Temi:
Sending
Questo articolo è valutato
0 (0 votes)

Parere del Consiglio di Stato del 14 settembre 2016, n. 1920

1. Il contesto giuridico

Con il parere 14 settembre 2016, n. 1920, il Consiglio di Stato, come a breve si passerà ad esporre, si è espresso sullo schema di regolamento redatto dall’ANAC per il rilascio dei pareri di precontenzioso ai sensi dell’art. 211 del D.lgs. 18 aprile 2016, n. 50, recante il nuovo Codice dei contratti pubblici (d’ora in poi “Codice”).

Al fine di comprendere la disciplina regolamentare ed il parere espresso dal supremo consesso occorre ricordare che l’art. 211 del Codice stabilisce che: ““1.Su iniziativa della stazione appaltante o di una o più delle altre parti, l’ANAC esprime parere relativamente a questioni insorte durante lo svolgimento delle procedure di gara, entro trenta giorni dalla ricezione della richiesta. Il parere obbliga le parti che vi abbiano preventivamente consentito ad attenersi a quanto in esso stabilito. Il parere vincolante è impugnabile innanzi ai competenti organi della giustizia amministrativa ai sensi dell’articolo 120 del codice del processo amministrativo. In caso di rigetto del ricorso contro il parere vincolante, il giudice valuta il comportamento della parte ricorrente ai sensi e per gli effetti dell’articolo 26 del codice del processo amministrativo.

2. Qualora l’ANAC, nell’esercizio delle proprie funzioni, ritenga sussistente un vizio di legittimità in uno degli atti della procedura di gara invita mediante atto di raccomandazione la stazione appaltante ad agire in autotutela e a rimuovere altresì gli eventuali effetti degli atti illegittimi, entro un termine non superiore a sessanta giorni. Il mancato adeguamento della stazione appaltante alla raccomandazione vincolante dell’Autorità entro il termine fissato è punito con la sanzione amministrativa pecuniaria entro il limite minimo di euro 250 e il limite massimo di euro 25.000, posta a carico del dirigente responsabile. La sanzione incide altresì sul sistema reputazionale delle stazioni appaltanti, di cui all’articolo 38 del presente codice. La raccomandazione è impugnabile innanzi ai competenti organi della giustizia amministrativa ai sensi dell’articolo 120 del codice del processo amministrativo”.

In tal quadro il provvedimento dell’ANAC sostituisce i regolamenti vigenti nel vigore del vecchio Codice dei contratti pubblici ed approvati (ex art. 6, comma 6, lett. n) del D.Lgs. 163/06 e s.m.i.), secondo cui l’Autorità per la vigilanza sui contratti pubblici di lavori, servizi e forniture – poi assorbita dall’ANAC – “su iniziativa della stazione appaltante e di una o più delle altre parti, esprime parere non vincolante relativamente a questioni insorte durante lo svolgimento delle procedure di gara, eventualmente formulando una ipotesi di soluzione; si applica l’articolo 1, comma 67, terzo periodo, della legge 23 dicembre 2005, n. 266”.

Una delle principali novità introdotte dal Regolamento, esaminato dal Consiglio di Stato, risiede nella possibilità per le parti interessate di manifestare la volontà di uniformarsi al parere, con la conseguenza di renderlo vincolante, attraverso un duplice alternativo meccanismo:

  • su istanza singola, qualora le altre parti esprimano il loro consenso entro dieci giorni dalla comunicazione dell’istanza;
  • su istanza congiunta, nella quale sia stata espressa la volontà di attenersi al parere.

Per quanto concerne l’istruttoria dell’istanza di precontenzioso, la stessa è caratterizzata dalla massima celerità e dal metodo scritto, affinché la procedura possa concludersi rapidamente entro un termine massimo di trenta giorni dalla sua presentazione.

Di seguito una breve sintesi delle nuove disposizioni regolamentari:

  • l’art. 3 conferma – come anticipato – la possibilità, per la stazione appaltante o per la parte interessata, di presentare singolarmente istanza di parere di precontenzioso, che si intende in tal caso non vincolante, si concede un termine di dieci giorni alle parti per manifestare la volontà di attenersi a quanto in esso stabilito. Qualora le parti esprimano il loro consenso, il parere assume carattere vincolante;
  • l’art. 4 prevede invece l’ipotesi di istanza congiunta, nella quale la volontà di attenersi al parere deve essere stata espressa già nel modulo di presentazione: sicché il parere ha ab origine natura vincolante;
  • l’art. 5 stabilisce che nella trattazione delle istanze viene data priorità alle istanze congiunte. Seguono, per ordine di importanza, le istanze aventi ad oggetto appalti di valore superiore alle soglie comunitarie, le istanze presentate dalla stazione appaltante e, infine, le istanze che sottopongono questioni originali o di particolare impatto nel settore dei contratti pubblici;
  • l’art. 6 detta un’articolata disciplina delle cause di inammissibilità delle istanze. È stata oggetto di particolare riflessione l’opportunità o meno di inserire tra le stesse anche la mancata comunicazione della presentazione dell’istanza a tutti i soggetti controinteressati, ponendo tale onere in capo all’istante, ma nella stesura finale dello Schema di Regolamento tale fattispecie è stata eliminata. Se per un verso ciò consentirebbe, in linea teorica, un’ampia partecipazione al procedimento di rilascio del parere, per altro verso comporterebbe un aggravio per l’istante e un rallentamento della procedura e che si risolverebbe in definitiva in un’anticipazione della eventuale azione giurisdizionale con oneri, tempi e complessità.
  • l’art. 7 detta la disciplina della fase istruttoria: in sintesi è prevista la valutazione da parte dell’Ufficio dell’ammissibilità e procedibilità delle istanze pervenute e, in caso di valutazione positiva, l’assegnazione delle stesse ai singoli Consiglieri relatori da parte del Presidente. A seguito dell’individuazione del Consigliere relatore, l’Ufficio comunica alle parti l’avvio del procedimento e assegna un breve termine (non superiore a 5 giorni) per la presentazione di memorie e documenti, ove mancanti. Il parere redatto dall’Ufficio è poi presentato al Consigliere relatore e sottoposto all’approvazione del Consiglio;
  • l’art. 8 disciplina sia la sospensione feriale dei termini durante il mese di agosto sia la sospensione dei termini procedimentali al fine di acquisire ulteriore documentazione, qualora necessario ai fini istruttori;
  • l’art. 9 stabilisce l’archiviazione delle istanze inammissibili o improcedibili e prevede una comunicazione mensile al Consiglio in ordine all’elenco delle archiviazioni predisposte. Tutte le archiviazioni sono successivamente comunicate alle parti interessate;
  • l’art. 10, inoltre, prevede che tutti i pareri di precontenzioso, ivi inclusi quelli vincolanti, possano essere resi in forma semplificata nei casi in cui la questione sia di pacifica soluzione, tenuto conto del quadro normativo e giurisprudenziale di riferimento;
  • l’art. 11 disciplina la possibilità di riesame dei pareri resi e delle archiviazioni disposte per sopravvenute ragioni di fatto. Viene, altresì, ribadito che i pareri vincolanti sono impugnabili in via giurisdizionale ai sensi dell’art. 120 del Codice del processo amministrativo;
  • l’art. 12 stabilisce che le comunicazioni tra l’Autorità e le parti interessate sono effettuate esclusivamente tramite posta elettronica certificata, ai sensi della normativa vigente;
  • l’art. 13 dispone per gli istanti l’obbligo di comunicare all’Autorità, entro 10 giorni dalla ricezione del parere, gli atti adottati al fine di adeguarsi a quanto in esso disposto. Nel caso di mancata comunicazione gli atti sono trasmessi all’Ufficio competente all’applicazione delle sanzioni, ai sensi dell’art. 213, co. 13 del d.lgs. 50/2016.

Mentre non è stata riprodotta la possibilità di chiedere, su iniziativa congiunta, un parere in ordine a questioni insorte dopo la stipulazione del contratto, in quanto ipotesi non prevista dal nuovo Codice e che, nell’esperienza pratica, ha avuto scarsa applicazione.

2. Le questioni generali affrontate dal Consiglio di Stato

Le questioni affrontate dal Consiglio di Stato sono molteplici e per nulla scontate anche dal punto di vista squisitamente teorico.

2.1 Il rapporto tra primo e secondo comma dell’art. 211 del nuovo Codice

L’art. 211 prevede due strumenti in funzione deflattiva del contenzioso.

Nel primo comma, il parere di precontenzioso dell’ANAC è ricondotto nell’ambito dei rimedi alternativi alla giurisdizione, relativamente alle “questioni insorte durante lo svolgimento delle procedure di gara”: previa dichiarazione di consenso delle parti, si attribuisce al parere carattere vincolante per le stesse.

Il suddetto parere, per non essere un surrogato della giurisdizione amministrativa, in quanto tale confliggente con il principio di indisponibilità dell’interesse legittimo, è stato opportunamente costruito alla luce delle indicazioni fornite dal Consiglio di Stato. Ne è stata pertanto precisata la natura di decisione amministrativa e, dunque, l’impugnabilità innanzi agli organi della giustizia amministrativa, nonché l’assenza di un vincolo di “adeguata motivazione”, invece presente nel testo originario.

Il secondo comma, invece, attribuisce all’ANAC una sorta di potere di raccomandazione e, cioè, il potere di invitare le stazioni appaltanti ad agire in autotutela.

Il mancato adeguamento della stazione appaltante alla raccomandazione vincolante dell’ANAC – entro il termine fissato – è punito con la sanzione amministrativa pecuniaria entro il limite minimo di euro 250 e il limite massimo di euro 25.000, posta a carico del dirigente responsabile. La sanzione incide altresì sul sistema reputazionale delle stazioni appaltanti, di cui all’articolo 38 del Codice.

Si tratta – come osservato dai Giudici di Palazzo  Spada – di un meccanismo non meramente sollecitatorio, poiché la stazione appaltante è vincolata a conformarsi alla raccomandazione, sebbene in assenza non sia previsto un potere sostitutivo.

Ebbene, come altresì sottolineato nel Parere in questione, il regolamento dell’ANAC riguarda la sola ipotesi contemplata dal comma 1, ma non è inutile considerare l’intera disposizione, poiché le due fattispecie presentano una funzione complementare, com’è dimostrato già dalla collocazione nello stesso articolo.

