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1. Premesse

Nel tentativo di contenere la sempre crescente spesa pubblica nel settore sanitario, i Governi che si sono succeduti dal Novembre 2011 in poi, si sono dedicati alla stesura, con cadenza almeno annuale, di enormi profluvi dispositivi, spesso ricolmi di intrecciati richiami normativi, dal fascinoso ed anglosassone nome di Spending Review.

Inaugurata dal Governo dei Tecnici presieduto dal Prof. Monti, la decretazione d’urgenza tesa alla rivisitazione della spesa pubblica è divenuta un mantra dal quale ogni Presidente del Consiglio dei Ministri che si sia successivamente insediato a Palazzo Chigi non se n’è voluto discostare.

Ad onor del vero, la spinta alla revisione della spesa, più che da un anelito liberale di contenimento degli sprechi, è stata sentita dalla classe politica in ragione della necessità di carattere spiccatamente propagandistico ed elettorale di evitare, proprio durante il periodo di insediamento del proprio governo, l’attivazione delle c.d. clausole di salvaguardia (i.e. aumento IVA, riduzione detrazioni fiscali, incrementi impositivi per bolli e accise ecc..) che in ogni Legge di Stabilità sono state inserite come extrema ratio, in caso di mancato raggiungimento dei risparmi attesi ovvero dei livelli di crescita del PIL previsti, al fine di poter raggiungere gli obiettivi di stabilità concordati in sede europea.

Il settore sanitario, venendo al tema oggetto del presente contributo, è stato un settore in riferimento al quale la Spending Review ha maggiormente inciso, se non altro in termini di fetazione normativa, ciò in quanto la spesa sanitaria si attesta ai primi posti tra i macro-settori maggiormente dispendiosi per lo Stato, per un totale di oltre 100 Mld di Euro annui, nei cui meandri  appaiono evidenti i margini di contenimento che possono conseguirsi.      

2. Il dato normativo

Nel quadro di politica economica e di finanza pubblica sopra evidenziato, in un contesto politico in cui è sempre stato propugnato che solo attraverso il ricorso alle gare pubbliche sarebbe stato possibile conseguire dei risparmi sulla spesa per l’acquisto dei c.d. beni intermedi, appare quanto meno paradossale che una legge dello Stato possa consentire, in deroga ai principi di derivazione europea di massima concorrenza, trasparenza e partecipazione, un affidamento diretto ad un operatore economico, senza con ciò incorrere nella violazione delle direttive in tema evidenza pubblica per l’affidamento degli appalti.

In effetti, a determinate condizioni, una norma della Spending Review del 2012 lo consente.

Le disposizioni di cui si discute, presenti originariamente nel secondo decreto di Spending Review all’art. 15 comma 13 lettere b) e d) del D.L. 95/2012, sono state più volte rimaneggiate dai successivi governi, in particolar modo la lettera d) che è lettera così modificata dall’art. 15-bis, comma 1, D.L. 13 settembre 2012, n. 158, convertito, con modificazioni, dalla L. 8 novembre 2012, n. 189, e, successivamente, dall’ art. 9-sexies, comma 1, lett. a), D.L. 19 giugno 2015, n. 78, convertito, con modificazioni, dalla L. 6 agosto 2015, n. 125.

Pertanto, la lettera b), questa modificata solo in sede di conversione, nella parte di nostro interesse dispone che “all’articolo 17, comma 1, lettera a), del decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98, convertito dalla legge 15 luglio 2011, n. 111, il quarto e il quinto periodo sono sostituiti dai seguenti: «Qualora sulla base dell’attività di rilevazione di cui al presente comma, nonché sulla base delle analisi effettuate dalle Centrali regionali per gli acquisti anche grazie a strumenti di rilevazione dei prezzi unitari corrisposti dalle Aziende Sanitarie per gli acquisti di beni e servizi, emergano differenze significative dei prezzi unitari, le Aziende Sanitarie sono tenute a proporre ai fornitori una rinegoziazione dei contratti che abbia l’effetto di ricondurre i prezzi unitari di fornitura ai prezzi di riferimento come sopra individuati, e senza che ciò comporti modifica della durata del contratto. In caso di mancato accordo, entro il termine di 30 giorni dalla trasmissione della proposta, in ordine ai prezzi come sopra proposti, le Aziende sanitarie hanno il diritto di recedere dal contratto senza alcun onere a carico delle stesse, e ciò in deroga all’articolo 1671 del codice civile. Ai fini della presente lettera per differenze significative dei prezzi si intendono differenze superiori al 20 per cento rispetto al prezzo di riferimento … […] … Le aziende sanitarie che abbiano proceduto alla rescissione del contratto, nelle more dell’espletamento delle gare indette in sede centralizzata o aziendale, possono, al fine di assicurare comunque la disponibilità dei beni e servizi indispensabili per garantire l’attività gestionale e assistenziale, stipulare nuovi contratti accedendo a convenzioni-quadro, anche di altre regioni, o tramite affidamento diretto a condizioni più convenienti in ampliamento di contratto stipulato da altre aziende sanitarie mediante gare di appalto o forniture.»”  

