Temi:
Sending
Questo articolo è valutato
0 (0 votes)

1. Premessa

Come è noto, il nuovo Codice dei contratti attribuisce all’Autorità Anticorruzione un ruolo centrale nel sistema degli appalti pubblici, sia per le funzioni di vigilanza ad essa attribuite sulla corretta applicazione del Codice medesimo sia per le sue inedite funzioni para-normative, da esplicarsi mediante l’adozione degli atti di soft law che tengono luogo dei vecchi atti normativi secondari di esecuzione del Codice.

Nell’ambito dei poteri di vigilanza, assume particolare rilievo il potere di raccomandazione che l’ANAC può esercitare nei confronti delle stazioni appaltanti. Tale potere è stato al centro della recente vicenda dell’abrogazione “a sorpresa”, in sede di decreto correttivo, della norma che lo prevedeva, poi ripristinata in tutta fretta pur se con contenuti differenti.

Procediamo con ordine. Il potere di raccomandazione in capo all’ANAC trova fondamento innanzitutto nella legge delega n. 11 del 2016: l’art. 1, comma 1, lett. t) dispone infatti di attribuirle, tra l’altro, <<più ampie funzioni di promozione dell’efficienza (…), di vigilanza nel settore degli appalti pubblici e dei contratti di concessione, comprendenti anche poteri di controllo, raccomandazione, intervento cautelare, di deterrenza e sanzionatorio>>.

Nel Codice, tale delega trova applicazione, in particolare, negli artt. 211 e seguenti, che disciplinano le funzioni   di rilascio di pareri di precontenzioso e di raccomandazione. Prima delle modifiche apportate dal decreto correttivo, di cui parleremo diffusamente più avanti, nell’art. 211, al comma 2, era disciplinato il c.d. potere di raccomandazione vincolante – in verità, infelicemente collocato all’interno di una disposizione rubricata <<pareri di precontenzioso dell’ANAC>>. L’art. 213 invece contiene la declaratoria generale delle funzioni di vigilanza e controllo dell’Autorità nel settore degli appalti e ad esso viene ricondotta la previsione del potere di raccomandazione non vincolante.

Tale distinzione è espressamente contemplata nel Regolamento che l’ANAC stessa si è data, con Atto del 15 febbraio 2017, che disciplina i casi, le modalità e il procedimento per l’esercizio dell’attività di vigilanza ed, in particolare, per quanto qui ci interessa, del potere di adottare raccomandazioni.

Tuttavia, la genesi della norma che contempla il potere di raccomandazione non è stata scevra da contestazioni. Il Consiglio di Stato, in particolare, con due successivi pareri – il primo, il n. 855 del 2016, espresso sullo schema di Codice ed il secondo, il n. 2777 del 2016, sullo schema di regolamento ANAC sull’esercizio del potere di vigilanza – aveva messo chiaramente in rilievo molteplici aspetti critici e di dubbia legittimità della disposizione già prima che la medesima entrasse in vigore all’interno del Codice. 

Il correttivo, infine, andando ben oltre i suggerimenti del Consiglio di Stato, ha abrogato tout court il comma 2 dell’art. 211, scatenando le ire dell’Autorità anticorruzione, tanto da costringere il Governo a correre ai ripari re-intervenendo, con la “Manovrina” estiva, sul testo normativo e ripristinando il potere di raccomandazione pur se con contenuti più blandi, come vedremo meglio nel seguito della trattazione.  

Il potere di raccomandazione vincolante conferito all’Autorità Anticorruzione dall’art. 211 del Codice è stato oggetto di valutazioni critiche da parte del Consiglio di Stato. Lo stesso è stato poi inaspettatamente abrogato dal Correttivo al Codice e, subito dopo, ripristinato con contenuti più blandi.

2. Il potere di raccomandazione vincolante nella versione originaria del Codice dei contratti

Come detto, la norma che ha introdotto il potere di raccomandazione vincolante dell’ANAC, ovvero il comma 2 dell’art. 211, ha subito una gestazione piuttosto travagliata.

La prima versione della stessa, contenuta nello Schema di Codice, contemplava anche un potere sospensivo che poi è scomparso nella versione definitiva entrata in vigore ad aprile 2016.

La prima versione del comma 2 in esame era infatti la seguente: <<Qualora l’Autorità, nell’esercizio delle proprie funzioni, accerti violazioni che determinerebbero l’annullabilità d’ufficio di uno dei provvedimenti ricompresi nella procedura ai sensi degli articoli 21-opties e 21-nonies della legge 7 agosto 1990, n. 241, invita mediante atto di raccomandazione la stazione appaltante ad agire in autotutela e a rimuovere gli effetti degli atti illegittimi, entro un termine non superiore a sessanta giorni. La raccomandazione ha effetto sospensivo sul procedimento di gara in corso per il medesimo termine di sessanta giorni, qualora dal provvedimento possa derivare danno grave. Il mancato adeguamento della stazione appaltante alla raccomandazione vincolante dell’Autorità entro il termine fissato è punito con la sanzione amministrativa pecuniaria entro il limite minimo di euro 250,00 e il limite massimo di euro 25.000,00, posta a carico del dirigente responsabile. La sanzione incide altresì sul sistema reputazionale delle stazioni appaltanti (…)>>.