Il rapporto “naturale” tra la prima e la seconda ipotesi è di alternatività, in guisa da dar luogo ad un sistema di tutela pre-processuale completo, attivabile su iniziativa di parte, o, in mancanza, d’ufficio.

Come si evince dalla previsione di cui all’art. 6, comma 2, lett. e) del regolamento, è tuttavia possibile che le due procedure si intreccino, essendo sancita l’inammissibilità delle istanze di precontenzioso “interferenti con esposti di vigilanza e procedimenti sanzionatori in corso di istruttoria presso l’Autorità”. Né può escludersi che l’ANAC usi il potere di raccomandazione a seguito del precontenzioso.

Sicché, il Consiglio di Stato ha raccomandato l’opportunità di emanare una disciplina di regolamentazione anche della fattispecie di cui al secondo comma dell’art. 211, che delimiti i presupposti di esercizio del potere e individui le procedure su cui intervenire.

Si consideri, altresì, che l’art. 211, comma 2 deve essere interpretato alla luce del considerando n. 122 della direttiva UE 24/2014. Tale previsione considera già immanente nel sistema del diritto europeo la tutela del cittadino contribuente interessato alla legalità delle procedure di affidamento. Tutela che deve operare attraverso – almeno – il ricorso ad Autorità indipendenti.

Dal momento che la disposizione presuppone che l’ANAC sia a conoscenza dell’illegittimità del provvedimento, implicitamente la stessa prevede che il cittadino possa presentare esposti diretti a segnalare i vizi della procedura di affidamento.

2.2 Il fondamento del potere regolamentare dell’ANAC, nel silenzio normativo

L’art. 211 non contiene un’espressa previsione del potere regolamentare, ma non vi è dubbio circa la legittimazione dell’ANAC ad adottare questo tipo di regolamenti, potere che in passato nessuno ha mai messo in discussione.

Alle Autorità indipendenti in generale ed a quelle di regolazione in particolare il potere regolamentare, infatti, spetta quale corollario delle attribuzioni loro riconosciute dalla legge, strettamente connesso all’elemento di indipendenza che le connota, esso traducendosi nel riconoscimento del potere di esercitare direttamente i compiti di regolamentazione e controllo dei settori alla cui salvaguardia sono preposte.

Per quanto concerne la tipologia di regolamenti che le Autorità indipendenti sono legittimate ad adottare, la disamina può prendere come punto di riferimento le tipologie previste dall’articolo 17 della legge 23 agosto 1988, n. 400.

Così, secondo il Consiglio di Stato, né la dottrina né la giurisprudenza dubitano che le Autorità possano adottare regolamenti di esecuzione, di attuazione e di organizzazione, anche a prescindere da un’esplicita autorizzazione di legge.

Il regolamento in esame può ascriversi alla categoria dei regolamenti di organizzazione, essendo volto a disciplinare lo svolgimento della funzione precontenziosa definita dalla fonte primaria, benché per taluni aspetti contenga precetti attuativi del dettato legislativo.

A tal proposito occorre ricordare che l’art. 17, comma 1, lett. d) della legge 23 agosto 1988, n. 400 prevede che il potere regolamentare possa essere esercitato per “l’organizzazione ed il funzionamento delle amministrazioni” e non vi è dubbio che il regolamento del precontenzioso aderisca pienamente a questo schema.

Secondo l’impostazione dominante in dottrina l’organizzazione è astratta prefigurazione dell’azione. In senso statico è la struttura di cui dispone il soggetto investito di compiti amministrativi, preordinati al soddisfacimento dell’interesse generale. In senso dinamico è attività di predisposizione della struttura all’esercizio di questi compiti e di indirizzo dell’azione amministrativa verso il raggiungimento dei fini. Secondo Mario Nigro «la strumentalità dell’organizzazione non rappresenta un passivo ed esteriore asservimento di essa all’attività sostanziale di soddisfazione dei fini e degli interessi, ma è partecipazione attiva, cooperazione al movimento, avvio del movimento nella direzione scelta: la decisione organizzativa si rileva, quindi, necessariamente come decisione di indirizzo dell’attività… appunto perché modellata sugli interessi che deve curare, l’organizzazione reagisce su tali interessi e ne influenza la realizzazione, assumendo una funzione attiva e direttiva nell’intero processo di soddisfazione di essi».

D’altra parte, la connessione tra organizzazione e azione amministrativa è positivamente scolpita dall’art. 5, comma 1 d.lgs. 165/2001 (“Le amministrazioni pubbliche assumono ogni determinazione organizzativa al fine di assicurare … la rispondenza al pubblico interesse dell’azione amministrativa”).

Non occorre, dunque, evocare la teoria dei poteri impliciti per ravvisare una base legale al potere regolamentare esercitato dall’ANAC.

Tuttavia, deve essere attentamente considerato il carattere necessariamente subordinato della fonte regolamentare in esame e la sua possibile incidenza sul diritto di difesa delle parti che intendono attivare lo strumento di tutela.

Sicché il regolamento in oggetto può senz’altro indicare le attività strettamente organizzative degli Uffici dell’ANAC e alcune modalità estrinseche di compimento degli atti delle parti, ma non può limitare la protezione del diritto di azione delle parti stesse.