Invece, l’attuale formulazione del comma 13 lett. d) è la seguente: “fermo restando quanto previsto dall’articolo 17, comma 1, lettera a), del decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98, convertito con modificazioni dalla legge 15 luglio 2011, n. 111, gli enti del servizio sanitario nazionale, ovvero, per essi, le regioni e le province autonome di Trento e Bolzano, utilizzano, per l’acquisto di beni e servizi relativi alle categorie merceologiche presenti nella piattaforma CONSIP, gli strumenti di acquisto e negoziazione telematici messi a disposizione dalla stessa CONSIP, ovvero, se disponibili, dalle centrali di committenza regionali di riferimento costituite ai sensi dell’articolo 1, comma 455, della legge 27 dicembre 2006, n. 296. I contratti stipulati in violazione di quanto disposto dalla presente lettera sono nulli, costituiscono illecito disciplinare e sono causa di responsabilità amministrativa […].”

In estrema sintesi, il combinato disposto delle norme sopra ricordate obbliga, da un lato, le strutture sanitarie al ricorso alla piattaforma Consip (ovvero, se disponibili, alle piattaforme di acquisto dalle centrali di committenza regionali) per l’approvvigionamento di beni e servizi, senza esperimento, per proprio conto, di previa procedura di gara, e d’altro verso, qualora una struttura abbia esercitato il diritto di recedere dai contratti che aveva in corso d’esecuzione sulla scorta di una valutazione di non convenienza economica degli stessi (oppure il suddetto contratto sia venuto a scadenza naturale), può affidare direttamente, a patto che la Consip o le centrali regionali non abbiano già attivato una apposita convenzione, la fornitura di une bene o un servizio ad un operatore economico già esercente il medesimo appalto presso altra struttura sanitaria.

L’obiettivo di risparmi di spesa accennato in premessa del presente contributo, secondo il legislatore, è pertanto raggiungibile attraverso un processo di diminuzione dei centri decisionali della spesa e centralizzazione degli acquisti, anche se da ciò possa conseguire una lesione del principio di concorrenzialità e massima partecipazione.

Invero, se nel caso della lett. d), il rispetto dei principi europei dell’evidenza pubblica sono salvaguardati dalla circostanza che la Consip ovvero le centrali di committenza regionali abbiano esperito a monte una gara per selezionare il soggetto cui affidare una convenzione quadro il cui oggetto viene delimitato da un plafond contrattuale messo a gara tra concorrenti, nel caso della lettera b), invece, ci si ritrova dinanzi ad una affidamento diretto vero e proprio, patentemente violativo dell’obbligo dell’evidenza pubblica seppur “giustificato” dalla norma ed alle condizioni ivi poste.

La norma prevede che sia consentito ricorrere a tale affidamento diretto ad un operatore economico qualora, esercitato il recesso da parte della struttura sanitaria in forza della norma speciale che ne consente la possibilità in deroga al codice civile (oppure il suddetto contratto sia venuto a scadenza naturale), al fine di poter garantire la continuità del servizio o della fornitura di quanto erogato in forza del contratto da cui si è esercitato il recesso, nelle more dell’attivazione di quanto stabilito alla successiva lett. d) (cioè nelle more che la Consip ovvero le centrali di committenza regionali mettano a disposizione tramite la stipula convenzioni quadro l’approvvigionamento di quel dato bene o servizio oggetto del contratto da cui si è receduto), risulta legittimo ex lege affidare l’esecuzione di quel dato servizio o fornitura ad un operatore economico che sia già affidatario tramite gare del medesimo appalto nei confronti di altre strutture sanitarie, sempre che i prezzi praticati siano più convenienti rispetto a quello da quale si è optato di sciogliersi.