Inizialmente, dunque voleva attribuirsi all’ANAC un potere di “intromettersi” nelle procedure avviate dalle stazioni appaltanti fortemente pervasivo ma di indubbia efficacia, visto anche che non era prevista, almeno espressamente, la possibilità di impugnare l’atto sospensivo. Sicuramente, la locuzione “qualora dal provvedimento possa derivare danno grave” sarebbe stata foriera di dubbi interpretativi: ci sarebbe stato infatti da chiedersi quando un atto illegittimo che infici una procedura di gara possa ritenersi non grave.

In ogni caso, tale versione non è stata confermata in sede di approvazione del Codice. Il riferimento al potere sospensivo dell’ANAC è infatti sparito ed è invece, opportunamente, comparsa la previsione dell’impugnabilità dell’atto di raccomandazione vincolante dinanzi al TAR.

Come già accennato in premessa, il Consiglio di Stato aveva comunque espresso forti perplessità sull’essenza stessa dell’istituto della raccomandazione vincolante, così come formulato nello Schema del Codice[1]. Secondo il Supremo Collegio, la norma presentava significative criticità, in primo luogo, <<sul piano della compatibilità con il sistema delle autonomie, in quanto introduce un potere di sospensione immediata (poi eliminato nella versione definitiva del Codice, ndr) e uno di annullamento mascherato che esorbitano dai meccanismi collaborativi ammessi dalla Consulta (…)>> e, in secondo luogo, <<sul crinale della ragionevolezza e della presunzione di legittimità degli atti amministrativi, in quanto la sanzione colpisce il rifiuto di autotutela, ossia un provvedimento amministrativo di cui è da presumere la legittimità fino a prova contraria. Si crea in questo modo una sorta di responsabilità da atto legittimo. E’ da preferire allora una riformulazione in chiave di controllo collaborativo (…)>>.

In altri termini, il Consiglio di Stato contestava l’eccessiva incisività dell’intervento dell’ANAC all’interno dei procedimenti di gara, ponendo in dubbio la sua compatibilità con il riparto delle competenze stabilite dall’ordinamento. L’ANAC, esercitando un potere che è di fatto di annullamento, avrebbe assunto il medesimo ruolo dell’organo che ha adottato l’atto ovvero del giudice amministrativo. Compatibile con l’assetto delle competenze dettato dalla Costituzione sarebbe stata invece una legittimazione processuale dell’ANAC, nel senso di attribuirle quel ruolo di controllo collaborativo sfociante anche nel potere di impugnare gli atti oggetto di contestazione direttamente dinanzi al TAR, sulla falsariga di quanto riconosciuto all’Autorità garante della concorrenza e del mercato, su cui si era appunto pronunciata la Consulta, come ricordato dal Consiglio di Stato proprio nel parere citato.

In secondo luogo, ciò che non ha convinto il Supremo Collegio è il tipo di responsabilità che pareva profilarsi in questo inedito istituto: l’ANAC si sarebbe trovata a poter contestare di sua iniziativa – anzi, a “dover accertare violazioni”, pur non avendone la competenza conferita né dalla legge delega né dall’ordinamento nel suo complesso – l’illegittimità di provvedimenti di una procedura di affidamento che, a suo avviso, fossero risultati viziati a tal punto da essere annullabili d’ufficio, ma senza che tale accertamento della presenza di vizi di tal fatta fosse operata dall’organo competente, cioè lo stesso organo che avesse adottato l’atto ovvero altro organo competente per legge, oppure dal giudice amministrativo. Ci si sarebbe trovati dinanzi all’obbligo per la stazione appaltante, pena l’irrogazione della sanzione, di dover annullare un atto formalmente legittimo perché nessun organo a ciò deputato ne aveva accertato l’illegittimità.

Il Consiglio di Stato, nel suggerire una riformulazione dell’istituto in chiave collaborativa, consigliava altresì di limitare l’operatività della raccomandazione vincolante, e quindi l’intervento diretto dell’ANAC all’interno di una procedura di gara, solo ai casi di vizi afferenti agli atti più importanti, quali i bandi e gli altri atti generali, ovvero a qualsivoglia atto di gara ma limitatamente agli appalti di particolare rilevanza.

In sede di approvazione del testo definitivo del Codice, il contenuto dell’art. 211, comma 2 è stato parzialmente modificato per smussare alcune imprecisioni linguistiche, quali appunto il riferimento ad un non meglio chiarito potere di “accertamento delle violazioni”, e per accogliere, pur se solo parzialmente, le obiezioni sollevate dal Consiglio di Stato.