Dopo un excursus di carattere generale sul potere regolamentare delle Autorità Indipendenti, in cui si sottolinea l’importanza della fase istruttoria, la Commissione ha affrontato il problema dell’inquadramento del regolamento in esame, riconducendolo alla categoria dei regolamenti di organizzazione, essendo principalmente volto a disciplinare lo svolgimento della funzione precontenziosa definita dalla fonte primaria. Ciò implica, da un lato, che non occorre evocare la teoria dei poteri impliciti per ravvisare una base legale al potere regolamentare esercitato, la teoria dei poteri impliciti per ravvisare una base legale al potere regolamentare esercitato, esso trovando fondamento nel potere di auto-organizzazione dell’ANAC, dall’altro, che il regolamento incontra dei limiti legati alla sua incidenza sulle posizioni giuridiche degli interessati.  

Del resto, è stato sottolineato che la tradizionale copertura della funzione di regolazione nei principi costituzionali di cui agli artt. 41 e 97 Cost. e nei principi comunitari di libera concorrenza, diritto di circolazione e di stabilimento, opera elettivamente in una materia dove i tratti di tecnicità e neutralità, tipici delle Autorità di settore, sono esaltati dall’attribuzione di poteri di intervento che interferiscono con la tutela processuale, tanto da far correre il rischio di una trasformazione in senso giurisdizionale della procedura.

Per quanto attiene, invece, al rapporto con il principio di legalità sostanziale, maggiormente compromesso dall’assenza di una disciplina dell’esercizio di tale potere, oltre a utilizzare i dati di sistema e lo stesso contenuto dell’art. 211 del Codice dei contratti, occorre far riferimento all’orientamento giurisprudenziale che ha ritenuto di poter superare la genericità della fonte primaria e il deficit di legittimazione democratica delle Autorità indipendenti, valorizzando gli aspetti relativi alla c.d. legalità procedimentale e potenziando il sindacato sull’eccesso di potere.

È, infatti, affermazione ricorrente quella secondo cui gli atti di regolazione adottati dalle Autorità, proprio perché espressione di un potere che è carente sotto il profilo della legalità sostanziale e promananti da soggetti che sfuggono al tradizionale circuito della responsabilità politica, debbano essere adottati nel rispetto di un procedimento articolato, aperto al contraddittorio e alla partecipazione dei soggetti interessati, e sottoposto al vaglio consultivo del Consiglio di Stato.

Si è così instaurata una correlazione inversa tra legalità sostanziale e legalità procedurale: quanto meno è garantita la prima, per effetto dell’attribuzione alle Autorità indipendenti di poteri regolatori e amministrativi in bianco, tanto maggiore è l’esigenza di potenziare le forme di coinvolgimento di tutti i soggetti interessanti nel procedimento finalizzato all’assunzione di decisioni che hanno un impatto così rilevante sull’assetto del mercato e sugli operatori.

È così emerso un fenomeno in parte nuovo nel nostro ordinamento: la sottoposizione di un’attività sostanzialmente normativa al principio del giusto procedimento e del contraddittorio. Questo ha spesso contribuito a migliorare la qualità della regolazione, che si è arricchita anche grazie ai contributi conoscitivi che provengono dagli operatori di settore e dalle relative associazioni di categoria.

Sul piano del sindacato sostanziale, l’assenza di parametri rigidi volti a delimitare gli spazi di intervento del regolatore ha certamente determinato un ridimensionamento del vizio di violazione di legge, a fronte però di una crescente valorizzazione dell’eccesso di potere. L’eccesso di potere è stato utilizzato tenendo conto della particolare natura (più di regolazione che amministrativa) dell’atto oggetto di sindacato. L’eccesso di potere è diventato così lo strumento per valutare il rispetto da parte dei regolatori dei principi della coerenza, proporzionalità, ragionevolezza, logicità, adeguatezza della regola imposta agli operatori di settore.

Nel caso in esame la novità della richiesta di parere al Consiglio di Stato è, quindi, un importante elemento a garanzia della legalità sostanziale, mentre – secondo la Commissione – appare ancora carente l’istruttoria. In particolare, poiché il nuovo sistema nasce da una evoluzione del vecchio precontenzioso facoltativo, sarebbe stata opportuna una AIR dell’Autorità sul funzionamento dell’istituto (almeno i dati numerici) e sulle sue eventuali criticità di funzionamento (adesione spontanea, esecuzione). Tale carenza, tuttavia, è in parte compensata dalla circostanza che si tratta della modifica di precedenti regolamenti, i quali hanno avuto ampia applicazione, la cui esperienza è alla base delle modifiche adottate.

2.3 La natura del Regolamento in questione e la distinzione dalle linee guida

Distinta e più complessa questione attiene alla natura “reale” del Regolamento in oggetto, che, rispetto ai precedenti, disciplina un parere che può essere vincolante.

Di fondamentale importanza si pone, dunque, il raffronto con le nuove linee guida previste dal Codice dei contratti, che sostituiscono il regolamento di esecuzione.

Nel parere reso sullo schema del nuovo Codice il Consiglio di Stato[1] ha distinto tre tipologie di linee guida.

