illegittimo, ovvero sia stata disposta senza l’esistenza dei necessari presupposti, l’operatore economico direttamente interessato potrà presentare, in aggiunta alla domanda di indennizzo, anche una richiesta di risarcimento.

Sia con riferimento alla domanda di indennizzo per revoca dell’aggiudicazione sia con riguardo alla pretesa di risarcimento del danno, la giurisdizione esclusiva è del giudice amministrativo. Con riferimento in particolare al danno oggetto di indennizzo, si evidenzia in primo luogo che quando la revoca di un atto amministrativo ad efficacia durevole o istantanea incide su rapporti negoziali, l’indennizzo liquidato dall’amministrazione agli interessati è parametrato al solo “danno emergente” e non anche al c.d. “danno da perdita di chance”, come previsto dal comma 1-bis del sopra richiamato articolo 21-quinquies.

Il Consiglio di Stato (cfr. sentenza del 17 marzo 2010 n. 1554) ha stabilito però che l’indennizzo non è dovuto qualora il ritiro dell’atto sia dovuto esclusivamente ad un errore materiale ovvero ad un colpevole comportamento del privato né è dovuto qualora non sopraggiunga l’aggiudicazione definitiva del contratto pubblico a seguito dell’aggiudicazione provvisoria. Precisa altresì che la mancata previsione dell’indennizzo in sede di adozione dell’atto di revoca non vizia il provvedimento.

Se ne trae, dunque, che l’indennizzo debba essere limitato alle spese inutilmente sopportate per partecipare alla gara dall’operatore economico che ha subito la revoca. Ciò in ragione del fatto che si tratta di un rimedio posto a protezione di interessi lesi da atti pur sempre legittimi e pertanto con esso non si può pretendere di ristorare tutte le conseguenze patrimoniali negative patite dai destinatari. L’indennizzo è, per così dire, un istituto di giustizia distributiva, che impone una condivisione sul piano economico delle conseguenze negative di carattere patrimoniale, secondo un bilanciamento rimesso all’equo componimento delle parti interessate o, in caso di disaccordo, al giudice amministrativo.

In sintesi con riferimento agli elementi essenziali dell’indennizzo, al concorrente che ne fa istanza vanno risarcite tutte le spese sostenute per la partecipazione alla gara. Tra queste rientrano, in particolare, le spese sostenute per la retribuzione del personale dipendente all’interno della società e le spese generali per il funzionamento della struttura aziendale. Tale danno, impossibile da determinare nel preciso ammontare, può essere stabilito in via forfettaria ed equitativa dal Giudice amministrativo, in misura percentuale rispetto alle spese sostenute dal concorrente per i “costi vivi” affrontati per la predisposizione dell’offerta e la partecipazione alla gara.

3. I poteri di autotutela del Responsabile Unico del Procedimento e della Commissione di gara

Altro interessante spunto di riflessione in soggetta materia nasce dalla necessità di individuare a quale tra gli organi della stazione appaltante sia attribuito dall’ordinamento il potere di disporre la revoca dell’aggiudicazione. Se debba cioè essere attribuita al RUP, quale organo cui è attribuito il potere/dovere di garantire la regolarità della procedura di gara e del relativo procedimento, ovvero alla Commissione, quale organo cui è attribuito il potere discrezionale valutativo sull’ammissione e sulla valutazione delle offerte presentate dai concorrenti in gara.

Sappiamo bene che nel nostro ordinamento vige, in linea generale, il principio del contrarius actus, per cui soltanto l’organo che ha emanato l’atto può legittimamente adottare un provvedimento di autotutela al fine di annullare o revocare l’atto medesimo.

Per cui, in linea di principio, la revoca dell’aggiudicazione dovrebbe spettare al RUP. Accade tuttavia che tale potere debba essere attribuito alla Commissione se la revoca è dovuta all’illegittima ammissione o esclusione di un concorrente dalla gara:  infatti, il giudizio di ammissibilità è, nella fisiologia del procedimento di gara, demandato alla Commissione, che deve accertare il possesso del requisito e attribuire il relativo punteggio.