Il testo definitivamente approvato è stato il seguente: <<Qualora l’ANAC, nell’esercizio delle proprie funzioni, ritenga sussistente un vizio di legittimità in uno degli atti della procedura di gara invita mediante atto di raccomandazione la stazione appaltante ad agire in autotutela e a rimuovere altresì gli eventuali effetti degli atti illegittimi, entro un termine non superiore a sessanta giorni. Il mancato adeguamento della stazione appaltante alla raccomandazione vincolante dell’Autorità entro il termine fissato è punito con la sanzione amministrativa pecuniaria entro il limite minimo di euro 250 e il limite massimo di euro 25.000, posta a carico del dirigente responsabile. La sanzione incide altresì sul sistema reputazionale delle stazioni appaltanti, di cui all’articolo 36 del presente codice. La raccomandazione è impugnabile innanzi ai competenti organi della giustizia amministrativa ai sensi dell’articolo 120 del codice del processo amministrativo>>.

Come già accennato sopra, il potere sospensivo è venuto meno ed è stata prevista espressamente l’impugnabilità della raccomandazione vincolante dinanzi al giudice amministrativo.

Il Consiglio di Stato, in sede di parere rilasciato sullo schema di Codice, aveva posto in dubbio la compatibilità della norma sulla raccomandazione vincolante con i principi di ragionevolezza e di presunzione di legittimità degli atti amministrativi, posto che la sanzione colpisce il rifiuto di autotutela di un atto che si presume legittimo fino a prova contraria, dando luogo ad una sorta di “responsabilità da atto legittimo”.

3. Il Regolamento ANAC sull’esercizio dell’attività di vigilanza in materia di contratti pubblici del 15 febbraio 2017

Al fine di meglio comprendere i contenuti della raccomandazione vincolante e le differenze con la raccomandazione non vincolante, appare utile esaminare il Regolamento adottato dall’ANAC al fine di disciplinare l’esercizio della sua attività di vigilanza, ex artt. 211, comma 2 e 213 del Codice[2].

La disamina del Regolamento appare ancora più chiara se è affiancata dalla lettura del parere n. 2777/2016 che il Consiglio di Stato è stato chiamato a rilasciare proprio sullo schema di tale Atto, e che mette in luce le persistenti criticità dell’istituto della raccomandazione vincolante già evidenziate nel primo parere (il n. 855/2016 sopra esaminato).

Innanzitutto, le raccomandazioni vincolanti sono quelle adottate nei casi e secondo le modalità previste dall’art. 211, comma 2. Si tratta dei provvedimenti conclusivi di un procedimento di vigilanza avviato dall’Autorità su una procedura di gara, adottati dal Consiglio in caso di gravi e tassative violazioni riscontrate nella sola fase di gara, con cui si richiede alla stazione appaltante di annullare in autotutela l’atto o gli atti riscontrati come illegittimi e a rimuoverne gli effetti, pena l’irrogazione di una sanzione a carico del dirigente responsabile. Il procedimento per l’adozione di una raccomandazione vincolante non può essere avviato se la procedura su cui è stato esercitato il potere di vigilanza è già giunta alla fase di esecuzione contrattuale[3].

Le raccomandazioni non vincolanti, invece, sono gli atti conclusivi del procedimento di vigilanza del”Autorità esercitato ai sensi dell’art. 213, comma 3, lett. a), b) e g)[4], adottati anch’essi dal Consiglio in presenza di riscontrate violazioni, relative alla procedura di gara, non rientranti nelle ipotesi che darebbero luogo ad una raccomandazione vincolante e pertanto anche non gravi, ovvero relative alla fase di esecuzione contrattuale, nell’ambito della quale, come detto, le raccomandazioni di natura vincolante non sono più ammesse.

Il Regolamento detta la disciplina di dettaglio per lo svolgimento del procedimento di vigilanza e per l’adozione delle raccomandazioni. L’attività di vigilanza può essere avviata d’ufficio o su segnalazione, purchè circostanziata, secondo i dettami degli artt. 5 e seguenti del Regolamento.

La raccomandazione vincolante è limitata ad un numero circoscritto di violazioni, elencate dall’art. 12, comma 2[5]. L’ANAC si è in tal modo autolimitata nell’esercizio di tale incisiva forma di vigilanza al fine di evitare eccessi.

La raccomandazione vincolante dell’Autorità è, di regola, adottata con delibera del Consiglio e può riguardare soltanto gli atti di una procedura di gara e non anche atti afferenti alla fase di esecuzione contrattuale. Il dirigente responsabile che non dia riscontro alla raccomandazione o che, pur dando riscontro, non si adegui è soggetto a sanzione pecuniaria.