  1. I decreti ministeriali contenenti le linee guida adottate su proposta dell’ANAC, e sottoposti a parere delle commissioni parlamentari, sono veri e propri regolamenti, che seguono lo schema procedimentale disegnato dall’art. 17, legge n. 400 del 1988.
  2. Le linee guida vincolanti dell’ANAC, sono (non regolamenti, bensì) atti di regolazione di un’Autorità indipendente, che devono seguire alcune garanzie procedimentali minime: consultazione pubblica, metodi di analisi e di verifica di impatto della regolazione, metodologie di qualità della regolazione, compresa la codificazione, adeguata pubblicità e pubblicazione, se del caso parere (facoltativo) del Consiglio di Stato.
  3. Le linee guida non vincolanti dell’ANAC hanno un valore di indirizzo a fini di orientamento dei comportamenti di stazioni appaltanti e operatori economici.

Ebbene, il Governo ha recepito tale impostazione, prevedendo all’art. 213, comma 2 del Codice che “L’ANAC, attraverso linee guida, bandi-tipo, capitolati-tipo, contratti-tipo ed altri strumenti di regolazione flessibile, comunque denominati, garantisce la promozione dell’efficienza, della qualità dell’attività delle stazioni appaltanti, cui fornisce supporto anche facilitando lo scambio di informazioni e la omogeneità dei procedimenti amministrativi e favorisce lo sviluppo delle migliori pratiche. Trasmette alle Camere, immediatamente dopo la loro adozione, gli atti di regolazione e gli altri atti di cui al precedente periodo ritenuti maggiormente rilevanti in termini di impatto, per numero di operatori potenzialmente coinvolti, riconducibilità a fattispecie criminose, situazioni anomale o comunque sintomatiche di condotte illecite da parte delle stazioni appaltanti. Resta ferma l’impugnabilità delle decisioni e degli atti assunti dall’ANAC innanzi ai competenti organi di giustizia amministrativa. L’ANAC, per l’emanazione delle linee guida, si dota, nei modi previsti dal proprio ordinamento, di forme e metodi di consultazione, di analisi e di verifica dell’impatto della regolazione, di consolidamento delle linee guida in testi unici integrati, organici e omogenei per materia, di adeguata pubblicità, anche sulla Gazzetta Ufficiale, in modo che siano rispettati la qualità della regolazione e il divieto di introduzione o di mantenimento di livelli di regolazione superiori a quelli minimi richiesti dalla legge n. 11 del 2016 e dal presente codice”.

Allo strumento delle linee guida, più agile del regolamento, è stato dunque riservato un compito strategico ed essenziale nella definizione della disciplina normativa secondaria.

Per le linee guida vincolanti la difficoltà sta nel loro inquadramento nel sistema delle fonti, che deve essere coerente, da un lato, con l’assenza di una potestà normativa in senso proprio e, dall’altro, con la loro natura vincolante e con la funzione che sono chiamate a svolgere.

Secondo la concezione tradizionale le linee guida costituiscono un’espressione propria del potere di direttiva, che si declina, a sua volta, per mezzo di raccomandazioni, istruzioni operative e, quindi, in definitiva, mediante l’indicazione delle modalità attuative del precetto normativo, ma mai per mezzo di regole cogenti e vincolanti (che, semmai, costituiscono il presupposto logico dei chiarimenti affidati alle linee guida).

La segnalata discrasia tra il nome e la sostanza delle linee guida in esame ha, da subito, rivelato la singolare complessità della loro classificazione dogmatica e ha legittimato due distinte ipotesi ricostruttive.

Premesso, infatti, che la natura vincolante, oltre alla portata certamente generale, astratta e innovativa, del tipo di atto in questione (si pensi, ad esempio, alle linee guida previste dagli artt. 83 e 84 del Codice), si pone in tensione con i tratti tipici dell’atto amministrativo, anche in considerazione della loro preordinazione a sostituire il regime normativo contenuto nel regolamento di attuazione del previgente Codice dei contratti pubblici, il Consiglio di Stato, nel formulare il parere sullo schema di decreto legislativo, ha dovuto esaminare due diverse (e incompatibili) tesi: la qualificazione delle linee guida vincolanti come atti normativi atipici; la loro classificazione come atti di regolazione del tipo di quelli adottati dalle Autorità amministrative indipendenti. La preferenza accordata alla seconda soluzione, poi seguita nel testo definitivo del Codice, e circondata da opportune garanzie procedurali (la consultazione degli operatori, l’AIR, la VIR, la raccolta in testi unici, l’adozione di forme di adeguata pubblicità), può essere giustifica solo a patto di inquadrarla nella soft law, riconoscendo loro natura amministrativa, altrimenti si finirebbe per derogare al principio di tipicità delle fonti normative, che presidia la hard law.

In tal senso, allora, la loro distinzione con il regolamento ex art. 211, comma 1 sarebbe netta, appartenendo quest’ultimo, invece, al sistema delle fonti di matrice kelseniana, costruito come un’architettura geometrica, sulla base del valore formale dell’atto.

Come lucidamente affermato dalla Commissione, però, sesi guarda ai contenuti, si scopre come detto regolamento presenti una rilevante analogia con le linee guida, posto che esso disciplina un atto – il parere precontenzioso – che appare una sorta di direttiva del caso concreto alle parti in lite. E di raccomandazione parla espressamente il comma 2 dell’art. 211, con riguardo alla complementare figura dell’invito all’esercizio dell’autotutela.