Questo è quanto rilevato dalla giurisprudenza (cfr. TAR Lombardia – Tar Brescia, sez. II, 25 settembre 2018, n. 906), secondo cui l principio del contrarius actus non è sufficiente a definire il soggetto competente sulla revoca.

Il potere di revoca dell’aggiudicazione deve essere attribuito alla Commissione se la revoca è dovuta all’illegittima ammissione o esclusione di un concorrente dalla gara: infatti, il giudizio di ammissibilità è, nella fisiologia del procedimento di gara, demandato alla Commissione, che deve accertare il possesso del requisito e attribuire il relativo punteggio.

Se, come detto, è principio generale che la revoca del provvedimento spetta allo stesso soggetto che ha adottato l’atto di primo grado, nel caso di aggiudicazione in gara, colui che può procedere al ritiro degli atti è la stesso soggetto che ha disposto l’aggiudicazione (nel caso davanti al TAR Brescia, al dirigente – RUP), ma ciò può accadere se il vizio dell’atto di primo grado sia imputabile alla sfera di competenza dello stesso, mentre, in caso contrario, ciò presuppone la rimessione della verifica della legittimità della fase viziata all’organo competente al suo espletamento (quindi, in questo caso, alla commissione).

Se, infatti, il giudizio è, nella fisiologia del procedimento di gara, demandato alla Commissione, che deve accertare il possesso del requisito e attribuire il relativo punteggio, il contrarius actus non può che essere demandato alla Commissione stessa, che deve procedere al rinnovo della valutazione.

Diversamente opinando, quel giudizio che ha condotto a ritenere ammissibile l’offerta da parte della Commissione tecnica, a tal fine appositamente costituita, finirebbe per essere sostituito da un giudizio personale del RUP, che avrebbe così superato la discrezionalità tecnica esercitata dalla Commissione

Non può negarsi, conclude la sentenza, il potere della Commissione di gara di riesaminare, nell’esercizio del potere di autotutela, il procedimento di gara già espletato, riaprendolo per emendarlo da errori commessi o da illegittimità verificatesi, in relazione all’eventuale illegittima ammissione o esclusione dalla gara di un’impresa concorrente (Consiglio di Stato, sez. III, 11/01/2018 n. 136).

Spetta alla commissione e non al responsabile unico del procedimento l’ onere di riesaminare, nell’ esercizio del potere di autotutela, il procedimento di gara già espletato, riaprendolo per emendarlo da illegittimità o errori riguardanti l’ ammissione o l’ esclusione dalla gara di un’ impresa concorrente.

4. La revoca dell’aggiudicazione: profili critici

Abbiamo dunque sin qui visto come la revoca dell’aggiudicazione della gara si configuri quale strumento di autotutela decisoria preordinato alla rimozione, con efficacia ex nunc  -quindi non retroattiva – di un atto ad efficacia durevole, in esito a una nuova (e diversa) valutazione dell’interesse pubblico alla conservazione della sua efficacia.

I presupposti del valido esercizio dello ius poenitendi sono definiti dall’art. 21-quinquies (per come modificato dall’art. 25, comma 1, lett. b-ter, d.l. n. 133 del 2014) e consistono nella sopravvenienza di motivi di interesse pubblico, nel mutamento della situazione di fatto (imprevedibile al momento dell’adozione del provvedimento) e in una rinnovata (e diversa) valutazione dell’interesse pubblico originario (tranne che per i provvedimenti autorizzatori o attributivi di vantaggi economici).

Ora, ancorché la novella del 2014 abbia inteso circoscrivere e parzialmente limitare l’utilizzo di tale strumento accrescendo la tutela del privato da un arbitrario e sproporzionato esercizio del potere di autotutela in questione (per mezzo dell’esclusione dei titoli abilitativi o attributivi di vantaggi economici dal catalogo di quelli revocabili in esito a una rinnovata valutazione dell’interesse pubblico originario), il potere di revoca resta tuttavia connotato da un’ampia discrezionalità (cfr. ex multis Cons. di Stato, sez. III, 6 maggio 2014, n.2311)

A differenza del potere di annullamento d’ufficio, che presuppone l’illegittimità dell’atto annullato, quello di revoca presuppone unicamente una valutazione di opportunità, seppur limitata alle condizioni legittimanti declinate all’art. 21-quinquies della legge 241/90.