Il Regolamento descrive poi le modalità di avvio e di svolgimento dell’istruttoria preordinata all’adozione della raccomandazione vincolante. Degna di nota è la previsione secondo cui la comunicazione di avvio del procedimento di vigilanza deve espressamente precisare l’eventualità che il procedimento si concluda con una raccomandazione vincolante. Tale comunicazione non può essere effettuata oltre l’effettivo inizio dell’esecuzione del contratto (art. 13). All’istruttoria possono partecipare tutti coloro che hanno ricevuto la comunicazione di avvio del procedimento, nonché gli altri soggetti portatori di interessi diretti, concreti ed attuali correlati all’oggetto del procedimento sottoposto a vigilanza (art. 14). L’istruttoria si conclude con la “Comunicazione di risultanze istruttorie”, la c.d. CRI, la quale deve indicare in modo esplicito l’atto di raccomandazione vincolante che si intende adottare ed è sottoposta alla preventiva approvazione del Consiglio. La CRI è trasmessa alla stazione appaltante, la quale ha un termine non superiore a trenta giorni per presentare controdeduzioni ovvero per manifestare la volontà di conformarsi alle indicazioni in essa contenute (art. 19). Si tratta, in altri termini, di un preavviso dato alla stazione appaltante sull’intenzione di adottare la raccomandazione vincolante. Se la stazione appaltante accoglie i rilievi e decide di conformarsi immediatamente, evita che la raccomandazione sia formalmente adottata. Laddove ciò non accada, il procedimento prosegue e si conclude con l’atto di raccomandazione adottato con delibera del Consiglio, fatti salvi i casi di impiego della procedura in forma semplificata di cui all’art. 21. Il provvedimento finale viene comunicato alle parti e pubblicato sul sito dell’ANAC.

In caso di raccomandazione vincolante, come detto, la stazione appaltante è invitata ad annullare in autotutela  gli atti ritenuti illegittimi entro sessanta giorni. Il dirigente responsabile della stazione appaltante ha quindici giorni di tempo per comunicare le proprie determinazioni all’ANAC. In caso di mancato riscontro, si avvia il procedimento sanzionatorio di cui all’art. 213, comma 13 del Codice[6].

In caso, invece, di mancato adeguamento della stazione appaltante al contenuto della raccomandazione, il procedimento sanzionatorio che si avvia è quello previsto dall’art. 211, comma 2: al dirigente responsabile è comminata una sanzione variabile da euro 250 a euro 25.000.

Differenti sono gli effetti dell’adozione di una raccomandazione non vincolante. In tali casi, la stazione appaltante è sì invitata a rimuovere le illegittimità o le irregolarità riscontrate negli atti di una procedura di gara o della fase di esecuzione del contratto, tuttavia, il mancato adeguamento alla raccomandazione non comporta di per sé la comminatoria di una sanzione. E’ previsto infatti che il dirigente responsabile possa essere sanzionato ex art. 213, comma 13 soltanto in caso di mancato riscontro espresso – di accoglimento o di rifiuto di adeguamento – alla raccomandazione.

Il Consiglio di Stato, nel parere rilasciato sullo schema di Regolamento ANAC, definisce la raccomandazione vincolante un provvedimento a formazione progressiva, di carattere autoritativo, che impone una forma di autotutela doverosa alla stazione appaltante, unica titolare del potere formale di rimozione dell’atto.      

4. Le criticità dell’istituto della raccomandazione vincolante evidenziate dal Consiglio di Stato con il Parere n. 2777/2016

Nel Parere rilasciato dal Consiglio di Stato sullo schema del Regolamento testè esaminato, si rilevano interessanti spunti per comprendere meglio l’inedito e complesso istituto della raccomandazione vincolante.

Il Supremo Collegio tenta infatti di spiegare la natura di tale atto, definendolo “fattispecie a formazione progressiva”. La raccomandazione vincolante non è infatti un semplice invito all’esercizio di un potere spettante ad un altro soggetto, dato il carattere di vincolatività della stessa, né, d’altro canto, può essere intesa come un intervento sostitutivo, il quale presupporrebbe l’inerzia della stazione appaltante ed il potere dell’ANAC di provvedere al posto di quella.

Ci troviamo di fronte ad una strana forma di “autotutela doverosa”, in cui <<pur restando la stazione appaltante la titolare del potere formale di rimozione dell’atto, l’annullamento di questo discende da un ordine vincolante di un altro soggetto>>, diversamente da quanto di regola accade per l’annullamento d’ufficio ex art 21-nonies della L. 241/1990. Secondo il Consiglio di Stato, il procedimento di adozione della raccomandazione vincolante è caratterizzato da un meccanismo bifasico sfociante in un <<provvedimento amministrativo a contenuto decisorio e a carattere autoritativo, che obbliga la stazione appaltante ad esercitare formalmente il potere di autotutela, annullando l’atto ritenuto illegittimo e rimuovendone gli eventuali effetti>>.