Allora non basta limitarsi ad osservare che il regolamento costituisce una fonte normativa tipica, tanto più che la sottoposizione al principio di legalità è scolorita, ma occorre guardare alla sostanza della fattispecie, che è quella di dettare norme di azione per la Pubblica Amministrazione e non già regole di condotta per gli operatori.

Dunque, il decreto in esame è essenzialmente rivolto all’interno, anche se con inevitabili ricadute sui terzi, mentre le linee guida vincolanti sono rivolte all’esterno; ciò conferma la sua natura di regolamento di organizzazione.

In tal quadro, il Consiglio di Stato ha rammentato che l’origine della soft law è nella comunità degli affari – cosmopolita e in perenne movimento, bisognosa di regole transnazionali che siano dotate al tempo stesso di flessibilità e effettività, sovente originate dalle stesse pratiche commerciali che intendono regolare – e le fonti da cui promana (gli usi non normativi, i codici di condotta, l’interpretazione e le clausole generali, i principi, la lex mercatoria, le regolamentazioni delle Associazioni di categoria, etc.) sono accomunate dal carattere essenzialmente non vincolante delle regole che con essi vengono poste, trovando fondamento nell’effetto pratico che le relative disposizioni producono sui destinatari.

Per quanto le linee guida di cui si discute siano giuridicamente vincolanti, è pur sempre vero che sulla fase dell’adozione prevale quella dell’attuazione e che la loro fortuna riposa sul principio di effettività assai più che su quello della cogenza formale.

Evocare il principio di effettività per un regolamento di organizzazione – qual è il decreto in esame – ha molto meno senso, giacché ciò che davvero rileva è la forza prescrittiva sul destinatario, a garanzia dei terzi e, ancor prima, dell’interesse pubblico che ispira la funzione disciplinata.

Raggiunta la conclusione che il decreto in esame si differenzia dalle linee guida vincolanti, consegue che esso si sottrae all’art. 213, comma 2 del Codice dei contratti.

Dopo aver richiamato le considerazioni già svolte in precedenti pareri sulla natura delle linee-guida, la Commissione ne evidenzia la tipica efficacia “esterna”, come si conviene ad uno strumento di soft law, la cui origine è nella comunità degli affari e promana da fonti (quali usi non normativi, etc.) che trovano fondamento nell’effetto pratico che le relative disposizioni producono sui destinatari. Per contro, il regolamento dell’ANAC resta ancorato al sistema delle fonti di matrice kelseniana, costruito come un’architettura geometrica, sulla base del valore formale dell’atto, ed ha la funzione di dettare norme di azione per la Pubblica Amministrazione, non già regole di condotta per gli operatori.

2.4 L’esatta definizione dell’oggetto del Regolamento e la natura giuridica del precontenzioso

In termini generali il Regolamento è chiamato a disciplinare – ai sensi dell’art. 1 – “il procedimento per il rilascio dei pareri di precontenzioso”, nell’assenza di ulteriori esplicitazioni è lasciato, dunque, all’interprete il compito di inquadrare la natura di siffatto procedimento.

Richiamato quanto osservato con riguardo alla genesi dell’art. 211, comma 1 del Codice (alla luce del principio espresso, sia pure sinteticamente, dalla legge delega), l’inquadramento più convincente è nelle Alternative Dispute Resolution (d’ora in poi ADR), sia pure con indiscutibili tratti di specialità, poiché la procedura riposa sulla volontà delle parti, in base a un sistema binario, a seconda che vi sia (o meno) l’assenso all’efficacia vincolante del parere, e sfocia in un atto amministrativo che, quando ha efficacia vincolante, può essere impugnato in sede giurisdizionale.

È da ritenersi che il consenso debba essere esplicito e non possa desumersi dalla formulazione dell’istanza di parere, che è un mero atto di impulso, di per sé privo di una manifestazione di volontà diretta ad assoggettarsi al parere.

Non è chiaro, tuttavia, se il parere acquisti efficacia vincolante solo in presenza dell’assenso di tutte le parti interessate o anche solo nei confronti di quelle che hanno prestato il consenso.

La formulazione letterale della disposizione primaria, secondo cui “Il parere obbliga le parti che vi abbiano preventivamente consentito ad attenersi a quanto in esso stabilito”depone per la seconda soluzione e in tal senso dispone il regolamento.

Ne discende che è, dunque, possibile che il parere non sia vincolante nei confronti di tutte le parti tra cui sorge contenzioso.

E, pertanto, la variabilità soggettiva di tali effetti complica il meccanismo, ma estende l’ambito di applicazione dell’istituto, che altrimenti sarebbe stato limitato all’ipotesi – poco realistica – che stazione appaltante, interessato e controinteressati fossero concordi nel demandare la soluzione della questione all’ANAC o a quella di controversie tra stazione appaltante e destinatario dell’atto.

L’ancoraggio, nei termini appena accennati, della vincolatività del parere al consenso delle parti è giustificato dalla volontà di una necessaria distinzione dai mezzi processuali ed è la caratteristica principale delle tecniche di risoluzione alternativa delle controversie.