L’aspetto critico dell’esercizio del potere di revoca dell’aggiudicazione, dunque risiede nel rischio che vengano lesi il principio del legittimo affidamento ingenerato nel privato danneggiato dalla revoca, l’interesse pubblico alla certezza dei rapporti giuridici costituiti dall’atto originario, nonché, più in generale, alla stabilità dei provvedimenti amministrativi.

Per quanto concerne gli appalti pubblici, va ricordato che l’istituto della revoca dell’aggiudicazione non è utilizzabile dopo la stipula del contratto d’appalto, dovendo utilizzarsi, in quella fase, il diverso strumento del recesso (v. Adunanza Plenaria del Cons. di Stato, decisione del 29 giugno 2014, n.14), mentre prima del perfezionamento del contratto, al contrario, l’aggiudicazione è pacificamente revocabile (cfr. ex multis Cons. St., sez. III, 13 aprile 2011, n.2291).

Così riconosciuta, in astratto, la revocabilità dell’aggiudicazione – ovviamente prima della stipulazione del contratto – bisogna considerare che l’ambito degli appalti pubblici è del tutto peculiare rispetto ad altri settori del nostro ordinamento, e necessita senza dubbio di definire le condizioni del valido esercizio della potestà di autotutela in questione secondo parametri ancora più stringenti.

A fronte, infatti, della nota strutturazione procedimentale della scelta del contraente, la definizione regolare della procedura mediante la selezione di un’offerta (giudicata migliore) conforme alle esigenze della stazione appaltante (per come cristallizzate nella lex specialis) consolida in capo all’impresa aggiudicataria una posizione particolarmente qualificata ed impone, quindi, alla Stazione appaltante, nell’esercizio del potere di revoca, l’onere di una ponderazione particolarmente rigorosa di tutti gli interessi coinvolti.

La revoca di un’aggiudicazione legittima dovrebbe essere giustificato dalla sussistenza di ragioni di interesse pubblico (o una rinnovata valutazione di quelle originarie) particolarmente salienti e preminenti sulle esigenze di tutela del legittimo affidamento ingenerato nell’impresa che ha regolarmente partecipato alla gara, rispettandone le regole e organizzandosi in modo da risultarne vincitrice, e richiede, quindi, una motivazione particolarmente convincente circa i contenuti e l’esito della necessaria valutazione comparativa dei predetti interessi (cfr. Cons. di Stato, sez. V, 19 maggio 2016, n. 2095).

La revoca di un’aggiudicazione legittima dovrebbe essere giustificata dalla sussistenza di ragioni di interesse pubblico (o una rinnovata valutazione di quelle originarie) particolarmente salienti e preminenti sulle esigenze di tutela del legittimo affidamento ingenerato nell’impresa che ha regolarmente partecipato alla gara, rispettandone le regole e organizzandosi in modo da risultarne vincitrice, e richiede, quindi, una motivazione particolarmente convincente circa i contenuti e l’esito della necessaria valutazione comparativa dei predetti interessi (cfr. Cons. di Stato, sez. V, 19 maggio 2016, n. 2095).  

Ciò detto, i canoni di condotta appena precisati restano validi anche per le procedure di aggiudicazione soggette alla disciplina del d.lgs. n. 50/2016, nella misura in cui il paradigma legale di riferimento resta, anche per queste ultime, l’art. 21-quinquies l. n. 241 del 1990, e non anche la disciplina speciale dei contratti, che si occupa, infatti, di regolare il recesso e la risoluzione del contratto, e non anche la revoca dell’aggiudicazione degli appalti.

Così precisate le coordinate valutative alla cui stregua deve essere formulato il giudizio di legittimità della revoca controversa, occorre, ancora, chiarire che, quando si appunta sulle caratteristiche dell’oggetto dell’appalto, il ripensamento dell’Amministrazione, per legittimare il provvedimento di ritiro dell’aggiudicazione, deve fondarsi sulla sicura verifica dell’inidoneità della prestazione descritta nella lex specialis a soddisfare le esigenze contrattuali che hanno determinato l’avvio della procedura.