Il Consiglio di Stato esamina approfonditamente lo Schema di Regolamento ANAC sull’esercizio dei poteri di vigilanza, evidenziandone sia gli aspetti positivi che le – numerose – lacune e criticità. Per quel che qui ci interessa, con riferimento all’istituto della raccomandazione vincolante, il Supremo Collegio pone in primo luogo in dubbio la coerenza tra l’iniziale attribuzione del potere da parte della legge delega e l’istituto che poi, in concreto, è scaturito nel dettato del Codice.

Si legge infatti nel parere n. 2777: <<La lett. t) (dell’art. 1, comma 1, della L. 11/2016, ndr) viene evidentemente considerata la base fondante del potere di raccomandazione vincolante. Si può tuttavia dubitare che la legge delega, pur nella sua generica formulazione, abbia concepito il potere di “raccomandazione” come una forma, anche indiretta, di annullamento d’ufficio ed abbia consentito, quindi, di introdurre una nuova fattispecie di autotutela doverosa, dai connotati peculiari>>. E poco oltre aggiunge: <<Ove poi si volesse attribuire direttamente all’ANAC un vero e proprio potere di autotutela sostitutiva, non sarebbe sufficiente un intervento correttivo mediante decreto legislativo delegato, ma occorrerebbe una scelta legislativa espressa del Parlamento>>.

La Commissione speciale del Consiglio di Stato che ha redatto il parere si sofferma in particolare su alcune “perplessità strutturali” dell’istituto, in termini giuridici nonché di efficacia pratica, per le quali ravvisa la necessità di un nuovo intervento da parte del Governo in sede di decreto correttivo al Codice.

In primo luogo, il parere evidenzia la <<creazione di una responsabilità oggettiva avulsa dalla gravità (e dalla stessa esistenza) della violazione che inficia l’atto di gara censurato dall’Autorità, che potrebbe essere successivamente smentita dal giudice amministrativo>>. Si tratta in altri termini della “responsabilità da atto legittimo” di cui lo stesso Consiglio di Stato aveva avuto modo di parlare nel primo parere adottato sullo Schema di Codice. Tale responsabilità sorgerebbe a prescindere dalla maggiore o minore chiarezza del quadro normativo di riferimento o dalla maggiore o minore complessità della procedura di gara, e si incentrerebbe unicamente sul rifiuto – colpevole o incolpevole, giustificato o meno – di attuare la raccomandazione vincolante.

Il Consiglio di Stato rileva altresì un possibile contrasto dell’istituto della raccomandazione vincolante, sotto il profilo sopra evidenziato, con il generale principio di responsabilità personale dell’illecito amministrativo, ai sensi della L. n. 689/1981, secondo cui <<nelle violazioni cui è applicabile una sanzione amministrativa ciascuno è responsabile della propria azione od omissione, cosciente e volontaria, sia essa dolosa o colposa>>.

Contestabile è anche il fatto che la sanzione amministrativa pecuniaria sia prevista a carico del solo dirigente responsabile. A parere del Supremo Collegio, infatti, ciò determinerebbe la recisione del rapporto di immedesimazione organica tra la stazione appaltante e il dirigente, con la conseguenza di deresponsabilizzare, anche agli effetti contabili, la stazione appaltante, in ipotesi, in contrasto anche con l’art. 28 Cost..

La Commissione speciale che ha redatto il parere dubita inoltre dell’efficacia “in concreto” del meccanismo, che non impedisce in alcun modo alla stazione appaltante di sottrarsi alla raccomandazione, restando inerte o confermando espressamente l’aggiudicazione ritenuta illegittima. La stessa andrebbe incontro – è vero – alle sanzioni previste dal Codice ma, anche in considerazione della incerta efficacia dissuasiva sia della sanzione pecuniaria che di quella reputazionale, le amministrazioni poco virtuose ben potrebbero accettarne il rischio a fronte di eventuali immediati vantaggi illeciti.

Il Consiglio di Stato rileva infine un possibile rischio di goldplating, <<ove si dovesse in ipotesi ritenere che il potere di raccomandazione vincolante introduca una disciplina della vigilanza/controllo più severa di quella minima prescritta dalle direttive in materia di governance>>, nonché l’eventualità – niente affatto remota – che vi sia un consistente incremento del contenzioso dinanzi al giudice amministrativo tra l’ANAC e le stazioni appaltanti, sia in ordine alla legittimità dei rispettivi contrastanti atti sia in ordine alle eventuali e reciproche conseguenze risarcitorie.