È ben vero che le ADR attengono a diritti disponibili, ma tale principio appare insuperabile solo nell’ambito dei mezzi non aggiudicativi, come la mediazione o la negoziazione assistita, che hanno una connotazione marcatamente privatistica, in attuazione del principio di sussidiarietà orizzontale. Nell’ipotesi in esame, invece, la procedura è svolta e decisa da un organo pubblico, che appartiene al novero delle Autorità indipendenti di settore, come all’AGCM, cui sono riconosciute funzioni non lontane dalla giurisdizione.

La distinzione si apprezza ancor più mettendo a confronto le fattispecie di cui ai commi 1 e 2 dell’art. 211 del Codice, poiché la seconda fattispecie si distacca maggiormente dal modello arbitrale, accostandosi a quello dei ricorsi amministrativi.

In questa prospettiva si palesa un pericolo opposto, ossia la tendenza alla processualizzazione delle forme e l’inclinazione a fare della procedura una sorta di pre-processo.

Rivelatrice di tale intento appare la previsione della sospensione dei termini del precontenzioso nel periodo feriale, che non ha giustificazione alcuna, se non quella di un’assimilazione alla giurisdizione.

Ed ancora negli artt. 3 e 4 figura la parola “decisione” in luogo di “parere”, termine che, invece, è stato utilizzato allo scopo di evitare qualsiasi commistione con le decisioni giurisdizionali.

La procedura in esame – ha ribadito il Consiglio di Stato – non è un processo, né può essere un nuovo grado del giudizio surrettiziamente voluto.

I fini perseguiti sono quelli di ottenere la deflazione del contenzioso e di favorire la cultura dell’alternativa all’accesso alla giustizia statale. Una cosa è la costruzione dell’intervento ANAC come strumento cui lo Stato obbligatoriamente e preventivamente rimandi per l’esercizio del diritto di difesa in giudizio, che sarebbe stata estranea alla delega e di dubbia legittimità costituzionale, altra cosa è la costruzione di siffatto intervento come strumento generale normativamente predisposto, di cui lo Stato incoraggi e/o favorisca l’utilizzo, lasciando pur tuttavia impregiudicata la libertà nell’apprezzamento degli interessati ad adirla.

Meno problemi crea l’ipotesi in cui il parere non sia vincolante, inquadrandosi nella moral suasion, qualcosa di più di una consulenza qualificata, sul modello dei responsa di romanistica memoria, poiché il terzo da cui proviene non è un privato ma un’Autorità pubblica, che ha compiti di vigilanza e regolazione del settore.

Il problema della giustificazione teorica dell’istituto all’interno del sistema amministrativo, nel quale vige il principio di indisponibilità dell’interesse legittimo e il conseguente divieto di arbitrato, si incrocia con quello del modello ad efficacia soggettiva variabile scelto dal regolamento, ed ancor prima dalla legge, per cui il parere è vincolante solo nei confronti delle parti che hanno aderito alla procedura. 

La distinzione dal processo non può implicare una riduzione delle garanzie al di sotto dello standard minimo, che è quello della legge sul procedimento amministrativo.

Siccome il parere precontenzioso va reso, per legge, entro 30 giorni dalla richiesta, la disciplina regolamentare tende a ridurre al minimo l’istruttoria e le garanzie di partecipazione, rendendo l’iter molto veloce, ma anche estremamente sommario e, forse, superficiale.

Rispetto al precedente iter si è passati da un modello con audizione obbligatoria delle parti, dinanzi all’intero Consiglio, al modello odierno, di procedimento scritto, praticamente senza contraddittorio, e in cui fa praticamente tutto l’Ufficio del precontenzioso, mentre il consigliere relatore e il Consiglio di fatto ratificano l’operato dell’ufficio.

2.5 Le criticità rimaste insolute

La Commissione individua quattro aree di criticità della procedura costruita dal regolamento, in larga misura dipendenti dal modello previsto dalla costruzione della fonte primaria, di cui si auspica una possibile futura modifica della stessa.

1) La previsione dell’efficacia vincolante su richiesta di parte, unita alla facoltà di fare ricorso giurisdizionale avverso il parere, complica il sistema.

Una volta sancita l’impugnabilità del parere, non sembra più necessario subordinare l’efficacia vincolante al previo consenso delle parti. Nell’ordinamento, quando è previsto il ricorso (facoltativo) ad Autorità indipendenti, l’efficacia vincolante della decisione non è subordinata al previo consenso delle parti[2], ma tale soluzione non è perseguibile de iure condito.

2) L’efficacia soggettiva variabile compromette, se non l’effetto di deflazione, la linearità del sistema. Si pensi al caso della stazione appaltante che, sottoposta all’efficacia vincolante del parere, decida di adeguarsi ad esso. La parte che non è sottoposta alla forza vincolante del parere potrà limitarsi a dedurne l’inefficacia nei suoi confronti, con la conseguenza che – se sfavorevole – non sarà tenuta per tutelarsi a impugnarlo o a partecipare al giudizio da altri instaurato. Tuttavia, resterà pur sempre pregiudicata dal provvedimento adottato sulla base di tale parere, ragion per cui dovrà impugnarlo, ciò dando luogo a un problematico rapporto tra i due giudizi.

3) Ed ancora, il parallelismo con l’arbitrato evidenzia un’aporia nella natura consensuale del meccanismo: in ambito civilistico, la struttura contrattuale del compromesso e della clausola compromissoria fa sì che non è revocabile l’assenso; nell’istituto in esame, invece, il carattere unilaterale del vincolo fa pensare alla possibilità di un ripensamento della parte stessa.