Le Stazioni appaltanti, infatti, dovrebbero preliminarmente verificare le proprie esigenze per poi definire, coerentemente con gli esiti dell’anzidetta analisi, gli elementi essenziali del contratto e, solo successivamente, indire una procedura di affidamento avente ad oggetto la prestazione già individuata come necessaria (cfr. Cons. di Stato, sez V, 11 maggio 2009, n.2882).

5. I presupposti necessari per disporre la revoca dell’aggiudicazione: le ultime dalla giurisprudenza

Sembrerebbe chiaro, dunque, in applicazione dei suddetti principi, che l’aggiudicazione della gara a un’impresa che ha diligentemente confezionato la sua offerta in conformità alle prescrizioni della lex specialis potrebbe essere validamente revocata in ipotesi eccezionali di fatti sopravvenuti o di una rinnovata valutazione che abbia rivelato l’assoluta inidoneità della prestazione inizialmente richiesta dalla stessa Stazione appaltante a soddisfare le esigenze per le quali si era determinata a contrarre.

Al contrario, non può in alcun modo giudicarsi idoneo a giustificare la revoca un ripensamento circa il grado di satisfattività della prestazione messa a gara.

Una recente sentenza del Consiglio di Giustizia Amministrativa della Regione Siciliana (CGA – Sezione Giurisdizionale, 21 ottobre 2019, n. 917) ha analizzato e compendiato gli aspetti che abbiamo sin qui analizzato, tracciando dei confini piuttosto netti al fine di limitare il ricorso alla procedura di revoca dell’aggiudicazione da parte delle Stazioni appaltanti.

Il CGA si è soffermato sull’esegesi dell’art. 21-quinquies della l. n. 241 del 1990 (come modificato dall’art. 25, comma 1, lett. b-ter, d.l. n. 133 del 2014) in tema di revoca degli atti amministrativi, ritenendo che: a) la revisione dell’assetto di interessi recato dall’atto originario dev’essere preceduta da un confronto procedimentale con il destinatario dell’atto che si intende revocare; b) non è sufficiente, per legittimare la revoca, un ripensamento tardivo e generico circa la convenienza dell’emanazione dell’atto originario; c) le ragioni addotte a sostegno della revoca devono rivelare la consistenza e l’intensità dell’interesse pubblico che si intende perseguire con il ritiro dell’atto originario; d) la motivazione della revoca dev’essere profonda e convincente, nell’esplicitare, non solo i contenuti della nuova valutazione dell’interesse pubblico, ma anche la sua prevalenza su quello del privato che aveva ricevuto vantaggi dal provvedimento originario a lui favorevole.

Riprendendo le argomentazioni della sentenza già qui citata al paragrafo che precede (cfr. Cons. di Stato, sez. V, 19 maggio 2016, n. 2095), il CGA ha ribadito come il ritiro dell’atto di aggiudicazione legittima postula la sopravvenienza di ragioni di interesse pubblico (o una rinnovata valutazione di quelle originarie) particolarmente consistenti e preminenti sulle esigenze di tutela del legittimo affidamento ingenerato nell’impresa che ha diligentemente partecipato alla gara, rispettandone le regole e organizzandosi in modo da vincerla, ed esige, quindi, una motivazione particolarmente convincente circa i contenuti e l’esito della necessaria valutazione comparativa dei predetti interessi.

Ha aggiunto la sentenza in commento che, secondo la giurisprudenza, “se si ammettesse, infatti, la revocabilità delle aggiudicazioni sulla sola base di un differente e sopravvenuto apprezzamento della misura dell’efficacia dell’obbligazione dedotta a base della procedura, si finirebbe, inammissibilmente, per consentire l’indebita alterazione delle regole di imparzialità e di trasparenza che devono presidiare la corretta amministrazione delle procedure di aggiudicazione degli appalti pubblici, con inaccettabile sacrificio dell’affidamento ingenerato nelle imprese concorrenti circa la serietà e la stabilità della gara, ma anche con un rischio concreto di inquinamento e di sviamento dell’operato delle stazioni appaltanti