Nell’ottica costruttiva di proporre alcune modifiche per rendere l’istituto della raccomandazione vincolante più rispettoso dei principi dell’ordinamento, il Consiglio di Stato pone l’accento sulla necessità di incrementare le garanzie procedimentali richieste per le raccomandazioni vincolanti e suggerisce di comunicare l’avvio del procedimento finalizzato all’adozione della raccomandazione anche al dirigente responsabile – che sarebbe il destinatario dell’eventuale sanzione – e di garantirne la partecipazione, nonché di garantire in generale una maggiore partecipazione al procedimento di tutti i soggetti interessati e un effettivo contraddittorio tra gli stessi. 

Il Consiglio di Stato, nel suo parere, evidenzia la necessità di incrementare le garanzie procedimentali richieste per le raccomandazioni vincolanti suggerendo di comunicare l’avvio del procedimento anche al dirigente responsabile e di garantirne la partecipazione, nonché di prevedere l’instaurarsi di un effettivo contraddittorio tra tutti i soggetti coinvolti.

5. L’abrogazione a sorpresa del comma 2 dell’art. 211 e il successivo reinserimento con la Manovrina

Le perplessità sollevate dal Consiglio di Stato non devono aver lasciato indifferenti gli uffici governativi, tanto che, in modo del tutto inaspettato – e, a dire il vero, piuttosto sconcertante – al momento dell’approvazione del decreto correttivo al Codice dei contratti, senza che nelle proposte di modifica se ne fosse fatto alcun cenno, il comma 2 dell’art. 211 è improvvisamente sparito. La stampa ha parlato di un “misteriosa manina” che, nottetempo, avrebbe aggiunto la norma contenente l’abrogazione nel testo definitivo del Correttivo, senza che il Consiglio dei Ministri se ne accorgesse in sede di approvazione.

Tale abrogazione a sorpresa ha scatenato le ire del presidente dell’ANAC, Cantone, il quale avrebbe telefonato al Presidente del Consiglio Gentiloni, in quel momento in visita ufficiale negli Stati Uniti, per protestare. A quel punto, Gentiloni, per risolvere quel “pasticciaccio brutto” – frutto, evidentemente, di un approccio del Governo sempre più approssimativo e superficiale nell’attività di adozione delle norme – dichiarava che si sarebbe trattato di un errore e prometteva di porvi immediatamente rimedio. Dopo giorni di polemiche, in cui l’ANAC e la stampa nazionale accusavano il Governo di aver voluto indebolire i poteri dell’Autorità invertendo radicalmente la rotta rispetto alla volontà originaria del Codice di rafforzarne invece i poteri di contrasto alla corruzione, il Ministro Delrio annunciava che sarebbe stato inserito un emendamento nella Manovrina, al fine di rimediare alla “svista”.

Nel frattempo, anche il Consiglio di Stato, chiamato in causa per essere stato, a detta di alcuni, il maggiore accusatore dell’istituto della raccomandazione vincolante, si è difeso pubblicando un comunicato[7] nel quale affermava che <<nessun parere del Consiglio di Stato ha chiesto l’abrogazione dell’art. 211 comma 2>>, al contrario, <<sono state fornite indicazioni per rendere la “raccomandazione vincolante” uno strumento efficace e al contempo immune da profili di eccesso di delega e di incostituzionalità>>. Il Consiglio di Stato, ha ribadito di aver proposto <<una riformulazione in chiave di controllo collaborativo, (…) che avrebbe condotto a un rafforzamento dei poteri dell’ANAC e a una tempistica più stringente nell’attività di controllo>>, dotando l’Autorità <<di uno strumento anche più efficace della sanzione economica conseguente all’inosservanza della “raccomandazione non vincolante”>>. Con il secondo parere, il Consiglio di Stato <<ha proposto misure per un più efficiente funzionamento del meccanismo delle “raccomandazioni vincolanti” e per un ulteriore rafforzamento del potere dell’ANAC mediante “autotutela sostitutiva”, volta a incidere direttamente sugli atti di gara (…) nel quadro legislativo del contrasto preventivo alla corruzione, in un’ottica di collaborazione sul piano tecnico>>.

Alla fine, il Governo ha mantenuto la parola e nella “Manovrina” estiva[8] è stata introdotta una nuova modifica all’art. 211 del Codice. Occorre dire tuttavia che il nuovo testo apporta sostanziali modifiche alla raccomandazione vincolante, che di fatto non esiste più come tale, tanto da essere stata anche ridenominata.