E’ superfluo sottolineare che le strutture sanitarie che ritenessero di optare per il recesso e conseguente affidamento diretto ad altro operatore in forza delle norme anzi citate dovranno compiere uno sforzo motivazionale ai sensi dell’art. 3 della L. 241/90 e s.m.i. particolarmente incisivo in ordine, dapprima, alla non esistenza di una alternativa fruibile attraverso gli strumenti di acquisto centralizzati (Consip e centrali regionali), in ordine alle ragioni di convenienza economica, ed infine riferimento alla sovrapponibilità della natura ed oggetto dell’appalto tra quanto erogato dal contratto da cui si è receduto ed l’oggetto e natura del contratto eseguito per altra struttura e per il quale si intende esercitare il diritto dell’affidamento diretto.

3. L’approccio sempre più restrittivo imposto dalla giurisprudenza     

Il dissidio di interessi e principi di rango europeo e costituzionale presente nelle norme anzi ricordate è di tutta evidenza.

Da un lato, per le ragioni ricordate in premessa, lo Stato onde garantire il perseguimento degli obiettivi di stabilità di finanza pubblica concordati in Europa ed il pareggio di bilancio oggi previsto in costituzione all’art. 81 ricorre a qualsiasi stratagemma che possa consentire il raggiungimento dei risparmi di spesa attesi, dall’altro, legittima ex lege, fino a censura da parte della Corte di Giustizia, una prassi del tutto violativa del principi di diritto europeo in tema di concorrenza.

D’altro canto, l’idea di fondo, non del tutto peregrina, recata nelle norme in parola è quella di consentire – nelle more dell’implementazione da parte di Consip di un pacchetto di convenzioni adeguatamente ampio da soddisfare tutte le esigenze di beni e servizi intermedi di una struttura sanitaria – alle ASL meno accorte di poter, previo recesso dai propri contratti in corso non più convenienti (se non addirittura ormai fuori mercato), beneficiare dei prezzi che altre ASL più avvedute sono state capaci di strappare attraverso le proprie procedure di appalto, chiedendo all’operatore economico di ampliare dal punto di vista soggettivo l’erogazione della prestazione anche nei confronti delle prime.

Queste norme sono state inserite nel nostro ordinamento giuridico nonostante la giurisprudenza amministrativa è chiara ed unanime nel ritenere che l’estensione soggettiva a terzi (res inter alios acta) di un contratto di appalto affidato tramite gara risulti violativo delle norme di materia di libera concorrenza, in quanto, attraverso la fruibilità da parte di terzi delle prestazioni, seppur affidate tramite idonea procedura selettiva, da altra amministrazione rispetto a quella che ha bandito la gara, concretizzi sostanzialmente un affidamento diretto avvenuto in spregio alle norme in materia di evidenza pubblica. [1]

Se le procedure di acquisto devono essere centralizzate (a livello statale o regionale), come da anni il legislatore impone di fare (giusto o meno giusto che sia), un minimo di flessibilità e di adattabilità operativa è necessario (conveniamo: con criteri il più possibile oggettivi e tali da evitare fenomeni distorsivi del tipo impropri recuperi in corso d’opera dell’utile).  

Da ultimo la giurisprudenza amministrativa, con la sentenza del Consiglio di Stato, Sez. V, 8 ottobre 2014, n. 5007, ha chiarito sul punto che “E’ illegittimo l’affidamento diretto del servizio di igiene urbana attuato mediante estensione dell’oggetto di un contratto fra terzi. La disposizione del capitolato speciale di appalto che prevede detta estensione costituisce violazione dei principi enunciati agli artt. 2 e 30 del d.lgs. n. 163/2006 e, in particolare, dei principi di libera concorrenza, parità di trattamento, non discriminazione e trasparenza, consentendo un affidamento senza gara al di fuori dei casi tipici e tassativamente previsti dalla normativa comunitaria e dalle disposizioni primarie”.

Le norme oggetto di breve disamina nel presente contributo, in effetti consentono proprio quanto ivi censurato nella citata sentenza.

In tali circostanze è compito della giurisprudenza trovare il corretto bilanciamento e contemperamento di principi di pari grado e dignità. La magistratura amministrativa è stata investita della questione della corretta applicabilità delle citate norme della Spending Review, giungendo ad approdi divergenti dai quali è utile partire. 