Il CGA si è soffermato sull’esegesi dell’art. 21-quinquies della l. n. 241 del 1990 (come modificato dall’art. 25, comma 1, lett. b-ter, d.l. n. 133 del 2014) in tema di revoca degli atti amministrativi, ritenendo che: a) la revisione dell’assetto di interessi recato dall’atto originario dev’essere preceduta da un confronto procedimentale con il destinatario dell’atto che si intende revocare; b) non è sufficiente, per legittimare la revoca, un ripensamento tardivo e generico circa la convenienza dell’emanazione dell’atto originario; c) le ragioni addotte a sostegno della revoca devono rivelare la consistenza e l’intensità dell’interesse pubblico che si intende perseguire con il ritiro dell’atto originario; d) la motivazione della revoca dev’essere profonda e convincente, nell’esplicitare, non solo i contenuti della nuova valutazione dell’interesse pubblico, ma anche la sua prevalenza su quello del privato che aveva ricevuto vantaggi dal provvedimento originario a lui favorevole.

In applicazione del principio nella specie è stata ritenuta illegittima la revoca dell’aggiudicazione, tenuto conto, tra l’altro, del fatto che:

– l’Amministrazione ha adottato il provvedimento di revoca a distanza di oltre due anni dall’avvenuta aggiudicazione, dopo aver deliberatamente ritardato la consegna dei lavori e l’avvio dell’esecuzione dell’appalto; e solamente dopo aver conosciuto l’esito del giudizio promosso avverso l’aggiudicazione;

– il provvedimento di revoca è stato adottato senza che l’Amministrazione abbia previamente esperito tutti i necessari passaggi procedimentali; ed in particolare: in mancanza di un formale atto di indirizzo politico (proveniente dalla competente Giunta regionale); in mancanza del necessario “accordo di programma/quadro” avente ad oggetto un nuovo progetto volto alla realizzazione di un unico bacino di carenaggio da ottantamila tonnellate in luogo dei due precedentemente progettati e messi a gara.

Nella specie emergeva che la revoca di una definitiva aggiudicazione relativa ad un appalto per la realizzazione di due importanti opere pubbliche, implicante una spesa (da ritenere ormai impegnata) superiore ai quaranta milioni di euro, è sorprendentemente avvenuta sulla scorta di tre atti – trattasi di tre note sottoscritte dal solo Assessore al ramo, senza alcun intervento della Giunta regionale.

6. Considerazioni finali

Per quanto analizzato sin qui, alla luce del contenuto dell’autorevole giurisprudenza citata, non v’è dubbio che il potere di autotutela – ed in particolare quello di revoca – costituisca una importante risorsa del nostro ordinamento, ma che tuttavia attribuisca alla Pubblica Amministrazione un notevole margine discrezionale che rischia, a volte, di imporre un eccessivo sacrificio agli interessi privati ed al legittimo affidamento che questi ripongono sui provvedimenti emanati ed al loro favorevoli.

Non è un caso se, come abbiamo visto, il legislatore sia intervenuto con la novella del 2014 (d.l. 133/2014) al fine di porre dei limiti ben precisi all’esercizio del potere di revoca, proprio al fine di apprestare la massima tutela possibile agli interessi dei privati e, in ogni caso, garantirne un equo bilanciamento rispetto a quelli pubblici.

Ciò, evidentemente, non è risultato sufficiente per l’ambito delle pubbliche gare d’appalto, in cui l’ordinamento impone all’Amministrazione di effettuare tutte le valutazioni di opportunità e di convenienza economica addirittura ben prima che la gara possa essere bandita. In tal senso, dunque, è servito un corposo intervento della giurisprudenza al fine di tracciare ulteriori limiti al ricorso al potere di revoca in soggetta materia, onde evitare che gli eventuali “ripensamenti” delle Stazioni appalti possano essere basati su delle mere suggestioni legate alla convenienza o alla satisfattività della prestazione contrattuale da aggiudicare tramite la commessa pubblica, obbligando la Stazione appaltante ad una valutazione attenta e bilanciata tra interessi pubblici e privati che, sostanzialmente – secondo la giurisprudenza qui citata – vanno ad essere qualificati quali interessi di pari rango, al fine di garantire il rispetto dei principi costituzionali di imparzialità e buon andamento tutelati dall’art. 97 della Costituzione.

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Questo articolo è stato scritto da...

Avv. Riccardo Gai
Esperto in materia di appalti pubblici
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