Dopo il comma 1 dell’art. 211 del Codice, sono stati infatti aggiunti i seguenti commi, che sostituiscono il vecchio comma 2 (abrogato dal correttivo): <<1-bis. L’ANAC è legittimata ad agire in giudizio per l’impugnazione dei bandi, degli altri atti generali e dei provvedimenti relativi a contratti di rilevante impatto, emessi da qualsiasi stazione appaltante, qualora ritenga che essi violino le norme in materia di contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture. 1-ter. L’ANAC, se ritiene che una stazione appaltante abbia adottato un provvedimento viziato da gravi violazioni del presente codice, emette, entro sessanta giorni dalla notizia della violazione, un parere motivato nel quale indica specificamente i vizi di legittimità riscontrati. Il parere è trasmesso alla stazione appaltante; se la stazione appaltante non vi si conforma entro il termine assegnato dall’ANAC, comunque non superiore a sessanta giorni dalla trasmissione, l’ANAC può presentare ricorso, entro i successivi trenta giorni, innanzi al giudice amministrativo. Si applica l’articolo 120 del codice del processo amministrativo di cui all’allegato 1 annesso al decreto legislativo 2 luglio 2010, n. 104. 1-quater. L’ANAC, con proprio regolamento, può individuare i casi o le tipologie di provvedimenti in relazione ai quali esercita i poteri di cui ai commi 1-bis e 1-ter>>.

Il Governo ha corretto la svista fatta con il Correttivo, introducendo una nuova modifica all’art. 211 del Codice nella recentissima L. 96/2017. Il nuovo testo apporta sostanziali modifiche alla raccomandazione vincolante, che è stata trasformata in un parere motivato da cui discende un potere di impugnativa diretta dinanzi al TAR.

Come è evidente, la raccomandazione vincolante si è ora trasformata in un “parere motivato” cui la stazione appaltante deve conformarsi, pena la possibilità, per l’Autorità, di impugnazione diretta dell’atto ritenuto illegittimo dinanzi al giudice amministrativo. Si tratta di un potere di impugnativa ulteriore rispetto a quello, generale, introdotto dal nuovo comma 1-bis, il quale è limitato ai soli “bandi, altri atti generali e provvedimenti relativi a contratti di rilevante impatto”.

La norma precisa inoltre che le violazioni che possono dare origine al parere motivato devono essere “gravi”. L’ANAC può autolimitarsi con regolamento, circoscrivendo i casi e le tipologie di provvedimenti per i quali intervenire sia con il potere di impugnativa generale di cui al comma 1-bis, che con l’adozione di un parere motivato di cui al comma 1-ter, come in concreto ha già, in parte, fatto con il Regolamento approvato il 15 febbraio scorso.

E’ pur vero che il suddetto Regolamento sarà in gran parte da riscrivere, considerate le sostanziali modifiche apportate all’istituto della raccomandazione vincolante, che costituiva il cuore di tale atto di regolazione.

6. Conclusioni

Dal “pasticciaccio brutto” della soppressione a sorpresa della raccomandazione vincolante possono trarsi tre ordini di considerazioni conclusive.

Innanzitutto, pur se con modalità discutibili, il Governo ha alla fine corretto gli aspetti di dubbia legittimità dell’istituto della raccomandazione vincolante, così come originariamente costruito. Tale atto non è più un annullamento d’ufficio mascherato ma si è trasformato in un canale per l’ANAC di impugnativa diretta dinanzi al TAR. L’assetto delle autonomie e dei rapporti tra i diversi organismi istituzionali è stato salvaguardato. Vero è che l’Autorità ne è uscita in concreto indebolita in uno dei suoi poteri che, all’indomani dell’approvazione del Codice, era stato individuato tra i più efficaci e penetranti.

In secondo luogo, alla luce di quanto accaduto, occorre probabilmente ripensare più in generale ai poteri dell’ANAC in modo da valorizzarne la precipua funzione di “prevenzione” della corruzione. All’Autorità deve essere dato modo di intervenire efficacemente in fase antecedente all’adozione dei provvedimenti eventualmente illegittimi, proprio perché il suo compito è quello di prevenire la corruzione prima che la stessa si verifichi. Da ciò discende la necessità di potenziare la sua attività di vigilanza collaborativa e di controllo preventivo in generale, piuttosto che quella di verifica successiva.

Infine, ci sia consentito osservare come la vicenda sin qui descritta sia l’ennesimo esempio del sempre peggiore metodo di lavoro del Governo, il quale ormai, evidentemente, si limita ad approvare solo i titoli delle norme o schemi di sintesi delle stesse, senza verificarne esattamente i contenuti, con ciò rendendo possibili “sviste” sconcertanti come quella accaduta alla norma sulla raccomandazione vincolante, scomparsa nottetempo senza che nessuno se ne accorgesse.

I poteri di vigilanza dell’ANAC andrebbero ripensati in chiave più spiccatamente preventiva e collaborativa. All’Autorità deve essere data maggiormente la possibilità di intervenire in modo efficace in fase antecedente all’adozione dei provvedimenti eventualmente illegittimi, allo scopo di prevenire la corruzione prima che la stessa si verifichi.


[1]  Si veda il citato parere n. 855/2016.

[2] Regolamento sull’esercizio dell’attività di vigilanza in materia di contratti pubblici, approvato dall’ANAC il 15 febbraio 2017 e pubblicato nella Gazzetta ufficiale n. 49 del 28 febbraio 2017.