Il presupposto da cui è necessario muovere è che il ricorso all’affidamento diretto ai sensi della lett. b) è da considerarsi come extrema ratio cui le ASL possono ricorrere qualora debbano procedere ad un nuovo affidamento in ragione di un avvenuto recesso da altro contratto non più economicamente conveniente ovvero poiché venuto a scadenza naturale, dovendosi prima necessariamente procedere alla valutazione della sussistenza di una alternativa fornita dalla Consip o dalla centrale di committenza regionale.

Infatti, la giurisprudenza ha spiegato che  “la amministrazione sanitaria … non può fare altro che utilizzare, per l’acquisito dei beni e servizi oggetto della convenzione Consip, gli strumenti di acquisto e negoziazione telematici messi a disposizione dalla stessa Consip prevedendo le suddette disposizioni la nullità dei contratti eventualmente conclusi in violazione di detto obbligo, oltre alla responsabilità amministrativa dei dirigenti (Cons. Stato, Sez. III, 27.3.2014 n. 1486)” (Consiglio di Stato sez. III 7/9/2015 n. 4136), dal che si deduce e conferma che la corretta interpretazione del combinato disposto lett. b) e d) dell’art. 15 c. 13 deve essere inteso per cui il ricorso all’affidamento diretto ai sensi della lett. b) dell’art. 15 c. 13 D.L. 95/2012, deve essere considerato come una “ultima spiaggia” per il raggiungimento dell’obiettivo del contingentamento di costi richiesto dalle norme della Spending Review.

Il Consiglio di Stato sez. III, ad ulteriore conferma, con la propria sentenza del 7/9/2015 n. 4133, ha sottolineato infatti che l’art.15 co. 13 lett. d) e lett.b) del d.l. n.95 del 2012 convertito nella legge 135 del 2012 introduce una eccezionale deroga al regime ordinario degli appalti da conferire con pubbliche gare consentendo l’affidamento diretto di una fornitura ad una impresa già titolare di altro contratto. Secondo tale disposizione l’utilizzo di altre convenzioni è legittimo sempre che tale utilizzo risulti più conveniente sotto il profilo economico, comparazione questa che presuppone logicamente la sostanziale omogeneità delle prestazioni richieste dalla amministrazione in entrambi i contratti”.

Partendo dall’assunto che la norma rechi un portato derogatorio rispetto ai principi generali in materia di affidamento di contratti pubblici, lo stesso Consiglio di Stato (sempre sentenza del 7/9/2015 n. 4133) ha chiarito che risulti “evidente che essa va applicata nei limiti ristretti indicati dal legislatore senza possibilità di interpretazioni estensive che sarebbero in contrasto della portata precettiva della normativa comunitaria che obbliga l’affidamento degli appalti solo a mezzo di apposite gare a procedura aperta”.

A tal riguardo una ulteriore sentenza del Consiglio di Stato (Consiglio di Stato sez. III 14/4/2015 n. 1908) ha sancito che in ordine “all’obbligo di adesione alla convenzione Consip a norma dell’art. 15 co. 13 del d.l. 6 luglio 2012 n.95, convertito nella legge 7 agosto 2012 n.135, tale obbligo e’ ipotizzabile, non certo astrattamente, ma solo per l’acquisto di servizi concretamente rispondenti alle esigenze della stazione appaltante, non potendo diversamente ipotizzarsi un obbligo giuridico di adesione là dove sia carente la concreta esigenza o inadeguato il contenuto della convenzione”, conseguentemente “tutti gli affidamenti di servizi ulteriori, non contemplati dalla convenzione Consip, così come tutte le estensioni dell’oggetto e della durata delle forniture acquisite mediante il ricorso al sistema centralizzato, sono illegittimi perché comportano la violazione delle direttive comunitarie e delle norme nazionali che dispongono l’obbligo della gara pubblica a garanzia della concorrenza, della par condicio tra i partecipanti, della correttezza e della trasparenza della condotta della s.a..”