4) E da ultimo si pone il problema di individuare la disciplina applicabile al procedimento (termini, rapporti con la tutela giurisdizionale, inammissibilità e improcedibilità, revocazione, etc.) laddove non espressamente prevista.

Ma alla luce dell’attuale formulazione della norma primaria non pare che la soluzione possa essere quella di disegnare – tramite l’impiego dell’analogia – l’istituto in forme analoghe a quelle del ricorso gerarchico improprio (per esempio, il ricorso al difensore civico in materia di accesso), ossia come rimedio facoltativo, ma sganciato dall’adesione preventiva delle parti interessate. Con riguardo alle lacune della disciplina, la ratio dell’istituto induce ad escludere l’estensione di forme tipiche del processo.

Sul punto, dunque, occorre un espresso intervento normativo in via legislativa.

3. Le questioni particolari evidenziate dal Consiglio di Stato

Diversi rilievi sono stati formulati al fine di migliorare la procedura e garantire le parti interessate alla decisione.

Sicché con riferimento a singole disposizioni si evidenzia quanto segue:

4. Conclusioni

L’istituto del precontenzioso per la sua natura Alternative Dispute Resolution presenta diversi vantaggi quali la deflazione del contenzioso giurisdizionale, il contenimento di tempi e costi, in termini di strutture e di risorse umane, che il ricorso giurisdizionale richiede, nonché l’ottenimento, senza dovere versare alcun corrispettivo aggiuntivo al contributo, di un parere reso dall’Autorità finalizzato a rimuovere e correggere le violazioni lamentate dalle parti in una fase in cui le stesse possono ancora essere. Allo stato lo Schema di Regolamento presenta diverse lacune e criticità, che andranno necessariamente definite al fine di rendere effettivo il ricorso all’ADR.

Si auspica che venga ampliato il contraddittorio ai controinteressati e che venga ripristinata l’audizione delle parti dinanzi all’Autorità, quantomeno per le controversie di maggior rilievo, collocandola dopo la scadenza del termine per prestare l’eventuale assenso al parere. Il tutto nell’ottica di adottare un procedimento caratterizzato dall’effettività del contraddittorio.

Per altro verso la celerità che sembrerebbe essere stata impressa al procedimento di che trattasi sarà tale se verranno previste modalità di convocazione rapide, ad esempio in forma telematica, e un contraddittorio orale semplificato e senza formalità. 

Di particolare rilievo anche l’eliminazione della disposizione relativa al riesame del parere vincolante, foriera di ulteriori complicazioni, nell’ipotesi – più che probabile – di un’interferenza tra il procedimento di riesame e il processo, attesa l’impugnabilità dei pareri vincolanti dinanzi al giudice amministrativo.

Dal punto di vista sostanziale l’elemento centrale del Parere riguarda senza alcun dubbio l’integrale riformulazione della disposizione relativa agli effetti del parere, con la distinzione delle tre ipotesi, con le quali si contemplano:

  1. l’obbligo di comunicazione all’ANAC della stazione appaltante che abbia manifestato la volontà di attenersi al parere, avente ad oggetto la eventuale proposizione di ricorso giurisdizionale avverso il parere ovvero le determinazioni adottate al fine di adeguarsi al parere stesso.
  2. l’obbligo di comunicazione all’ANAC delle parti diverse dalla stazione appaltante che abbiano manifestato la volontà di attenersi al parere, avente ad oggetto la eventuale proposizione di ricorso giurisdizionale avverso il parere ovvero l’avvenuta acquiescenza al parere.
  3. l’obbligo di comunicazione all’ANAC delle parti che non hanno manifestato la volontà di attenersi al parere, avente ad oggetto le proprie determinazioni conseguenti al parere.

Da evidenziare come le disposizioni sull’inammissibilità e l’improcedibilità siano al limite con il potere regolamentare di organizzazione, al quale deve essere ricondotto il potere di ANAC in siffatto contesto. Il Regolamento, come opportunamente evidenziato dal parere, è stato emanato in virtù di poteri di intervento che interferiscono (e/o comunque sono tali da interferire) con la tutela processuale, tanto da evocare una trasformazione in senso giurisdizionale della procedura di precontenzioso.

V’è infatti indubitabilmente una tendenza a processualizzare le forme e a fare della procedura una sorta di pre-processo.

Rivelatrice di tale intento appare la previsione della sospensione dei termini del precontenzioso nel periodo feriale, che non ha giustificazione alcuna, se non quella di un’assimilazione alla giurisdizione.


[1] Questa classificazione è stata già ampiamente puntualizzata nel parere del Consiglio di Stato 2 agosto 2016, n. 01767, proprio con riferimento alle linee guida dell’ANAC in materia di responsabile unico del procedimento, offerta economicamente più vantaggiosa, servizi attinenti all’architettura e all’ingegneria.

[2]Si pensi al ricorso al difensore civico o alla commissione per l’accesso.

Sending
Questo articolo è valutato
0 (0 votes)

Questo articolo è stato scritto da...

Avv. Adriana Presti
Avvocato amministrativista, esperto in contrattualistica pubblica
mediagraphic assistenza tecnico legale e soluzioni per l'innovazione p.a.