[3] Si vedano gli artt. 1 e 13 del Regolamento.

[4] Art. 213, comma 3: <<Nell’ambito dei poteri ad essa attribuiti, l’Autorità: a) vigila sui contratti pubblici, anche di interesse regionale, di lavori, servizi e forniture nei settori ordinari e nei settori speciali e sui contratti secretati o che esigono particolari misure di sicurezza ai sensi dell’articolo 1, comma 2, lettera f-bis), della legge 6 novembre 2012, n. 190, nonché sui contratti esclusi dall’ambito di applicazione del codice; b) vigila affinché sia garantita l’economicità dell’esecuzione dei contratti pubblici e accerta che dalla stessa non derivi pregiudizio per il pubblico erario; (…) g) vigila sul divieto di affidamento dei contratti attraverso procedure diverse rispetto a quelle ordinarie ed opera un controllo sulla corretta applicazione della specifica disciplina derogatoria prevista per i casi di somma urgenza e di protezione civile di cui all’articolo 163 del presente codice; (…)>>.

[5] Si tratta di: a) affidamento di contratti pubblici senza previa pubblicazione di bando o avviso nelle forme prescritte, laddove tale pubblicazione sia imposta dal codice; b) affidamento mediante procedura diversa da quella aperta e ristretta fuori dai casi consentiti, e quando questo abbia determinato l’omissione di bando o avviso ovvero l’irregolare utilizzo dell’avviso di pre-informazione; c) contratto stipulato senza rispettare il termine dilatorio stabilito dall’art. art. 32, co. 9, del codice, qualora tale violazione abbia privato il ricorrente della possibilità ricorrere e sempre che tale violazione abbia influito sulle possibilità del ricorrente di ottenere l’affidamento; d) contratto stipulato senza rispettare la sospensione obbligatoria del termine per la stipulazione derivante dalla proposizione del ricorso giurisdizionale avverso l’aggiudicazione qualora tale violazione abbia influito sulle possibilità del ricorrente di ottenere l’affidamento; e) mancata esclusione di un concorrente per il quale ricorra uno dei motivi previsti dall’art. 80 del codice; f) appalto, o concessione, affidato in presenza di una grave violazione degli obblighi procedurali direttamente derivanti dai trattati, dalle direttive Ue e dalla giurisprudenza della Corte di giustizia dell’UE; g) artificioso frazionamento del contratto quando comporti la disapplicazione od elusione della normativa sui contratti pubblici; h) ipotesi in cui sia configurato come contratto di partenariato pubblico-privato un contratto che non presenti le caratteristiche di trasferimento dei rischi operativi sul soggetto privato; i) ipotesi di ricorso alla disciplina derogatoria prevista per i casi di somma urgenza e di protezione civile in contrasto con le disposizioni del codice.

[6] Art. 213, comma 13, D. Lgs. n. 50/2016: <<L’Autorità ha il potere di irrogare sanzioni amministrative pecuniarie nei confronti dei soggetti che rifiutano od omettono, senza giustificato motivo, di fornire le informazioni o di esibire i documenti richiesti dalla stessa e nei confronti degli operatori economici che non ottemperano alla richiesta della stazione appaltante o dell’ente aggiudicatore di comprovare il possesso dei requisiti di partecipazione alla procedura di affidamento, entro il limite minimo di euro 250 e il limite massimo di euro 25.000. Nei confronti dei soggetti che a fronte della richiesta di informazioni o di esibizione di documenti da parte dell’Autorità forniscono informazioni o esibiscono documenti non veritieri e nei confronti degli operatori economici che forniscono alle stazioni appaltanti o agli enti aggiudicatori o agli organismi di attestazione, dati o documenti non veritieri circa il possesso dei requisiti di qualificazione, fatta salva l’eventuale sanzione penale, l’Autorità ha il potere di irrogare sanzioni amministrative pecuniarie entro il limite minimo di euro 500 e il limite massimo di euro 50.000. Con propri atti l’Autorità disciplina i procedimenti sanzionatori di sua competenza>>.

[7] Comunicato del 21 aprile 2017: <<Consiglio di Stato su parere ANAC, mai chiesta abrogazione art. 211, ma riformulazione per potenziarne l’efficacia>>.

[8] L. 21 giugno 2017, n. 96: <<Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 24 aprile 2017, n. 50, recante disposizioni urgenti in materia finanziaria, iniziative a favore degli enti territoriali, ulteriori interventi per le zone colpite da eventi sismici e misure per lo sviluppo>>.

Sending
Questo articolo è valutato
0 (0 votes)

Questo articolo è stato scritto da...

Dott.ssa Alessandra Verde
Referendaria consiliare presso il Consiglio regionale della Sardegna
mediagraphic assistenza tecnico legale e soluzioni per l'innovazione p.a.