Di contrario avviso invece si è mostrato l’orientamento dalla Terza Sezione con la già citata e coeva sentenza n. 4133/2015 per la quale, in caso di discrasia tra gli oggetti dell’appalto ipoteticamente affidabile tramite convenzione Consip e la concreta esigenza dell’amministrazione sanitaria ha precisato che “delle due possibili soluzioni ipotizzabili in caso di necessità ulteriori della amministrazione, obbligo di adesione alla convenzione Consip con impossibilità di individuazione di un oggetto diverso dal rigido contenuto della stessa convenzione, oppure limitato adeguamento della convenzione alle esigenze peculiari della amministrazione, va ritenuta percorribile la seconda soluzione” […] aggiungendo che “eventuali prestazioni aggiuntive, a mente dell’art. 57 co.2 e 5 del d.lgs. 163/2006, non possono che accedere alla convenzione originaria non essendo ipotizzabile, sul piano tecnico, una parcellizzazione dell’unico servizio di fornitura in due tronconi differenti, conferito uno, con obbligatoria adesione alla convenzione Consip, e l’altro sul libero mercato per prestazioni dello stesso genere di quelle oggetto della convenzione”.

4. Conclusioni

Risulta evidente dalla disamina dei pochi arresti oggi presenti sul punto nel panorama pretorio che la giurisprudenza – tutt’ora – non abbia ancora trovato un orientamento ermeneutico univoco su cui attestarsi, che possa consentire alle amministrazioni di nutrire un certo grado di sicurezza nell’applicabilità delle norme in parola.

E’ d’altro canto evidente che un approccio interpretativo eccessivamente restrittivo che ponga come presupposto per il ricorso alla lettera d) dell’art. 15 comma 13 la necessità di poter aderire alle convenzioni Consip se e sole se si riscontri una totale sovrapponibilità tra la domanda della struttura sanitaria e l’offerta convenzionata, condurrebbe al paradosso di un congenita deviazione dall’intenzione palesata dalla scelta di politica normativa di centralizzazione degli acquisiti (quale strada per decrementi di spesa), inducendo per l’effetto le amministrazioni sanitarie verso un ritorno alle gare autonome.[2]

Un tale orientamento riapre la fuga dalla centralizzazione degli acquisti, visto che l’esperienza insegna che può facilmente sostenersi (vero o meno vero che sia) che pressoché nessuna gara centralizzata risponde pienamente in concreto alle esigenze della singola Amministrazione, tanto che acquisti di beni o servizi “oltre convenzione” rientrano nella prassi assolutamente comune di tutti gli enti.

Alla luce della scelta legislativa di “sistema” tesa alla diminuzione dei centri decisionali di costo, appare avallabile una interpretazione per la quale sia consentito un certo margine di flessibilità nella negoziazione di aspetti del servizio ovvero fornitura non del tutto dettagliati in convenzione Consip, non solo e non tanto poiché consentiti dall’art. 57 commi 2 e 5 del D.Lgs. 163/06 in riferimento agli affidamenti diretti dei cd. servizi aggiuntivi, piuttosto in ragione e presupposto del dato di fatto che il rispetto dei principi dell’evidenza pubblica, nel caso dell’adesione alle convenzioni Consip, risulta essere stato soddisfatto dall’esperimento di una gara a monte da parte della stessa Consip ovvero dalla Centrali di committenza regionali.

Viceversa, battendo così la strada di un doppio binario esegetico per le due fattispecie disciplinate rispettivamente dalle lettere b) e d) del citato art. 15, un approccio ermeneutico maggiormente restrittivo appare del tutto coerente con i principi di rango comunitario di trasparenza, par condicio e favor partecipationis, allorquando una struttura sanitaria, in forza della lett. b), intenda affidare direttamente ad un operatore economico già affidatario di un contratto in corso presso altra struttura sanitaria.

E’ evidente che dall’applicazione di quest’ultimo tipo normativo, il vulnus ai principi ritraibili dal Trattato risulta maggiormente evidente, conseguentemente, l’ottica ermeneutica di un bilanciamento di interessi tra principi configgenti, appare consentire una deroga all’evidenza pubblica a fronte di un determinato risparmio di costi per la singola amministrazione, solo per una fattispecie ricorribile esclusivamente in via residuale e confinata ad un alveo applicativo ben delimitato, riassumibile nella totale omogeneità dell’oggetto dell’appalto di cui una struttura sanitaria vuole beneficiare a mezzo dell’affidamento diretto.


[1] Adesioni a Consip anche con “adattamenti”, www.appaltiecontratti.it 8/9/2015

[2] Il sistema-Consip smontato con quattro parole, www.appaltiecontratti.it 15/4/2015

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Questo articolo è stato scritto da...

Avv. Giuseppe Totino
Esperto in contratti pubblici
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